C/2012 S1 dalla Nube di Oort con furore, o quasi ….

Più o meno diecimila anni fa una qualche perturbazione destabilizzò l’orbita di una cometa – in pratica una grossa palla di neve sporca – di circa 5 chilometri di diametro che fono ad allora se n’era stata placida e tranquilla all’interno della Nube di Oort, il vasto guscio più o meno sferico che circonda il nostro Sistema Solare tra 0,3 e 1, 5 anni luce, residuo della sua formazione.
A quell’epoca sulla Terra gli esseri umani ancora non avevano inventato la scrittura, qualcuno forse abitava sulle palafitte e viveva di agricoltura, ma nessuno di loro aveva mai immaginato cosa fosse una cometa anche se forse ne avevano vista qualcuna.

La cometa C/2012 S1 (iSON) ripresa dalla sonda interplanetaria Deep Impact da una distanza paragonabile alla Terra in quel momento: 5,3 UA

La cometa C/2012 S1 (iSON) ripresa dalla sonda interplanetaria Deep Impact il 17/18 gennaio 2013 da una distanza di 5,3 UA.
Credit NASA

Undici mesi fa, il 21 settembre scorso, due astronomi russi, Vital Nevski e Artyom Novichonok, utilizzando il telescopio da 40 centimetri dell’International Scientific Optical Network 1 in un sito vicino a Kislovodsk, in Russia, scoprirono la cometa che nel frattempo era arrivata ad appena 941 milioni di chilometri dal Sole, nella costellazione dei Gemelli. Il Nome completo scelto per la cometa è C (cometa non periodica) 2012 (l’anno della scoperta) S1 (la prima cometa scoperta nella seconda metà di settembre) e infine ISON, dalle iniziali del programma di ricerca russo: C/2012 S1 (ISON).

A gennaio di quest’anno, nei giorni 17 e 18, la sonda spaziale Deep Impact, ben nota per le sue esplorazioni sui corpi minori del Sistema Solare, riuscì a fotografare la ISON sovrapponendo 146 esposizioni da 80 secondi ciascuna per un totale di circa 3 ore e un quarto. Le strisce che si vedono nella foto sono dovute al moto di fondo delle stelle rispetto alla cometa, che nonostante sia stata al momento della ripresa distante circa 760 milioni di chilometri dal Sole, aveva già la sua codina.

La C/2012 S1 (ISON) osservata dal telescopio spaziale Hubble nel maggio 2013. Credit: NASA Comet ISON Observing Campaign

La C/2012 S1 (ISON) osservata dal telescopio spaziale Hubble nel maggio 2013.
Credit: NASA Comet ISON Observing Campaign

Ma arriviamo ai nostri giorni. A fine luglio la c/2012 (ISON) ha superato il limite  di 2,7 UA che rappresenta la frost line 2 per il Sistema Solare. Al di sotto di questo limite c’è da attendersi un ben maggiore sviluppo della coda dovuto alla sublimazione delle parti più volatili.

Però …

Nonostante la ISON fosse stata pubblicizzata come la cometa del secolo 3, le sue aspettative non sono delle migliori fino a questo momento. Anche se era ancora molto distante dalla frost line (circa 5 UA dal Sole), a gennaio di quest’anno la cometa emetteva più di 50 mila chilogrammi di polveri al minuto e solo 60 litri d’acqua al minuto; con quel ritmo occorrerebbero 12 ore per riempire una piscina olimpionica!
Sicuramente a quella distanza la sublimazione del ghiaccio d’acqua non era ancora importante, ma chi si aspettava un tasso via via maggiore con l’avvicinarsi del perielio è rimasto deluso.
Dal 13 gennaio 2013 la luminosità della ISON è rimasta pressoché costante per ben 132 giorni, cioè fino a quasi maggio. Questo curioso comportamento può essere spiegato dalla presenza di una crosta di silicati, da una carenza di acqua nella composizione chimica della cometa 4 o entrambe.
Le previsioni attuali riviste alla nuova curva di luce indicano che se la ISON sopravvivrà al passaggio col Sole arriverà a brillare a non più della magnitudine -6. Distante dalla -17 ma comunque ragguardevole.
Purtroppo in questo momento la cometa è a soli 16 gradi dal Sole, quindi è inosservabile da Terra, ma intanto il 2 ottobre transiterà nei pressi di Marte dove il rover Curiosity e il satellite Mars Global Express potranno riuscire a riprenderla. Sarà la prima cometa osservata dalla superficie di un pianeta extraterrestre!


Bibliografia:

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Note:

Dalla longitudine alla velocità della luce, storia dei satelliti Medicei

…il giorno 7 gennaio del corrente anno 1610.
all’una di notte , mentre osservavo gli astri
celesti con il cannocchiale, mi si presentò
Giove, e dato che mi ero allestito uno
strumento davvero eccellente, mi avvidi che gli
stavano vicino tre Stelline invero piccole , ma
assai luminose…e mi destarono una certa
meraviglia perché, per il fatto che sembravano
disposte secondo una precisa linea retta e
parallela all’Eclittica e più luminosa di altre
di pari grandezza.
(Sidereus Nuncius, Galileo Galilei)

 

Credit: Il Poliedrico

Oramai tutti noi abbiamo presente la planimetria del nostro globo, la foma dei continenti e – più o meno – dove sono le più importanti città del mondo.
Ora per ricavare le coordinate assolute in ogni punto del pianeta richede solo una manciata di secondi e un qualsiasi navigatore GPS incluso oramai anche in moltissimi telefonini.
Beh, una volta non era così. La latitudine non era un problema, bastava misurare l’altezza della Polare per stabilirla, ma fino all’avvento delle radiocomunicazioni che permettevano la trasmissione istantanea dei segnali di tempo, era un problema calcolare la longitudine di un qualsiasi luogo.
La longitudine infatti si calcola misurando in maniera più precisa possibile il tempo locale e facendo la differenza con il tempo del meridiano di riferimento (adesso Greenwich Mean Time (GMT)).
Galileo Galilei, studiando i moti dei Satelliti Medicei si accorse ben presto che questi vanno incontro a periodici transiti dietro il pianeta gigante (occultazioni) o dietro il suo cono d’ombra (eclissi), tanto  precisi  da poterli usare come un orologio celeste.
Nel frattempo una delle potenze mondiali di allora, la Spagna, aveva promesso col suo re Filippo III una ricompensa a chiunque avesse trovato un efficace rimedio al principale problema della navigazione di allora, la determinazione della longitudine, causa principale di innumerevoli sciagure e naufragi dell’epoca.
Galilei mise a punto delle effemeridi e propose il suo metodo ai reali di Spagna, ma fu bocciato dai consiglieri del re 1.
Il metodo galileiano per produrre longitudini esatte vide il successo solo dopo la morte dell’astronomo pisano, e solo sulla terraferma, dove si poteva disporre di osservatori più stabili di un cannocchiale sul ponte di una nave. Per queste vide il successo di cronometri sempre più precisi ed affidabili 2, che facevano ricorso a un altro principio fisico scoperto da Galileo Galilei: l’isocronismo del pendolo.

Nella seconda metà del seicento, Giovanni Cassini (lo scopritore della omonima divisione negli anelli di Saturno e della celebre Macchia Rossa di Giove0) e il suo assistente danese Ole Rømer all’Osservatorio di Parigi si accorsero che vi erano delle discrepanze tra i tempi previsti dei transitti dei Satelliti Medicei e la posizione di Giove e la Terra lungo le loro orbite, in particolare i transiti anticipavano quando la distanza tra i due pianeti era minima e posticipavano quando questa era massima.
Questa fu la prima conferma sperimentale che la velocità della luce è finita. Rømer la calcolò in 210.800 chilometri al secondo, un valore inferiore a quello reale di 299.792,458 km/s dettato unicamente dalla scarsa precisione degli strumenti che Rømer e Cassini avevano a disposizione.
Come amo ripetere ai miei figli non è importante un calcolo sbagliato, quanto capire il concetto e arrivare alle conclusioni giuste. Rømer lo fece.

Flare verso la Terra dalla regione attiva 1123

Credit: SpaceWeather.com

la formazione 1123 accanto alla 1121 - Credit Spaceweather

Avevamo lasciato qualche giorno fa la regione attiva 1121 che aveva emesso il suo flare di classe M 5,4 uno dei più intensi flare degli ultimi anni, che questa si è affievolita riposizionandosi subito accanto (ad est)  in una nuova formazione di macchie solari, la 1123, che si è mostrata fin da subito esuberante quanto la precedente. Infatti nelle prime ore di oggi 12 novembre, ha prodotto un flare di classe C 4 proprio in direzione della Terra. Si prevedono magnifiche aurore boreali e australi.

National Laboratory Pathfinder – Cells – 3: Biocarburante dalla Jatropha curcas (NLP-Cells-3)

La Jatropa curcas è una pianta velenosa originaria del Centro America che sopravvive tranquillamente nelle zone aride senza acqua e particolari cure e attecchisce come la gramigna. I suoi semi contengono il 30-35 per cento di un olio non commestibile ma che trattato può essere usato come biodiesel. L’olio è di ottima qualità e può essere tranquillamente mescolato col diesel tradizionale. Tuttavia, la J. curcas non è attualmente coltivata come un raccolto, dal momento che non esistono cultivazioni commerciali. Nell’attesa di una futura fonte energetica pulita e stabile, questa soluzione permetterebbe lo sfruttamento agricolo di ampie zone desertiche della Terra senza intaccare le coltivazioni tradizionali destinate all’alimentazione umana, e il recupero della CO2 dalla nostra atmosfera.


 


Sintesi

Con l’esperimento National Lab Pathfinder – Cells – 3 (NLP-Cells-3) svolto sulla Stazione Spaziale Internazionale si valutano degli effetti della microgravità sulle cellule della pianta Jatropha curcas. Lo scopo dello studio è di verificare i potenziali effetti della microgravità sul miglioramento delle caratteristiche quali la struttura delle cellule, la crescita e lo sviluppo, per accelerare il processo di allevamento di nuove cultivar di J. curcas per uso commerciale. Una riproduzione accelerata potrebbe consentire  di utlizzare la J. curcas come coltura alternativa per l’estrazione di energia (o di biocarburanti).  

Rcercatore principale 

Wagner Vendrame, Ph.D., University of Florida, Homestead, FL

Collaboratore 

John Wayne Kennedy, Zero Gravity, Inc. Stevensville, MD

 

Finanziatori della ricerca 

BioServe tecnologie spaziali, University of Colorado, Boulder, CO Zero Gravity Incorporated, Stevensville, MD Agenzia promotrice
National Aeronautics and Space Administration (NASA) Spedizioni con destinazione

Sintesi della ricerca

 La National Lab Pathfinder – Cells – 3 (NLP-Cells-3) è una indagine in collaborazione con Zero Gravity Incorporated (ZGI) e l’Università della Florida che aiuta a comprendere meglio gli effetti della microgravità sui sistemi viventi. L’esperimento  valuta i cambiamenti nella struttura cellulare, la crescita, lo sviluppo e l’espressione genica nelle colture cellulari di  Jatropha curcas  esposte a microgravità. Si pensa che i dati raccolti possano aiutare ad accelerare il processo di selezione per lo sviluppo di nuove coltivazioni di  J. curcas per la commercializzazione negli Stati Uniti. Ciò consentirebbe l’inserimento di un importante impianto di biocarburanti come una delle colture alternative di energia per gli Stati Uniti.
L’obiettivo di questa ricerca è quello di verificare i potenziali effetti della microgravità sul miglioramento delle caratteristiche di interesse per lo sviluppo di nuove coltivazioni di J. curcas. Obiettivi specifici comprendono la valutazione dei cambiamenti nella struttura delle cellule, la crescita e lo sviluppo. Inoltre, l’esperimento si propone di valutare l’espressione differenziale del gene nelle colture di cellule
in J. curcas, come affetti da condizioni di microgravità. Tale scoperta potrebbe accelerare il processo di selezione per lo sviluppo di nuove varietà di  J. curcas Analisi da eseguire si comprendono le misurazioni della crescita cellulare e lo sviluppo, la valutazione istologica della struttura cellulare usando la microscopia elettronica a trasmissione (TEM), e l’espressione genica differenziale utilizzando la tecnologia dei microarray.  Analisi istologiche e genetiche saranno condotte prima e dopo il viaggio nello spazio. La cresci

ta cellulare e dello sviluppo saranno valutate al rientro. Una parte delle colture cellulari saranno valutate per la rigenerazione delle piante al ritorno sulla Terra e saranno utilizzate per ulteriori analisi morfologiche e genetiche.