Stelle come polvere e polvere di stelle

Quasi tutte le galassie (quelle ellittiche ormai non più) mostrano segni evidenti di enormi sacche di polvere; La Via Lattea, la nostra galassia, non fa eccezione. Qui c’è un sacco di polvere, prodotta negli eoni da milioni di stelle ormai scomparse 1  tra enormi esplosioni di supernova e i deboli sospiri delle nebulose planetarie. Potete vederla nel riquadrino qui accanto, magari a schermo pieno, dove è mostrata solo una piccola porzione – tra le costellazioni del Sagittario, lo Scudo e Aquila – di quello che ci è possibile scorgere dalla Terra della Galassia, oppure seguendo questo link per l’immagine tradizionale.
Per noi è come cercare di intuire la forma e l’estensione di una foresta avendo le dimensioni di un tardigrado seduto su un sassolino. Per questo la vera  natura della Via Lattea è stata compresa solo negli ultimi novant’anni e ancora molti particolari ci sfuggono.

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Le aree rosse sono dovute all’idrogeno ionizzato [HII] dalla radiazione ultravioletta delle stelle. Le regioni verdastre sono invece nubi molecolari più fredde, ricche di monossido di carbonio [CO], carbonio [CI] e carbonio ionizzato una volta [CII], oltreché del classico idrogeno atomico in genere in proporzione di 10000 atomi per ogni atomo di carbonio.
Credit: Marco Lombardi et al. (A&A 535, A16, 2011) e rielaborazione Il Poliedrico.

Se è pur vero che quella regione di spazio mostrata dalla gigantografia è ben visibile nel periodo estivo, in questa stagione il cielo è dominato da una delle più celebri costellazioni conosciute: Orione. È inutile che vi sforziate di vedere ad occhio nudo l’Anello di Barnard (anche se qualcuno afferma di esserci riuscito ma ne dubito) e gli altri oggetti nebulari; essi sono visibili – a malapena – con telescopi e filtri ottici specifici e richiedono riprese fotografiche lunghissime sotto cieli scurissimi come ormai non se ne vedono quasi più in Italia.
Questa immensa bolla di idrogeno ionizzato è illuminata dalla luce ultravioletta delle tre stelle calde e luminosissime che compongono la cintura Alnitak, Alnilam e Mintaka che insieme ad altre stelle giganti blu danno origine al complesso Orion OB1.
Poco più in basso, al centro della spada, c’è l’ammasso globulare M 42, noto anche come la Nebulosa di Orione, che racchiude anch’esso un altro scrigno di inestimabili tesori. Distante appena 1260 anni luce, è il campo di formazione stellare più vicino a noi ed è l’unica nebulosa ben visibile ad occhio nudo.
Addirittura, pur non comprendendone ovviamente la natura, i Maya (sì, proprio quelli di cui molti parlano a vanvera) avevano intuito che quella non poteva essere una stella come le altre ma che la sua luce appariva decisamente ferma come quella dei pianeti pur rimanendo fissa nel cielo. Per loro era il fuoco (per altri studiosi il fumo) del braciere racchiuso tra le stelle Alnitak, Saiph e Rigel. Questo era il Triangolo della Creazione Celeste da cui era risorto il Dio del Mais (curiosamente erano a lui/lei – nella tradizione orale precolombiana la divinità era indicata di genere femminile perché aveva generato il mais da cui era nato a sua volta il genere umano – attribuite anche la scrittura e le arti) che poi si riposava nel luogo sacro identificato con la Cintura di Orione.
E in effetti M42 è una gigantesca incubatrice di stelle ora illuminata da un ammasso aperto estremamente giovane, non più di 3 o 500 mila anni,  di stelle noto come il Trapezio (\(\theta\) Orionis) grande circa 10 anni luce.

AE aurigae -> 40° μ Columbae -> 25° 53 Arietis -> 43° Queste sono le distanze apparenti sulla volta celeste delle tre stelle giganti azzurre dal loro punto d'origine all'interno di M 42 dopo 2,7 milioni di anni. Credit: Il Poliedrico

AE aurigae -> 40°
μ Columbae -> 25°
53 Arietis -> 43°
Queste sono le distanze apparenti sulla volta celeste delle tre stelle giganti azzurre dal loro punto d’origine all’interno di M 42 dopo 2,7 milioni di anni.
Credit: Il Poliedrico

2,7 milioni di anni fa (l’Uomo arcaico era appena apparso sulla Terra) in quella stessa regione di spazio un altro sistema stellare multiplo si frantumò forse per instabilità gravitazionale o forse per l’esplosione di una supernova vicina. il risultato è che tre stelle, tutte giganti azzurre, furono scagliate via da quel sistema e ora vagano nello spazio molto distanti dal loro luogo d’origine. In fondo questa non è una novità, se è pur vero che quasi tutte le stelle nascono in gruppi più o meno numerosi, ben presto ognuna di loro prende la sua strada indipendentemente dal percorso che le altre scelgono. Pensate che là fuori da qualche parte c’è o c’è stata una stella sorella del Sole, oggi impossibile rintracciarla tra miriadi di altre stelle con assoluta certezza.

Spesso si sente dire che la scienza e l’astronomia moderna hanno ucciso la poesia racchiusa nelle cose, che siano esse un falò sulla spiaggia o il cielo trapuntato di stelle non fa differenza.
Permettetemi di dissentire da questo pensiero malsano. Sapere cosa c’è dietro una fiamma, dietro l’ammiccamento perenne di una stella e di cosa la alimenta, di come nasce e poi muore, di polvere di stelle e di cosa siamo fatti noi e tutto ciò che ci circonda, mi fa meravigliare ancora di più del Creato. Sapere che Io, Noi, siamo qui ora a osservare e comprendere tutto questo mi scalda e mi eccita più di ogni altra cosa. Immaginate invece la tristezza e lo spreco se non ci fossero osservatori capaci di cogliere cotanta bellezza.
In fondo i Maya su una cosa avevano ragione da vendere: lassù c’è la Creazione, nostra e di ogni altra cosa. Loro la vedevano nella luce fissa di M 42, per me quello è solo un eccitante e meraviglioso esempio.
Ecco, non sforzarsi di comprendere tutto questo davvero uccide la poesia che impregna il Cosmo.

L’espansione dell’Universo sta accelerando oppure serve un nuovo modello?

Questa è davvero la celebre domanda da un milione di dollari o, se preferite visto che siamo in Europa, un milione di euro. Non è davvero facile rispondere, solo le prossime ricerche ci potranno dire da quale parte guardare. Ma il progresso scientifico va avanti così, per tentativi ed errori. Fra Premi Nobel dati per scoperte che domani potrebbero essere superate per il medesimo meccanismo di autorevisione che li aveva distribuiti.
Questo giusto per ricordarci quanto sia incerto il pensiero umano che si dedica alle scoperte del Cosmo dove l’unica certezza è sapere di non essere certi  di sapere abbastanza.

 Nel 2011 Brian P. Schmidt e Adam Riess vinsero il Premio Nobel per la Fisica per aver scoperto che l’Universo stava accelerando la sua espansione al contrario di quanto fino ad allora era stato creduto. Il perché questo accada non è mai stato chiarito del tutto ma finora tutto suggerisce che sia la conseguenza di una costante cosmologica, indicata con la lettera greca \(\Lambda\), capace di contrastare il collasso gravitazionale del contenuto dell’Universo. Già in passato mi sono cimentato nello spiegare per sommi capi come questa costante operi nel Modello Standard \(\Lambda CDM\) (Lambda Cold Dark Matter) [cite]https://ilpoliedrico.com/2016/07/zenone-olbers-lenergia-oscura-terza-parte.html[/cite] e quindi non credo sia opportuno tornarci sopra, ma di fatto tutto indica che una condizione di universo accelerato sia legata anche allo stato di falso vuoto che permette l’esistenza stessa della materia e di conseguenza la nostra di osservatori.
Per comprendere meglio come si è arrivati a capire che l’espansione dell’Universo sta accelerando, prendiamo ad esempio una SNa che con le dovute correzioni del caso, mostri uno spostamento verso il rosso (redshift) \(z\) di circa 0.1, pari a circa il 10% dell’età dellUniverso (\(\approx\)1.38 miliardi di anni). Per una distanza così – relativamente – piccola la luminosità apparente osservata nelle SNe è in linea con il loro redshift e quanto prevede la normale Legge di Hubble. Per le distanze maggiori, supponiamo \(z \approx\)0.5 (\(\frac{2}{3}\) dell’età  dell’Universo) si osserva che la luminosità delle SNe 1a è più bassa del redshift indicato dal loro spettro. Questo indica che nel corso del tempo l’espansione dell’Universo è cambiata  e che pertanto l’affievolimento della luce delle SNe risulta più marcato e che devia dalla linearità della Legge di Hubble in funzione del tempo trascorso.  In soldoni, l’Universo si stava espandendo più lentamente in passato di quanto lo faccia oggi. La luce emessa quando l’Universo aveva \(\frac{2}{3}\) dell’età attuale ha dovuto percorrere più spazio per raggiungerci e quindi è più debole di quanto previsto dai modelli di universo senza alcuna costante cosmologica.

L’altro giorno però, uno studio apparso su Scentific Reports di Nature [cite]http://www.nature.com/articles/srep35596[/cite] sembrava rimettere in discussione che l’espansione dell’Universo stesse accelerando. In realtà non è proprio così, il senso dell’articolo a mio avviso non è stato compreso del tutto e di conseguenza anche la notizia è stata distorta.
In pratica gli autori della ricerca, tra cui figura anche l’italiano Alberto Guffanti dellUniversità di Torino, hanno suggerito che in base a un nuovo campione di 740 supernovae (SN) del tipo 1a  1 non possono esserci prove evidenti che l’espansione dell’Universo sta accelerando e che le nuove loro analisi sono consistenti piuttosto con un modello di espansione costante.

Gli altri studi che confermano l’attuale modello  \(\Lambda CBM\)

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Anisotropie di temperatura nella CMBR (± 200 microKelvin) rilevate dal satellite WMAP. Queste microvariazioni nella densità della materia sarebbero all’origine degli ammassi di galassie. La loro dimensione paragonata alle dimensioni degli ammassi di galassie successivi mostra che l’espansione dell’Universo sta accelerando.

Così, giusto per chiarire, che l’espansione dell’Universo stia accelerando non sono solo le misure fotometriche delle diverse supernovae a dirlo. Dall’anno della scoperta del fenomeno, il 1998, gli astronomi hanno cercato, e trovato, altre prove indipendenti a sostegno di questa tesi [cite]https://arxiv.org/abs/astro-ph/0604051v2[/cite], mentre nuove misure e ricalibrazioni delle candele standard suggeriscono che l’accelerazione potrebbe essere ancora più accentuata [cite]https://arxiv.org/abs/1604.01424[/cite].
Spiegare nel  dettaglio ognuno di questi porterebbe troppo lontano. Una di queste fa riferimento alle dimensioni dell’impronta delle oscillazioni acustiche dei barioni rilevate nella radiazione cosmica di fondo (CMBR) 2 e alla distribuzione delle dimensioni degli ammassi di galassie nel corso del tempo [cite]http://iopscience.iop.org/article/10.1086/466512/[/cite].
Altre conferme dell’attuale modello \(\Lambda CBM\) provengono dalla distribuzione di massa degli ammassi di galassie e perfino dal calcolo dell’età del1l’Universo [cite]https://arxiv.org/abs/1204.5493[/cite] [cite]http://www.cambridge.org/it/academic/subjects/astronomy/cosmology-and-relativity/formation-structure-universe[/cite].

Il  nuovo studio

L'effettto Sachs-Wolfe integrato.Credit: Istituto di astronomia dell'Università delle Hawaii

L’effettto Sachs-Wolfe integrato. Questo meccanismo potrebbe essere invocato per spiegare l’arrossamento locale della luce per effetto della gravità.
Credit: Istituto di astronomia dell’Università delle Hawaii

In realtà i ricercatori affermano appunto che stando alle loro ricerche basate su un numero molto maggiore di SNe le analisi – interpretate col modello attuale, quindi quello di un universo descritto per comodità di calcolo come esattamente omogeneo e che si comporta come un gas ideale, tenetelo a mente – dei dati indicano che esse non potrebbero fornire una prova certa dell’attuale modello. Gli amanti della statistica potrebbero trovare interessante che la distribuzione delle probabilità descritte da questo studio che questo Universo si trovi in uno stato di espansione accelerata è \(\lesssim\) 3 \(\sigma\) (circa lo stesso o di poco minore ai 3 sigma).
Se questa ricerca fosse confermata, in proposito lo strumento CODEX presso l’European Extremely Large Telescope (E-ELT) dovrebbe poter presto indicare dove e cosa cercare, si aprirebbero nuove possibilità: come spiegare che le fluttuazioni acustiche dei barioni nella CMBR che riflettono quello che osserviamo oggi nell’Universo? E la distribuzione della massa degli ammassi di galassie? Un modello interessante per spiegare alternativamente quello che osserviamo nella luce delle SNe è l’effetto Sachs-Wolfe integrato [cite]https://ilpoliedrico.com/2012/09/energia-oscura-e-anisotropia-nella-radiazione-cosmica-di-fondo.html[/cite], un arrossamento della luce causato dalla curvatura locale dello spazio dovuta alla gravità.
Questa chiave di lettura porterebbe inevitabilmente al ripensamento dei modelli di universo non più intesi come oggetti esattamente omogenei  e isotropi ma più come spazio vuoto con un ruolo più marcato della componente massa/energia a livello locale. Gli autori della ricerca in fondo questo dicono: il modello a CDM corretto per tenere conto della componente repulsiva attribuita all’energia oscura e indicata come costante cosmologica \(\Lambda\) è vecchio e sorpassato dalle nuove scoperte e conoscenze. È ora che esso venga ripensato.

Il mio contributo su Coelum di questo mese: Quando Marte parlava a Guglielmo Marconi.

Anche stavolta sono stato ospite della rivista Coelum Astronomia con il riadattamento di un mio vecchio articolo [cite]https://ilpoliedrico.com/2011/03/quando-marte-parlava-a-guglielmo-marconi.html[/cite] sul celebre Premio Nobel italiano Guglielmo Marconi. 
Sono felice per questo ma sento che gran parte del mio merito va a Voi Lettori che da anni leggete queste pagine. Quindi grazie e buona lettura anche stavolta.
Cieli sereni

Antropocentrismo culturale e il principio di mediocrità

È indubbio che oggi la specie umana sia l’unica che attualmente abbia sviluppato una tecnologia avanzata. La famiglia Hominidae ha avuto origine nell’area del Rift Africano tra i 5 e i 6 milioni di anni fa. Essa appartiene all’ordine dei Primati, lo stesso delle scimmie che illustro qui sotto, un gruppo che si è evoluto circa una sessantina di milioni di anni fa ed è composto da circa 500 specie che vanno dall’Homo Sapiens fino ai lemuri che oggi rappresenta all’incirca il 5 per cento di tutti i mammiferi. Finora i termini cultura, tecnologia e civiltà sono limitati all’esperienza umana ma alla luce di alcune sorprendenti scoperte forse è il caso di rivedere il nostro antropocentrismo.

primates

Credit: Il Poliedrico

Uno studio apparso a luglio su Current Biology [cite]http://dx.doi.org/10.1016/j.cub.2016.05.046[/cite] mostra che una specie delle scimmie cappuccino, i Sapajus libidinosus (conosciuti anche come Cebus libidinosus (cebo striato)) fanno uso di strumenti litici, da loro prodotti, da almeno ben 700 anni.
Questa specie, che vive nel nordest brasiliano, è nota per organizzare zone di lavoro dedicate all’apertura dei frutti di anacardio, di cui è ghiotto, nei pressi degli stessi alberi 1. Queste scimmie cappuccino, o cebi (scimmie dalla coda lunga), hanno inventato una tecnica particolarmente efficace per estrarre l’endocarpio degli anacardi: esse usano due pietre ben distinte a questo scopo. Una, più dura, più grande e piatta come incudine e l’altra, più piccola, come martello. Partendo da questa sorprendente intuizione delle scimmie, i ricercatori si sono chiesti se questo procedimento era usato anche nel passato e scavando il terreno dei siti di lavorazione hanno scoperto molti altri strumenti simili a dimostrazione che la stessa tecnica di oggi era usata anche nel passato. Studi stratigrafici dimostrano che questa tecnica è usata da almeno 700 anni.

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 Dopo aver escluso ogni possibile traccia di contaminazione umana i ricercatori hanno concluso di aver trovato il sito archeologico non umano più antico esistente fuori dall’Africa.
Altre osservazioni suggeriscono che questi cebi sappiano estrarre le pietre a loro utili [cite]http://www.nature.com/news/one-sharp-edge-does-not-a-tool-make-1.20824[/cite]. Ora se tutto questo è voluto o è solo accidentale rimane un mistero ma è un fatto. Altri studi potranno chiarire se questa comunità di scimmie di Sierra Capivara stanno muovendo i loro primi passi verso una tecnologia litica o meno.

Infatti ricerche precedenti hanno dimostrato che una primitiva forma di tecnologia litica era usata anche dagli scimpanzé in Costa d’Avorio circa 4300 anni fa [cite]http://www.pnas.org/content/104/9/3043[/cite], nonché che l’uso di strumenti e di capacità verbali primitive che consentono una trasmissione orale intergenerazionale è presente in tante altre comunità di primati superiori finora studiate.

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Altri studi documentano la capacità degli scimpanzé di saper creare ed usare alcuni strumenti per catturare piccoli insetti [cite]http://ngm.nationalgeographic.com/2008/04/chimps-with-spears/mary-roach-text[/cite].

Verso la fine del XX secolo la scoperta dell’Australopithecus Garhi [cite]https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10213683[/cite] [cite]https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10213682[/cite] (“garhi” significa “sorpresa” nella lingua Afar) restituì forse l’anello mancante che univa il grande genere degli australopitechi all’uomo. Rinvenuto nel nord del Rift Africano, esso era un ominide probabilmente antenato dell’Homo Habilis  2 o di uno dei tanti rami evolutivi ormai scomparsi del genere Australopithecus comunque di quel periodo. Comunque, qualunque sia stato il suo ruolo nell’evoluzione della famiglia Hominidae, resta il fatto che negli stessi strati del rinvenimento dell’Au. Garhi furono scoperti anche utensili in pietra e strumenti da taglio appartenenti alla tradizione Oldowan, la più antica forma di tecnologia litica conosciuta, e ossa animali che ne testimoniano l’uso. Questo indica che la macellazione e la dieta a base di carne erano presenti nella cultura degli Au. Garhi.
Questo è un passaggio importante per lo sviluppo delle prime comunità ominidi: non dover dipendere da una dieta vegetale strettamente legata ad un particolare habitat destinato comunque a cambiare o a scomparire, la necessità di fare branco per la caccia (organizzazione sociale) 3 e inseguire le prede (spostamenti e migrazione geografica) hanno senz’altro favorito l’evoluzione da scimmie stanziali a culture proto-umane.

« La cultura, o civiltà, intesa nel suo senso etnografico più ampio, è quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società. »
(Tylor, 1871)

Definire cosa sia una cultura può non essere così facile come sembra. Una buona definizione, riportata nel riquadro qui accanto, la dette nel 1871 l’antropologo inglese Edward Burnett Tylor.
La definizione di Taylor è squisitamente pensata a misura umana ma semplificando potremmo definire la cultura come quell’insieme di regole sociali e conoscenze che possono essere tramandate attraverso le generazioni all’interno di una comunità. In questo modo diventa possibile provare a cercare quell’insieme di regole, tradizioni ed esperienze, che non possono essere – per il principio di mediocrità – prerogativa esclusiva della specie umana, anche in seno ad altre specie animali.
La perpetuazione delle conoscenze e delle regole sociali non richiede necessariamente una proprietà linguistica evoluta o una qualche forma di scrittura, ma soltanto la capacità di osservazione e di replica. Queste facoltà si possono individuare anche in molte specie animali non primati. Però è anche altrettanto chiaro che una cultura per rendersi manifesta deve poter lasciare qualche traccia visibile come ad esempio la capacità di manipolare l’habitat in maniera utilitaristica.

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Una scimmia cappuccino intenta a spaccare pietre. Sorprendente è il gesto chiaramente intenzionale. L’atto di leccare le pietre frantumate suggerisce che sia parte di una dieta che richiede integratori minerali (ex. sale) o muschi interstiziali [cite]http://dx.doi.org/10.1038/nature20112[/cite].

Le uniche specie attualmente dotate di un cervello abbastanza sviluppato e che hanno saputo mostrarsi capaci di manipolare scientemente l’ambiente appartengono quasi tutte all’ordine dei primati 4. Un indubbio vantaggio dei primati in questa attività è quasi sicuramente riconducibile alla presenza del pollice opponibile 5 che dà un grande vantaggio nell’afferrare e manipolare gli oggetti.  Per esempio qui sulla Terra esistono altre specie animali dotate di un cervello importante e che sono capaci di comunicare verbalmente tra loro, i delfini e le megattere sono alcune di queste; esse potrebbero aver sviluppato o essere potenzialmente capaci di sviluppare una cultura verbale, una civiltà di filosofi pensatori o di poeti ma che comunque sarebbe limitata dalla loro incapacità di manipolare l’ambiente e studiare l’ambiente. Però noi non potremmo mai scoprirla almeno finché non saremmo in grado di interpretare e capire il loro linguaggio perché questo tipo di civiltà non può fisicamente lasciare tracce tangibili e analizzabili.
Tutto questi esempi cozzano col nostro comune concetto di cultura. Comunità pre e proto umane che già almeno tre milioni di anni fa [cite]http://www.nature.com/uidfinder/10.1038/nature14464[/cite] avevano appreso le stesse tecniche che scopriamo oggi nei cebi e negli scimpanzé ci indicano che la cultura non è una prerogativa unica dell’Homo Sapiens e che dovremmo aspettarci di scoprire culture completamente dissimili dalla nostra esperienza ma altrettanto preziose.
Le diverse culture umane si sono evolute in un lunghissimo arco di tempo e attraverso infinite generazioni. Tentativi, sbagli e regressioni hanno spinto la presenza umana in ogni angolo del Globo. Le necessità di adattarsi alle diverse nicchie ecologiche hanno reso la specie umana unica. Solo 50 mila anni fa la nostra specie condivideva il pianeta con altri ominidi strettamente imparentati come l’uomo di Neanderthal, l’uomo di Denisova e altre specie arcaiche. Eppure, dopo appena 30 mila anni più tardi dei nostri cugini non ce n’era più traccia nonostante che ad esempio i Neanderthal sapessero usare e controllare il fuoco e le fibre vegetali altrettanto bene. Incroci interspecie resi possibili dalle tante affinità genetiche [cite]http://www.nature.com/nature/journal/v530/n7591/full/nature16544.html[/cite] hanno prodotto un’unica specie finale, l’Homo Sapiens moderno.
E insieme agli incroci sessuali con ogni probabilità vi furono anche fusioni culturali e di tecnologia. Questo significa che se anche ora l’accezione del termine cultura fa riferimento alle capacità di trasmettere conoscenze e regole sociali tra le diverse generazioni umane, sia giunto il momento che questa debba mutare per venire incontro ad esigenze descrittive e sensibilità più ampie.

L’antropocentrismo scientifico cadde con la Rivoluzione Copernicana e le successive scoperte mostrarono la reale dimensione umana svelandoci un universo immensamente più vasto e complesso di quanto avessimo mai immaginato. Ora però è giunto il momento che cada anche l’antropocentrismo culturale che, ahimè, ancora ci nasconde altrettante meraviglie.

Migrare ad HTTPS, una scelta di sicurezza e di rispetto verso i lettori

La sicurezza non è mai troppa e i malintenzionati sono sempre dietro l’angolo.
Circa tre anni fa, questo blog subì  un attacco piuttosto pesante: la pagina principale fu sovrascritta, il suo contenuto fu  reso inaccessibile e le email violate. Per fortuna avevo a disposizione tutti i backup in locale e su altri server remoti e non mi fu difficile poi ripristinare il sito.
Colsi all’epoca l’occasione anche per studiare diverse strategie anti intrusione, alcune migliorie che avrebbero irrobustito il sistema e così via.
Ma un sistema in rete non può mai essere al sicuro da attacchi informatici e altre operazioni illecite; l’unico modo per rendere inaccessibile un computer è quello di non usarlo proprio.

affbg Ovviamente questo non è possibile, ma si può tentare di rendere il proprio sito web assai meno vulnerabile agli attacchi informatici usando un protocollo di cifratura HTTPS.
Tutte le informazioni server-client che fanno uso di questo protocollo sono criptate: qui ogni informazione è protetta  dagli attacchi esterni a da intercettazioni esterne. Dati sensibili come password o di altra specie sono garantiti da un protocollo di cifratura SSL che garantisce anche l’autenticità del sito.
In un universo telematico sempre più complesso la necessità di un sistema di navigazione sicuro si è fatta sempre più importante. Per questo Google, Mozilla Foundation e Electronic Frontier Foundation si stanno prodigando per questo obbiettivo. Da gennaio Google inizierà a penalizzare il ranking dei siti che non si saranno adeguati ai nuovi standard di sicurezza e sottolineerà la navigazione nei siti non protetti mostrando un simbolino colorato (probabilmente una X rossa) nella barra degli indirizzi.
Già comunque ora tutti i browser più usati evidenziano se si sta visitando un sito che non aderisce agli standard previsti nell’HTTPS, e questo può essere di stimolo a implementare l’uso della cifratura nel proprio sito, se se ne  gestisce uno, o a fare pressioni perché sia adottata da chi per ora non ne fa uso.

Implementare HTTPS

aaaNon è stato poi così difficile fare in modo che questo dominio adottasse il nuovo standard.
Innanzitutto occorre avere installato un certificato SSL sull’host di riferimento. In genere quando si acquista uno spazio web vengono anche forniti dei certificati gratuiti precaricati ma è sempre possibile acquistarne uno più forte o sceglierne uno esterno a seconda delle necessità. Per un sito come questo non emerge il bisogno di una grande chiave crittografica come un sito di e-commerce, quindi i certificati preinstallati vanno benissimo per garantire la sicurezza nelle comunicazioni.
I passaggi di configurazione sono sostanzialmente due.
Una volta accertato che il sito potesse usare il protocollo HTTPS (basta comporre l’indirizzo col prefisso https://) correttamente, occorre indicare al sistema di gestione dei contenuti (CMS Content Management System), in questo caso WordPress, di utilizzare l’estensione https:// al posto della canonica http:// nelle impostazioni generali, come dalla figura qui accanto e poi istruire il file di configurazione .htaccess presente nella radice del CMS (di solito accessibile tramite ftp) di riscrivere ogni richiesta in entrata e in uscita da http:// a https://.

[sourcecode language=”plain”]
<IfModule mod_rewrite.c>
RewriteEngine On
RewriteCond %{HTTPS} off
RewriteRule ^(.*)$ https://dominio.com/$1 [R=301,L]
[/sourcecode]

Così la terza riga di codice controlla se la risorsa è richiesta in HTTPS, e in tal caso reindirizza le richieste HTTP verso il protocollo HTTPS eseguendo la quarta riga di codice; se invece la richiesta è corretta,  questa riga viene ignorata.
Alcune chiamate improprie a risorse esterne legittime (immagini o script espliciti in http://)  possono causare qualche problema. In genere questi si annidano nei diversi plugins usati o quando vengono fatte caricare immagini o altri  simboli da siti terzi che ancora non supportano la crittografia, ma spesso basta togliere il prefisso http:// dalle chiamate dirette perché il sistema adotti lo standard più sicuro automaticamente (chiamate relative, sempre preferibile) o chiamare direttamente https:// (chiamate assolute, quando è necessario) quando si scrivono le chiamate esterne.
Un’altra modifica importante assolutamente da fare riguarda il file wp-config.php anch’esso accessibile via ftp alla radice del CSM.
Si tratta dell’aggiunta del comando che forza l’uso del protocollo HTTPS nella pagina di amministrazione del sito:

[sourcecode language=”plain”]
define(‘FORCE_SSL_ADMIN’, true);
[/sourcecode]

Questo imporrà una connessione criptata ogni volta che si vorrà accedere al CMS coi privilegi di amministratore, garantendo così che questa non possa essere intercettata o rubata.

Adesso questo blog e il suo fratello TuttiDentro.eu adottano questa strategia rivolta ad assicurare i loro lettori l’integrità e la qualità della connessione.


Note:

Siccome si andranno a toccare alcuni files importanti del CMS di riferimento, mi raccomando di fare prima una copia di backup del sistema e del database. Non dovreste avere problemi ma declino ogni responsabilità se qualcosa dovesse andarvi storto.

La Notte Europea dei Ricercatori 2016

This European Researchers’ Night project is funded by the European Commission under the Marie Skłodowska-Curie actions

This European Researchers’ Night project is funded by the European Commission under the Marie Skłodowska-Curie actions

L’altro giorno Marcel Fratzscher, docente di macroeconomia all’Università di Humboldt di Berlino e presidente dell’importante istituto di ricerca tedesco Diw Berlin, suggeriva a margine del Forum The European House tenutosi a Cernobbio una via per rilanciare l’Europa in vista delle sfide dei prossimi decenni. <<Credo che la necessità sia ancora quella di riconoscere che la crescente disuguaglianza sociale non sia solo una sfida politica, ma anche una sfida economica che deve essere indirizzata attraverso migliori istituzioni, migliore educazione, accesso all’educazione; queste devono essere le chiavi importanti per l’Europa.>>
Difficile dar torto ad un simile pensiero: l’accesso a una migliore educazione è senz’altro il modo migliore e più efficace per avviare una reale redistribuzione della ricchezza nella società. Una migliore educazione non deve per forza limitarsi alla semplice scolastica. Servono programmi di ben più ampio respiro che comprendono l’educazione civica, il rispetto verso le altre culture e per gli altri, la divulgazione mediale e così via.
Si sente spesso – e a sproposito, secondo me – parlare di europeismo e di anti-europeismo. Lasciammo perdere per un attimo le logiche delle tifoserie partitiche e ricordiamoci per un attimo le tante entità politiche che dividevano il continente europeo fino alla II Guerra Mondiale: tanti Stati in guerra tra loro dai tempi della fine della Pax Romana. Quasi 2000 anni di guerre fratricide, di eterne lotte che variavano continuamente fronte, nome e improbabili alleanze ma sempre con lo stesso denominatore comune: la guerra. Alla fine fu chiaro che non  ci sarebbe mai stato un  vincitore mentre ogni singolo stato poteva aspirare a dominare gli altri con la forza come le dittature nazifasciste avevano dimostrato. Questo fu il motivo che spinse a concepire l’Unione Europea. Una unione democratica di Popoli e non di Stati, dove le risorse economiche e umane sarebbero state dedicate al benessere di tutti i sui cittadini e non alle guerre intestine. Per questo preferisco sentirmi Cittadino Europeo ancora prima che Italiano.
La Notte Europea dei Ricercatori è solo una piccolissima parte di questo lunghissimo percorso. 2000 anni di guerra hanno creato una diffidenza atavica tra le diverse culture europee che spesso non sono sono limitate neppure dai confini geografici delle nazioni. Per superare questa diffidenza occorrerà ben più che 70 anni di storia. Ma questo è già un piccolo e importante passo, una minuscola ma non insignificante tessera del mosaico europeo che dobbiamo faticosamente costruire giorno dopo giorno superando le barriere culturali e nazionali che ancora dividono i Popoli di questo continente.
Il contributo di Frascati Scienza al grande disegno europeo non è indifferente; sono anni che si cimenta nella preziosa opera di organizzazione delle manifestazioni scientifiche nazionali ed europee coinvolgendo in questo le varie entità di ricerca scientifica e università italiane , come dimostrano la prossima Settimana della Scienza (24 – 30 Settembre 2016) e la  Notte Europea dei Ricercatori 2016 (30 Settembre 2016).

È possibile scovare i diversi programmi e le manifestazioni più vicine seguendo questo link messo a disposizione dalla Commissione Europea, dove vengono indicati tutti gli eventi si svolgeranno simultaneamente il prossimo 30 Settembre in più di 250 città in Europa e nei Paesi limitrofi (Ucraina e Turchia, ad esempio), intitolati alla memoria delle opere di Maria Slodowska-Curie.

Gocce nel mare? Forse lo sono ma come dicevano i nostri antenati latini gutta cavat lapidem, ossia la goccia perfora la pietra. E a ben guardare, l’ostilità che più o meno artificiosamente è indotta da coloro che vedono come ostacolo l’Europa Unita è un macigno che deve essere sgretolato per il bene di tutti i Popoli Europei.

Made In Science: la settimana della scienza 2016

manifesto WEBCome è ormai consuetudine da diversi anni ormai, anche quest’anno si rinnova l’appuntamento, dal 24 al 30 settembre, con la settimana dedicata alla scienza e la ricerca europea Settimana della Scienza 2016, che culminerà come sempre con la Notte Europea dei Ricercatori – finanziata dall’Unione Europea  – il 30 settembre prossimo. 
Il titolo del tema scelto per quest’anno e per la successiva edizione del 2017, entrambe curate da Frascati Scienza, è Made In Science.
Ritengo che l’uso dell’inglese nella Terra di Dante spesso sia abusato e fuori luogo, ma in questo caso convengo col suo uso. Esso è il linguaggio universale che consente a tutti i ricercatori europei – e non – di comunicare al di là delle naturali barriere linguistiche. Usare una lingua comune risalta lo spirito europeo della settimana dedicata alla scienza.

Made in Science

Made in … è una espressione che comunemente troviamo nelle etichette di quasi tutti i prodotti con cui veniamo in contatto; indica semplicemente dove quel particolare articolo è stato prodotto o costruito. Ma significa anche altro: realizzato, concepito, etc. Science non ha bisogno di essere tradotto, significa scienza.
Purtroppo – e lo vediamo proprio in queste ore poco dopo il tragico terremoto che ha colpito ancora una volta il Centro Italia – sono tanti i casi di attacchi alla scienza legati alla sua incapacità di predire l’imprevedibile, come se questo sarebbe potuto bastare a scongiurare le perdite umane. Eppure la scienza e la sua ricerca possono fare molto nel campo della prevenzione, che è molto diverso dalla preveggenza, dal rischio sismico; quello che spesso manca in questo caso così attuale è la volontà di seguire le indicazioni che da sempre offre la scienza.
Lo stesso vale nella medicina, dove molto spesso ciarlatani e finti guaritori guadagnano gli onori di cronaca conducendo battaglie contro la medicina ufficiale (antivaccinisti, dietologi improvvisati e sciamani) finché come purtroppo sempre accade il conto è poi amaro.
Però, e questo va sempre sottolineato, la scienza da sola non basta. Occorre che tutte le sue scoperte e innovazioni siano conosciute e condivise; in altre parole, comunicate e fatte conoscere. Non basta la buona volontà dei singoli divulgatori o di poche -sempre troppo poche – testate editoriali che spesso pochi o nessuno legge, serve che la divulgazione scientifica non si fermi mai.
Quindi ben vengano iniziative come La Settimana della Scienza e il suo importante epilogo Notte Europea dei Ricercatori, curata per la parte italiana da Frascati Scienza insieme ai più importanti enti di ricerca nazionali (ASI, CNR, ENEA, ESA-ESRIN, INAF, INFN, INGV, ISS, CINECA, GARR, ISPRA, CREA, Sardegna Ricerche). Ben vengano le iniziative scolastiche, i seminari aperti al pubblico dei sempre più numerosi atenei italiani che parteciperanno a questo evento, consci però che tutto questo appena scalfisce il triste muro di gomma che i più vari ciarlatani cercano di frapporre continuamente tra la scienza e il pubblico. Esse non saranno mai abbastanza; le più diverse attività scientifiche e di ricerca non cesseranno dopo questi spettacolari eventi ma andranno avanti per promuovere e garantire negli umani limiti la sicurezza e il benessere di tutto il genere umano, occorre però anche un sano spirito critico e di apertura da parte del pubblico ogni volta che si parla di scienza.

E qui si torna al significato più profondo del titolo scelto come tema comune della settimana: Made in Science potremmo tradurlo in Realizzato nella Scienza o Concepito Scientificamente. Una garanzia che tutto quello che vi è presentato sotto questo marchio non è una stupidaggine.

Poco extra e molto terrestre il segnale del Ratan 600

Vi ricordate lo strano caso di KIC 8462852 [cite]http://ilpoliedrico.com/2015/11/la-curiosa-storia-della-curva-di-luce-di-kic8462852-alieni-non-credo.html[/cite] dove un’intensa e transiente variabilità suggeriva l’esistenza di una civiltà assai avanzata attorno a quella stella? Qui invece c’è un segnale che alcuni paragonano all’inspiegato WOW! [cite]http://tuttidentro.eu//?s=wow[/cite] ma che solleva qualche – legittima – perplessità.

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Come si può notare qui sopra, HD 164595 è una stella molto studiata per via della sua estrema somiglianza col nostro Sole; stessa età, stessa massa (un centesimo più piccola) e quasi la stessa metallicità [cite]http://arxiv.org/abs/1312.7571[/cite] 1. Scambiandolo con la nostra stella non noteremmo ad occhio nessuna differenza, senonché per il fatto che avremmo un Nettuno caldo (HD 164595b [cite]http://arxiv.org/abs/1506.07144[/cite]) in orbita molto stretta che ogni 40 giorni transita sul disco stellare e una debole stellina rossa che orbita su, da qualche parte del cielo, insieme a noi attorno alla stella principale del sistema, coi sui tempi.
Sì perché il sistema stellare HD 164595 è un sistema doppio, anche se la distanza della seconda componente sembra tale da non compromettere l’esistenza di un sistema planetario stabile nei pressi della zona abitabile (HZ) della stella, che essendo più o meno uguale al Sole anche l’HZ deve essere piuttosto simile.
L’unica cosa che ci si potrebbe chiedere è se il nettuniano caldo si sia formato lì o sia arrivato lì più recentemente dalle regioni più esterne; in tal caso potrebbe non esserci più un sistema planetario roccioso interno nei pressi dell’HZ.
Possono sembrare discussioni sulla lana caprina ma anche questo a mio avviso bisogna chiedersi quando si prova ad ipotizzare se qualche altra civiltà ha emesso, volutamente o per caso, un segnale abbastanza forte da essere rilevato a quasi 95 anni luce di distanza!

Il segnale ricevuto dal Ratan 600

CatturaIl 15 maggio 2015 alle 18:01 (ST) il radiotelescopio RATAN-600 a Zelenchukskaya, nella  Repubblica autonoma della Karačaj-Circassia, pare che abbia intercettato sulla frequenza di 11,10 GHz (2.7 cm) un segnale molto forte (750 mJy) proveniente dalle stesse coordinate celesti di HD 164595, un segnale molto forte, che se fosse stato unidirezionale sarebbe costato circa \(7 \times 10^{13}\) watt di potenza al trasmettitore.
Ora, se fosse stato emesso volutamente da una civiltà extraterrestre per far sapere al cosmo la sue esistenza, il messaggio sarebbe stato ripetuto uguale a sé stesso per diversi mesi per diverse ore al giorno, un po’ come avvenne per il Progetto Ozma voluto da Frank Drake nel 1960.
Sarebbe da stupidi non farlo, sparare 70 milioni di gigawatt verso una sola stella a quasi 100 anni luce per un paio di secondi e poi non ripetersi più, a meno che nell’intento non gli siano saltati tutti i fusibili e che non li potessero rimpiazzare …
E infatti, dal 2015 a oggi nessun segnale del genere da quelle coordinate celesti è stato mai più ricevuto. Un’altra caratteristica importante che un autentico segnale intelligente extraterrestre che si suppone debba avere per distinguersi dal naturale rumore di fondo è la larghezza di banda molto ridotta, molto più stretta di quanto possa essere prodotta dai comuni fenomeni astrofisici conosciuti, mentre il ciclopico sistema del Ratan 600 stava usando un ricevitore con una larghezza di banda da 1 GHz (sembra molto ma a quelle frequenze in realtà non lo è, è solo un paio di centinaia di volte più ampio di una normale trasmissione televisiva). Come ultimo ma non ultimo requisito richiesto ad un segnale SETI, ci si aspetta che esso presenti una deriva Doppler in frequenza imposta dai moti relativi del trasmettitore e del telescopio radio ricevente; per un pianeta in orbita attorno a una stella molto simile al Sole e quindi  a una distanza paragonabile a quella della Terra per rimanere dentro la sua HZ, questa deriva si può calcolare che sia compresa tra qualche chilometro al secondo fino a qualche decina. Anche questa caratteristica non è stato potuto essere rilevata nel segnale captato dal Ratan 600.

È indubbio che il radiotelescopio abbia ricevuto qualcosa, come anche i responsabili dell’osservatorio hanno confermato, ma non era quasi sicuramente di origine … extraterrestre.
Una – non esaustiva – analisi della zona in questione è stata fatta pochi giorni fa a seguito dello scalpore causato dalla notizia, dal SETI Institute utilizzando l’Allen Telescope Array in California mentre la Breakthrough Listen Initiative sta usando il Green Bank Telescope in Virgina per lo stesso scopo. Magari se questa ricerca fosse stata fatta immediatamente dopo la ricezione del segnale a quest’ora avremmo avuto una risposta più efficace, ma all’epoca gli scienziati russi non allertarono subito gli altri istituti di ricerca [cite]http://cosmicdiary.org/fmarchis/2016/08/29/lets-be-careful-about-this-seti-signal/[/cite] come prevedono i protocolli di Primo Contatto.
La non ripetitività del segnale (il Ratan 600 ha osservato altre 39 volte la stessa porzione di cielo senza ascoltare niente) fa pensare che possa essersi trattato di un fenomeno naturale transiente, come una curiosa espulsione di massa coronale delle stelle del sistema o di una sullo sfondo (quella è una zona abbastanza affollata del cielo). Anche un rigurgito di attività in un quasar di una qualche galassia lontana ma comunque compresa nell’area studiata o un occasionale guizzo nel plasma interstellare avrebbero potuto scatenare un segnale così importante anche se è assai improbabile.
Il problema è che oltre a un ricevitore a banda larga, il Ratan 600 a quelle frequenze (11 GHz) osserva contemporaneamente una discreta fascia di cielo che si estende per circa 20 arcosecondi per 2 arcominuti, il che dice poco anche sull’esatta direzione di ascolto; questo è dovuto alla sua particolare geometria. In sostanza, fare affidamento su un unico segnale ricevuto con uno strumento così particolare per affermare che sia avvenuto un contatto alieno è quantomeno un azzardo.

Conclusioni

Date le peculiarità del sistema di ricezione, il segnale captato nel 2015 può essere stato piuttosto un evento astrofisico transiente anche se le indagini di questi giorni tendono ad escluderlo dal punto di vista statistico [cite]https://seti.berkeley.edu/HD164595.pdf[/cite].
Rimane l’ipotesi terrestre – che secondo me – è anche la più probabile.
Un battimento armonico di una trasmissione a frequenze più basse o una spuria proveniente da un trasmettitore non ben filtrato di un aereo o un satellite artificiale che avesse attraversato in quel momento i lobi di ricezione del radiotelescopio  avrebbe potuto benissimo causare quel segnale.
Come adesso è evidente non c’è alcun bisogno di scomodare una civiltà extraterrestre per spiegare tutto questo trambusto.

ps. È notizia di queste ore che l’Osservatorio astrofisico speciale dell’Accademia russa delle scienze ha smentito l’ipotesi extraterrestre [cite]https://www.sao.ru/Doc-en/SciNews/2016/Sotnikova/[/cite]. Ecco anche spiegato anche perché nel 2015 gli scienziati russi non comunicarono quella che già a loro parve una non notizia.

LUCA il progenote

Il Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre è un affresco di Michelangelo Buonarroti, dipinto attorno all'anno 1510 nella volta della Cappella Sistina, nei Musei Vaticani a Roma,

Il Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre è un affresco di Michelangelo Buonarroti, dipinto attorno all’anno 1510 nella volta della Cappella Sistina, nei Musei Vaticani a Roma,

Nella Genesi biblica c’è un passo che reputo molto significativo: la cacciata dal Paradiso.
Eva, la figura mitologica della prima donna, spinta dalla’incarnazione del Male inteso come l’opposto del Divino, suggerì al suo compagno Adamo ad assaggiare il Frutto Proibito colto dall’Albero della Conoscenza. Fu allora che la coppia primigenia si accorse di essere nuda di fronte alla vastità del Paradiso e venne cacciata.
Amo pensare che il Frutto dell’Albero della Conoscenza sia l’allegoria della Curiosità. E come una di quelle varietà più piccanti di peperoncino che spinge i loro consumatori a ingerire liquidi nel vano sforzo di arginare il disagio, la Curiosità anima la sete di conoscenza che da sempre ci distingue dalle altre specie animali. In questa mia personale interpretazione il Peccato Originale non è altro che l’essenza del Frutto Proibito che si tramanda a tutte le generazioni del genere umano, così come la nudità della Cacciata dal Paradiso la vedo come la rivelazione dell’ignoranza dell’Uomo verso tutto ciò che lo circonda.
L’unico mantello che possa coprire l’umanità consiste nel placare la sua innata sete di conoscenza [1. Ovviamente la mia è solo una libera e personale interpretazione del mito, ma trovo che sia una chiave di lettura che merita attenzione e approfondimento.] e
 questo blog lo si può interpretare come il tentativo di espiare la mia parte di Peccato Originale.

Per i cristiani e gli ebrei il Libro della Genesi spiega come sia stato creato l’Universo e la Vita. Un passo particolare descrive la creazione dell’Uomo: «  Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. »   (Genesi 2,7)

La generazione spontanea

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Cavalier-Smith propone solo due grandi domini tassonomici: Eukaryota e Prokaryota. Il dominio prokaryota in realtà è l’unione dei due domini precedenti, che ora diventano regni, Bacteria e Archaea. Questo diagramma mostra i principali tipi di cellula del mondo vivente e la loro probabile evoluzione partendo da organismi ancestrali comuni. Credit: Cavalier-Smith, 2004

Questo è un chiaro esempio di come nell’antichità si cercasse di spiegare come sia sorta la Vita. Oggi parleremmo di abiogenesi (dal greco a-bio-genesis, “origini non biologiche”), ma esso non è un concetto moderno, bensì è antico quasi quanto l’uomo. Le culture abramitiche convergevano nell’indicare sia l’Uomo che tutti gli altri esseri superiori (cani, cavalli, uccelli ad esempio) fossero stati creati per intervento divino, mentre quelli inferiori (mosche, cimici, blatte etc.) traessero origine dallo sporco e dal sudore. Anche nell’antica Cina esistevano credenze analoghe, così come anche nella cultura babilonese, da cui discendono appunto le moderne religioni monoteiste.
Nel pensiero classico greco la vita era direttamente collegata alla materia. Essa appariva spontaneamente qualora le condizioni ambientali le fossero favorevoli, un pensiero che in astratto è molto più moderno di quanto di primo acchito si creda, come vedremo più avanti. Aperti sostenitori della teoria della generazione spontanea furono filosofi del calibro di Talete, Democrito ed Epicuro, ma fu Aristotele che ne fece una sintesi accurata che sopravvisse fin dopo il Rinascimento. Egli sosteneva che gli esseri viventi nascessero da altri organismi simili ma che talvolta avrebbero potuto anche generarsi spontaneamente dalla materia inerte 1. Perfino pensatori famosi come Newton, Cartesio e Bacone sostenevano l’idea della generazione spontanea della vita.

Dio plasmò […] dalla polvere e soffiò […] un alito di vita.

Però la rivoluzione del pensiero scientifico introdotta da Galileo Galilei non mancò di influenzare anche la biologia. L’aretino Francesco Redi fu uno dei primi naturalisti a sperimentare, e a confutare, la generazione spontanea della vita. Egli contestò l’idea che i vermi sorgessero spontaneamente dalla carne putrefatta. Ben conscio che le sue scoperte minavano la posizione aristotelica della Chiesa, Redi fu molto cauto nel divulgare le sue scoperte; quindi fece in modo che le sue interpretazioni fossero sempre basate su passi biblici, come ad esempio il famoso adagio: “Omne vivum ex vivo” (Tutta la vita viene dalla vita).
Il naturalista aretino non fu il solo, nei decenni successivi molti altri scienziati arrivarono alle stesse conclusioni dimostrando come il calore potesse rendere sterile una coltura. In questo campo furono importanti le ricerche del gesuita Lazzaro Spallanzani 2 nel 1757 e di Theodor Schwann nel 1836.
Nonostante tutto erano ancora molti i naturalisti ancora convinti della generazione spontanea della vita. Ma nel 1864 un esperimento del francese Louis Pasteur pose definitivamente fine all’antica visione. Egli sterilizzò un brodo di carne dentro una beuta col collo piegato prima verso il basso e poi verso l’alto senza chiuderlo. In questo modo l’aria sarebbe potuta entrare nel recipiente senza alcun ostacolo tranne che per le impurità dell’aria che si sarebbero depositate sul fondo della curva del collo della beuta; se l’aria effettivamente conteneva un qualsiasi calore vitale questo avrebbe contaminato il brodo. Invece la coltura non produsse microorganismi né altre forme di vita. Ma quando Pasteur ebbe rotto il collo della beuta i germi ricomparvero subito nel brodo.
Fu così dimostrato definitivamente che in assenza di contaminazione da parte di altra materia biologica non poteva esserci una generazione spontanea della vita come fino ad allora si era inteso; il concetto di generazione spontanea era sbagliato, semmai si doveva parlare di riproduzione spontanea. Il motto di Francesco Redi era salvo.

Il moderno concetto di abiogenesi

Zoonomia, Or, The Laws of Organic Life, in three parts (Erasmus Darwin, 1803)

« Would it be too bold to imagine that, in the great length of time since the earth began to exist, perhaps millions of ages before the commencement of the history of mankind would it be too bold to imagine that all warm-blooded animals have arisen from one living filament, which the great First Cause endued with animality, with the power of acquiring new parts, attended with new propensities, directed by irritations, sensations, volitions and associations, and thus possessing the faculty of continuing to improve by its own inherent activity, and of delivering down these improvements by generation to its posterity, world without end! »
« Sarebbe osare troppo immaginare che, nel lungo periodo di tempo da quando la terra ha cominciato la sua esistenza, forse milioni di secoli prima dell’inizio della storia dell’umanità, che tutti gli animali a sangue caldo siano cresciuti da un singolo filamento vivente, che la grande Causa Prima indusse alla vita, con la possibilità di acquisire nuove parti, migliorato da nuove propensioni, guidato da nuovi stimoli, sensazioni, volontà ed associazioni, e per cui capaci di continuare a migliorare per propria attività naturale, e di consegnare questi miglioramenti attraverso la riproduzione alla propria prole, ed al mondo, senza fine! »

Tutto mostrava che la vita potesse originarsi soltanto da altra vita, o come suggeriva Charles Darwin, da forme di vita più semplici preesistenti.
Charles Darwin, naturalista e geologo britannico, scrisse il suo più celebre saggio “L’origine delle specie” nel 1859, partendo dalle riflessioni e gli appunti di viaggio racccolti nei suoi celebri viaggi attorno al mondo col brigantino Beagle, che già erano apparsi in altri lavori minori del celebre scienziato.
Anche se è indubbiamente giusto ricordare Charles Darwin come il padre della teoria sull’evoluzione delle specie, è altrettanto opportuno ricordare l’humus culturale della sua formazione. Suo nonno, Erasmus Darwin, nel 1794 scrisse Zoonomia, un trattato di medicina che in sé suggeriva già alcune idee sulle teorie evolutive che poi sarebbero state fonte di ispirazione per il naturalista francese Jean-Baptiste de Lamarck. Il lamarckismo 3 è probabilmente la prima teoria evolutiva coerente, anche se oggi ampiamente confutata dalle esperienze scientifiche e di laboratorio, in cui si cerca di superare il concetto di immutabilità delle specie come era raccontato dai filosofi greci e dalla Bibbia.
L’idea di una primigenia forma di vita molto semplice riapre il dibattito su chi o cosa ci sia stato prima. Un po’ come il paradosso dell’uovo e della gallina. Chi è nato prima? Per il misticismo religioso non ci sono dubbi: è tutto merito del divino del credo di appartenenza, per gli scettici qualcos’altro.
È così che l’abiogenesi, data per confutata dagli esperimenti di Pasteur, torna prepotentemente in auge col darwinismo per cercare di rispondere a cosa ci sia stato prima delle prime forme di vita.
Oggi ci riferiamo a questo organismo estremamente semplice chiamandolo LUCA (Last Universal Common Ancestor), un antenato comune a tutti i regni (eucaryota e prokaryota) e domini [cite]http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15306349[/cite] e quindi comune a tutte le forme di vita esistenti sulla Terra. Il riferimento a questo essere animato è fin troppo evidente nel pensiero di Erasmus Darwin. Ma anche LUCA deve essere venuto da qualche parte, ci devono essere stato qualcos’altro prima di lui, qualcosa che prima era inanimato e che poi è diventato vita.
Possiamo attenderci che una serie di eventi chimici ed energetici abbia coinvolto atomi e molecole combinandoli poi in molecole via via più complesse finché esse non sono state in grado di autoreplicarsi 4 [cite]http://dx.doi.org/10.1063/1.4818538[/cite].
Anche la discussione tra origine autoctona o panspermia lascia sostanzialmente invariata la risposta, decidere se le molecole prebiotiche si siano sviluppate qui sulla Terra o se sono piovute dallo spazio grazie alle comete [cite]http://ilpoliedrico.com/2016/05/alla-ricerca-delle-origini-della-vita.html[/cite]. È come se di fronte a una sala superbamente arredata ci si chiedesse se l’arredatore abbia da sé abbattuto gli alberi e costruito i mobili o abbia usato le tavole dell’Ikea.

Il progenote

phylogenetic-tree-of-life

Questo diagramma, sviluppato studiando l’rRNA comune a quasi tutti gli organismi del pianeta, mostra come i tre domini vita Archea, Bacteria e Eucaryota, siano in realtà imparentati fra loro tramite un ultimo antenato comune universale (il tronco nero nella parte inferiore della struttura). Si noti che la maggior parte dei modelli moderni ora pongono l’origine degli eucarioti all’interno della stirpe archaea. Credit: Wikimedia, CC BY-SA

All’incirca negli ultimi 30 anni sono stati compiuti grandi passi nello studio delle sequenze genetiche. Tale successo ha permesso di identificare e studiare sequenze genetiche comuni alla maggior parte delle specie viventi. Questo è risultato essere molto importante per capire i processi evolutivi di interi gruppi etnici e le loro secolari migrazioni (vedi ad esempio gli Etruschi), ma anche a livello di interspecie, proprio appunto per creare un quadro evolutivo coerente della vita sulla Terra. Lo studio tassonomico di sequenze comuni tra le diverse specie, dai batteri all’uomo per intenderci, ha permesso di scrivere alberi filogenetici come questo qui accanto.
L’analisi di oltre 6 milioni di geni codificanti proteine nel RNA ribosomiale 5 [cite]http://dx.doi.org/10.1038/nmicrobiol.2016.116[/cite], o rRNA, di organismi procariotici ha permesso di isolare un gruppo comune di proteine (355 su 286514, un po’ più dello 0,12%)  che potrebbero aiutare a capire l’ambiente ancestrale in cui il progenote deve aver vissuto.
Il mondo di questi organismi ancestrali comuni vissuti quasi tre miliardi e mezzo di anni fa [cite]http://ilpoliedrico.com/2015/01/sedimenti-naturali-e-strutture-fossili.html[/cite] era assai diverso dal nostro. Ancora non esisteva l’atmosfera attuale così ricca di ossigeno [cite]http://ilpoliedrico.com/2010/07/lantica-storia-della-terra.html[/cite] come la conosciamo e da cui quasi tutti gli organismi pluricellulari attuali dipendono, Secondo le proteine sintetizzate dalla componente genetica comune l’ambiente più adatto al progenote era molto simile agli odierni camini idrotermali delle dorsali oceaniche [cite]http://ilpoliedrico.com/2010/07/ce-vita-anche-laggiu.html[/cite]
Questo antenato comune avrebbe metabolizzato idrogeno, usato il biossido di carbonio e di azoto per replicarsi e il ferro come agente catalizzatore negli enzimi cellulari più o meno come ancora oggi fanno molti microbi termofili anaerobici come l’attuale Clostridium thermoaceticum [cite]https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/1900793[/cite].

Al di là quindi delle origini delle molecole organiche complesse, la vita pare essersi sviluppata in maniera autonoma su questo pianeta e in ambienti molto lontani dalla sola energia solare e da quella parossistica dell’atmosfera. Questa scoperta suggerisce che dopotutto anche mondi posti all’esterno di una zona Goldilocks, come ad esempio i satelliti più grandi dei pianeti esterni, potrebbero dare origine a processi biologici importanti e ospitare forme di vita elementare se fossero sede di fenomeni geotermali persistenti.
Niente fulmini, ma il lento cullar del respiro della terra che incontra il mare.

Sistemi stellari multipli e orbite stabili

Nei giorni scorsi è rimbalzata sui media la scoperta di un sistema planetario in un sistema ternario. La notizia in  sé è eccitante, ma il modo in cui è stata trattata da alcune testate a tiratura nazionale è quasi comico, soprattutto perché le stesse esatte parole sono state copiate pari pari da diversi siti generalisti senza alcun controllo. Io stesso avevo provato a segnalare alcune inesattezze 1 attraverso un commento presso un importante quotidiano nazionale ma questo è stato eliminato mentre altri commenti alquanto sciocchi erano stati accolti dai moderatori. Il quadro che ne esce non è confortante per tanta editoria cartacea italiana ma questo purtroppo l’avevo sospettato da tempo.

Una parte della costellazione australe del Centauro centrata sul sistema triplo HD131399, in dettaglio sulla sinistra.

Una parte della costellazione australe del Centauro centrata sul sistema triplo HD131399, in dettaglio sulla sinistra.

HD131399A b è solo uno degli ultimi sistemi stellari multipli che mostrano di ospitare anche un sistema planetario. Non sono molti quelli conosciuti e confermati perché è molto difficile discernere i moti perturbativi radiali dovuti al sistema planetario da quello dovuto alle altre stelle del sistema o usare il metodo dei transiti.
L’intero sistema HD 131399 infatti non è infatti l’unico del suo genere: 55 Cancri , distante 40,3 anni luce dalla Terra 2, è composto da due stelle di cui la principale è solo di poco più piccola del Sole e la compagna, 55 Cancri B, che è almeno sette volte più piccola della prima e a sua volta sospettata di essere doppia, divise da una distanza di 1065 UA. Ebbene, 55 Cancri A possiede un sistema planetario di ben cinque corpi, di cui il più distante 55 Cancri A d [cite]http://arxiv.org/abs/0712.3917[/cite] è a 5,7 UA dalla stella principale.
Altri sistemi stellari doppi o multipli sono ad esempio Tau Boötis, Upsilon Andromedae, Gamma Cephei (la stella polare del prossimo millennio) e così via.
Comunque, i sistemi stellari multipli (cioè composti da più di due stelle), se disposti gerarchicamente [cite]http://adsabs.harvard.edu/abs/1968QJRAS…9..388E[/cite], sono noti per essere stabili; in questi casi le orbite sono divise in coppie vicine che ruotano attorno a un baricentro reciproco che a loro volta orbitano attorno al baricentro comune dell’intero sistema che può essere composto da una stella più massiccia o un’altra coppia di stelle. In fondo questo lo vediamo anche nel Sistema Solare che dinamicamente non è poi così dissimile da un qualsiasi sistema multiplo: i diversi satelliti orbitano attorno ai loro rispettivi pianeti senza che l’attrazione del Sole disturbi significativamente le loro traiettorie mentre questi a loro volta orbitano attorno al Sole. Questo accade perché un qualsiasi oggetto dotato di massa in equilibrio gravitazionale con un corpo più grande può a sua volta esprimere una sfera di influenza che si estende dal proprio centro di massa, chiamata sfera di Hill. La sua espressione matematica deriva dalle equazioni di Newton – e gli studi di Eduard Roche – ma semplificata al massimo  può essere espressa come una sfera di raggio \(r\approx a(1-e){\sqrt[{3}]{\frac {m}{3M}}}\) dove \(a\) è la distanza tra i due corpi e \(M\) e \(m\) sono le loro masse ed \(e\) l’eccentricità dell’orbita. Tutto ciò che quindi ricade all’interno di questa sfera è gravitazionalmente legato al corpo responsabile. Ad esempio la sfera di Hill della Terra si estende per un milione e mezzo di chilometri mentre la Luna ne è abbondantemente dentro (384 mila km circa) e così via.

Rappresentazione artistica dell'asteroide 1999 KW4.

Rappresentazione artistica dell’asteroide 1999 KW4.

Un curioso caso di sistema multiplo stabile è testimoniato dall’asteroide lunato (66391) 1999 KW4; in questo caso la sua sfera di Hill varia tra i 120 dell’afelio e i 22 km di raggio al suo perielio, mentre il suo satellite dista  solo a 2,6 km dal centro di massa del sistema.

Orbite planetarie nei sistemi multipli

Tornando a parlare di sistemi stellari multipli, nel 1978 Robert S. Harrington del US Naval Observatory analizzò la stabilità di un sistema planetario all’interno di un sistema stellare multiplo (trovate lo studio originale tra le note a fondo pagina). Egli concluse che un pianeta come la Terra attorno al Sole avrebbe posseduto un’orbita stabile purché l’altra componente del sistema fosse stata almeno tre volte e mezzo più lontana. Se al posto di Giove, o anche un poco più vicino, avessimo avuto invece una stella non più massiccia del Sole stesso la nostra orbita non ne sarebbe stata influenzata. E se tale compagna fosse significativamente meno luminosa del Sole, dal punto di vista radiativo non avrebbe potuto avere un ruolo significativo per lo sviluppo della vita sulla Terra; solo che avremmo avuto due soli nel cielo e che per meta dell’anno le notti non sarebbero state molto buie.
Lo stesso varrebbe anche per i sistemi binari stretti, come Capella 3 per intenderci, ma al contrario. Infatti in un sistema siffatto un pianeta per avere un’orbita abbastanza stabile  attorno a una sola delle due dovrebbe essere ben all’interno della spera di Hill di questa, a non più di due decimi di unità astronomiche, meno di due terzi la distanza di Mercurio dal Sole al suo perielio. Tuttavia, un pianeta distante almeno tre volte e mezza la separazione delle due stelle dal comune centro di massa avrebbe un’orbita stabile trattando le due stelle gravitazionalmente come un singolo oggetto a forma di manubrio. In questo caso, nel sistema capellano, un pianeta simile alla Terra potrebbe avere un’orbita stabile a soli 400 milioni di chilometri dal centro di massa; più o meno la distanza che c’è tra Cerere e il Sole.

Conclusioni

Per completare il quadro riferendosi a una ecosfera utile [cite]http://ilpoliedrico.com/2016/07/lampiezza-zona-goldilocks.html[/cite] si può affermare che essa potrebbe esistere in un sistema multiplo se la distanza tra le due stelle di riferimento fosse almeno 3,5 volte questa, oppure, se questa dovesse essere almeno 3,5 volte più lontana da centro del sistema di riferimento precedente.

Alcuni sistemi planetari scoperti attorno a sistemi stellari multipli:

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Allegati:

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