Quanti anni ha la Terra?

Agli inizi del 20° secolo, gli scienziati ancora non erano sicuri di quanto la buona, cara e preziosa Terra sia vecchia. Al giorno d’oggi, gli scienziati usano sistemi radiometrici su vari tipi di roccia – sia terrestri ed extraterrestri – per individuarne l’età.
Molti grandi pensatori nel corso della storia c’hanno provato. Per esempio, già nel 1862 Lord Kelvin calcolò quanto tempo la Terra avrebbe impiegato per raffreddarsi dal suo originale stato fuso. Arrivò a determinare che  la Terra era nata tra 20 e 400 milioni di anni di anni fa. Oggi gli scienziati ritengono che la risposta sia sbagliata nella sostanza ma non nella forma,  in quanto  Kelvin basò sul ragionamento logico e su basi matematiche il suo studio.
Oggi gli scienziati cercano di determinare l’età della Terra attraverso lo studio degli strati di roccia del nostro pianeta, pensando che essi si siano creati col tempo. Chiunque può vedere questi strati di roccia e osservare una sezione di una montagna, magari percorrendo una strada che le scorre in mezzo. Ma gli strati rocciosi non rivelano il segreto dell’età della Terra tanto facilmente, il loro messaggio è molto difficile da decifrare. Quanti anni ha dunque la Terra? 
Abbiamo visto che ancora agli inizi del 20° secolo esistevano molte perplessità irrisolte, come ad esempio che l’età stimata di alcuni fossili indicasse date piu antiche della Terra stessa o che l’età del Sole alla luce delle scoperte di Bethe  sui meccanismi energetici delle stelle fosse molto più alta di quanto fosse mai stato prima supposto. Tuttavia, studiando gli strati di roccia depositati col passare delle ere, gli scienziati giunsero a credere che la scala di età della Terra non fosse misurabile in milioni di anni, ma in miliardi di anni.
I m
oderni metodi di datazione radiometrica  sono venuti alla ribalta tra il 1940 e il 1950. Questi metodi si basano sul principio del decadimento degli atomi di un elemento chimico in un altro,
ovvero sul fatto che alcuni elementi molto pesanti possono decadere in elementi più leggeri, come l’uranio che ad esempio decade in piombo. Lo studio di questo processo naturale ha dato luogo alla tecnica nota come datazione radiometrica.
Questo metodo si basa sul confronto tra la quantità misurata di un elemento radioattivo presente in natura e dei suoi prodotti di decadimento, ipotizzando un tasso costante di decadimento, conosciuto come tempo di dimezzamento o emivita.
Utilizzando questa tecnica, gli scienziati sono in grado attraverso l’analisi dei campioni di crosta terrestre, di ricavare le quantità di uranio e di piombo in esse presenti e il rapporto di questi valori con il tempo di dimezzamento in una equazione logaritmica, determinando così l’età delle rocce. 
Nel corso del 20° secolo, gli scienziati hanno documentato decine di migliaia di misurazioni età radiometriche. Considerate nel loro insieme, questi dati indicano che la storia della Terra si estende a ritroso dal presente ad almeno 3,8 miliardi anni nel passato.
Inoltre,  si suppone che la Terra  sia costituita degli stessi elementi  e si sia formata insieme al nostro sistema solare, quindi gli scienziati utilizzano il metodo delle datazioni radiometriche per determinare l’età di oggetti extraterrestri, come le meteoriti. Esse sono rocce provenienti dallo spazio che orbitano attorno al nostro Sole ma che vengono intercettate dal nostro pianeta durante la sua orbita. Allo stesso modo, sono state studiate le rocce lunari portate (sarebbe meglio dire riportate, ma questo sarà argomento su un futuro articolo sulla genesi della Luna) dagli astronauti.
Presi insieme, questi metodi danno risultati che suggeriscono  l’età della nostra Terra, dei meteoriti, e della Luna (e per deduzione quindi del nostro sistema solare) compresi tra i 4,5 a 4,6 miliardi di anni.  

  

Liberamente tratto da un articolo apparso su EartSky

National Laboratory Pathfinder – Cells – 3: Biocarburante dalla Jatropha curcas (NLP-Cells-3)

La Jatropa curcas è una pianta velenosa originaria del Centro America che sopravvive tranquillamente nelle zone aride senza acqua e particolari cure e attecchisce come la gramigna. I suoi semi contengono il 30-35 per cento di un olio non commestibile ma che trattato può essere usato come biodiesel. L’olio è di ottima qualità e può essere tranquillamente mescolato col diesel tradizionale. Tuttavia, la J. curcas non è attualmente coltivata come un raccolto, dal momento che non esistono cultivazioni commerciali. Nell’attesa di una futura fonte energetica pulita e stabile, questa soluzione permetterebbe lo sfruttamento agricolo di ampie zone desertiche della Terra senza intaccare le coltivazioni tradizionali destinate all’alimentazione umana, e il recupero della CO2 dalla nostra atmosfera.


 


Sintesi

Con l’esperimento National Lab Pathfinder – Cells – 3 (NLP-Cells-3) svolto sulla Stazione Spaziale Internazionale si valutano degli effetti della microgravità sulle cellule della pianta Jatropha curcas. Lo scopo dello studio è di verificare i potenziali effetti della microgravità sul miglioramento delle caratteristiche quali la struttura delle cellule, la crescita e lo sviluppo, per accelerare il processo di allevamento di nuove cultivar di J. curcas per uso commerciale. Una riproduzione accelerata potrebbe consentire  di utlizzare la J. curcas come coltura alternativa per l’estrazione di energia (o di biocarburanti).  

Rcercatore principale 

Wagner Vendrame, Ph.D., University of Florida, Homestead, FL

Collaboratore 

John Wayne Kennedy, Zero Gravity, Inc. Stevensville, MD

 

Finanziatori della ricerca 

BioServe tecnologie spaziali, University of Colorado, Boulder, CO Zero Gravity Incorporated, Stevensville, MD Agenzia promotrice
National Aeronautics and Space Administration (NASA) Spedizioni con destinazione

Sintesi della ricerca

 La National Lab Pathfinder – Cells – 3 (NLP-Cells-3) è una indagine in collaborazione con Zero Gravity Incorporated (ZGI) e l’Università della Florida che aiuta a comprendere meglio gli effetti della microgravità sui sistemi viventi. L’esperimento  valuta i cambiamenti nella struttura cellulare, la crescita, lo sviluppo e l’espressione genica nelle colture cellulari di  Jatropha curcas  esposte a microgravità. Si pensa che i dati raccolti possano aiutare ad accelerare il processo di selezione per lo sviluppo di nuove coltivazioni di  J. curcas per la commercializzazione negli Stati Uniti. Ciò consentirebbe l’inserimento di un importante impianto di biocarburanti come una delle colture alternative di energia per gli Stati Uniti.
L’obiettivo di questa ricerca è quello di verificare i potenziali effetti della microgravità sul miglioramento delle caratteristiche di interesse per lo sviluppo di nuove coltivazioni di J. curcas. Obiettivi specifici comprendono la valutazione dei cambiamenti nella struttura delle cellule, la crescita e lo sviluppo. Inoltre, l’esperimento si propone di valutare l’espressione differenziale del gene nelle colture di cellule
in J. curcas, come affetti da condizioni di microgravità. Tale scoperta potrebbe accelerare il processo di selezione per lo sviluppo di nuove varietà di  J. curcas Analisi da eseguire si comprendono le misurazioni della crescita cellulare e lo sviluppo, la valutazione istologica della struttura cellulare usando la microscopia elettronica a trasmissione (TEM), e l’espressione genica differenziale utilizzando la tecnologia dei microarray.  Analisi istologiche e genetiche saranno condotte prima e dopo il viaggio nello spazio. La cresci

ta cellulare e dello sviluppo saranno valutate al rientro. Una parte delle colture cellulari saranno valutate per la rigenerazione delle piante al ritorno sulla Terra e saranno utilizzate per ulteriori analisi morfologiche e genetiche. 

SETI@home, un'opportunità per la razza umana.

Il 21 maggio prossimo per me sarà una data importante, infatti saranno dieci anni che partecipo al progetto http://setiathome.berkeley.edu/.
Cos’è il progetto SETI@home? È una iniziativa di ricerca mondiale che sfrutta i tempi morti dei computer connessi ad Internet per analizzare le ricezioni  di grandi radiotelescopi che abbiano montato un hardware particolare che non interferisce con i normali programmi di ricerca e di studio, il SERENDIP IV SETI, il programma  di ricerca si propone di monitorare la banda delle microonde intorno ai 21 cm di lunghezza d’onda (tra 1,4 e 1,6 GHz) alla ricerca di segnali radio provenienti da civiltà extraterrestri che si presume siano in possesso di una opportuna tecnologia radio che gli consenta di comunicare con noi (vedi i precedenti post Dove sono l’omini verdi… ).
In un mondo individualista dove la memoria si annebbia già alla colazione precedente, tutto ciò che non porta a risultati immediati e tangibili subito tende ad essere bandito, così come nella ricerca pura ci si attendono troppo spesso dei risultati addirittura prima che questa abbia  avuto inizio. Questa quindi non è più ricerca, è pianificazione e tutto ciò che si allontana dalla stupida e illogica concezione capitalista tende ad essere accantonato, come è successo al vecchio programma SETI, come ora sta purtroppo succedendo con lo Space Shuttle (accusato di essere troppo costoso), alla ricerca sui farmaci per le malattie rare etc.
Ritengo invece importante questa ricerca perché comunque vada potrà determinare il futuro dell’intera razza umana dimostrando che non siamo l’unica forma di vita senziente in quest’angolo di universo e conseguentemente ponendo le basi per una profonda riflessione spirituale su cosa è l’Uomo senza gli inutili e pericolosi orpelli con cui le religioni  si sono ammantate, dogmi dannosi che hanno l’unico scopo di negare la libertà di pensare agli uomini. Qualora il progetto SETI@home dovesse essere un fallimento, un’altra riflessione filosofica si renderebbe comunque urgente: vista la rarità delle forme di vita senzienti in quest’angolo di universo e su questo pianeta, è giusto continuare a sfruttarlo indiscriminatamente come facciamo portandoci sull’orlo dell’estinzione? Non sarebbe meglio ripensare alla reale necessità per l’umanità di parametri stolti come  il dogma della crescita del PIL? Spesso quando sento parlare i vari economisti mi domando se siamo davvero noi umani la razza senziente di questo pianeta o se piuttosto convenga attribuire questo titolo ai piccioni.
Comunque vada il progetto SETI@home, un motivo per riflettere seriamente sul nostro futuro c’è; come diceva il Drake: «la mancanza dell’evidenza non significa l’evidenza della mancanza»
Proprio per questi motivi ho deciso di dedicare questa macchina 24h su 24 al progetto SETI@home e di fare una mia modesta donazione all’Università di Berkeley quale dono per il mio compleanno.

L’estinzione prossima ventura

In questi mesi molti mi hanno chiesto lumi sul prossimo distruttore dell’umanità, magari di quella parte che sarà sopravvissuta al 22 dicembre 2012, che prima era passata indenne al Millennium Bug e alle varie pestilenze bibliche come il 9/11/2001, alle aviarie e influenze più o meno contagiose.
Il pericolo adesso è un asteroide che si chiama 99942 Apophis e che nel 2029 (il 13 aprile) ci dovrebbe passare sopra la testa a 36-37 mila chilometri, poco più in là della distanza dei satelliti stazionari, e circa un decimo della distanza tra la Terra e la Luna.
Certo su scale come il sistema solare è un niente, ma comunque ce la dovremmo scampare anche questa volta.
Un grosso handicap è dovuto al fatto che di questi asteroidi, che comunque farebbero un bel danno in caso di collisione (basti pensare che l’evento di Tunguska del 1908 fu provocato da un asteroide di appena 30 metri) non ne conosciamo esattamente la massa, le dimensioni e i dati orbitali, ma solo di stime che, per quanto accurate, non permettono previsioni certe, basti pensare che il computo della sua massa e traiettoria orbitale sono in continua revisione da parte degli astronomi e di conseguenza il rischio di una collisione.
Dopo l’incontro del 2029, Apophis avrà quasi sicuramente un’orbita diversa dall’attuale, pertanto fare previsioni future in mancanza di dati certi è un po’ azzardato, ma ci possiamo addentrare anche in questo scenario, che vedrebbe il 3 giugno del 2036 come data per un possibile futuro pericolo.
Però questo lo potremmo sapere solo nel 2013, quando verrà attivata una campagna di misurazioni nel momento del passaggio più favorevole, che dovrebbero definitivamente dire se esiste qualche pericolo e studiare eventuali contromisure da prendere.
Contrariamente al comune sentire, nuclearizzare l’asteroide non è una bella idea, non si farebbe altro che disseminare l’orbita dell’asteroide con frammenti un po’ più piccoli: magari avremmo qualche stella cadente in più da vedere, ma il grosso della massa dell’asteroide ci piomberebbe in capo comunque sotto forma di decine di un po’ più piccoli oggetti, molto più difficili da vedere e neutralizzare che un affare di 350 metri di diametro (che però non è sferico, somiglia di più a una patata).
L’unica alternativa quindi è quella di modificarne l’orbita, personalmente vedo solo un modo per farlo con le tecnologie attuali: la vela solare.
Una sonda automatica potrebbe sparare sulla superfice dell’asteroide degli arpioni che poi dispiegherrebbero dei grandi fogli di alluminio e fibra di carbonio più sottili del domopack i quali sotto la pressione della luce del Sole nel vuoto dello spazio imprimerebbero all’oggetto una spinta tale da modificarne i parametri orbitali e conseguentemente il rischio di una collisione con la Terra.
L’unico inconveniente è che perché un progetto di questo tipo abbia successo è il tempo, perché la quantità di moto trasferita è molto bassa, anche se costante.
Teoricamente si potrebbe portare l’asteroide anche fuori dal sistema solare facendogli raggiungere velocià superiori a quelle ottenibili con i propulsori tradizionali, ma a noi interesssa solo che non ci piombi addosso.
Quindi niente raggi trattori alla Star Trek o bombe atomiche come nei film catastrofici del XX secolo, solo il vento solare e una vela (per viaggiar verso le stelle).
Comunque non c’è solo 99942 Apophis a poter turbare la nostra tranquilla vita fatta di guerre, minacce nucleari e cataclismi più o meno naturali, inventati o reali, ma un’altro asteroidino più piccino, di soli 130 metri e anche lui somigliante più a un tubero che a una bilia: si chiama 2007 VK184, e lui potrebbe diventare pericoloso il 3 giugno del 2048, ma c’è da star tranquilli, per quella data se non ci saremmo autodistrutti prima ce la caveremo ancora.

Dove sono l’omini verdi…(terza parte)

Grazie al metorite ALH84001 possiamo supporre che comunque siano esistite altre forme di vita elementare extraterrestre nel nostro sistema solare e quindi di riflesso si può altrettanto ragionevolmente supporre che nel caso vengano rispettati certi parametri chimico-fisici importanti, la vita sia in grado di svilupparsi comunque e ovunque all’esterno del nostro pianeta.
Il concetto di cosa si possa definire
vita per ora lo lascio ai biologi e ai filosofi, vista l’enorme complessità dell’argomento, ma vorrei un attimo ripartire da quello che noi per certo siamo: forme di vita a base di carbonio.
Il carbonio è un elemento atomico estremamente reattivo capace di legarsi con gli altri elementi in virtù delle sue straordinarie proprietà fisiche quasi uniche, dando origine così a molecole estremamente complesse, che a loro volta possono unirsi fra loro fino a originare catene di amminoacidi, e poi ancora più su fino a produrre sistemi organici complessi in grado di autoriprodursi in un ambiente favorevole, ossia la vita.
Nel 1928 nell’ambito delle ricerche per la radiocomunicazione transatlantica la Bell Telephone Company dette l’incarico a un ingegnere radio di studiare i radiodisturbi sulle onde corte; il giovane ricercatore si chiamava Karl Jansky, il quale costruì un’antenna girevole per scoprire la provenienza dei disturbi radio sulla lunghezza d’onda di 14,5 metri, con cui scoprì alla fine che i disturbi provenivano da una regione del cielo precisa e che essi seguivano precisamente una rotazione ogni 23 ore e 56 minuti: esattamente un giorno siderale, dimostrando così la loro origine extrasolare, infatti il segnale proveniva dalla direzione del Sagittario ossia dal nostro centro galattico; così nacque la radioastronomia.
In seguito furono costruite antenne apposite sempre più grandi e sofisticate in grado di ascoltare porzioni di cielo con una risoluzione tale da arrivare quasi a competere coi telescopi ottici (grazie anche all’ingegnoso uso della tecnica dell’interferometria), capaci di “vedere” un campo di calcio posto sulla Luna. Con i radiotelescopi sono state analizzate le nubi di polveri e gas della galassia, con lo scopo di studiarne le dimensioni ed evoluzione e all’interno di queste sono state trovate le
firme radio di molti composti organici del carbonio e di interi gruppi di amminoacidi, i precursori della vita a base di carbonio quale la conosciamo! Quindi per ora nessuna civiltà aliena ci è apparsa, ma comunque abbiamo scoperto che forse forse la vita a base di carbonio potrebbe essere diffusa molto di più di quello che ci aspettavamo.
In questo campo nel 1960 prese il via il progetto OZMA diretto dal radioastronomo Frank Drake, che dal radiotelescopio di Green Bank in Virginia esaminò 2 stelle, Tau Ceti ed Epsilon Eridani per la loro somiglianza al nostro Sole, allo scopo di individuare segnali radio provenienti da una civiltà paragonabile alla nostra. Lo studio durò appena 4 mesi ma non produsse alcun risultato.
Frank Drake formulò un’equazione per tentare di stimare quante potessero essere le civiltà con cui potremmo entrare in contatto nella nostra galassia, la celeberrima equazione di Drake appunto:
N = R^{*} ~ \times ~ f_{p} ~ \times ~ n_{e} ~ \times ~ f_{l} ~ \times ~ f_{i} ~ \times ~ f_{c} ~ \times ~ f_{m} ~ \times ~ L
dove i parametri sono:
  • N è il numero di civiltà extraterrestri evolute presenti oggi nella Galassia
  • R* è il tasso medio di formazione stellare nella Via Lattea

  • fp è la frazione di stelle che possiedono pianeti
  • ne è la frazione di pianeti per sistema solare con le condizioni adatte ad ospitare forme di vita
  • fl è la frazione dei pianeti ne che abbiano sviluppato la vita

  • fi è la frazione dei pianeti fl su cui si sono potuti evolvere esseri intelligenti

  • fc è la frazione di civiltà extraterrestri in grado di poter comunicare via radioe che ne abbiano l’intenzione 

     

  • fm è la frazione di civiltà in grado di raggiungere e colonizzare più pianeti (non sempre questa frazione viene presa in considerazione)
  • L è la stima della durata che queste civiltà evolute che siano in grado di trasmettere segnali nello spazio.
Io invece preferisco usare una versione modificata,  che ritengo più corretta, di quest’equazione perché stabilire un tasso medio di formazione stellare penso abbia poco senso, ci sono durante la vita di una galassia dei fenomeni di quiescenza delle nascite come delle esplosioni demografiche in nubi magari che sono troppo vicine al nucleo galattico che come vedremo possono influire sulle possibilità di sviluppo di forme di vita.
  • N* è la quantità di stelle aventi le caratteristiche chimico-fisiche adatte allo sviluppo di forme di vita.
  • LD è la frazione di spazio racchiusa da una bolla avente come raggio la stima della durata che queste civiltà evolute che siano in grado di trasmettere segnali nello spazio moltiplicata per la velocità della luce.
e ora viene il bello: perché riuscire a dare un valore limite a questi parametri non è affatto semplice e scontato, ma proviamoci: 

 

N*: si stima che nella Via Lattea siano presenti dai 200 ai 400 miliardi di stelle e, per essere generosi una volta tanto, prendiamo la cifra più alta; da questo valore togliamo le stelle più interne della galassia e le stelle multiple che non potrebbero dare orbite sufficientemente stabili ai loro eventuali pianeti (per cui niente pianeti come Tatooine di Star Wars); poi esiste un problema di metallicità (in astrofisica si intende per metallicità la quantità di elementi chimici più pesanti dell’elio) del sistema stellare da tenere in considerazione: una stella molto vecchia si è originata probabilmente da una nube di idrogeno primordiale , non contaminata quindi da precedenti esplosioni di supernova, per cui gli elementi pesanti sono assenti in quanto questi si formano durante il processo di fusione nucleare che dà energia alle stelle e, se non c’è il materiale per produrre pianeti, e non ci sono il carbonio e l’ossigeno per le strutture molecolari, ovviamente sarà impossibile in queste condizioni che si generi la vita, quindi diciamo che una stima presumibilmente corretta possa essere attorno ai 50 miliardi di stelle.

 

fp: la percentuale che una stella possa avere pianeti che le orbitano attorno è piuttosto alta, ammettiamo pure che più della metà delle stelle possa avere un sistema planetario residuo della sua formazione, quindi qui diamo valore 7/10=0,7.
ne: un pianeta che sia in grado di ospitare la vita quale la conosciamo deve avere una condizione orbitale stabile per un lungo periodo e ricevere la giusta quantità di energia che consenta l’esistenza dell’acqua allo stato liquido, elemento questo essenziale per le forme di vita a base di carbonio. Quindi l’ecosfera stellare potrà avere un piccolo raggio per le stelle di piccola massa e un raggio molto più grande per le stelle più massicce, ma quest’ultime sono inadatte all’evoluzione della vita visto che vivono solo qualche centinaio di milioni di anni, quindi ammettiamo un pianeta su dieci (come nel nostro sistema solare) rispetti queste caratteristiche e che una stella in media possa avere almeno 5 pianeti: 1/10 x 5 =0,5.
fl: abbiamo visto come la vita si sappia adattare a condizioni ambientali estreme e che quindi ovunque le si presentino occasioni possibili questa si sviluppi, ma anche altri fattori posso contribuire alla negazione di condizioni favorevoli per cui potremmo trovare che la salomonica proposta vita-si/vita-no al 50% sia ragionevole: allora 0,5.
fi: Qui però entriamo nel campo della filosofia: ma se diamo un sufficiente lasso di tempo dalla nascita delle prime forme di vita, prima o poi queste potranno solo evolvere in forme più complesse, come è successo sul nostro pianeta, con l’evoluzione dell’intelligenza o estinguersi o rimanere staticamente ad un livello primitivo, ma un delfino o un’orca sono senza dubbio animali intelligenti, però non potrebbero mai sviluppare una civiltà tecnologica come la conosciamo noi, basata sul fuoco, d’altronde società organizzate come quelle delle formiche o delle api non sono il frutto di una intelligenza senziente; quindi abbiamo due gruppi di tre opzioni ciascuno che supponiamo abbiano la stessa probabilità di accadere: (1/3=0,33)x(1/3=0,33)=0,1
fc: La storia dell’Homo Sapiens inizia circa 36-40 mila anni fa e le civiltà più antiche hanno solo 7-10 mila anni e in questo lunghissimo (per noi) lasso di tempo sono solo meno di 100 anni che abbiamo la tecnologia radio e che potrebbe essere presto soppiantata da tecnologie più sofisticate che fanno uso di fibre ottiche al posto delle usuali trasmisioni elettromagnetiche; anche i satelliti artificiali con le loro parabole direzionali rivolte verso di noi contribuiscono a limitare le radioemissioni involontarie dei broadcast radiotelevisivi nello spazio, ben presto potremmo far sentire la nostra voce nel cosmo solo se lo vorremmo, ma le altre eventuali civiltà extraterrestri vorranno comunicare con noi e se sì dove dovranno puntare i loro trasmettitori? mah… io qui suggerico solo un desolante 4 per mille usando la storia umana come riferimento e un 50% che altre civiltà abbiano intenzione di comunicare con noi (4/1000=0,004)x(5/10=0,5)=0,002.
fm: qui Drake secondo me ebbe una grande intuizione a introdurre questo parametro: in virtù di quello che si è detto al punto precedente, una civiltà che abbia intenzione di comunicare ad altre civilta intergalattiche la propria presenza dovrebbe mettere dei radiofari nello spazio circostante per non essere di ostacolo al suo progresso tecnologico, dato che un segnale radio per attraversare la galassia alla velocità della luce impiegherebbe 100 mila anni e il posto più logico dove mettere un segnale automatico è proprio nello spazio; però questo è un progetto tecnicamente ambizioso anche per una civiltà come la nostra: quindi anche qui diamo una probabilità su 4 che avvenga: ovvero 1/4=0,25.
LD: dato che la velocità della luce è finita, potremmo ascoltare un segnale proveniente da una civiltà nel frattempo oramai estinta, vuoi per cause naturali o per la stessa incuria e presunzione che ci ha portati spesso sull’orlo dell’autodistruzione durante la breve storia dell’umanità, ma supponiamo che la durata media di una civiltà possa essere di 10.000 anni, quindi sapendo che la nostra galassia ha un raggio di 50.000 anni luce la bolla sarà circa 2 decimi del volume della galassia(usiamo il concetto di bolla sferica impropriamente, in realtà la nostra galassia è un disco schiacciato di appena un migliaio di anni luce alle estremità): ovvero 0,2.
50.000.000.000 x 0,7 x 0,5 x 0,5 x 0,1 x 0,002 x 0,25 = 437.500
di potenziali civiltà di radioascoltatori nella nostra galassia in questo momento, ma attenti: questa è soltanto una stima basata su delle probabilità, quindi è possibile che il numero sia 10 volte superiore come migliaia di volte inferiore, un numero da prendere comunque come esercizio puramente accademico. Di queste però solo 2 decimi sarebbero a portata d’ascolto, per cui
437.500 x 0,2 = 87.500
Se poi vogliamo specularci ancora un po’ sopra potremmo dire che in base a queste stime la civiltà più prossima a noi potrebbe essere nel raggio di circa 270 anni luce, e ammesso che i primi segnali radiotelevisivi trasmessi dalla Terra di una certa potenza furono emessi soltanto nel 1939, probabilmente ancora ci vorranno 200 anni prima che ci ascoltino e altri 270 anni prima che ci arrivi il loro “ricevuto terrestri: vi stiamo ascoltando…

Dove sono l’omini verdi… (seconda parte)

L’uomo ha sempre amato credere nell’esistenza di entità a lui superiori in grado di influenzare il mondo circostante, siano essi esseri antropomorfi o ibridati con gli animali conosciuti, come ad esempio erano rappresentate le divinità egizie o gli dei dell’Olimpo greco, a cui venivano attribuite tutte le casualità e le causalità che gli accadevano; inventando così quindi una spiegazione plausibile ai fenomeni della natura che lo circondava: in questo modo nacquero le religioni.
Anche nelle religioni monoteiste esistono entità superiori analoghe, esse sono chiamate angeli e demoni a seconda del loro ruolo nella tragedia umana; il fenomeno UFO e degli alieni annessi è la ripetizione di questo bisogno di guida superiore traslata ai nostri giorni.
Queste credenze popolari hanno anche origine da una purtroppo scarsa cultura popolare che mescola indistintamente concetti scientifici a eventi apparentemente inspiegabili, storia antica e mitologia con concetti moderni, l’esoterismo e l’alchimia con la scienza, l’astrologia con la fisica. È chiaro quindi in questo bailamme di pseudocultura porre delle domande e dare delle risposte corrette è difficile se non proprio impossibile.
Il fenomeno UFO è stato cavalcato fin dall’inizio dagli apparati militari di tutto il mondo perché esso forniva un’ottima spiegazione per giustificare la visione accidentale di strumenti bellici segreti sfuggiti agli apparati di sicurezza, ed era un modo per distrarre la popolazione dalla paranoia bellica del periodo della Guerra Fredda, ne è testimonianza ad esempio l’ordine impartito da Stalin di abbattere qualsiasi oggetto non identificato entrasse nello spazio aereo del Patto di Varsavia e lo stesso analogo ordine che c’era nello schieramento NATO. Ovvio dire che qualsiasi oggetto non identificato se possibile era meglio recuperarlo intero, ma solo perché era importante conoscere fin dove la tecnologia avversaria si era spinta, quindi niente alieni o ufini ma solo tecnologie militari umane da proteggere e studiare.
Tutto questo parlare (cianciare avrebbe detto Leonardo da Vinci) nuoce alla vera ricerca scientifica sull’esistenza di altre forme di vita extraterrestri ed eventualmente alla scoperta di civiltà aliene: come potrebbe essere preso dall’opinione pubblica infatti un annuncio del genere?
Nel 1996, durante i festeggiamenti del ventennale delle missioni Viking su Marte, la NASA rese di dominio pubblico la notizia che un meteorite proveniente da Marte caduto in Antartide, presentava all’interno dei noduli fossili di magnetite che presumibilmente erano di origine batterica, quindi organica.
Mi ricordo di aver assistito ad un dibattito sul tema agli inizi del ’97 tenuto dalla locale sezione di astrofili su questo celebre metorite marziano che si chiama ALH84001.
Nel celebre dibattito mondiale che si era aperto, c’era chi aveva accolto la scoperta con entusiasmo e chi guardava con scetticismo l’annuncio: parlarne così, senza un dibattito scientifico alle spalle che dimostrasse senza ombra di dubbio l’esistenza di forme di vita extraterrestri nel nostro sistema solare, purché in epoche diverse dall’attuale poteva essere percepito come una ricerca dello scoop, del sensazionalismo e porre seri dubbi sulla serietà della ricerca scientifica; dall’altra parte gli entusiasti ponevano il non piccolo problema che a tener riservato il dibattito al’interno dell’ambiente accademico mondiale era altrettanto pericoloso perché oltre al dover tenere riservata la notizia, cosa non certo facile, c’era il pericolo di far passare la comunità scientifica come settaria, esoterica, proprio il contrario di quello che lo spirito della scienza dovrebbe sempre tenere: essere al servizio dell’intera umanità.
Il dibattito sul ALH84001 ancora non si è placato dopo 13 anni, ne è riprova l’attenzione dei media che ancora ne parlano, ma oramai l’opinione pubblica non ne è più appassionata come al momento dell’annuncio, anche perché la scoperta della prova di batteri su un sasso marziano piovuto dal cielo non è entusiasmante come lo è un avvistamento di un improbabile vascello alieno nel cielo.
(continua…)

Dove sono l’omini verdi…(prima parte)

Chiunque sia appassionato di fantascienza sa quanto su questo tema si sia scritto tanto e girato molti film, alcuni pregevoli e altri scadenti.
Fra questi anche due indubbi capolavori che hanno fatto sognare milioni di persone e creato veri e propri fenomeni di culto di massa: Star Trek e Star Wars. A parte la parte iniziale del nome che fa riferimento alle stelle, sono due trame e ambienti completamente diversi tra loro: il primo descrive un mondo ormai privo delle bassezze umane, utopico e sognatore, mentre il secondo è dominato dalle emozioni più negative, un vero impero del male che comunque alla fine soccombe sotto i colpi di chi si ribella alla tirannia. Comunque hanno anche in comune il pregio di averci abituato all’esistenza di razze aliene come i ferengi, i vulcaniani e i talassiani oppure i wookies, i twi’lek o i bothans. Un unico neo in queste forme di vita intelligente immaginarie è che sono comunque troppo antropomorfe (cioè troppo simili all’uomo) o che somigliano a qualcosa che possa essere visto anche sul nostro pianeta. l’unica forma di vita aliena veramente aliena fu l’horta, apparsa in Star Trek serie Classica (quella col capitano Kirk), una forma di vita a base di silicio (noi siamo a base di carbonio), cioè dove tutta la biochimica e la struttura del corpo è regolata dalla chimica del silicio, ma lasciamo questo argomento a un altro articolo futuro che tratterà di esobiologia.
Quello che mi preme sottolineare invece è l’aspetto sociale e culturale di questa “assuefazione”: oramai diamo per scontata l’esistenza di altre forme di vita al di fuori del nostro pianeta, che ci possano essere altre civiltà nella Galassia perfino superiori alla nostra (forse sarebbe più corretto dire “nostre”). Quanti di voi abbiano letto il libro o visto il film “Contact“, scritto dal grande Carl Sagan, sa che in questo si narra di come un segnale radio giunto dallo spazio in risposta agli stessi segnali inviati involontariamente dagli umani con le loro trasmissioni radiotelevisive sia da scintilla a una rivoluzione sociale di massa che non ha precedenti: religioni che fondano i loro precetti sulla (assurda) discendenza diretta dell’uomo, inteso come umano, da Dio costrette a riscrivere i propri dogmi, psicopatici fondamentalisti che praticano il suicidio di massa coi loro adepti, governi che si contendono l’assurda e arrogante pretesa di poter essere gli unici a poter parlare per l’intero genere umano.
Lo scenario descritto da Sagan è quello certo più inquietante, ma anche quello che più corrisponde ad una ipotetica realtà qualora arrivi a noi un segnale da un’altra civiltà galattica. Comunque la fantascienza di Star Trek e di Star Wars ha certamente contribuito a far sì che una notizia del genere possa essere accolta con più naturalezza ed entusiasmo che con l’isterismo.
Dovremmo (e a parer mio comunque dobbiamo) liberarci da quei legami culturali che ci narrano di assoluto privilegio dell’uomo sulla Terra, così come abbiamo dovuto abbandonare il concetto di Terra al centro dell’Universo sotto i magli dell’intelletto e dell’evidenza che ci hanno relegato da una posizione centrale universale a una piccola pallina di silicati che ruota attorno a una stellina di media grandezza in un braccio di una spirale di una galassia tra decine di miliardi di altre. Terribile vero? abbandonare l’antropocentrismo che ci appartiene culturalmente per il nulla; si e no: perderemmo certo questa presunzione, ma in cambio potremmo ottenere qualcosa di molto più ampio e universale: la consapevolezza dell’unicità di ognuno di noi in un cosmo sconfinato e la sacralità di tutto quello che ci circonda e ci mantiene, che purtroppo ancora adesso non abbiamo.

Il paradosso di Zenone Quantistico

Cercare di interpretare la meccanica quantistica con le esperienze quotidiane dominate dalla fisica classica è impossibile; si va incontro a paradossi come l’esempio qui sotto:

Streghe-1Supponiamo di prendere un atomo in uno stato eccitato e instabile e di sottoporlo ad una serie di misurazioni ripetute nel tempo per vedere in che stato è. In Meccanica Quantistica ogni osservazione causa il collasso della funzione d’onda, permettendo a quello stato di permanere indefinitamente.
Osservare vuol dire inviare dei fotoni, quindi energia, che permettano di conoscere lo stato dell’atomo una volta riflessi. Misurare vuol dire anche far interagire radiazione e materia.Quindi la probabilità di transizione di un sistema illuminato da una radiazione incoerente dipende linearmente dal tempo di misurazione:
Dal momento che la velocità di transizione è \(1/\tau\) allora
\[P_2=\frac{t}{\tau}\]
se l’atomo permette 2 stati, eccitato e non, allora la probabilità che l’atomo sia ancora nello stato eccitato dopo un tempo \(t\) è

\[P_1=1-\frac{t}{\tau}\]
Se la misurazione ci informa ancora che l’atomo è nello stato eccitato allora significa che la funzione d’onda è nuovamente collassata allo stato eccitato e quindi il processo ricomincia.
Misurando il sistema ad un tempo \(2t\) la probabilità che sia nello stato eccitato sarà ovviamente:

\[P_2=\left(1-\frac{t}{\tau}\right)^2 \approx 1-2 \frac{t}{\tau}\]
sviluppato per t piccolo,troveremmo la stessa probabilità di avere l’atomo eccitato come se non avessimo fatto alcuna misura all’istante \(t\).

Quando i tempi di osservazione si riducono molto rispetto al tempo di vita medio dello stato 2, si ha che la probabilità di transizione è proporzionale a \(t^2\) anziché a \(t\).
Allora lo sviluppo relativo all’osservazione all’istante 2\(t\) produrrà una probabilità che l’atomo si trovi ancora nello stato superiore proporzionale a 2\(t^2\) \[P_2 \propto 1- 2t^2\]
mentre se non avessimo fatto alcuna misura sarebbe stata semplicemente \[P_2 \propto 1- 4t^2\]
Per cui applicando il ragionamento a \(N\) osservazioni ad intervalli regolari \(T/N\) (dove T è il tempo totale di osservazione) troviamo che nel limite di infinite osservazioni la probabilità di trovare l’atomo nello stato eccitato è 1, ossia sempre (roba forte eh, atomino?)
Tutto questo per dire che è dannoso alzare il coperchio per vedere se l’acqua bolle, più l’osserviamo più essa non bollirà; lasciate che trabocchi.