Perseidi 2017: i risultati

20170812_224144

Suggestiva, vero? LG V10 appoggiato a un sasso per 8 secondi a 700 ISO. Unico tentativo!
Credit: Il Poliedrico

Cercando di fare scienza occorre tenere sempre a mente che i fallimenti, proprio come nella vita, sono sempre dietro l’angolo. Il fallimento in questi casi non va inteso come esperienza negativa. E come spesso accade o dovrebbe accadere nella vita, ogni fallimento nella scienza insegna sempre comunque qualcosa; come iersera. 
Era previsto che sarebbe stato assai arduo provare a fare una sessione fotografica per immortalare il picco delle Perseidi: sapevo che l’alzarsi della Luna proprio intorno alle 23:00 avrebbe vanificato ogni mio sforzo per cercare la località perfetta. Per questo me ne sono restato buono nel mio giardino, che è lo stesso abbastanza buio per questo genere di riprese. 
Anche se deludente dal punto di vista del risultato, almeno mi è servito come ennesimo banco di prova per i prossimi sciami meteorici.

Comunque posso però dire che è stato bello anche solo provarci. Cieli sereni.

[video_lightbox_youtube video_id=”yCoPEsQxks4&rel=false” auto_thumb=”1″ width=”800″ height=”450″ auto_thumb=”1″]
Timelapse di 307 immagini RAW
Canon EOS 70D
Samyang 10mm F/2,8
ISO 1600 – tempo 14.9 secondi

La colonna sonora è Cast A Tall Shadow (royalty free)

Fantasie metropolitane e fenomeno UFO: Conclusioni

Dedico questa serie di articoli a un caro amico che ancora mi sopporta. Si è ammalato così, all’improvviso e io non posso farci niente se non essergli idealmente vicino, aspettando con ansia il momento di poterlo riabbracciare ormai guarito.
Quando uscì il primo articolo pensò che mi riferissi a lui che spesso mi chiedeva in tono scherzoso se per caso non fossi stato rapito dagli alieni anch’io. No, Stefano; non sono stato rapito da alcun ‘lieno anche se pensare, cercare di capire un certo fenomeno e perfino l’atto del dubitare può apparire alieno ai più.

Il Monte Amiata visto da Bibbiano (Buonconvento). Da lì la vetta del monte dista ancora 30 chilometri. In condizioni ottimali di luce e di purezza del cielo si possono ancora scorgere dettagli nelle sfumature dei boschi che lo avvolgono e altri dettagli. Credit: Il Poliedrico.

Per tutta la sua plurimillenaria storia l’uomo ha cercato di carpire i segreti della natura che lo circondava e di interpretare i segni che scorgeva in cielo. Le eclissi per esempio furono all’inizio spiegate come epiche battaglie fra divinità celesti fintantoché i pensatori di quella che fu la prima e più evoluta civiltà dedita alla conoscenza scientifica di quel tempo, la civiltà Classica Greca, non riuscirono a spiegarle in maniera elegante ed esatta. Sì perché la Scienza è innanzitutto elegante; elegante e aggraziata come può esserlo un pregevole brano musicale o una poesia. Anche un fenomeno estremo e imprevedibile come un fulmine è elegantemente spiegato dal Teorema di Gauss senza scomodare idoli perennemente arrabbiati per le miserie umane. 
Ma se credete che la scienza sappia ormai tutto ciò che accade di naturale nella nostra atmosfera vi sbagliate. I fulmini Sprite (Folletto) sono noti solo da 20 anni, I fulmini globulari, probabilmente una versione più energetica dei Fuochi di S. Elmo, pur presenti in letteratura e in numerose testimonianze fin dalla notte dei tempi, non sono mai ancora stati studiati perché essi sono troppo sporadici e imprevedibili.
Ogni epoca ha avuto le sue visioni celesti e chi le ha vissute le ha dato le sue particolari interpretazioni: i primi cristiani vedevano angeli e carri celesti; gli egizi addirittura abbracciarono per breve tempo una fede monoteista basata sul culto del Sole [1], forse per scelta politica o forse in seguito a qualche evento interpretato come segno divino di cui oggi non vi è più alcuna traccia; l’Imperatore Flavio Valerio Aurelio Costantino fece abbracciare la fede Cristiana a tutto l’Impero Romano dopo aver visto in cielo uno scudo crociato [2].
L’atavica attrazione per i fenomeni celesti e atmosferici ha spinto molte persone a credere di vedere le cose più improbabili in cielo, ognuno in base alla propria cultura e periodo storico 1.

Bolide sul Banff National Park, CA. Dec. 2014
Credit: Brett Abernethy

Anche a me è capitato di vedere miraggi e cose nel cielo molto bizzarre.
Ho incontrato giornate talmente limpide e asciutte che il Monte Amiata (abito intorno a Siena, in Toscana) sembrava di toccarlo con una mano, eppure sono 50 chilometri in linea d’aria. Mi ricordo che un inverno, nel paese in cui abitavo, iniziarono ad apparire uno o due cerchi di luce che sembravano danzare tra le nuvole, ma se si prestava attenzione si potevano ancora scorgere a malapena anche quando il cielo era limpido. Il curioso fenomeno appariva in genere dopo cena, il sabato e qualche volta anche la domenica. Qualcuno dei miei amici si spinse fino a parlare di fenomeno UFO. In realtà erano fari pubblicitari — per fortuna poi li tolsero — di una nota discoteca vicino a Chianciano, ben 30 km a sud-est del mio luogo!  
Una volta (nel 1991 o 1992, comunque d’estate), in compagnia di amici, ero a Pienza e stavo andando in un pub che avevamo iniziato a frequentare. Qui assistemmo al passaggio di un bolide estremamente luminoso e assolutamente silenzioso che dietro di sé lasciò una tenue coda quasi invisibile con le luci del paese. L’evento fu spettacolare e durò solo pochissimi secondi. Probabilmente era un bolide del tipo Earth-grazer come lo chiamano gli anglofoni, ossia un meteoroide che ha un angolo di incidenza talmente basso che rimbalza nell’atmosfera superiore dopo essersi incendiato; un po’ come un sasso piatto lanciato di striscio su uno specchio d’acqua. La nostra prospettiva era talmente particolare che a noi sembrò quasi provenire dal basso.
E poi luci riflesse dalle finestre delle case lontane al tramonto, fusoliere di aerei illuminati dal sole, riflessi di pannelli solari dei satelliti in orbita, fenomeni atmosferici singolari come i miraggi, i Fata Morgana e i Fuochi di S. Elmo e così via.  Posso dire che di cose assolutamente bizzarre ne ho viste tante, ma mai una di queste che potesse convincermi della bontà del fenomeno UFO inteso come contatti  o avvistamenti di navi extraterrestri e dei loro occupanti.

Il business UFO

I have come to support less and less the idea that UFOs are ‘nuts and bolts’ spacecraft from other worlds. There are just too many things going against this theory. To me, it seems ridiculous that super intelligences would travel great distances to do relatively stupid things like stop cars, collect soil samples, and frighten people. I think we must begin to re-examine the evidence. We must begin to look closer to home.

Inizio a sostenere sempre meno l’idea che gli UFO siano nella loro fisicità astronavi provenienti da altri pianeti. Vi sono troppe cose che depongono contro questa teoria. A me appare ridicolo che intelligenze superiori viaggino per lunghissime distanze siderali per fare cose relativamente stupide come fermare le macchine, raccogliere campioni di terreno, e spaventare la gente. Credo che dovremmo cominciare a riesaminare l’evidenza. Dovremmo guardare più vicino a casa.

Josef Allen Hynek, astronomo e ufologo

Così come è inteso oggi, il fenomeno UFO è un grande affare: un intricato intreccio di interessi spesso diversi ma che alla fine prosperano sull’ingenuità popolare.
In diverse occasioni i militari hanno saputo sapientemente sfruttare l’occasione, come a Roswell e per l’Area 51, per nascondere piani di spionaggio assai arditi e costosi facendoli passare per UFO. Sicuramente a questo punto alcuni obbietteranno citando le indagini ufficiali militari, come quelle del noto Blue Book Project e di altre agenzie analoghe nei vari paesi. In alcune di queste sono stati citati anche scienziati e astronomi famosi quali testimoni.
È vero, ma nessuna di loro ha mai trovato alcuna prova riguardo a navicelle interstellari o a veicoli provenienti da altre dimensioni e universi paralleli o da un tempo diverso (sì perché ci sono anche teoremi in tal senso), proprio perché non ce n’erano.
Ma è anche vero che la stessa attenzione legata a un possibile, per quanto improbabile, attacco nazista dopo il 1946 si era rivolta verso un nuovo nemico: l’Unione Sovietica. La storia di Kenneth Arnold ingigantita dai mass media e episodi come quello della sonda Mogul n°4 amplificarono l’isteria di massa. Per questo i servizi di intelligence finirono per occuparsene [3]: c’era il sospetto che i sovietici avrebbero potuto usare quelle voci per scatenare un attacco militare oppure che potessero essere entrati in possesso di una tecnologia sconosciuta all’Occidente e molto più avanzata. Nel corso degli anni furono avviate molte indagini sul fenomeno UFO in tutto il Blocco Occidentale. Ognuna di loro però giungeva sempre alla medesima conclusione: nessun oggetto proveniente da altri mondi o comunque alieno aveva raggiunto la Terra.
Ma per l’equazione dei grandi numeri applicata agli esseri umani, quella che il celebre scrittore Isaac Asimov avrebbe chiamato psicostoria, una negazione ufficiale equivale a un assordante assenso. Chiamatela Teoria del Complotto, mania paranoide o sfiducia nelle Istituzioni: ogni volta che viene annunciata una qualsiasi presa di posizione ufficiale su un qualsiasi argomento, ci sarà sempre un gruppo più o meno numeroso, più o meno grottesco o pittoresco che affermerà sempre l’esatto contrario. Accade con i terrapiattisti, con chi nega l’Olocausto nazista e con gli antivaccinisti tout court.

La crisi economica degli anni settanta, la sfiducia generale nelle istituzioni pubbliche ufficiali che più volte erano state scoperte a mentire, fornirono un ottimo terreno per gli speculatori su cui attecchire. La crisi che colpì molte zone rurali dopo la Guerra del Vietnam spinse molte di queste a cercare nuovi orizzonti economici.
Tutto questo portò ad esempio la comunità di Roswell a investire sul turismo scatenato dalla nota favola sul suo incidente. E più o meno a Marfa, in Texas, avvenne lo stesso: le leggende nate intorno alle sue luci fantasma spinsero l’economia turistica locale ben più di quanto le riprese del film Il Gigante abbiano a suo tempo permesso. In mezzo a tutto questo intanto personaggi assai fantasiosi ne approfittarono per scrivere i loro libri infarciti di storie inverosimili e altre invenzioni condite da un pizzico di complottismo e di segreti nascosti a cui la gente malgrado tutto, credeva.

[video_lightbox_youtube video_id=”KFqHB_O9CFg&rel=false” auto_thumb=”1″ width=”800″ height=”450″ auto_thumb=”1″]
Credit: Eclecticopedia

Ormai assuefatte dalla cinematografia e dalla televisione dove le intelligenze extraterrestri venivano date per scontate, molte persone iniziarono a vedere alieni e navi aliene ovunque. Un tizio presentò una foto di un momento bucolico con due strani oggetti in formazione e ben evidenti ripresi nel cielo sull’angolo superiore destro vicino al bordo asserendo che al momento dello scatto essi non c’erano. Una analisi della foto appurò che non era stato ripreso alcun veicolo alieno ma che qualcuno aveva spillato con la cucitrice il negativo prima dello sviluppo! Ma non solo: nel 1955 un paio di anziane signore asserirono di aver registrato parte di un messaggio radio alieno [4]; una più approfondita analisi rivelò che quel presunto messaggio alieno altro non era che banale codice Morse 2.
Casi come questi ce ne sono tantissimi, ma altrettanti furono anche i casi di imbrogli e di scherzi di burloni che fotografavano piatti lanciati dalla finestra oppure appesi alle lenze da pesca. Con l’avvento dell’hobby dei droni, il fenomeno dei falsi avvistamenti ha raggiunto vette ancor più sublimi: droni travestiti da astronavi aliene con led e diodi laser, e ancora prima lanterne cinesi, razzi di segnalazione e bengala o palloncini di Mylar riempiti di elio. La fantasia in questi casi non ha davvero limite.

In physics, as in much of all science, there are no permanent truths, There is a set of approximations, getting closer and closer, and people must always be ready to revise what has been in the past thought to be the absolute gospel truth. If I might say, to revise opinions, is one which is frequent in science, and less frequent in politics.

Nella fisica, come accade in quasi tutte le altre discipline scientifiche, non esistono verità permanenti. Esiste [piuttosto] un insieme di approssimazioni che si avvicina sempre più [al vero] e la gente deve sempre essere pronta a rivedere ciò che in passato era considerato come verità assoluta. Se mi è permesso dire, ridiscutere delle opinioni è una cosa frequente nella scienza ma meno nella politica.

Carl Sagan

Dovessimo quindi escludere le prese in giro manifeste, i fenomeni naturali o artificiali non riconosciuti e le missioni militari segrete, del fenomeno UFO non rimarrebbe granché. Qualche caso potrebbe ancora sfuggire alla nostra comprensione perché magari potrebbe esserci ancora qualche lacuna nei dati che lo accompagnano oppure che l’investigazione non ha saputo andare oltre un certo punto.
Comunque, come ebbe a raccomandare anche Carl Sagan, la ricerca della vita intelligente extraterrestre, in altre parole Civiltà Tecnologiche Extraterrestri, non va lasciata in mano a uno sparuto gruppo di manipolatori mediatici senza arte né parte. Per questo motivo esistono tutta una pletora di ricerche scientifiche serie che spaziano dall’astrobiologia alle missioni scientifiche su Marte, il Programma SETI e così via.
E come esistono comunità di appassionati per ogni argomento dello scibile umano, come ad esempio gli astrofili per l’astronomia, troverei altrettanto giusto che ci fossero anche degli appassionati del fenomeno UFO purché le loro indagini seguano un rigido percorso scientifico come il peer review.
Come ho sottolineato nel primo articolo di questo mio speciale sul fenomeno UFO, non è mia intenzione affermare che non esista a priori tale fenomeno, quanto piuttosto dimostrare che una rigorosa indagine scientifica e sociale di fatto non è mai stata compiuta e questo mina ormai la credibilità scientifica a questo genere di ricerca amatoriale. 

A molti fa comodo lo spauracchio UFO quando c’è da guadagnare raccontando fanfaluche in libri e trasmissioni o quando serve celare un fatto scomodo. Ad altri invece serve qualcosa da sventolare alla bisogna per bollare di antiscientifico chi affronta simili argomenti. Ma questa non è scienza, è la sua negazione.

Le Lacrime di San Lorenzo 2017

Ed eccoci qua. ci risiamo. Tra pochissimi giorni si ripresenterà la celebre pioggia meteorica delle Perseidi, conosciuta anche come Lacrime di San Lorenzo.
Il picco è previsto nella notte tra il 12 e 13 agosto, con un tasso medio previsto intorno alle 50 tracce orarie verso le 5 del mattino del 13 agosto per l’Italia Centrale.  

Il mio consiglio è lo stesso di ogni anno: trovatevi un bel cielo sgombro da oggetti e da luci cittadine e portatevi una seggiola, una sdraio oppure una coperta per sdraiarvi per non giacere sulla nuda terra e godetevi lo spettacolo che vi offre gratis la Natura.
Purtroppo questo è uno degli anni in cui la Luna Calante sorge piuttosto presto: infatti ella sorgerà alle 23:05 ora locale, vanificando in parte l’osservazione del cielo.

[virtual_slide_box id=”13″]

Fare foto al fenomeno sarà arduo, la presenza della Luna illuminata per il 72% saturerà l’esposizione del cielo piuttosto in fretta, ma se avrete l’accortezza di cercare un posto che vi ripari dalla luce diretta, come una parete di roccia, un muro anche al limite una pianta potreste comunque riuscire a vedere anche qualche traccia più debole.
Quindi mi raccomando: sedetevi o sdraiatevi comodi magari dando le spalle a Est — tanto a guardare verso il punto radiante si vedono solo le tracce più corte e non ne vale la pena, secondo me — e alla Luna, portatevi qualche spuntino e una bevanda, magari calda dentro un thermos (la notte fa — finalmente! — fresco) e una coperta per se dovesse prendervi freddo. Se poi foste un buon bersaglio per le zanzare, non dimenticatevi lo zampirone!

Cieli sereni!

Fantasie metropolitane e fenomeno UFO: le cover-up

Da Roswell all’Area 51

Un aerostato del Progetto Mogul in fase di allestimento precedente al volo. I volti dei tecnici sono stati oscurati per nascondere la loro identità.
Credit: USAF/CIA, 1997

L’ambiente sociale in cui scoppiò il fenomeno UFO era molto particolare. Da un lato gli Stati Uniti avevano vinto una guerra mondiale contro un nemico, almeno inizialmente, tecnologicamente più avanzato. La paura per una rappresaglia nazista era ancora ben viva nella mente degli americani. Ma appena finita la guerra col Giappone grazie a due bombe atomiche, ecco affacciarsi un nuovo e più temuto nemico che fino al giorno prima era stato suo alleato durante la guerra: l’Unione Sovietica.
La fobia per i sovietici spinse gli USA come mai era accaduto nella loro storia a finanziare la ricerca, sia civile che, soprattutto, militare. Nel 1947 il timore che i russi sviluppassero armi atomiche in grado di colpire il suolo americano spinse gli americani a progettare una rete di fonometri ad alta quota per monitorarne i progressi. Tale progetto fu affidato all’università di New York che, basandosi sul concetto che le onde acustiche di una sonora esplosione possono raggiungere l’alta atmosfera ed essere captabili quindi oltre il raggio della curvatura terrestre. Il nome di quell’operazione era Mogul [5].
Tale programma in verità ebbe vita assai breve: troppo costoso e assai poco affidabile.

Operazione Mogul

Nella pratica l’intera operazione consisteva nell’inviare nell’atmosfera superiore tutta una serie di palloni aerostatici che sorreggevano i microfoni con la relativa elettronica. Per i primi test di lancio fu impiegata una boa marina e riflettori ottaedrici per monitorare la posizione delle sonde al posto dei più classici sistemi di triangolazione del radiosegnale (Non c’era posto in aereo per portare i ricevitori!).

Ecco come erano i famosi geroglifici tanto decantati dagli ufologi.
Credit: USAF/CIA, 1997

Il radar del sito di lancio ([fancybox url=”https://www.google.com/maps/place/Holloman+AFB,+NM+88330/@32.8431167,-106.1366451,13z/data=!3m1!4b1!4m13!1m7!3m6!1s0x0:0x0!2zMzTCsDE1JzAyLjAiTiAxMDXCsDM1JzQ0LjAiVw!3b1!8m2!3d34.250556!4d-105.595556!3m4!1s0x86e05c343376eabd:0xaed4091d6eaea12f!8m2!3d32.8438274!4d-106.0990906?hl=en”]Holloman Air Force Base, Alamogordo, New Mexico[/fancybox]) non riusciva infatti a seguire efficacemente il pallone sonda fatto di neoprene — un materiale con una resa molto migliore della comune gomma per i palloni stratosferici, oggi di uso comune per esempio nelle tute da sub (è difficile da tagliare o strappare e torna sempre nella sua forma originale …) ma piuttosto innovativo nel 1947 — e per questo i tecnici fecero ricorso all’ultimo momento ai riflettori radar, commissionandoli a una fabbrica di giocattoli, che usò lo stesso nastro adesivo rosa e viola con motivi fantasia, usato dall’azienda per alcuni loro giocattoli, per rinforzare la balsa usata per costruire i riflettori ottaedrici, del resto molto simili agli aquiloni per bambini. 

La sonda n°4 del progetto Mogul partì dalla base aerea di Holloman il 4 di giugno. Come ho cercato di spiegare, le sonde erano ancora nella fase sperimentale, quasi tutto il materiale necessario alla loro costruzione proveniva dal libero mercato, anche il fonorivelatore era una banale boa d’ascolto marina, una AN/CRT-1 [6] [7].
Tutto l’impianto della sonda era quindi sperimentale: 20 palloncini collegati in cordata alla distanza di 6 metri l’uno dall’altro (le sonde meteo usavano soltanto un palloncino da 350 grammi), 5 riflettori ottaedrici fatti con carta stagnola (probabilmente una versione del Mylar conosciuto come Terylene, noto anche come PET) e balsa e una boa marina lanciati nell’atmosfera superiore; la storia di copertura della solita sonda meteorologica non avrebbe retto neanche un minuto in caso di incidente.

Una notte buia e tempestosa

[A] large area of bright wreckage made up of rubber strips, tinfoil, a rather tough paper and sticks.

[Una] grande area di brillanti detriti, composti da strisce di gomma, da stagnola, da carta e bastoncini.

There was no sign of any metal in the area which might have been used for an engine and no sign of any propellers of any kind, although at least one paper fin had been glued onto some of the tinfoil.

Non trovammo alcun segno di metallo nella zona che potesse sembrare un motore o qualcosa di simile, anche se c’era un’aletta di carta che aveva incollati alcuni [pezzi] di carta stagnola.

There were no words to be found anywhere on the instrument, although there were letters on some of the parts. Considerable scotch tape and some tape with flowers printed upon it had been used in the construction.

Non trovammo alcuna parola [o scritta] sull’oggetto, sebbene ci fossero delle lettere su alcuni pezzi. Molto nastro adesivo e qualche nastro con fiori stampati erano stati utilizzati nella costruzione.

No strings or wire were to be found but there were some eyelets in the paper to indicate that some sort of attachment may have been used.

Nessuna stringa o filo furono trovati ma c’erano alcuni occhielli nella carta che suggerivano che un qualche tipo di legatura potrebbe essere stata utilizzata.

William “Mac” Brazel

Ed è quello che avvenne il 7 luglio 1947, o uno dei giorni immediatamente precedenti secondo alcune fonti,  vicino a [fancybox url=”https://www.google.com/maps/place/33%C2%B058’06.0%22N+105%C2%B014’36.0%22W/@34.1680175,-106.1775067,8.61z/data=!4m5!3m4!1s0x0:0x0!8m2!3d33.968333!4d-105.243333?hl=en”]Roswell, New Mexico[/fancybox], dopo un volo di 145 chilometri dal sito di lancio. Un temporale fece precipitare la sonda Mogul n° 4 senza controllo in un ranch dove poi fu trovata da William Brazel, il rancher della contea di Lincoln che scoprì il relitto (alcune frasi della sua testimonianza sono riportate qui a fianco).
Nulla nel luogo dell’incidente poteva far credere a uno schianto di un disco volante; anche la cordata di palloni era volata via da qualche altra parte mentre quello che fu trovato sul primo sito erano i resti, stando alla  prima testimonianza del rancher, che potevano appartenere a qualcuno dei cinque riflettori — in effetti racconta Brazel che tentarono inutilmente di ricomporre quello che pensavano essere un aquilone — e qualche pezzo di neoprene translucido di qualche palloncino distrutto, forse dalla tempesta o forse dalla caduta. 
Il resto è una storia che finì lì. Per un paio di settimane i giornali locali dettero spazio alla notizia e anche qualche agenzia internazionale lo fece, come la [fancybox url=”https://ilpoliedrico.com/wp-content/uploads/2017/07/afp9jul1947.jpg”]France Press.[/fancybox]  
Comunque, già nel 1952 si era scoperto che i rottami di Roswell erano i resti di un qualche bersaglio radar [8] quasi certamente appartenuto a qualche tipo di progetto militare segreto.
Erano trascorse soltanto un paio di settimane dal curioso racconto di Kenneth Arnold [9] e stava diventando assai comune e sarcastico descrivere tutto ciò che non si poteva riconoscere in cielo con un lapidario “They’re a flying saucers“, un po’ come oggi usiamo ironicamente dire “Sono degli UFO” [1.

Tuttavia poi l’ilarità suscitata da questo argomento portò nel 1950 a Los Alamos durante una pausa pranzo Enrico Fermi a chiedersi: “ Where’s Everybody?“] [10].

Trent’anni di silenzio

Comunque fu nel 1978 che la storia di Roswell riprese vigore. Nel paragrafo XVIII di Retrievals of the Third Kind: A case study of alleged UFOs and occupants in military custody [11], il saggista e ricercatore UFO Leonard Stringfield 1 racconta di essere stato contattato da un maggiore dell’Intelligence dell’Air Force , J.M. (Jesse Marcel) che disse di aver partecipato al recupero dei resti di Roswell.

Major J.M. and aides were dispatched to the area for investigation. There he found many metal fragments and what appeared to be “parchment” strewn in a 1 square mile area. “The metal fragments,” said the Major, “varied in size up to 6 inches in length, but were of the thickness of tinfoil. The fragments were unusual,” he continued, “because they were of great strength. They could not be bent or broken, no matter what pressure we applied by hand. The area was thoroughly checked, he said, but no fresh impact depressions in the sand were found. The area was not radioactive. The fragments, he added, were transported by a military carry-all to the air base in Roswell and from that point he was instructed by General Ramey to deliver the “hardware” to Ft. Worth, to be forwarded to Wright-Patterson Field for analysis. When the press learned of this retrieval operation, and wanted a story, Major J.M. stated, “To get them off my back I told them we were recovering a downed weather balloon.” When the major was asked for his opinion as to the identification of the fragments he was certain they were not from a balloon, aircraft, or rocket. He said because of his technical background he was certain that the metal and “parchment” were not a part of any military aerial device known at that time.

[Il] Maggiore J.M. e i suoi assistenti furono inviati nella zona per l’inchiesta. Lì trovarono molti frammenti di metallo e quella che sembrava essere “pergamena” sparsi in un’area di un miglio quadrato.
“I frammenti di metallo”, disse il maggiore, “variavano in dimensioni fino a 6 pollici di lunghezza, ma erano dello spessore della carta stagnola. Questi frammenti erano insoliti”, continuò, “perché erano molto robusti. Non  potevamo piegarli o romperli con le mani a prescindere dalla forza che impiegassimo.”
Aggiunse anche che la zona fu accuratamente controllata ma non furono scoperte altre depressioni da impatto sulla sabbia. L’area non era radioattiva. I frammenti  furono caricati   su un mezzo militare e trasportati tutti alla base aerea di Roswell e il generale Ramey ordinò di consegnare l’hardware a Ft. Worth, per inviarli al Wright-Patterson Field per l’analisi.
Quando la stampa seppe di questa operazione di recupero, chiese [altre] informazioni e il maggiore J.M. dichiarò: “Per levarmi l’impiccio, ho detto loro che stavamo recuperando un pallone meteorologico perduto.” 2
Quando gli fu chiesta la sua opinione sull’identificazione dei frammenti, disse che era certo che non provenissero da un pallone, un velivolo o un razzo. Aggiunse [anche] che a causa del suo background tecnico era certo che quel metallo e la “pergamena” non potessero essere parte di qualsiasi dispositivo aereo militare noto a quel tempo.

Leonard H. Stringfield

Il testimone, J. M., affermò di aver raccolto dal luogo dello schianto dei frammenti di una specie di carta stagnola non più grandi di 15 centimetri, però molto resistenti alla trazione e alla piegatura, tutte caratteristiche del polietilene tereftalato, inventato nel 1941 in Inghilterra col nome di Terylene e brevettato come Mylar nel 1952.  
Se effettivamente i riflettori radar fossero stati costruiti con tessuto di polietilene come il Terylene, non ci sarebbe niente di anomalo o di alieno nei resti raccolti dai militari guidati dal maggiore J. M.. Esso era soltanto un materiale inventato pochi anni prima e ancora sconosciuto al pubblico e il suo impiego
 in un pallone meteo sarebbe sembrato troppo curioso.
Nessuna radioattività, nessun altro cratere da impatto, nessun congegno che possa somigliare a un motore o propulsore. Niente di niente, nessuna prova che una navicella extraterrestre si sia mai schiantata a Roswell quel giorno.
Ma la fantasia dei fuffologi (io scherzosamente li chiamo così, non  posso neanche immaginare che le storie da essi raccontate siano anche solo lontanamente verosimili e che possano crederci veramente anche loro) non finisce certo qui, con l’ufino che dopo un viaggio di ben 39.2 anni luce — sì, perché i ‘lieni pensati dai fuffologi vengono da ζ Reticuli! — va a schiantarsi nel bel mezzo del nulla come un autista ubriaco. 
Tale nave spaziale, prelevata dai militari, sarebbe stata impacchettata e spedita presso una base militare talmente segreta che non ne esisterebbe traccia neppure negli archivi militari.

Area 51

Tale base è la famigerata Area 51.  Qui secondo la mitologia ufologica la nave spaziale sarebbe stata smontata, studiata e riprodotta.
Quei fanatici sono convinti che sia stata l’ingegneria inversa applicata sulla tecnologia dell”UFO a darci oggi i componenti elettronici miniaturizzati, i microchip che controllano anche la nostra lavatrice, i cristalli liquidi delle nostre TV e le altre mille diavolerie moderne. Nulla riguardo a nuovi sistemi di energia e propulsione, su come affrontare i viaggi interstellari o come risolvere i nostri, gravi, problemi di inquinamento che minacciano la nostra specie di più di quanto faccia l’intero arsenale nucleare globale!
Non contenti, questi pittoreschi narratori, hanno aggiunto in seguito ‘lieni morti o moribondi, biopsie segrete sui cadaveri dei suddetti, contatti con specie extraterrestri e alleanze o collaborazioni di comodo occulte, perfino.

Al di la di tutte queste idiozie, la super segreta Area 51 esiste davvero. Non è poi così segreta anche se i vertici militari USA ne celarono l’esistenza fino al 2013.
Anche i programmi svolti in questa base erano talmente segreti e compartimentati che gli stessi ingegneri non avevano coscienza del loro lavoro o di quello dei loro colleghi 3.
L’area in cui sorge la base, i resti di un lago salato ormai asciutto, Groom Lake, è piuttosto lontana da qualsiasi insediamento civile e è un’ottima pista naturale per il collaudo di aerei. Per questo è un sito militare di enorme importanza strategica.
Qui furono sviluppati e testati aerei militari super segreti: il Progetto Acquatone, che portò al primo aereo stratosferico Lockheed U-2, il cui scopo era proprio quello di spiare dall’alto i progressi militari sovietici, nacque proprio qui. Nel 1960 però un missile contraereo russo riuscì ad abbattere uno di questi [12].
Questo incidente causò un ripensamento generale dell’intero progetto, anche se è importante sottolineare che l’U-2, essendo ancora in servizio, resta uno dei velivoli più longevi della storia militare. Così nacque il Progetto Oxcart, che portò alla realizzazione di un nuovo velivolo con capacità supersonica (Mach 3.35) a quota di crociera (23000 metri), il Lockheed A-12. In confronto l’U-2 era quattro volte e mezza più lento 4. L’aereo poteva volare a oltre tre volte la velocità del suono a quote che erano il triplo dei normali aerei di linea di quel tempo, e alcune sue configurazioni non erano verniciate. In sostanza erano interamente lucide tanto da poter riflettere i raggi del sole ed essere visto anche dal suolo. La particolare forma era stata studiata per eliminare gli angoli retti per aver la più piccola impronta radar possibile e questo lo rendeva il velivolo più bizzarro che si fosse visto a quell’epoca. 
Però presto l’A-12 si rivelò essere un aereo costosissimo e tutto quel calore in eccesso lo rendeva un ottimo bersaglio per i missili a guida termica. Fu così che nacque l’idea di progettare i primi velivoli avanzati con tecnologia stealth come il Lockeed SR-71 Blackbird.

Non voglio qui ripercorrere tutti i progetti ormai non più segreti di tutte le tecnologie nate nell’Area 51. Ma dal gigantesco U-2 al costosissimo A-12, fino ai moderni bombardieri B-2 e altri aerei dalle forme più strane e improbabili, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale con i prototipi del bombardiere Northrop YB-35 (primo volo nel 1946) che riprendevano il concetto del Horten HO-229 nazista, poi nella versione a turbogetto YB-49 dell’anno dopo — curiosamente simile alle descrizioni dei flying saucers di  Kenneth Arnold, negli Stati Uniti è stato un gran fiorire di prototipi di velivoli segreti che a occhi non preparati venivano descritti come UFO. Si calcola che almeno la metà di tutti i presunti avvistamenti UFO negli anni ’50 e ’60 siano da imputarsi a velivoli sperimentali segreti, alcuni dei quali li abbiamo visti entrare in servizio attivo mentre altri sono finiti nel dimenticatoio, abbandonati o cancellati.
Guardate la carrellata di alcuni aerei qui sotto, in attesa del gran finale …

Fantasie metropolitane e fenomeno UFO: i miraggi di Marfa

Come ho detto alla fine della seconda parte, per quanto possa sembrare suggestiva e attraente l’ipotesi del contatto extraterrestre, essa è comunque la meno probabile in assoluto. Fare un viaggio di milioni di chilometri per mutilare una capra o rapire un boscaiolo (come Travis Walton di Snowflake, Arizona. Ci hanno ricavato pure un libro e un film; pensate ai soli diritti d’autore …) è un po’ come  prendere un aereo per l’Australia, suonare un paio di campanelli a caso per scherzo e tornarsene di corsa a casa per timore di essere scoperti. Se a voi pare logico … 

Le luci di Marfa.

[fancybox url=”https://www.google.it/maps/place/Marfa,+Texas+79843,+Stati+Uniti/@30.3123365,-105.5402904,7.49z/data=!4m5!3m4!1s0x86efb0a37f4025ff:0x720e0d3e89d4c90!8m2!3d30.3094622!4d-104.020623″]Luci di Marfa[/fancybox]Le celebri Luci di Marfa, in Texas

Marfa è un’amena cittadina dell’ovest texano. È un bel posticino 1, ha il suo celebre museo cittadino, la sua caserma dei pompieri rosa e le sue celebri … luci fantasma [13]!
In qualsiasi periodo dell’anno, verso il passo del Paisano (Paisano Pass) si rendono visibili delle curiose luci che sembrano fluttuare e muoversi nell’aria. Da riprese a lunghissima esposizione appare evidente uno schema: quello di una strada trafficata! E in effetti lì passa la Route 67, costruita negli anni ’20. Alcuni contestano questa spiegazione affermando che il piano stradale è diverso da quello delle luci osservate e che si hanno notizie di luci analoghe osservate fin dalla fine del XIX secolo, all’incirca dalla fondazione della città (nacque come stazione ferroviaria). 
Ma la spiegazione in realtà è molto semplice: miraggio, detto anche Fata Morgana. Un miraggio Fata Morgana avviene, un po’ come in tutti i miraggi, quando due strati di densità molto diversa di aria  deflettono e riflettono la luce di oggetti in realtà molto più lontani e addirittura fuori dal piano visibile dall’osservatore, Così la luce può essere deviata, riflessa o addirittura amplificata, distorcendo tutto ciò che mostra. Una carovana in transito, un bivacco o una lanterna da viandante possono benissimo essere responsabili di ciò che videro gli abitanti di Marfa prima della costruzione della strada. Coloro che andarono a cercare l’origine di quelle luci non trovarono niente semplicemente perché quelle che avevano osservato erano da qualche altra parte; ripeto, da un posto diverso e molto più lontano da dove sembravano provenire.

Cosa abbia visto realmente Kenneth Arnold forse non lo sapremo mai, ma la sua descrizione dei flying saucers somiglia tantissimo a quella dell’aereo sperimentale nazista catturato dagli Alleati Horten HO 229.

Le luci che osservò Kenneth Arnold erano molto più probabilmente frutto di un abbaglio ottico— l’equipaggio del DC-4 dietro di lui non notò alcunché. Più semplicemente lui si trovò nella condizione favorevole per assistere a qualcosa che al momento non seppe spiegare. Solo successivamente, quando il suo racconto apparve sui giornali,  quei piattini volanti che sembravano erratici divennero dischi volanti. Anche lo stesso Kenneth Arnold all’inizio pensò che potevano essere velivoli militari top secret, ma poi pensò che ancora quella tecnologia era ancora al di là delle capacità umane che aveva appena imparato a scindere l’atomo. 
Però quelle tecnologie che Arnold credeva ancora in divenire, forse si stavano già studiando. Sicuramente la sua storia insieme quella dei foo fighters fornì la copertura perfetta per la più grande operazione di depistaggio civile mai orchestrata. Ma anche questa è un’altra storia. Alla prossima.

Fantasie metropolitane e fenomeno UFO: le origini moderne

E ora la seconda parte di questo lungo articolo. Il mio obbiettivo non è tanto dimostrare l’inesistenza del fenomeno, quanto quello ben più importante di chiedere al lettore di essere estremamente critico e più cauto nell’accettare le verità che spesso chi narra questi episodi pretende di imporre. Con questo approccio tutti i principali, e più noti, eventi UFO paiono frutto di interpretazioni errate e zeppi di mitologia metropolitana.

 

La nascita del fenomeno UFO moderno

Qui una ricostruzione in scala 1:1 del’Horten HO 229 per testarne le capacità di invisibilità ai radar. Fu sviluppato dai nazisti dopo la disfatta nella Battaglia di Inghilterra. L’avveniristico design lo fa assomigliare all’attuale bombardiere stealth Northrop Grumman B-2 Spirit. Era fatto di legno e disegnato per minimizzare la sua impronta sui radar. C’era l’idea di costruirne uno più grande alimentato da ben sei motori a getto per raggiungere la costa orientale degli Stati Uniti. Ecco come sarebbe stato il mitico UFO nazista.

Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, negli Stati Uniti si era diffusa la leggenda di una nuova super arma nazista capace di colpire la Costa Orientale. Quest’arma doveva essere una versione più potente e complessa della V2 che stava martellando Londra. Era impensabile allora ottenere la precisione dei moderni ICBM (Intercontinental Ballistic Missile) e si supponeva che i tedeschi avessero sviluppato un nuovo tipo di velivolo capace di arrivare fino al continente americano [14] [1. In realtà i nazisti non svilupparono mai velivoli del genere; si avvicinarono a un aereo con prestazioni stealth come quello della prima foto (una riproduzione in scala reale di un aereo sperimentale catturato dal Gen. Patton) ma non riuscirono ad andare oltre, per nostra fortuna, alla fase sperimentale.Però erano abili comunicatori e manipolatori: seppero abilmente diffondere voci su super armi e congegni inverosimili al solo scopo di incutere terrore presso i loro nemici. Questa campagna di mistificazione non finì con la guerra e la sconfitta del nazismo; essa continuò anche negli anni ’50 del XX secolo ad opera di personaggi legati all’antisemitismo esoterico, oltreché a ciarlatani che trassero vantaggio dalle teorie complottistiche dell’epoca con la vendita dei loro libri.] 1.

Intanto si erano diffuse voci riguardanti strane sfere di fuoco avvistate dai piloti Alleati [15] intorno ai loro velivoli. Strane sfere luminose che apparivano improvvisamente intorno alle ali e che sembravano danzare attorno alla fusoliera prima di scomparire. Anni più tardi, dopo la fine del conflitto si scoprì che le medesime luci apparivano anche ai piloti dell’Asse e ai piloti impegnati nel Pacifico, pure a quelli giapponesi. Si venne a sapere anche che alcuni piloti tentarono addirittura di ingaggiare, invano, un combattimento [16][17] con queste luci che, stranamente ma non sempre, riuscivano ad apparire nei radar  2.
Un temporale in mare non è mai una bella cosa, ma spesso, quando il fronte nuvoloso sta per estinguersi e ci si avvicina al fronte d’aria più secco può capitare, con le navi a vela è più facile, che la differenza di potenziale elettrico dell’aria e l’imbarcazione superi i 20-30 mila volt per centimetro — non è difficile, è lo stesso fenomeno per cui basta spazzolarsi i capelli in una stanza con aria secca, magari al buio e davanti allo specchio — ed ecco apparire sugli alberi i celebri Fuochi di S. Elmo [18]. Per i marinai erano segnale di buon auspicio, infatti il fronte temporalesco era ormai alle loro spalle. La differenza di potenziale elettrostatico è innescata dallo sfregamento delle molecole d’aria del fronte più secco con quello umido.
La stessa azione può innescarsi tra un velivolo e il mezzo in cui si muove velocemente. Un po’ come quando si prende la scossa dall’auto dopo un lungo viaggio in una giornata secca: in questo caso siamo noi a chiudere il circuito e a prenderci la sberla; nel caso di un aeromobile metallico non c’è modo di chiudere il circuito e scaricare le cariche elettrostatiche. Allora queste si accumulano fino a rendersi visibili come aria ionizzata continuamente caricata dal moto dell’aeromobile. Poi occorre ricordare che il volo umano, eccettuati gli aerostati, non aveva nemmeno mezzo secolo. L’addestramento dei piloti, i complessi meccanismi biologici e psicologici del volo non erano compresi quanto oggi. Quindi fenomeni allucinatori seguiti da episodi di combattimenti al vento erano tutto sommato comprensibili.

[fancybox url=”https://www.google.it/maps/place/Monte+Rainier/@47.3837991,-120.707494,6.84z/data=!4m5!3m4!1s0x5490d193f70860fb:0x5b5e4fe17ad6b707!8m2!3d46.8523075!4d-121.7603229″][/fancybox]Mount Rainier, Washington

E qui si arriva a Kenneth Arnold, l’uomo da cui partì tutto il moderno fenomeno UFO.
O meglio, tutto partì dai pittoreschi articoli di giornale che riportarono la sua storia: era il 24 giugno 1947. La storia raccontata da Kenneth Arnold è nota un po’ a tutti: egli affermò che mentre stava cercando i resti di un aereo C-46 scomparso (c’era su una ricompensa di 5000 dollari) di aver visto nove luci che all’inizio lui stesso scambiò per riflessi o per qualche velivolo sperimentale segreto. Poi egli li descrisse come oggetti a forma di mezzaluna e molto sottili e che il loro movimento ricordava quello di flying saucers, ovvero piattini volanti, lanciati sull’acqua. Qui iniziarono le speculazioni della stampa: per alcuni giornali erano come un piattino da dolci tagliato a metà con una protuberanza triangolare sulla parte posteriore, per altri erano come dei grandi dischi piatti. Non ripercorrerò per intero la storia di Arnold, nel tempo altri testimoni indipendenti affermarono di aver visto qualcosa nel cielo quello stesso giorno a Mount Rainier [19] ma non l’equipaggio del DC-4 che viaggiava poco dietro a Kenneth Arnold e che lui usò per stimare rotta, dimensioni e velocità dei suoi flying saucers.

Riflessi e altri giochi di luce? Forse test militari segreti? A pensarci bene la descrizione fatta da Kenneth Arnold pare che si sposi molto bene con la sagoma dell’Horten HO 229 ma non ci sono prove che quel velivolo abbia mai volato sul suolo americano. Non ci sono neppure altre prove che confermino la veridicità del suo racconto o del contrario. Forse si trattò di una fortunata combinazione delle due cose, forse solo una di esse, oppure nessuna e in tal caso dovremo cercarne un’altra. L’unica certezza è che per quanto possa apparire attraente l’ipotesi extraterrestre è anche sicuramente la meno attendibile e probabile.

Il nostro viaggio ora si sposta in un luogo molto lontano — 2400 chilometri a sud-est — dallo stato di Washington: dal Texas, Ma questa è un’altra storia. Alla prossima puntata …

Fantasie metropolitane e fenomeno UFO, introduzione

Da sempre mi sono sentito dire di tutto, chiedere di tutto. Ma mai mi ero sentito domandare: “Sei stato rapito dagli Alieni?”. Anche se la cosa mi ha in quel momento strappato un sorriso divertito, dopo mi ha lasciato l’amaro sapore delle cose non comprese, o forse mal spiegate. Per un attimo ho percepito frustrazione e impotenza, sicuramente la medesima sensazione che prova un maestro nel bocciare un suo allievo perché di fatto sottolinea anche il suo fallimento. Ringrazio colui che mi ha fatto la domanda perché da quella riflessione è nata questa serie di articoli che usciranno in più puntate.

Non esistono domande sciocche, forse ingenue ma mai sciocche. Le risposte invece spesso lo sono.
Risposte su chi siamo, da dove veniamo e su cosa ci aspetta, spesso sono affidate a incompetenti e ciarlatani che si inventano idiozie come antichi astronauti, civiltà antichissime più evolute della nostra il cui sapere è andato perduto e così via, dalle catastrofi planetarie a società occulte che governano clandestinamente il mondo giusto per avere un attimo di notorietà e soldi facili.
Sì soldi, perché è sufficiente presentare un libro dalla copertina accattivante, un titolo roboante che accenna al mistero rivelato e questi si trasformano in best seller.

There are more things in Heaven and Earth than are dreamt of in your philosophy, Horatio.

Ci sono più cose in cielo e in terra di quante la tua filosofia possa sognare, Orazio.

William Shakespeare, Hamlet (1.5.167-8)

L’essere umano è sempre stato attratto dall’idea di voler dare un senso a tutto. In fondo questo desiderio ha permesso all’Uomo di evolversi e di elaborare concetti sempre più astratti fino a darsi le religioni e la scienza. Ma è anche la sua più grande debolezza.
Le prime hanno cercato di dare una significato al cosmo mescolando regole naturali e sociali. Rigidi codici strutturati per spiegare tutto e insieme dettare le vie del comportamento civile.
Un connubio che oggi a molti non appare percorribile e che però poi finiscono per cercare per altre vie. In questo, senza l’opportuno equilibrio, alcuni finiscono per idealizzare la scienza trasformandola suo malgrado in religione. Altri invece, più o meno consapevoli nel disconoscere anche le basi del metodo scientifico, mescolano antiche credenze e tradizioni col modernismo più sfacciato: ecco come nascono i seguaci di molte credenze non proprio scientifiche.
Ed è proprio in questo crogiuolo di misconoscenza verso il metodo scientifico che nascono le idee più bislacche. Io non voglio convincere nessuno a negare per partito preso il fenomeno UFO, non è questo l’intento di questa serie di articoli e neppure il mio scopo. Ma una volta escluse le mistificazioni, e di burloni ce ne sono in giro tanti come tanti sono quelli che cercano il loro breve momento di gloria e denaro, gli errori e gli altri effetti naturali o di manufatti dell’uomo, forse un decimo dell’uno percento ancora sfugge alle spiegazioni più razionali.

It is a capital mistake to theorize before one has data. Insensibly one begins to twist facts to suit theories, instead of theories to suit facts.

È sempre un madornale errore teorizzare a vuoto. Senza accorgersene, si finisce per deformare i fatti per adattarli alle teorie, anziché il contrario.

Arthur Conan Doyle, Sherlock Holmes

Magari è solo questione di tempo per trovare anche per loro una spiegazione convincente senza necessariamente invocare fantastici omini verdi (o Grigi).
Anche il celebre scienziato Carl Sagan suggeriva di studiare attentamente quei casi che sfuggivano all’interpretazione [20], se non altro per comprendere meglio i motivi che spingono le persone a credere al fenomeno UFO.

Nell’antichità c’era chi affermava di aver visto in cielo carri celesti multicolori ai lati del Sole, visto angeli e di udito perfino delle trombe. Oggi sappiamo cosa sono i pareli; abbiamo capito che gli arcobaleni che qualche volta circondano il Sole sono prodotti da aghi di ghiaccio sospesi nell’alta atmosfera anziché essere la strada del carro del Sole e che qualche volta i fenomeni aurorali possono produrre suoni come scoppiettii e brontolii di sottofondo ben udibili [21].
Tutta la scienza si regge su alcuni grandi pilastri filosofici; uno di questi è il Rasoio di Occam: se più fenomeni possono spiegare un evento, quello più semplice tende ad essere quello giusto. Magari qualche volta questo non accade ma spesso è così. Quindi anche qui, parlando del fenomeno UFO è importante ricordarsi di applicare questo sano principio. Limitarsi a chiudere l’argomento con una indifferente scrollata di spalle è a mio avviso altrettanto sbagliato quanto credere aprioristicamente al fenomeno UFO; questo tengo a precisarlo.

Il fenomeno UFO esplose con l’inizio della Guerra Fredda. Coincidenze? Non credo…

UmbyWanKenobi

Un esempio che trovo da sempre curioso: le abductions, ovvero quelli che affermano di essere rapiti dagli alieni. Perché mai una civiltà più evoluta della nostra dovrebbe sprecare così tante risorse economiche per compiere viaggi di milioni di chilometri e rapire una persona a caso e pure di nascosto, magari anche un po’ sempliciotta ed affidare ad essa messaggi di rinnovamento spirituale o scientifico? Non sarebbe più semplice e pratico atterrare sul prato della Casa Bianca (o nella Piazza Rossa a Mosca), presentarsi all’umanità e manifestare così la loro presenza insieme al loro messaggio?

La scoperta di vita extraterrestre o addirittura un contatto con una civiltà aliena è quello che più elettrizzerebbe il mondo scientifico. A confronto le scoperte degli ultimi secoli impallidirebbero di fronte a questa notizia. La susseguente rivoluzione del pensiero umano, la matematica certezza che non siamo soli nell’Universo, sarebbe paragonabile alla scoperta del fuoco o l’invenzione della ruota.
Proprio per questo non può essere lasciata in mano a ciarlatani, visionari e speculatori. E tutto il marasma da questi creato è stato abilmente sfruttato dai militari un po’ in tutto il mondo per nascondere i progetti più segreti.
Un altro esempio? La mitica Area 51. Qui si progettarono negli anni ’50 gli aerei spia U-2, poi, quando uno di essi fu abbattuto dalla contraerea sovietica, si passò a studiare i primi sistemi stealth: un DC-9 sarebbe dovuto apparire grande come un passerotto. La base era talmente segreta che per decenni il governo americano ne negò più volte anche l’esistenza. Anche i progetti militari erano talmente segreti che gli stessi ingegneri erano all’oscuro anche del lavoro dei loro colleghi e i ben pochi documenti scritti erano così segreti che non erano neppure classificati come tali; se uno di questi fosse caduto in mani sbagliate sarebbe apparso così banale da non destare attenzione!

[fancybox url=”https://www.google.it/maps/@37.2376948,-115.8234622,11.15z”][/fancybox]L’Area 51 è lì, da qualche parte …

Così il fenomeno UFO da pittoresco ma interessante elemento divenne la più abile ed efficace azione di copertura militare. Test di sistemi d’arma sperimentali incautamente visti da ignari civili diventarono UFO; la base Area 51, come altre basi in tutto il globo, divenne una fantasticheria piena di cadaveri alieni e retroingegneria di dischi volanti extraterrestri.
La cosa non finì certo lì. Il progetto HAARPS, nato per studiare le interazioni tra le comunicazioni militari a onde corte e la ionosfera — per questo era in Alaska, come gli analoghi impianti sovietici e svedesi — perturbata dalle aurore boreali e le tempeste solari (non credo che a qualcuno piacerebbe sapere che un missile teleguidato potrebbe mancare il bersaglio e colpire per sbaglio un centro abitato per colpa di una tempesta solare), divenne per i ciarlatani e i loro discepoli un’arma per il controllo atmosferico capace di scatenare a comando tempeste, siccità e perfino terremoti dall’altra parte del pianeta.

Bizzarro, vero? quello che più veniva demonizzato — i militari cattivi, capaci di svendere l’intera umanità ai biechi interessi di razze ‘liene — erano proprio quelli che più erano contenti della copertura gratuita che i creduloni di fantasie inventate da ciarlatani in ciabatte (quelli sì che intascavano bei soldi dalle loro ciarle sparate con libri, convegni e apparizioni in TV) fornivano loro.
Alla prossima puntata …

Le responsabilità umane nel riscaldamento globale e i rischi finanziari ad esso collegati.

Negare che periodi ed epoche passate sian stati ancora più caldi o molto più freddi di oggi è stupido ma rinnegare per questo le attuali gravi responsabilità umane nel processo di riscaldamento del pianeta trovo che sia semplicemente criminale. Ritengo che il Riscaldamento Globale sia un problema reale e che vada discusso — almeno per la sua parte antropogenica — molto più seriamente di quanto politici e governi di tutto il mondo facciano o abbiano fatto finora. I vari accordi internazionali sul tema, come anche il tanto osannato ultimo di Parigi, sono soltanto acqua fresca, specie se paragonato all’accordo di Montreal del 1994 che mise al bando totale i clorofluorocarburi (CFC) responsabili della distruzione del vitale scudo di ozono. Questo confronto mostra che se esistesse una reale volontà politica mondiale, anche il Riscaldamento Antropogenico Globale potrebbe essere risolto.

Il ciclo del carbonio atmosferico in sintesi. La riga di centro indica i principali serbatoi naturali di carbonio. In verde sono descritti i principali processi che sottraggono il carbonio nella forma di CO2 dall’atmosfera. In rosso tutti gli altri, che cioè rilasciano carbonio. Credit: Il Poliedrico

La composizione chimica della nostra atmosfera è nota. La percentuale di anidride carbonica (CO2), ormai circa 407 parti per milione, lo è altrettanto. Essa è continuamente monitorata dal NOAA, che ha una sua stazione di rilevamento globale sul Mauna Loa, nelle Isole Hawaii. Perché quel posto così lontano? Semplice, esso è abbastanza lontano da qualsiasi grande emissione di natura antropica che potrebbe falsare il risultato, anche se poi la media locale e stagionale viene studiata principalmente grazie ai satelliti.
Esiste un modo assai semplice per risalire all’origine del carbonio atmosferico. È un metodo ben conosciuto e accurato, usato di solito per stabilire l’età di un qualsiasi artefatto biologico; si chiama Metodo del Carbonio-14.
In natura esistono elementi chimici che possiedono una massa diversa rispetto ad un altro atomo dello stesso elemento; nel qual caso i due diversi atomi, detti isotopi, hanno lo stesso numero di protoni che determina le caratteristiche dell’atomo in sé, chiamato numero atomico, ma un diverso numero di neutroni che ne determina la massa finale. Nello specifico caso del carbonio, esso ha sempre 6 protoni, ma un numero che può variare da 2 a 8 di neutroni. Questi isotopi sono altamente instabili 1, solo il 12C e il 13C sono stabili. L’altro isotopo, il 14C, è prodotto in natura dai raggi cosmici, il cui flusso è abbastanza costante nel tempo 2.
Chiamato anche radiocarbonio, questo isotopo ha un’emivita di 5715 anni. Esso è assorbito come ogni altro atomo di carbonio nel naturale processo biologico, pertanto non c’è differenza tra la proporzione di radiocarbonio presente naturalmente nell’atmosfera e quella presente in un organismo biologico vivente. Quando però quest’ultimo cessa di vivere, cessa anche ogni scambio gassoso e cessa quindi di assorbire il radiocarbonio dall’atmosfera. La differenza tra la percentuale di 14C presente nell’organismo morto, che sia un tizzone di brace, un osso, oppure un coprolito, permette di risalire a quanto tempo è passato da quando tale organismo era vivo 3.

I numeri in gioco

Ora la storia si fa interessante. Quando bruciamo un legno o brucia una intera foresta, la quantità di radiocarbonio nell’atmosfera rimane pressoché invariata; non è trascorso abbastanza tempo per registrare un decadimento isotopico importante. Tanta CO2 era stata sottratta dall’atmosfera dalle piante e tanta è stata restituita all’atmosfera. Il bilancio totale finale è in pareggio. Non dico che questo sia irrilevante, perché comunque — e questo è l’aspetto più pernicioso del rilascio incontrollato di carbonio nell’atmosfera — un incendio impiega ore, se non minuti, a rilasciare tanto carbonio quanto la natura aveva messo anni e decine di anni a sequestrare dall’atmosfera.
Una fonte importante di anidride carbonica nell’atmosfera proviene dai vulcani, circa 200 milioni di tonnellate per anno (circa 55 milioni di tonnellate di carbonio). Spesso — a sproposito — i negazionisti del Global Warming la citano come l’unica fonte importante di carbonio atmosferico capace di alterare il clima. Peccato che anch’essa sia abbastanza costante nel tempo e continuamente monitorizzata. Nelle emissioni di natura geologica del carbonio il radioisotopo 14C è totalmente assente, esso decade del tutto nel giro di circa 50 mila anni, dati i tempi, geologici, del ciclo [22]. L’altra fonte è da cercarsi nella combustione dei combustibili fossili. Anche questa è esclusivamente composta dalla forma stabile del carbonio-12.
Misurando quindi le percentuali isotopiche del carbonio atmosferico è possibile notare come esso provenga per la maggior parte dall’azione antropica. Il risultato è impietoso: ogni anno vengono aggiunti circa 29 miliardi di CO2 all’atmosfera (quasi 8 miliardi di tonnellate di carbonio-12), più di 100 volte di quello prodotto dalla sola azione vulcanica. Questa è la dimostrazione definitiva della responsabilità umana nell’aumento della CO2  atmosferica.

Coralli morti per effetto dell’innalzamento della temperatura e dell’acidità delle acque superficiali a Lizard Island (Australia) sulla Grande Barriera Corallina tra il marzo e il maggio 2016. Prima arriva lo sbiancamento, indice della morte dei minuscoli organismi e poi la fioritura di alghe (a destra) completa l’opera di distruzione. Credit: XL Catlin Seaview Survey

Certo che 29 miliardi messi al confronto coi 700 miliardi di anidride carbonica contenuti naturalmente nell’atmosfera e i circa 750 che partecipano ogni anno al ciclo naturale del carbonio paiono certo ben poca cosa, ma attualmente tutti gli oceani contribuiscono a stoccare appena circa 6 miliardi di CO2 all’anno e il dato in verità è in diminuzione a causa dell’aumento della loro temperatura [cite]10.1038/nature21068[/cite]. La distruzione della Grande Barriera Corallina, l’unica struttura biologica vivente visibile dallo spazio, ne è la prova. Il meccanismo è ovvio: un aumento di temperatura dell’acqua diminuisce allo stesso modo le sue capacità di assorbire la CO2, mentre la comunque maggiore quantità ancora assorbita ne aumenta l’acidità danneggiando irreparabilmente gli organismi più delicati e inibendo ad altri, come i foraminiferi, la capacità di creare strutture di carbonato di calcio, come per esempio i loro gusci, che catturano in modo definitivo una parte importante del carbonio assorbito dagli oceani.
Sulla terraferma il discorso generale non è poi così diverso. È vero, ogni anno circa 11 miliardi di anidride carbonica sono sequestrate dall’atmosfera dalle piante, ma il disboscamento industriale e l’agricoltura intensiva riducono significativamente questa capacità. Inoltre, una temperatura mediamente più alta comporta un aumento del rilascio del carbonio ancora intrappolato nel suolo, principalmente per effetto della decomposizione dei resti organici e per il dilavamento del suolo dalla pioggia resa più acida dall’aumento della CO2 atmosferica.
Il risultato è che almeno il 40%, circa 12 miliardi di tonnellate all’anno, delle 29 prodotte dall’uomo, sono continuamente riversate nell’atmosfera, contribuendo a ridurre le capacità del pianeta di continuare ad assorbirle.
Non sono bruscolini, anche se per alcuni sembrano esserlo. Gli oceani non possono oltre un certo grado assorbire più anidride carbonica dall’atmosfera senza creare danni ambientali gravissimi e l’anossia delle acque più superficiali. È vero, potrebbe aumentare momentaneamente la quantità di alghe verdi-azzurre che potrebbero, ancora momentaneamente, assorbire una parte del carbonio atmosferico,  ma questo andrebbe a discapito di tutta la catena alimentare ittica e umana. In più, Ogni incremento della temperatura degli oceani limita la capacità di questi di sequestrare altra anidride carbonica dall’aria.
In effetti il timore, anche espresso da Stephen Hawking [23] con molta enfasi — lui se lo può permettere, di un effetto domino con conseguenze incontrollabili non è poi così remoto.

Se trascurato, il Global Warming potrebbe essere un disastro economico

[video_lightbox_youtube video_id=”WJ2j0npyJv4&rel=false” auto_thumb=”1″ width=”800″ height=”450″ auto_thumb=”1″]

Checché ne dicano i negazionisti — e sono molti di più di quanto si creda — il rapido riscaldamento del pianeta pone due serie minacce legate al sistema finanziario. La prima è legata al  costo dei danni fisici inflitti dal Riscaldamento Globale, un prezzo già alto e che comunque tende ad aumentare coi sempre più frequenti parossismi meteorologici. 

Per esempio, la celebre compagnia assicurativa, i Lloyd di Londra, ha prodotto uno studio che prova a stimare il maggior costo dei premi assicurativi in risposta alle perdite legate al cambiamento climatico, come lo fu in seguito all’uragano Sandy [24]. Un aumento della frequenza e dei costi dei risarcimenti per i danni legati al mutamento climatico, come per le inondazioni, siccità straordinarie e altri fenomeni meteorologici estremi sta già causando miliardi di dollari di perdite per le economie delle nazioni colpite.
Ma non solo, provate a immaginare quanti turisti si recavano a visitare la Grande Barriera Corallina prima del disastro ecologico e la vastità dell’intera filiera economica locale che essa alimentava. Provate a immaginare se tutti i ghiacciai alpini diventassero un ricordo, quale danno sarebbe per le comunità montane che adesso vivono di turismo. E lo stesso discorso varrebbe per le Isole Maldive, gli splendidi atolli polinesiani oppure le nostre meravigliose città costiere, Venezia, Napoli o Genova che rischiano di cedere al mare parte del loro territorio a causa dell’innalzamento delle acque.
I costi assicurativi potrebbero salire così tanto che soltanto poche compagnie potrebbero decidere di coprirle aumentando di molto il costo dei premi mentre altre potrebbero fallire per pagare i risarcimenti dovuti. Intanto le proprietà non assicurate o inassicurabili vedrebbero crollare il loro valore espellendole dal mercato mentre gli investimenti nelle aree a rischio crollerebbero. Lo scenario economico che potrebbe profilarsi col Riscaldamento Globale incontrollato è spaventoso.

Il cambiamento Climatico è uno dei cambiamenti più importanti che [oggi] la società sta affrontando. la […] è una multinazionale che si sta impegnando attivamente nel cercare soluzioni rivolte alla mitigazione e l’adattamento verso il Cambiamento Climatico. Riteniamo che una migliore divulgazione delle informazioni sui rischi e sulle opportunità legate al clima sia di stimolo per i nostri sforzi verso un mondo sostenibile.

La seconda minaccia, più subdola, è rappresentata dagli ancora pesanti investimenti sui combustibili fossili e le tecnologie ad essi collegate. Sulla carta si tratta di investimenti di migliaia di miliardi di dollari, ma essi in fondo dipendono esclusivamente dalla fiducia degli investitori. Ma se questa fiducia dovesse venire meno, la bolla dei subprime del 2007 sembrerà lo scoppio di una miccetta paragonato a una atomica.
Già oggi alcune compagnie finanziarie e le banche nazionali [25][26] si stanno chiedendo se il loro portafoglio sia in grado di sopportare i rischi derivati dal cambiamento climatico e se sia possibile mantenere una certa stabilità finanziaria nel più fosco degli scenari possibili.
Allo scopo di studiare e prevenire le vulnerabilità finanziarie legate al mutamento climatico, nel 2015 il Financial Stability Board diede il via alla Task Force on Climate-related Financial Disclosures. Questa iniziativa ha trovato l’appoggio di grandi banche d’affari come Morgan Stanley e Barclays e di grandi multinazionali come la PepsiCo (quella della Pepsi Cola e della Seven Up) che muovono cifre di migliaia di miliardi di dollari all’anno.

Le grandi contraddizioni della finanza

Anche se apparentemente i rischi legati al mutamento climatico attirano l’attenzione del mondo finanziario globale, sono ancora molte le banche d’affari che sostengono i progetti più estremi di estrazione dei combustibili fossili (carbone, olio da sabbie bituminose e trivellazioni nell’Artico) per una cifra di circa 100 miliardi di dollari all’anno [27].
In fondo il loro mestiere è quello di finanziare i progetti più appetibili in termini di ritorno finanziario e le compagnie petrolifere finora sono ancora quelle che propongono un ritorno quasi sicuro per i prossimi 50 anni.
Ma se questo dovesse cambiare per una mutata volontà politica globale, magari in seguito a un serio incidente ecologico o un grosso scandalo, sarebbe un dramma sia per le compagnie petrolifere che per le banche d’affari che vi hanno investito su. Per questo sia, ovviamente, le compagnie petrolifere che buona parte della finanza globale mirano a mantenere lo status quo.
Mentre la finanza globale sta cercando di trovare il modo di staccarsi da questo intreccio perverso, le compagnie petrolifere cercano in ogni modo di nascondere le loro esposizioni nel timore che si scateni quel panico finanziario che potrebbe annientarle.
Intanto la Shell ha dovuto rinunciare alle trivellazioni artiche e su altri progetti che prevedevano lo sfruttamento di giacimenti bituminosi, mentre la Cina sta mostrando chiari segnali di ripensamento della sua politica energetica  basata sul carbone [28].

Conclusioni

Potrei parlare per intere ore sui tanti aspetti, rischi e prospettive legate al Global Warming. Ripeto che è da stupidi negare le naturali ciclicità — ancora non ben comprese — del clima terrestre, ma lo è altrettanto il negare le gravi responsabilità umane nell’andamento attuale. E se è su questo che abbiamo colpa, allora abbiamo anche il dovere di intervenire. Anche se fosse solo per il più semplice Principio di Precauzione. 
Segnali importanti li abbiamo avuti, curiosamente, dalla crisi economica del 2007. Negli anni immediatamente successivi si è registrato un minore apporto di carbonio nell’atmosfera, per poi riprendere quando quella crisi si è risolta.
Lo sviluppo sempre più importante di fonti energetiche rinnovabili, anche se esse sono ancora un goccia nell’oceano, inizia timidamente a farsi sentire. I prezzi dell’energia da loro prodotta sta spingendo verso il basso anche quella generata dalle fonti tradizionali, buttando fuori mercato le centrali più obsolete ed inquinanti e obbligando al ripensamento dell’intera filiera energetica.
Compagnie automobilistiche come la Volvo stanno studiando come trasferire la loro industria automobilistica verso la trazione elettrica entro 20-30 anni. L’Audi già dal prossimo anno ha deciso di partecipare attivamente nel Campionato Mondiale di Formula E, il campionato riservato alle auto da corsa elettriche. In Formula 1 sono ormai anni che vengono studiati e impiegati i KERS, sistemi di recupero dell’energia cinetica. Queste tecnologie sono impiegate oggi anche nelle normali auto ibride per il recupero dell’energia in frenata che altrimenti andrebbe persa in calore.
Sono piccoli segnali è vero, ma importanti. Anche se piccole e ottuse menti ricordano che ancora per i prossimi anni dovremmo ricorrere ai combustibili fossili per generare l’elettricità necessaria al funzionamento dei nuovi veicoli elettrici, essi non comprendono che è più semplice, immediato e sicuro sequestrare la CO2  [29] da poche unità centralizzate piuttosto che da una miriade di veicoli sparsi in ogni dove, e che questi sarebbero indipendenti dai metodi usati per produrre la loro energia. Energia che potrebbe provenire anche dalle fonti alternative ai combustibili fossili più disparate, riducendo al contempo una importante fonte di inquinamento ambientale vagante.
Città più pulite, meno rumore, meno malattie indotte dall’inquinamento e dalle polveri sottili: questi sarebbero già notevoli risultati collaterali che potremmo già presto raggiungere durante la lotta alla componente antropica del cambiamento climatico.
Alcune case automobilistiche stanno guardando a questo come una grande opportunità, alcune banche di affari e grandi assicurazioni stanno studiando il fenomeno e ne iniziano a comprendere la gravità. Ora resta da convincere i governi, le istituzioni politiche e quelle sindacali, ancora troppo timide e legate al consenso transitorio e le irrazionali paure sociali.

Da Euclide alla vastità del cosmo passando per \(\Lambda\)

Nella prima parte abbiamo visto come una disciplina scientifica, la geometria, che era nata per misurare la terra intesa come territorio, sia anche il più potente strumento in grado di descrivere l’Universo. Menti brillanti come Eratostene di Cirene e Aristarco di Samo, Pitagora ed Euclide e poi Hilbert, Lorentz e Riemann, solo per citare alcuni che ora mi vengono in mente per primi, ci hanno donato gli strumenti migliori per sondare i segreti del cosmo. Ma come tutti gli attrezzi, occorre perizia nell’usarli, e questo è compito dell’intelletto umano, senza il quale, tali strumenti sarebbero inutili.

Adattato e corretto da: Il Poliedrico

Non è affatto facile comprendere le scale cosmiche. Lo scorso esempio dell’isola sperduta ne è un perfetto esempio. Le dimensioni della Terra sono enormi rispetto alla scala umana, mentre quelle del Sistema solare sono quasi al limite della comprensione. Con i mezzi attuali ci vogliono 9 anni per arrivare nei pressi di Plutone e almeno 8 mesi per andare su Marte, il pianeta più vicino. 
Distanze ancora più grandi come quella che ci separa dalla stella più vicina, Proxima Centauri, sono talmente grandi che vengono misurate con lo spazio percorso dalla luce nell’arco di un anno, affinché diventino comprensibili: più di 4 anni luce per arrivare alla stella più vicina al Sole nella Galassia. A sua volta questa è talmente grande che la luce impiega 100 mila anni per attraversarla per intero, ossia un trilione di chilometri, un 1 seguito da 18 zeri (nel sistema metrico internazionale) di chilometri; un numero che fa vacillare la mente al solo immaginarlo.
Eppure questi numeri  sono ancora poca cosa su scala cosmica: dovessimo confrontare le dimensioni della nostra galassia rispetto alla distanza che ci separa dalla galassia più lontana mai osservata, equivarrebbe a paragonare un centesimo di protone alla distanza che separa il Giappone dal Cile, ovvero l’intero Oceano Pacifico! E, come cercherò di spiegare, l’universo osservabile è comunque ancora piccolo rispetto all’intero Universo. Stabilire quanto lo sia non è facile, tutto dipende dalla geometria dello spazio stesso che a sua volta è influenzata dalla quantità di materia/energia scaturita dal Big Bang che è in esso contenuta.

[virtual_slide_box id=”12″]

Geometria non euclidea

La volta scorsa accennai alla somma degli angoli di un triangolo quale misura della forma dell’universo conosciuto, in quel caso l’isola sperduta nell’oceano. Per quanto grandi potessero essere tracciati, in una porzione relativamente piccola di spazio sferico la loro somma non si discosta dai canonici 180° (1π) previsti dalla geometria euclidea. Immaginiamo ora però due navi che vanno verso l’equatore partendo dallo stesso polo ma seguendo meridiani diversi. Entrambe incontreranno l’equatore da una direzione che è perpendicolare ad esso. La somma degli angoli di questo triangolo immaginario non sono i noti 180° ma ben di più. 
La figura animata (passateci il mouse sopra) a fianco illustra ancora meglio il concetto.
Il medesimo discorso vale anche per uno spazio iperbolico ma a condizioni invertite: in questo caso, la somma degli angoli di un triangolo significativamente grande  disegnato su una superficie iperbolica è inferiore ai 180°.  
Tutto questo preambolo ci suggerisce quale sia il percorso da seguire per comprendere la geometria e farsi magari anche una idea delle reali dimensioni dell’Universo, come vedremo più avanti.

La topologia dell’Universo

La geometria locale dell’universo è determinata dalla sua densità. media come indicato nell’articolo. Dall’alto in basso: un universo è sferico se il rapporto di densità media supera il valore critico 1 (Ω> 1, ); in questo caso la curvatura è positiva (κ >0) e si ha il suo successivo collasso (Big Crunch); un universo iperbolico nel caso di un rapporto di densità media inferiore a 1 (Ω <1) e curvatura negativa (< 0) quindi destinato all’espansione perpetua (Big Rip); e un universo piatto possiede esattamente il rapporto di densità critico (Ω = 1, κ=0). L’universo, a differenza dei diagrammi, è tridimensionale.

Come insegna la Relatività Generale, la geometria dell’Universo è condizionata da quanta materia/energia (\(\rho\)) emerse col Big Bang [30]. Perché si abbia un universo euclideo, cioè piatto, occorre che col Big Bang si sia prodotta una certa quantità di materia/energia e che quindi questo abbia una certa densità critica (\(\rho_{c}\)), Una densità più elevata di questa spingerebbe l’universo verso un nuovo collasso, il Big Crunch, mentre al contrario, se fosse poca, l’espansione avverrà per sempre fino alla sua disgregazione ultima.
Il rapporto tra queste due grandezze dice di quanto si discosta l’Universo reale da quello ideale: $$ \Omega\ =\ \frac{\rho}{\rho_{c}}$$
Come ho dimostrato nell’altro articolo è possibile calcolare la densità critica per il nostro Universo \(\rho_c\) direttamente dalla Costante di Hubble \(H_0\).
\(\rho_c\) ci indica quanta materia ed energia dovrebbero esserci nell’Universo affinché questo sia euclideo. Ma tralasciando per un attimo l’apporto della densità energetica associata all’energia del vuoto \(\Lambda\) (l’energia oscura),  vien fuori che nell’Universo ci sono troppo poche materia ed energia, per comodità di linguaggio indicate come materia (materia ordinaria e materia oscura) e materia relativistica (i neutrini e i fotoni) [cite]https://arxiv.org/abs/1303.5076[/cite].

$$ \frac{\rho}{\rho_c}\ =\ \Omega\ =\ \Omega_{m}\ +\  \Omega_{rel}\ +\ \Omega_{\Lambda}$$

  • \(\Omega_{m}\) è tutta la massa ordinaria insieme alla materia oscura \(\left(\frac{\rho_{m}}{\rho_{{m}_{crit}}}\right)\)
  • \(\Omega_{rel}\) indica i quanti di energia (fotoni) e i neutrini \(\left(\frac{\rho_{rel}}{\rho_{{rel}_{crit}}}\right)\)
  •  \(\Omega_{\Lambda}\) rappresenta il rapporto di densità dell’energia  del vuoto \(\left(\frac{\rho_{\Lambda}}{\rho_{{\Lambda}_{crit}}}\right)\)

I dati forniti dal satellite ESA Planck indicano che le quantità di materia, ordinaria e oscura, e l’energia sono troppo poche — circa il 30% — del valore necessario a produrre un universo euclideo; eppure gli stessi dati indicano che l’interno del nostro orizzonte, fin dove cioè è per noi possibile vedere, 13.8 miliardi di anni luce, l’Universo appare euclideo, piatto.
Dovremmo aspettarci un Universo aperto, ma invece non lo è, esattamente come la superficie del mare che circonda la nostra isola nel vasto oceano ci appare piatta.
In conclusione il nostro orizzonte è soltanto una minuscola porzione di un universo molto più vasto che metricamente si espande per effetto del restante 70%, \(\Omega_{\Lambda}\), la densità energetica del vuoto che alimenta la sua espansione e che lo fa apparire sostanzialmente piatto nella nostra scala.

La scala dell’Universo

Quando si tenta di dare una scala all’Universo spesso ci si dimentica che, essendo la velocità della luce finita e assoluta, quando si scrutano gli oggetti lontani si vedono come erano al tempo della luce da loro emessa o riflessa. Per esempio, quando si osserva Marte, lo si vede non come è ora ma come era quasi cinque minuti fa.  E se idealmente dovessimo sparare con una pistola contro di esso, prendere accuratamente la mira non servirebbe, perché nel tempo che impiegherebbe il proiettile a raggiungerlo, il pianeta si è spostato lungo la sua orbita.
La stessa cosa avviene per tutto il resto: M31, la galassia di Andromeda, che è anche l’unica che ci viene incontro, la vediamo come era 2,5 milioni di anni fa, quando ancora dell’uomo non c’era ancora traccia, ma intanto questa nel frattempo si è avvicinata a noi di quasi 9 milioni di miliardi di chilometri, un numero che è ancora comunque un’inezia su scala cosmica.

Rappresentazione artista del’aspetto reale dell’orizzonte visibile dell’Universo. Esso è solo una minuscola frazione di un intero molto più grande. Credit: Pablo Carlos Budassi

Quando noi guardiamo nei recessi dell’Universo visibile vediamo galassie a noi lontanissime nello spazio ma anche nel tempo. Osservare la galassia più lontana significa vederla anche com’era 13 miliardi di anni fa e in tutto questo tempo le dimensioni dell’Universo sono cambiate. 
Un altro aspetto da non sottovalutare è che l’espansione metrica dell’Universo sta anche accelerando. Questo significa che per un calcolo più accurato occorre tenere d’occhio anche questo aspetto, e non solo. Durante la sua esistenza, l’Universo ha attraversato epoche in cui l’energia, la materia oscura e poi la materia barionica hanno dominato sulle altre, e i loro effetti sull’espansione dell’Universo sono stati diversi [cite]https://arxiv.org/abs/0803.0982[/cite].
A questo punto diventa chiaro che non è possibile fare riferimento alle normali coordinate spaziotemporali come siamo abituati a fare normalmente, ma occorre pensare a sistemi che siano invarianti in un certo istante di tempo cosmologico. A parole sembra difficile ma in pratica è semplicemente un modo per descrivere come potrebbe apparire l’universo in un istante particolare, come scattare una foto istantanea della scena. Questo è il concetto che è alla base delle coordinate comoventi, un sistema di coordinate dove l’espansione metrica dello spazio e lo scorrere del tempo sono ininfluenti 1.
Non sto a ripetere tutti i lunghi passaggi matematici necessari a calcolare le dimensioni attuali dell’Universo. Esempi di questi calcoli sono qui riportati in fondo all’articolo [cite source=’doi’]10.4006/0836-1398-25.1.112[/cite] [31] [cite]10.1088/0067-0049/192/2/18[/cite] [cite]https://arxiv.org/abs/astro-ph/9905116[/cite]. Chi è seriamente interessato a questo studio, qui trova molto materiale interessante.

Conclusioni

In conclusione noi possiamo vedere soltanto una minuscola parte di un universo molto più grande.
Per effetto dell’espansione metrica dello spazio, al momento in cui scrivo l’orizzonte a noi visibile, chiamato anche raggio o spazio di Hubble 2 che è di 13.8 miliardi di anni luce, ma le più lontane galassie che ancora osserviamo sono già a 46 miliardi di anni luce di distanza da noi ( orizzonte cosmologico attuale espresso come distanza comovente) e la loro luce che ora, nel tempo a noi attuale che potremmo chiamare anche momento cosmologico, emettono non ci raggiungerà mai. 
Il grado di confidenza con cui vengono misurati gli angoli all’interno del nostro orizzonte cosmologico ci permettono di stimare l’ampiezza della curvatura (\(\Omega_{\kappa}\)) dell’Universo: per le rilevazioni del satellite Planck [cite]https://arxiv.org/abs/1303.5076[/cite] \(\Omega_{\kappa}\) vale tra -0.001 e -0,0005: come dicevo, un valore molto piccolo, praticamente impercettibile anche per la nostra scala cosmologica.
Basandoci però su questi dati vien fuori che il raggio dell’intero nostro Universo potrebbe essere almeno 88 volte ancora più grande della lunghezza di Hubble, 1214 miliardi di anni luce. Altre stime spingono fino a 230 e a 400 volte il raggio visibile, solo futuri dati ancora più precisi potranno dirci quanto e quali di queste si avvicinano al vero.

Euclide, Pitagora, Riemann e tantissimi altri grandi pensatori e scienziati ci hanno donato la capacità di poter dare forma e dimensioni, entro un certo grado di libertà ovviamente, a ciò che non possiamo vedere, esattamente come Eratostene di Cirene poté dare forma e dimensioni alla Terra senza poterla mai né vedere o misurare direttamente. Questa è la più grande conquista che il genere umano potrà mai ottenere: la capacità di pensare.

Eratostene e la vastità del cosmo

Tra le cose più straordinarie e difficili da spiegare sono le dimensioni reali dell’Universo. In effetti la stima reale è molto difficile ma non impossibile. E non è quello che comunemente si è portati a credere. Anche stavolta partiamo da lontano, dall’inizio.

Esperimento di Eratostene

Credit: Il Poliedrico

Immaginate di essere nati e cresciuti su un’isola sperduta. Dal punto più in alto di quest’isola vedreste solo mare in tutte le direzioni, fino all’orizzonte; anche da lassù non notereste la curvatura del pianeta e, per quanto vi sforziate a disegnare triangoli sempre più grandi, la somma dei loro angoli continuerebbe a restituirvi 180 gradi (questo è fondamentale per la continuazione del discorso). Potreste facilmente arrivare alla conclusione che il mondo sia tutto lì e piatto, e in effetti tutto l’universo osservabile per voi sarebbe quello.
In effetti l’idea della Terra Piatta, che oggi ci fa sorridere, ebbe origine proprio così, la mancanza di osservazioni dirette della sfericità del globo all’inizio fece credere proprio questo: anche se un osservatore fosse salito sul monte più alto non avrebbe avuto modo di capire che la Terra è così vasta rispetto alla scala umana che è impossibile percepire ad occhio la sua curvatura.

Ma nel II secolo avanti Cristo tutto cambiò. L’espansione della cultura greca era all’apice e così anche la sua scienza. Eratostene di Cirene, astronomo e filosofo vissuto proprio in quel periodo, fece un paio di importanti osservazioni.

Gli astri sono sfere

img_8719

Eclissi di Luna del 15 giugno 2011.La Luna sta oltrepassando l’ombra della Terra ed è evidente la rotondità della penombra.Una Terra piatta non avrebbe potuto generare una simile ombra.
Image credit: Umberto Genovese.

Durante le eclissi di Luna l’ombra proiettata dalla Terra sulla Luna è rotonda; la Luna stessa e il Sole lo appaiono. Anche le sfere da qualsiasi angolo si guardino sembrano dei circoli perfetti. Quindi anche la Luna, e il Sole e per estensione la Terra devono esserlo, altrimenti questi astri dovrebbero apparire ovoidali per la maggior parte dell’anno.
Questa importante osservazione potrebbe essere già stata fatta anche in precedenza da altri osservatori, ma è la chiave per capire meglio il pensiero dello scienziato.
Eratostene sapeva che la Terra è una sfera.

Il pozzo e l’obelisco

Al solstizio d’estate la luce del Sole nella città di Syene, l’odierna Assuan, non proietta ombre: la luce solare raggiunge direttamente il fondo dei pozzi e delle cisterne; non è così invece ad Alessandria d’Egitto, circa 800 chilometri più a nord.
La realtà è però appena un po’ più complessa; Assuan non è proprio sul Tropico del Cancro e Alessandria d’Egitto non è esattamente sullo suo stesso meridiano, ma in fin dei conti l’importante è la validità del ragionamento di Eratostene.

Partendo dal rapporto che esiste tra l’ombra proiettata dagli edifici e la loro altezza è possibile ricavare l’angolo di incidenza della luce del Sole. Misurando quest’angolo nel giorno del solstizio ad Alessandria e considerando perpendicolare il Sole ad Assuan il medesimo giorno, Eratostene elaborò la sua idea. Poi, basandosi sui rapporti dei mensores regii — i cartografi reali che ogni anno stilavano le mappe nei regni ellenistici per fini fiscali — provò a stimare le dimensioni del Globo.
Il concetto è abbondantemente spiegato dalla figura qui sopra: l’angolo incidente prodotta dall’ombra è uguale all’angolo del settore circolare avente origine dal centro della sfera, in questo caso la Terra. Essendo l’angolo una parte dell’intero, 360°, allora la stessa distanza tra le due città moltiplicata per il rapporto precedente restituisce le dimensioni del pianeta.
Eratostene stimò che l’ombra proiettata generasse un’angolo grande un cinquantesimo di angolo giro, 7,2° 1 e che la distanza tra le due città fosse di 5000 stadi egizi. In conclusione stimò che la Terra avesse 250 000 stadi di circonferenza, ossia 39 375 chilometri; soltanto 700 chilometri in meno di quanto fosse in realtà 2, 40 075 km.

La scala cosmica

Stimando la circonferenza della Terra, Eratostene di conseguenza ne calcolò ovviamente anche il raggio. Questo spinse l’astronomo ellenista anche a cimentarsi nel misurare le dimensioni della Luna e della sua orbita. 

Nel 270 a.C. un altro astronomo greco, Aristarco di Samo, aveva provato a misurare l’orbita lunare stabilendo che in una eclissi la Luna impiegasse circa 3 ore per attraversare il cono d’ombra della Terra. Ipotizzando che l’ombra terrestre fosse uguale per dimensioni alla Terra e infinita nella sua proiezione, il prodotto in ore fra un’orbita completa e il transito nella zona d’ombra indica la distanza, in diametri terrestri, tra la Terra e la Luna: $$\frac{30 \times 24}{3} \ = \ 720 \ / \ 3 \ = \ 240$$
Da questo calcolo Aristarco stabilì che l’orbita lunare (all’epoca si parlava di sfere celesti) avesse una circonferenza pari a 240 volte il diametro terrestre.In realtà la lunghezza dell’orbita lunare è di 2 413 402 km, mentre il diametro terrestre è di 12 742 km. Un rapido calcolo ci indica che in realtà son solo 189.4 volte il diametro della Terra. Aristarco peccò mettendo la sfera della Luna 8 diametri terrestri più in là del dovuto.
Oggi sappiamo che la durata di ogni eclissi varia dalla posizione orbitale in cui la Luna intercetta l’ombra della Terra — che non è affatto un cilindro ma un cono — e che quasi sicuramente l’astronomo greco confuse il mese sinodico (il tempo che impiega la Luna a raggiungere la stessa posizione rispetto al Sole, ad esempio due noviluni, circa 29,53  giorni) col mese siderale (il tempo che la Luna impiega per percorrere un’orbita completa attorno alla Terra, circa 27,32 giorni); a questo uniamoci che ancora non esistevano mezzi efficaci per misurare il tempo ed ecco spiegato perché il metodo di Aristarco, corretto nel ragionamento, dette risultati che oggi sappiamo errati.

Questa volta però Eratostene usò una stima assai grossolana del disco lunare, derivata forse da una mala interpretazione dei precedenti calcoli di Aristarco. Assunse che il disco lunare fosse grande 2 gradi, quando in realtà questo è molto più piccolo, circa 32 primi d’arco, falsando così di quasi quattro volte tutta l’operazione di calcolo. Questo lo spinse a credere che l’orbita lunare fosse solo 180 volte il diametro del satellite. Al pari di Aristarco anche Eratostene immaginò che l’ombra della Terra fosse un cilindro i cui vertici superiori sono rivolti verso l’infinito, e stimò dal transito umbrale durante una eclissi che questa fosse tre volte più grande della Luna. Comunque in sintesi questi furono i risultati di Eratostene:


[table “83” not found /]

Se egli avesse invece usato la dimensione angolare corretta si sarebbe avvicinato molto di più al dato reale: 2 861 804.82 chilometri per un raggio orbitale di 455 470 km, solo 70 mila chilometri di scarto contro i 100 mila del metodo di Aristarco. Questo significa che anche errare un dato, anche il più banale come in questo caso, spesso può vanificare il più buono dei propositi 3.

Questi sono solo un paio di esempi di come l’uomo avesse da sempre cercato di dare una misura  al mondo che lo circonda per poi cercare di carpirne i segreti. I due scienziati ellenici non avevano orologi atomici, laser e riflettori sulla Luna, neppure il cannocchiale di Galileo o compreso l’isocronismo dei pendoli. Eppure usando lo spirito di osservazione e l’intelletto cercarono, e quasi ci riuscirono, a misurare la Terra e quanto fosse distante la Luna.
Piccoli passi che però ci avvicinano alla prossima domanda: ma quanto è grande l’Universo?