Una mira… spaziale.

Rappresentazione artistica
della missione (Cortesia NASA)

Voleteanalizzare la composizione interna di un pianeta a 1,3 miliardi dichilometri? Facile!

Prendeteuna sonda di due tonnellate e mezzo e scagliatela nello spazio conmolta buona mira e se sarete fortunati dovreste riuscire a farlatransitare intorno all’oggetto in indagine ad appena 100 chilometridi distanza, prestando molta attenzione ai suoi segnali radio diritorno, che intanto udirete appena e con un’ora e dodici minuti diritardo.
Encelado

Sequalcuno di voi dice che è impossibile, è perché non ha mailavorato al Jet Propulsion Laboratory, perché proprio in queste ore(tra il 27 e il 28 aprile) si sta concludendo un esperimentoscientifico simile: la sonda Cassini-Huygens è stata fattatransitare ad appena 100 chilometri dalla superficie di Encelado, unaluna di Saturno, e verranno studiate le anomalie gravitazionalidell’orbita della sonda, rilevate appunto ascoltando i segnali radiotrasmessi da questa.

Nelfrattempo la Cassini-Huygens dovrebbe riuscire a fotografare anche ilpennacchio d’acqua che fuoriesce dalla regione polare sud diEncelado.

Certo, al Jet Propulsion Laboratory hanno una buona mira, non credete?

La prima luce del Solar Dynamics Observatory

447362main_f_211_193_171_946-710[1]Alcuni di voi avranno certamente notato l’aggiunta nel Blog di una nuova pagina che indica i principali dati riguardanti l’attività solare e il flusso di plasma solare che investe il nostro pianeta e che dà luogo a quei spettacoli meravigliosi chiamati aurore polari. Ora voglio mostrarvi una meravigliosa
clip (questa qui sopra) ripresa dal nuovo satellite astrofisico  SDO (Solar Dynamics Observatory) lanciato l’11 febbraio scorso e che dopo le necessarie calibrazioni degli strumenti ha iniziato ad inviare sulla Terra le sue prime immagini che, come quella qui a fianco, promettono una qualità di dettaglio 10 volte maggiore di una tv in alta definizione e raccoglierà dati scientifici migliori e più velocemente degli strumenti messi in orbita finora. L’AIA è l’acronimo di Atmospheric Imaging Assembly ed è stato progettata per fornire una visione senza precedenti della corona solare, prendendo le immagini che si estendono per almeno 1,3 diametri solari in diverse lunghezze d’onda quasi contemporaneamente, ad una risoluzione di circa 1 secondo d’arco e con una cadenza di  circa 10 secondi. L’obiettivo scientifico  del Science AIA Investigation è quello di migliorare la nostra conoscenza della fisica dell’atmosfera solare, per poter poi anche sviluppare un modello predittivo dell’eliosfera negli ambienti planetari. L’AIA produrrà i dati necessari per gli studi dell’evoluzione del campo magnetico coronale e del plasma in esso contenuto, sia nelle fasi di riposo  che durante i brillamenti ed eruzioni.

Certo che simili studi sono estremamente importanti se vogliamo, per ora  purtroppo soltanto ipotizzare, imbarcarci in missioni umane al di fuori dello scudo della nostra magnetosfera, come ad esempio un ritorno stabile sulla Luna o una spedizione con equipaggio verso Marte.

Certo, a vedere questo filmato di una vera eruzione solare, mi aspetterei anche di vedere il vascello Voyager del Capitano Janeway sfrecciarci in mezzo, come qui.

Buon compleanno Hubble

DI196G1[1]
Hubble visto dallo Space Shuttle

Quando nel 2004 la NASA annunciò di chiudere il programma dell’Hubble Space Telescope, l’agenzia ricevette una lettera da una bambina di 9 anni che volle donare la sua paghetta per il pranzo per salvare Hubble. Quella lettera, tra  le innumerevoli altre,questa spiega meglio l’amore e il successo che ha l’osservatorio presso il pubblico, che compie 20 anni questo mese.

Dal suo lancio il 24 aprile 1990, Hubble è più volte risorto dalle sue ceneri per produrre immagini di una nitidezza e di una bellezza ineguagliabili. L’osservatorio ha registrato quasi un milione di immagini e spettri in circa 110.000 viaggi intorno alla Terra. Tra le sue cartoline cosmiche Hubble ha catturato i lividi segni lasciati su Giove da frammenti di una cometa, morenti stelle avvolte in gusci di gas incandescente, esili braccia di galassie a spirale e nebulose risplendenti di luce di stelle appena nate.

jup-sl9-7[1]
Giove in luce ultravioletta mostra
l’impatto della cometa Shoemaker-Levy 9

Non male per un telescopio nato miope per colpa del suo specchio primario imperfetto. Poco dopo gli astronauti risolsero il problema nel corso di una serie di passeggiate spaziali alla fine del 1993, Hubble allora cominciò a vedere come ci si aspettava, come il primo grande telescopio in luce visibile sopra l’atmosfera che distorce le immagini sulla Terra. Il telescopio ha più volte riscritto i libri di astronomia. Forse ancora più drammaticamente, Hubble ha fornito prove chiave che dimostrano l’accelerazione del tasso di espansione cosmica, ha costretto gli scienziati a ipotizzare l’esistenza della materia oscura. Hubble ha anche consegnato convincenti prove  che confermano che l’Universo si è evoluto in un modo previsto dalla teoria del Big Bang. Più vicino a noi, Hubble ha registrato una delle prime immagini di un pianeta al di là del sistema solare.

223974main_wildgalaxies1_20080424_HI[1]Eppure, nonostante tutti i progressi scientifici dovuti ad Hubble, la bellezza delle sue immagini è tra le sue realizzazioni più apprezzate. Le immagini di Hubble sono nei musei, adornano copertine degli album e sono apparse in film importanti. Le sue gallerie di immagini online ricevono circa 200 milioni di visite al mese.
Lo scorso maggio, gli astronauti hanno aggiornato e riparato Hubble aggiungendoci una nuova macchina fotografica a infrarossi con cui sono già state individuate le galassie ritenute le più distanti mai registrate. Perché guardando in profondità nello spazio significa anche vedere oggetti molto indietro nel tempo, le immagini rivelano come erano le prime galassie qualche centinaio di milioni di anni dopo il Big Bang.

Di nuovo, buon compleanno, Hubble… 100 di  questi giorni…

Elettricità nei crateri lunari

Il vento solare scorrendo sugli ostacoli naturali, può generare cariche elettriche nei crateri lunari ai poli  di centinaia di volt, secondo i nuovi studi  del team Lunar Science Institute della NASA. Quindi l’ambiente lunare non è poi così statico come insegnano ancora a scuola, ma ci sono forze, in questo caso elettriche, in grado di plasmare la superficie in modi che a stento possiamo immaginare e che dovremmo invece tenere ben presenti quando infine colonizzeremo il nostro satellite.
I crateri lunari dei poli sono di estremo interesse a causa delle risorse, tra cui il ghiaccio d’acqua, che lì esistono. L’orientamento della Luna col Sole permette al  fondo dei crateri polari di essere permanentemente in ombra, consentendo alle temperature di non superare i -240° celsius, temperatura   sufficiente per mantenere allo stato solido una sostanza volatile come l’acqua per miliardi di anni.

Tuttavia, la nostra ricerca suggerisce che, oltre all’intenso freddo, i robotesploratori sul fondo dei crateri lunari polari dovranno fare i conti con un  complesso ambiente di cariche elettriche, che possono influenzare la chimica di superficie  e la polvere che si  appiccica per effetto delle cariche elettrostatiche” ha detto William Farrell della NASA’s Goddard Space Flight Center, Greenbelt. Md. Farrell è autore di un articolo su questa ricerca pubblicata il 24 marzo sul Journal of Geophysical Research. La ricerca fa parte del progetto del Lunar Science Institute sulle risposte dinamiche ambientali lunari (Dream[1]).
Questo importante lavoro del dottor Farrell e della sua squadra è un’ulteriore prova che la nostra visione sulla Luna è cambiata radicalmente negli ultimi anni” ha detto Gregory Schmidt, vice direttore del NASA Lunar Science Institute alla NASA Ames Research Center, MoffettField,  California  “È un ambiente dinamico e affascinante che stiamo solo cominciando a capire.
Il costante flusso di vento solare può erodere la superficie dei crateri in cui sono state recentemente scoperte molecole d’acqua. Le scariche statiche potrebbero in breve tempo guastare sensibili attrezzature, mentre la polvere lunare, che è molto abrasiva, potrebbe logorare tute spaziali e può essere pericolosa se riesce ad entrare all’interno di veicoli spaziali e respirata per lunghi periodi.
rappresentazione grafica
del vento solare
Il vento solare è un gas sottile di particelle atomiche elettricamente cariche – elettroni di carica elettrica negativa e ioni (principalmente protoni) con carica elettrica positiva – che costantemente soffia dalla superficie solare verso lo spazio. Dato che la Luna è solo leggermente inclinata rispetto al Sole, il ventosolare scorre quasi orizzontalmente sopra la superficie lunare aipoli e lungo la regione che divide la notte dal giorno lunare, chiamata terminatore.
I ricercatori hanno creato simulazioni al computer per scoprire cosa succede quando il vento solare fluisce oltre i bordi dei crateri polari.
Hanno scoperto che in qualche modo, il vento solare si comporta come il vento sulla Terra. A differenza del vento sulla Terra, la composizione duale elettrone-ione del vento solare può creare una insolita carica elettrica sul lato della montagna o la parete del cratere, cioè sul lato esposto direttamente al vento solare.
Poiché gli elettroni sono più di 1000 volte più leggeri degli ioni, di fronte ad un’ostacolo
si fermano in zone diverse rispetto agli ioni più pesanti creando così una regione con carica elettrica negativa, ad esempio all’interno di un cratere. Gli ioni positivi tendono poi a ridistribuirsi cancellando la carica, ma il flusso costante di elettroni è sufficientemente elevato da mantenere il differenziale di carica impossibile da annullare nelle regioni polari.
Questo squilibrio nel cratere permette alle pareti interne e il fondo di questo di acquisire una carica elettrica negativa. Icalcoli mostrano che l’effetto di separazione ionica è più grande sul bordo sottovento dei crateri (lungo la parete interna) e sul fondo del cratere più vicino al flusso delvento solare. Lungo il bordo interno, gli ioni pesanti hanno più difficoltà a  rimanere sulla superficie.
Gli elettroni formano una nube elettronica che va dal bordo sottovento della parete al fondo del cratere, che può creare una carica insolitamente negativa di grandi dimensioni di alcune centinaia di volt relativi al vento solare che scorre sopra di esse” spiega Farrell.
La carica negativa su questo bordo sottovento non esiste  per un tempo indeterminato. Alla fine, l’attrazione tra la regione di carica negativa e gli ioni positivi nel vento solare provocherà l’annullamento del potenziale elettrico. Il team ritiene che un possibile metodo veda protagonista la polvere caricata negativamente che viene respinta dalla superficie con carica anch’essa negativa, ottenendo quindi un effetto di levitazione elettrica di polvere dal fondo.
Gene Cernan mentre effettua
una passeggiata lunare.
Gli astronauti delle missioni Apollo in orbita hanno visto i raggi deboli sull’orizzonte lunare durante l’alba che avrebbe potuto essere luce diffusa da polvere elettricamente carica” ha dichiarato Farrell Inoltre, la missione Apollo 17 atterrò nei pressi del cratere Littrow dell’omonima valle Taurus-Littrow nel Mare della Serenità. Gli strumenti lasciati dagli astronauti dell’Apollo hanno rilevato impatti da polvere ai valichi di terminazione, dove il vento solare è quasi-orizzontale, simile alla situazione sopra crateri polari “.
I prossimi passi per la squadra includono modelli di computer più complessi.
Vogliamo sviluppare un modello completamente tridimensionale per esaminare gli effetti di espansione vento solare intorno ai bordi di una montagna. Esaminiamo ora l’espansione verticale, ma vogliamo sapere anche cosa succede in orizzontale”  ha detto Farrell.
Già nel 2012  la NASA lancerà il Lunar Atmosphere and Dust Environment Explorer (LADEE), una missione in orbita lunare che potrebbe cercare i flussi di polvere previsti dalla ricerca del team.

Questo lavoro è uno studio del Goddard’s Internal Research and Development program della NASA e della NASA Lunar Science Institute. Il team comprende  ricercatori della NASA Goddard, l’Università della California,Berkeley e l’Università del  Maryland.
[1]  Dream: Dynamic Response of the Environment at the Moon

Biliardo cosmico

eso1016a[1]
rappresentazione grafica
dell’orbita di un pianeta extrasolare
come descritto nell’articolo
La recente scoperta di altri 9 pianeti extrasolari è stata annunciata il 13 aprile 2010 al RAS National Astronomy Meeting 2010 a Glasgow in Scozia: questi sono stati individuati attraverso l’analisi fotometrica della luce delle loro stelle, ovvero attraverso l’attenuazione della curva di luce della stella nel momento di transito del pianeta davanti al disco di questa. Quello che ha sconcertato l’intero mondo accademico è quando si è scoperto che l’orbita di 6 pianeti di un campione più ampio di 27 è retrograda, ossia essi ruotano in orbite di senso contrario alla rotazione della loro stella, il contrario di quello che avviene per il nostro sistema solare e quello che le teorie di formazione planetaria ci avevano da sempre suggerito. Si è sempre teorizzato che i pianeti si formino dal residuo di gas e polveri che danno origine alle stelle formando un disco proto-planetario che ruota nello stesso senso e che ha lo stesso piano dell’equatore della stella come è il caso per i pianeti del sistema solare.

Ecco come si modifica la
curva di luce nel periodo di transito

Dopo la rilevazione iniziale dei nove pianeti extrasolari (in tutto ad oggi sono 452 i pianeti scoperti) con il grandangolo per la ricerca dei pianeti (SuperWASP [1]), il team di astronomi ha utilizzato il spettrografo HARPS  (un altro acronimo che sta per High Accuracy Radial velocity Planet Searcher) sul telescopio ESO di 3,6 metri, presso l’osservatorio di La Silla in Cile, insieme con i dati del telescopio svizzero Eulero, anche questo a La Silla, e i dati provenienti da altri telescopi per confermare le scoperte e studiare i pianeti extrasolari in transito. Sorprendentemente, quando la squadra ha combinato i nuovi dati con le altre osservazioni di altri pianeti di transito hanno scoperto che più della metà di tutti i pianeti gioviani caldi hanno orbite che non sono allineate con l’asse di rotazione delle loro stelle madre e che addirittura sei pianeti extrasolari in questo studio esteso (di cui due delle nuove scoperte) hanno moto retrogrado: ossia hanno la loro orbita nella direzione “sbagliata”.
“I nuovi risultati sembrano contraddire il pensiero convenzionale che le orbite dei pianeti seguano sempre la stessa direzione della rotazione delle loro stelle”, spiega Andrew Cameron dell’Università di St Andrews al meeting.
Nei 15 anni trascorsi dalle prime scoperte degli esopianeti gioviani, questi si sono dimostrati un bel grattacapo difficile da comprendere e da spiegare. Si tratta di pianeti con massa simile o superiore a quella di Giove, ma con un orbita molto vicina alle loro stelle, fatto questo che li rende maggiormente individuabili grazie alla maggiore ampiezza degli effetti prodotti sulla stella principale e sicuramente per questo motivo sono anche gli unici individuati finora. Si suppone che i pianeti giganti del nostro sistema solare  si siano formati dove le condizioni ambientali lo consentissero, ossia nella parte più esterna e fredda del sistema planetario  e così si pensava che questo principio potesse valere anche per i sistemi extrasolari. Quindi l’esistenza di pianeti gioviani in orbita stretta veniva spiegata facendoli formare lontano dalla loro stella e successivamente fatti migrare verso l’interno in orbite molto più vicine alla stella madre con lo stesso principio del decadimento orbitale che porta a cadere i nostri satelliti, ovvero subiscono un rallentamento del moto orbitale per colpa del residuo di polvere proto planetaria ancora non collassata in pianeti e non soffiata via dal vento stellare. Questo scenario dovrebbe durare appena qualche milione di anni e produrrebbe un’orbita allineata con l’asse di rotazione della stella madre e consentirebbe inoltre la formazione in seguito di pianeti rocciosi simili alla Terra, ma purtroppo questa teoria non può ancora essere spiegata con le nuove osservazioni.
Per tener conto dell’esistenza degli esopianeti retrogradi è stata formulata una teoria alternativa della migrazione che propone che la vicinanza di pianeti gioviani caldi alle loro stelle non è dovuta alle interazioni con il disco di polvere, ma che avvenga per un processo di interazione gravitazionale molto lento dovuto dalla presenza di altri pianeti giganti più lontani o un passaggio ravvicinato con un’altra stella per la durata di centinaia di milioni di anni. Praticamente questi disturbi avrebbero impresso al pianeta gioviano extrasolare un’orbita inclinata e allungata che poi per azione mareale sarebbe costretta a perdere energia ogni volta che oscilla vicino alla stella; il risultato poi sarebbe un’orbita circolare stretta, ma inclinata in modo casuale.
“Un drammatico effetto collaterale di questo processo è che eliminerebbe ogni altro più piccolo pianeta simile alla Terra in questi sistemi”, spiega Didier Queloz dell’Osservatorio di Ginevra.
Sembra che per due dei pianeti retrogradi scoperti di recente siano già stati trovati pianeti compagni più lontani, confermando questa teoria, anche se comunque sarà necessaria una nuova campagna di indagine specifica.


[1] Curioso come alcuni giornali copino spudoratamente sigle a loro sconosciute: come infatti riportato da alcuni giornali lo strumento non si chiama WASP, acronimo di ben qualcos’altro, ma SuperWASP appunto per distinguerlo e al contempo mantenere la passione anglofona per gli acronimi.
[2] Per confermare la scoperta e studiare le caratteristiche di un nuovo pianeta in transito, è necessario analizzare la velocità radiale per rilevare il tremolio della stella ospite attorno al suo comune centro di massa con il pianeta. Questo viene fatto con una rete mondiale di telescopi dotati di spettrometri sensibili

Fotovoltaico migliore con semiconduttori polimerici

Gli investimenti nella ricerca sono importanti sia per la scienza che per l’economia: ogni euro speso in questa può portarne cento in termini di sviluppo e occupazione. I paesi che oggi giustamente investono in istruzione e ricerca sono  quelli che domani potranno godere del loro sacrificio iniziale, gli altri, come il caso italiano, saranno costretti a pagare i brevetti stranieri per poter usare queste conoscenze con grave danno per la bilancia commerciale e l’economia nazionale.

solar-panel-250x140[1]
Pannello fotovoltaico tradizionale [1]
5dzcv48l0nvp3fn3huhk7rv67npqyhs[1]
Yueh-Lin (Lynn) Loo

Uno dei più gravi ostacoli allo sfruttamento dell’energia fotovoltaica è nell’elevato costo dei semiconduttori all’ossido di stagno/indio su wafer di silicio impiegati nella produzione delle celle fotovoltaiche. Oltretutto la tecnologia attuale offre tutta una serie di problemi che vanno dall’alta percentuale di scarto dovuta ai difetti di produzione fino alla rigidità e alla fragilità di queste celle che ne rendono alti i costi di produzione e quindi di tutta la filiera successiva, che uniti a una efficienza media dell’ordine dell’ordine del 20% solo in condizioni ottimali, rendono l’investimento nel fotovoltaico appetibile solo attraverso incentivi statali a sostegno di questa comunque interessante tecnologia.

plasticky[1]
la struttura del semiconduttore
polimerico [2]
Ma le cose per fortuna stanno per cambiare: all’università di Princeton la ricercatrice Yueh-Lin Loo ha trovato il modo per depositare polimeri conduttori su film di plastica e contemporaneamente mantenere tutte le caratteristiche vantaggiose della stessa, ossia trasparenza, resistenza e flessibilità, migliorandone l’efficienza di almeno due ordini di grandezza . Sono stati usati materiali come  la polianilina ottenendo una conducibilità elettrica superiore a 50 S/cm e addirittura di 250 S/cm con il poly(3,4-ethylene dioxythiophene).
Questi polimeri conduttori disciolti in acido dicloroacetico, che  in genere sono difficili da lavorare, possono essere depositati dalla soluzione e la loro conducibilità successivamente migliorata attraverso un semplice e lineare processo di ricottura solvente 1
Questa nuova tecnologia non solo apre le porte a una nuova tecnica fotovoltaica, ma trova interessanti applicazioni nella medicina analitica e in tutti gli altri campi dove l’elettronica dei semiconduttori unita ai vantaggi delle materie plastiche possa trarre vantaggio.



Sfiorati da 2010 GA6

Un nuovo asteroide appena scoperto e battezzato provvisoriamente 2010 GA6, incrocierà l’orbita della Terra questa sera (8/4/2010)  alle 23:06 UTC. Almomento di massimo avvicinamento 2010 GA6 sarà a circa 359.000 km  di distanza dalla Terra (9/10 la distanza della Luna). L’asteroide, di circa 22 metri di larghezza, è stato scoperto dalla Catalina Sky Survey di Tucson in Arizona. 
Comunque non ci sono rischi per il nostro pianeta e anche stanotte potremo andare a dormire tranquilli.

Perulteriori informazioni sugli asteroidi e gli oggetti vicini alla Terra,visitare il sito: http://www.jpl.nasa.gov/asteroidwatch

Il Buco della Serratura del cielo

La passione per l’astronomia ha da sempre guidato la mia vita e il mio pensiero, sono da sempre affascinato dai misteri del cosmo che non posso esularmi dal raccontarli: per me sono come dei vecchi e muti amici che mi accompagnano e rendono meno sola la mia umile esistenza di semplice mortale.
 
keyhole_noao_big[1]
Carena Nebula [1]

Uno degli oggetti più affascinanti del cielo è senza dubbio la Nebulosa Carena anche conosciuta come NGC 3372 o C 92 a seconda del nome del catalogo in cui è stata registrata  che contiene un’altra nebulosa altrettanto famosa: la Nebulosa Keyhole (Buco della serratura), e una delle stelle più rare della nostra galassia: Eta Carinae, una delle poche ipergiganti ancora esistenti, una stella 5 milioni di volte più luminosa del Sole e il cui raggio è 80 volte più grande (quasi quanto l’orbita di Mercurio), che pesa circa 150 volte più della nostra stella e.. che da qui a qualche migliaio di anni (in realtà forse è già accaduto ma ancora non lo sappiamo) esploderà in una supernova,  forse addirittura in una ipernova, ad appena 7.500 anni luce di distanza: in scala cosmica è come avere una bomba atomica innescata dietro casa.

Supernova_animated[1]
Animazione di una
supernova [2]
Quando tutto questo accadrà Eta Carinae sarà visibile a occhio nudo anche in pieno giorno, raggiungendo una magnitudine visuale di -7,5! Venere, che dopo la Luna e il Sole è l’oggetto più luminoso del nostro cielo, raggiunge solo una magnitudine di -4,4 al massimo dello splendore.
Questa mirabile stella fu studiata per la prima volta da Edmond Halley (lo scopritore dell’orbita dell’omonima cometa) dall’isola di Sant’Elena (la stessa di Napoleone) nel 1677 che la descrisse come una stella di magnitudine 4,  in seguito la sua luminosità parve aumentare per poi ridiscendere e successivamente risalire, tanto che nel 1843 raggiunse la magnitudine apparente di -0,8 rivaleggiando addirittura con Sirio (-1,42) e Canopo (-0,62).
Eta Carinae è una stella variabile di tipo S Doradus, un tipo di stella che a causa della sua grande massa produce tanta di quell’energia da disperdere parte della sua materia nello spazio, un po’ come l’acqua in una pentola che quando bolle  troppo, trabocca. È proprio in conseguenza a uno di questi momenti che la stella si è resa particolarmente visibile nel 1843, generando poi due bolle che hanno dato origine alla nebulosa Homunculus, preludio forse della sua morte che quando avverrà sarà indubbiamente l’esplosione più spettacolare a cui potremmo assistere da vicino.
etacar2_hst[1]
Homuncus Nebula [3]
Finger of GodAccanto alla Nebulosa Keyhole esiste un’altra particolare formazione nebulosa: il famoso “Gesto di Dio” o “Finger of God”.
Tutta quanta la Nebulosa Carena è comunque spettacolare,  una nube idrogeno di circa 260 anni luce di diametro che è sede di molti fenomeni di formazione stellare che hanno  dato origine a giovani ammassi stellari aperti, tante massicce stelle calde e blu che illuminano con la loro radiazione questa splendida porzione di cielo.
Un ricercatore allo Space Telescope Science Institute di Baltimora Max Mutchler,e Noreen Grice, presidente dello You Can Do Astronomy LLC e autore di libri tattili di astronomia, hanno creato un’immagine tattile della Nebulosa Carena che può essere apprezzata anche da coloro che non soffrono di handicap visivi.
436264main_carinabook[1]
Immagine tattile della Carena Nebula [4]
L’immagine di 28 centimetri a colori  ricavata dalle imagini del telescopio spaziale Hubble è in rilievo con linee, barre e altri segni che corrispondono agli oggetti nella nube gigante, permettendo  agli ipovedenti di sentire col tatto ciò che non possono vedere. L’immagine è altresì utile e interessante per i normovedenti perché sottolinea oggetti che normalmente sfuggono all’attenzione usando il tatto come diversa forma di interazione.
“L’immagine di Hubble della Nebulosa Carina è così bella, e illustra l’intero ciclo di vita delle stelle”, dice Mutchler, che, insieme a Grice,  ha esposto per la prima volta l’immagine tattile nel gennaio 2010, al convegno dell’American Astronomical Society a Washington (DC) “Ho pensato che le persone non vedenti avessero anch’essi il diritto di poter esplorare e imparare.”

[1] http://www.phys.ncku.edu.tw/%7Eastrolab/mirrors/apod/image/9905/keyhole_noao_big.jpg
[2] http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/53/Supernova_animated.gif
[3] http://www.phys.ncku.edu.tw/~astrolab/mirrors/apod_e/image/0806/etacar2_hst.jpg
[4] http://www.nasa.gov/images/content/436264main_carinabook.jpg

Uno spettacolo celeste

una Perseide, lo spettacolo è analogo

Ogni anno a fine aprile, la Terra passa attraverso la coda della cometa Thatcher. Questo incontro provoca una pioggia di meteoriti chiamato Liridi, prendendo il nome dalla costellazione della Lira da dove apparentemente sembrano provenire (radiante). Le Liridi spesso lasciano dietro delle tracce luminose che possono rimanere visibili nel cielo notturno anche per un minuto.
Tempo permettendo, il momento migliore per vedere lo sciame delle Liridi sarà durante le ore di buio prima dell’alba il 22 aprile. L’osservazione del cielo nelle zone rurali deve essere in grado di individuare una meteora ogni pochi minuti. Non preoccupatevi di portare un binocolo o un telescopio per osservare le meteore, basta l’osservazione ad occhio nudo!
Il Liridi di solito producono da 15 a 20 meteore ogni ora visibili al loro culmine ma possono esserci picchi che possono portare il tasso di meteore visibili fino a 100 ogni ora, ma queste rare esplosioni di attività non sono facili da prevedere. Questa è una delle ragioni per cui le Liridi valgono la pena di esser seguite. L’unico modo per sapere con certezza è quello di andare fuori e guardare!
Per chi non può osservare l’evento può ascoltare il radar in linea può comunque  godersi lo spettacolo celeste(http://spaceweatherradio.com/).

Per osservare là dove nessuno sguardo è mai giunto prima

Were no man has gone before
Nel novembre del 1966 fu pubblicato il secondo pilot di Star Trek: Were no man has gone before, conosciuto in Italia come Oltre la Galassia; nell’episodio c’è una bellissima immagine in cui l’Enterprise del capitano Kirk attraversa i confini della Galassia: la Grande Barriera che come nei ricordi omerici è il limite ancora insuperato  dal genere umano e che mi è  ritornata subito alla mente vedendo  l’immagine ripresa in questi giorni Telescopio Planck
qui l’articolo completo dell’ESA
In questa immagine si vedono chiaramente i giganteschi filamenti di polvere fredda che attraversano la nostra Galassia rivelati dal satellite Planck dell’ESA.
Essa mostra la struttura filamentosa di polvere in un raggio di circa 500anni luce dal Sole e i filamenti sono proprio parte della struttura dinamica della Via Lattea, che  qui è  rappresentata dalla striscia rosa  nella parte inferiore dell’immagine. Qui, l’emissione viene da molto più lontano, attraverso il disco della nostra galassia. L’immagine è stata colorata in falsi colori per meglio discernere le diverse temperature di polvere. I  toni rosa chiaro mostrano la polvere di poche decine di gradi sopra lo zero assoluto,mentre i colori più intensi mostrano la polvere a circa -261 ° C, asoli circa 12 gradi sopra lo zero assoluto. La polvere più calda è concentrata nel piano galattico mentre la polvere sospesa sopra e sotto è più fredda.Questi filamenti sono costituiti da polveri e gas, anche se il gas non viene visualizzato direttamente in questa immagine.
Le forze presenti nella Galassia producono queste spettacolari forme filamentose in cui si innescano fenomeni di formazione stellare.
Mentre il telescopio spaziale dell’ESA Herschel può studiare queste regioni nel dettaglio, solo Planck può evidenziare la grande scala  delle nubi. Lanciati insieme nel maggio 2009, Herschel e Planck studiano le componenti più fredde dell’Universo. Planck osserva le strutture di grandi dimensioni, mentre Herschel fornisce  analisi dettagliate delle strutture più piccole, come le  regioni di formazione stellare.
Quindi dopo tutto la fantasia di Roddenberry e degli sceneggiatori del celebre telefilm ancora una volta non si erano discostati poi tanto nel rappresentare la realtà.