Come impacchettare un rover e mandarlo su Marte!

Credit: NASA/JPL

Razzo Atlas V - Credit: United Launch Alliance (ULA)

Volete vedere come si spedisce un rover su Marte?
Si impacchetta il rover in questione (in questo caso Curiosity), dopo aver verificato che tutto, ma proprio tutto, funzioni a dovere, nel suo bel guscio che somiglia tanto a certe sorpresine dell’Uovo di Pasqua che lo proteggerà fino alla sua destinazione su Marte. Poi si infila il tutto nell’ogiva di un razzo Atlas V.
Intanto si monta il razzo: prima il primo, poi il secondo stadio, poi i serbatoi di carburante etc. proprio come si dovesse costruire un razzo orbitale.
Infine, quando tutto è pronto, in cima al razzo ci si mette l’ogiva, che contiene il guscio della sorpresina che poi è il rover di prima.
E poi …. countdown! 😆

ESI: Earth Similarity Index

Grazie alle più che positive scoperte di Kepler e ai nuovi metodi di indagine per la ricerca di esopianeti, si è reso necessario sviluppare anche nuovi strumenti matematici che aiutino nella classificazione di questi in base alla loro somiglianza con la Terra 1.

 L’Earth Similarity Index (ESI), è un indice che esprime il grado di similitudine tra un qualsiasi pianeta extrasolare e la Terra compreso tra zero (nessuna similarità) e uno (identico alla Terra). L’ESI può essere utilizzato per dare priorità nelle osservazioni, effettuare valutazioni statistiche e sviluppare le classifiche planetarie. L’espressione di base per l’indice  ESI è
dove xi fa riferimento a una delle quattro proprietà planetarie (ex. la temperatura superficiale), xio è il corrispondente valore di riferimento terrestre (in questo caso 288 K), wi è l’indice di importanza della proprietà planetaria, n è il numero di proprietà planetaria, ed ESI ovviamente è l’indice di similarità. Gli esponenti dell’equazione sono usati per regolare la sensibilità della scala e pareggiare il suo significato tra le diverse proprietà.

l’ipotetico pianeta Gliese 581g

I pianeti simili alla Terra possono essere definiti come un qualsiasi organismo planetario con una composizione simile a quella terrestre e un’atmosfera temperata. Come regola generale, qualsiasi corpo planetario con un valore di oltre lo 0,8 ESI può essere considerato un pianeta simile alla Terra.
Ciò significa che il pianeta è roccioso in composizione (silicati) e ha un clima adatto per la maggior parte della vegetazione terrestre, compresa la vita complessa. Pianeti con valori ESI nel range 0,6-0,8 (cioè come Marte) potrebbe essere ancora abitabili, ma solo per forme di vita estremofile, in quanto sono o troppo freddi o troppo caldi, per i parametri di vita come li conosciamo.
I parametri per l’elaborazione dell’equazione ESI per raggio medio, densità, velocità di fuga, e la temperatura superficiale sono riportati nella tabella 1.
I calcoli per i pianeti solari ed extrasolari sono illustrati nella Figura 1. Esse sono divise per comodità per ascisse in base al raggio medio e la densità della massa, e per ordinata in base alla velocità di fuga e la temperatura superficiale. Questi valori sono poi combinati in un ESI globale. I valori in ordinata possono essere considerati un indice di abitabilità a causa della sua  definizione che vede la Terra come punto di arrivo (Tabella 1). Tuttavia, una formulazione simile può essere costruita per altri corpi planetari con valori di riferimento diversi (ad esempio oceano come pianeti).
Una delle applicazioni più pratiche della ESI è negli studi sulla distribuzione e la diversità di pianeti simili alla Terra (Figura 2).
I valori di ESI per  i pianeti candidati scoperti dalla Missione Kepler è mostrato in Figura 3.

Proprietà pianeta Valore di riferimento
Indice di importanza planetaria
Raggio medio  1.0 T  0.57
Densità  1.0 T  1.07
Velocità di fuga  1.0 T  0.70
Temperatura superficiale  288 K  5.58
Tabella 1. Valori di riferimento per le quattro proprietà planetarie usate per definire l’indice ESI. La scala è molto più sensibile alla temperatura superficiale rispetto alle altre proprietà planetarie.
Nota: T =Terra

Figura 1. ESI per 47 corpi del Sistema Solare con raggio maggiore di 100 km (arancione) e 258 pianeti extrasolari conosciuti (blu). Solo alcuni dei corpi più importanti sono etichettati. La scala ESI opera una distinzione tra quelli rocciosi (area rossa) e la superficie temperata (area azzurra) dei  pianeti. Solo i pianeti all’interno di queste due categorie possono essere considerati simili alla Terra (area verde). Le linee tratteggiate rappresentano i valori costanti di ESI. Se confermato, solo Gliese 581 g può finora considerarsi simile alla Terra e essere nello stesso insieme.

Figura 2. Distribuzione dei valori di ESI sulla base di una previsione teorica statistica (giallo), per 47 corpi del Sistema Solare con raggio maggiore di 100 km (arancione), e 258 pianeti extrasolari conosciuti (blu). Il nostro Sistema Solare coincide con le previsioni, ma le sbarre per i pianeti extrasolari conosciuti mostrano il limite delle attuali tecniche di osservazione che consentono di scoprire grandi corpi planetari (ESI valori tra 0,2 e 0,4). Questo tipo di analisi l’ESI può essere usata per predire il numero atteso di pianeti simili alla Terra in un campione di stelle.

Figura 3. Indice ESI per 47 corpi del Sistema Solare con raggio maggiore di 100 km (arancione), 258 i pianeti extrasolari conosciuti (blu) e i 1235 pianeti candidati scoperti da Kepler (verde). La massa per il calcolo dell’indice ESI è stata stimata utilizzando un rapporto generico di massa-raggio per le relazioni gas, oceano nei pianeti rocciosi prendendo come riferimento il Sistema Solare (non era indicata la massa nel set di dati). Il risultato sorprendente nell’estrapolazione dei dati di Kepler è l’abbondanza potenziale di corpi rocciosi e la presenza di due candidati pianeti simili alla Terra, oltre che a un paio molto vicini a questa categoria. Le informazioni contenute in questa candidati planetaria è molto limitata e saranno necessarie altre osservazioni su questi candidati per confermarne l’esistenza..

 

Curiosity e Maven: una risposta sul clima marziano

Curiosity Poised to Begin Ambitious Exploration

Il rover Curiosity - Credit: NASA-JPL/Caltech

Tra pochi giorni un poderoso razzo Atlas V partirà da cape Canaveral con lo scopo di lanciare la missione Mars Science Laboratory  verso Marte.
La missione MSL, ribattezzata più amichevolmente Curiosity, farà planare sulla superficie di Marte l’omonimo lander – un gigante rispetto a tutte le altre sonde semoventi sul suolo marziano – nell’agosto del 2012.
Il suo compito sarà quello di cercare di spiegare definitivamente se Marte abbia avuto o meno in passato condizioni geoclimatiche migliori per la vita di adesso e se questa sia mai espressa sul pianeta rosso.
Uno di questi strumenti è il Rover environmental monitoring station (REMS), una vera  e propria stazione meteorologica che avrà il compito di analizzare l’aria marziana e il suo andamento climatico.

Con lo scopo appunto di studiare più approfonditamente l’atmosfera di Marte, nel 2013 dovrebbe partire la Mars Atmosphere and Volatile Evolution Mission (MAVEN), una missione che cercherà di rispondere a molti quesiti importanti sul clima marziano.

The Mars Atmosphere and Volatile Evolution Mission (MAVEN), set to launch in 2013, will explore the planet’s upper atmosphere, ionosphere and interactions with the sun and solar wind. Bruce Jakosky, MAVEN’s Principal Investigator discusses the mission. Credit: NASA/Goddard/Chris Smith

Francamente quelli che abbiamo sono solo indizi su come potrebbe essere stato il clima di Marte nel lontano passato. Indizi che sembrano indicare la presenza di acqua liquida, di piccoli mari, senza però sapere se questi erano fenomeni locali e temporanei e per quanto sono durati nel tempo.
Certo che la sonda europea Mars Express ha identificato dell’acqua su Marte, ma essa è intrappolata nel suolo o nelle calotte polari insieme all’anidride carbonica congelata. Ma quando e per quanto tempo quest’acqua sia stata in superficie precisamente non lo sappiamo.
Non sappiamo di preciso se l’acqua  su Marte sia stata portata da alcune comete come sulla Terra e se il clima marziano sia mai stato in grado di sostenere un ciclo dell’acqua o se questa sia evaporata per gran parte nello spazio per opera del vento solare e la bassa gravità del pianeta, mentre la rimanente scompariva congelata nel suolo.
A queste domande sia Curiosity con la sua stazione meteorologica, che Maven dovranno trovare una risposta, una risposta che è complementare a quella della Vita su Marte:
Su Marte c’è stato un tempo in cui le condizioni climatiche erano favorevoli alla Vita?
È possibile ripristinarle anche solo in parte?

Il Grande Ghoul Galattico

Ormai è accertato: le spedizioni verso Marte sono pericolose e nascondono grandi insidie tecniche e – in almeno un caso – balordaggine. Scherzosamente questo è chiamato tributo al Grande Ghoul Galattico, fatto sta che che se un russo o un giapponese mi propone un passaggio verso Marte, cortesemente declino.

- 11/11/2011

È proprio brutto il Grande Ghoul Galattico!

Secondo le stime del NORAD, probabilmente il 26 novembre prossimo la sonda russa Phobos-Grunt 1 ricadrà sulla Terra.
Lanciata solo l’8 novembre scorso, la sonda russa che aveva il compito di raggiungere il satellite di Marte Fobos e riportare sulla Terra un campione di suolo (infatti in russo grunt significa suolo) non ce l’ha fatta a uscire dall’orbita terrestre per una mancata accensione del motore principale dovuta al non corretto assetto di volo.
Non è la prima volta che la Russia fallisce una spedizione verso Marte, anzi, è quasi un miracolo che qualche sonda russa sia riuscita a raggiungere il pianeta rosso.
La lista è molto lunga, basti pensare che su 15 missioni tra il 1960, ossia appena tre anni dopo il lancio del primo satellite artificiale Sputnik)  e il 1988, appena 3 anni prima dello scioglimento dell’Unione Sovietica, solo in cinque raggiunsero Marte, solo quattro missioni restituirono qualche dato e solo una (Mars 5) funzionò per 22 giorni!
Come Federazione Russa ci fu un altro tentativo durante la finestra 2 del 1996 con la  sonda Mars 96, che però finì miseramente nel Pacifico al largo del Perù.
Phobos-Grunt tra l’altro è stato il terzo tentativo russo  di raggiungere Fobos 3: anche le due precedenti fallirono miseramente, anche se riuscirono ad andare poco più in là.

Le missioni americane hanno vissuto invece un discreto successo:  su 17 lanci solo cinque sono i fallimenti: il Mariner 3 (1964) che non si separò dal guscio protettivo di lancio, il Mariner 8 (1971) che finì nell’Atlantico, il Mars Observer (1992) perso nei pressi di Marte, Mars Climate Orbiter (1998) distrutto nell’ingresso dell’atmosfera marziana per un errore tecnico 4,  il  Mars Polar Lander (1999)   di cui si persero i contatti nei pressi del polo australe marziano.

Anche il Giappone ci provò con la sonda Nozomi (1988), ma questa finì per girellare fra Marte e la Terra in un’orbita eliocentrica senza carburante e con le batterie scariche.

All’Europa andò decisamente meglio: del Mars Express (1993) solo il lander Beagle 2 – britannico – è andato purtroppo perduto, l’orbiter invece funziona ancora.

Insomma, il tributo di sonde automatiche al Grande Ghoul Galattico è stato caro, oltre il 60% delle missioni verso Marte è andato perso. È anche vero che l’altro 40% ci ha fatto fare un balzo enorme nella comprensione del pianeta rosso e nella scienza planetaria.
La prossima missione che porterà Curiosity sul nostro vicino ci farà senz’altro sognare ancora, in barba al Grande Ghoul.

La polverosa ionosfera lunare

Avevamo già incontrato in passato il complesso ruolo della polvere lunare 1 nella fisica della superficie lunare, ma nessuno finora aveva avanzato l’ipotesi che quella polvere fosse anche responsabile della tenue ionosfera attorno alla Luna.

Credit: Science @ NASA

Fin dall’epoca delle esplorazioni umane verso la Luna si conosceva l’esistenza di un sottile strato ionizzato a qualche decina di chilometri sopra la superficie lunare.
La ionosfera 2 lunare fu osservata per la prima volta dai satelliti artificiali lunari  Luna 19 (1971) e Luna 22 (1974) che notarono un incremento della densità di particelle ionizzate fino a 1000 elettroni per  centimetro cubico, ma il meccanismo di produzione di questa ionosfera  era rimasto sconosciuto fino a oggi.

Il satellite artificiale sovietico Luna 22

Infatti la Luna non ha un’atmosfera sufficiente a spiegare la produzione di una qualsiasi ionosfera, le emissioni di gas dovuti al decadimento radioattivo delle rocce lunari sono troppo piccole per giustificare la presenza in quota di gas ionizzabile.

Durante la missione Apollo 15 (1971) gli astronauti avevano notato strani bagliori lungo l’orizzonte lunare, bagliori che avevano una spiegazione semplicissima: la polvere lunare.
E a questa si rifà l’ipotesi avanzata da Tim Stubbs del Goddard Space Flight Center pubblicata all’inizio di quest’anno per spiegare l’esistenza della ionosfera lunare.
In pratica Stubbs e colleghi affermano che la polvere lunare ionizzata dall’azione della radiazione ultravioletta solare è sufficiente a spiegare la ionosfera osservata all’inizio degli anni settanta.
Questa scoperta è importante per la fisica planetaria: finora si credeva che la ionosfera si sviluppasse solo in presenza di una atmosfera, adesso possiamo affermare che questa non è così indispensabile.
Adesso c’è da capire se anche la ionosfera lunare si comporta come la ionosfera terrestre, ossia modificando le condizioni di propagazione delle onde radio in funzione delle diverse ore del periodo di rotazione e dell’attività solare. Questo ce lo potrà dire la sonda ARTEMIS che studia la magnetosfera terrestre vicino alla Luna e la prossima missione LADEE prevista per il 2013  proprio per studiare l’esosfera del nostro satellite naturale.

liberamente tratto da:  Mystery of the Lunar Ionosphere

Un antico vulcano marziano: Tharsis Tholus

 

 

 

 

Credit:ESA

Bello, eh?
Pensate che quello che è per la Terra un vulcano gigantesco per Marte è solo un vulcano di medie dimensioni tra tanti altri.
Nella sola caldera, che misura solo 32 x 34 chilometri  (la parte interna circolare) potrebbe quasi entrarci tutto l’Etna.

Le caldere vulcaniche sono quanto rimane dei vulcani quando la camera magmatica che li alimentano si svuota e questi crollano sotto il loro stesso peso.
Col passare degli eoni (Tharsis Tholus ha circa 4 miliardi di anni, l’Etna soltanto suppergiù 500 000 1) la caldera centrale è collassata creando queste scarpate di oltre due chilometri e mezzo.

Perché un pianeta che è la metà della Terra ha vulcani che sono il doppio di quelli terrestri?
Per colpa della gravità: quella di Marte è quasi un terzo di quella terrestre. Questa caratteristica ha permesso a edifici vulcanici colossali di svilupparsi, Tharsis Tholus anche ora è alto quasi 8000 metri, il più grande vulcano conosciuto nel Sistema Solare, Olympus Mons, è alto ben 24 chilometri su una base di 600 km di diametro: se la sommità del cono fosse a Roma questo inizierebbe a Bologna!

Queste meravigliose immagini sono state prese dalla fotocamera ad alta risoluzione HRSC dalla sonda dell’ESA Mars Express. Qui sotto ci sono alcune immagini rielaborate in falsi colori per mostrare il vulcano estinto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Liberamente tratto da: ESA Portal – Battered Tharsis Tholus volcano on Mars.

Mars500: bentornati a casa

 Credit:Esa/Mars500

 I membri dell’equipaggio della missione  Mars 500 Diego Urbina e Romain Charles hanno registrato 15 diari video da tutte le fasi della loro missione simulata su Marte.
Questa è una sintesi di questi. Altro materiale è disponibile sul sito web dell’ESA Mars 500.

Finalmente la simulazione di  un viaggio di andata e ritorno verso Marte iniziato il  4 giugno 2010 in un bunker alla periferia di Mosca che vedeva impegnati sei cosmonauti di diverse nazionalità, fra cui l’italo-colombiano Diego Urbina, si conclude proprio oggi.

Il programma era veramente impegnativo – comprendeva addirittura la simulazione realistica di una passeggiata marziana – e in completo isolamento: le provviste di viaggio e le medicine erano state fornite all’avvio della simulazione e anche le – rare – comunicazioni verso l’esterno avvenivano via web sotto forma di testo simulando addirittura i ritardi della velocità della luce nel viaggio.
Questa simulazione è servita per raccogliere più informazioni e dati medici possibili sulle condizioni fisiche e psichiche   che  equipaggio umano si troverà ad affrontare nella realtà in una missione verso Marte.

Finora questa  è stata la simulazione spaziale più lunga mai testata (è durata 17 mesi), ma l’analisi di tutti i dati durerà certamente molto di più, per le novità basta che consultiate il suddetto  sito dell’Agenzia Spaziale Europea.

Un parelio fresco fresco alla fermata del tram

Credit: Il Poliedrico

 

Credit: Il Poliedrico

Credit: Il Poliedrico

 

 

 

 

 

 

 

 

 Photo.DateTimeOriginal                          2011/10/31 15:37
GPSLatitude                                          North  43deg 16′ 10.623″
GPSLongitude                                       East      11deg 20′ 10.493″


Non occorre andare in Svezia o in Finlandia per godersi lo spettacolo di un bellissimo parelio.
Non occorre che sia un freddo birbone da congelare il fiato.
Basta aspettare il tram e qualche volta alzare lo sguardo verso il cielo,magari può capitaredi vederne uno proprio come a me mezz’ora fa!

Storie, religioni e mitologie aliene

Credit: NASA, ESA, the Hubble Heritage (STScI/AURA)-ESA/Hubble Collaboration, and A. Evans (University of Virginia, Charlottesville/NRAO/Stony Brook University)

 

Credit: NASA, ESA and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA)

La collisione tra due galassie è probabilmente l’evento cosmico più grande dell’universo dopo il Big Bang.
Contrariamente a quanto si è portati a credere la possibilità che stelle appartenenti alle due galassie entri in collisione diretta è piuttosto remota, l’effetto dello scontro sarà solo il rimescolamento della materia delle galassie attorno a un nuovo centro di gravità comune.
Il processo dura miliardi di anni, un nucleo galattico può oltrepassare la galassia bersaglio senza subire molti scossoni e rimbalzare giù di nuovo fino alla sua stabilizzazione finale che comporta la nascita di una nuova galassia completamente diversa dalle due precedenti.

Nella foto in alto c’è Arp 148, un magnifico esempio di una collisione avviata, dove ormai della galassia bersaglio probabilmente è rimasto solo l’anello mentre il suo nucleo è stato forse assorbito dall’altra galassia vista di taglio.
L’altra foto riguarda Arp 273, due galassie ancora ben formate dove i bracci della spirale inferiore sono stai stirati all’inverosimile dall’interazione gravitazionale con l’altra galassia, che presenta a sua volta un braccio della spirale molto allargato.
La forma più regolare di Arp 273 rispetto all’aspetto  più caotico di Arp 148  indica che quest’ultimo oggetto è molto più vecchio di Arp 273 e che queste due galassie ancora non sono entrate ancora in contatto, benché gli influssi gravitazionali nel corso di diversi milioni di anni ne hanno profondamente modificato l’aspetto.

Questo è quello che io vedo quardando queste immagini, un matematico forse vi vedrà l’equazione di N-corpi, mentre un chimico sarà interessato dalle curiose interazioni fra elementi chimici con isotopi diversi, etc.

Credit: Debra Meloy Elmegreen (Vassar College) et al.,
& the Hubble Heritage Team (AURA/STScI/NASA)

Ma quale visione avrebbero gli esseri senzienti evolutisi su un banale pianeta che ruota attorno a una banale stella posta ai margini di una delle due galassie interagenti?
Avrebbero innanzitutto una visione magnifica del fenomeno: il cielo solcato perpendicolarmente dalla propria galassia mentre l’altra grande quanto metà del cielo e luminosa quanto la luna piena che quasi la compenetra.
Il cosmico amplesso che crea continuamente filamenti di giovani stelle blu dal rimescolamento delle nubi interstellari,e che forse ha generato anche la loro stella in un passato remoto, li rendono in qualche modo figli del prodigio cosmico.
Tutta la loro cultura, storia e mitologia sarebbe impregnata dal fenomeno celeste, i loro poeti scriverebbero fiumi di inchiostro e le parole dei bardi che narrano di eroi assurti in cielo dopo un’epica morte e preso la forma della galassia in arrivo sarebbero piene le contrade.
Come la nostra galassia prende il nome dal latte sgorgato dai seni di Era mentre allatta Ercole, probabilmente per la mitologia aliena la loro galassia potrebbe essere stata generata dal sangue sgorgato da una mitica creatura del cielo ferita da un  pugnale cosmico.
Anche le religioni potrebbero essere influenzate dai loro eventi cosmici più delle nostre, mentre gli innamorati potrebbero trovare di buon auspicio avviare una relazione al chiar di galassia.
Fino a che i loro scienziati riveleranno la poesia che è nascosta dentro la verità scientifica, e magari inizialmente potranno essere perseguitati per questo, come avvenne da noi con Galileo che confutava il sistema tolemaico.

Tutto questo potrebbe esser vero su un banale pianeta che ruota attorno a una banale stella posta ai margini di una di queste galassie, ma forse non lo sapremo mai.

Blues per il Pianeta Rosso

Marte, nonostante l’immaginario collettivo, non è un buon posto per viverci noi, piccoli e fragili esseri umani, a meno di poderosi progressi tecnologici e investimenti. Per ora è molto meglio lasciare che macchine automatizzate ci mostrino il Pianeta Rosso da vicino.

Credit: HiRISE, MRO, LPL (U. Arizona), NASA

Sembrano ricami dorati in un immacolato abito da sposa.
In realtà sono camini di ghiaccio secco che si scoprono verso la fine dell’estate marziana nell’emisfero sud del pianeta quando la calotta polare sublima.
Marte, ce lo dicono tutte le missioni robotizzate che hanno raggiunto il pianeta, è bellissimo e desolato. Un unico immenso deserto rosso con due calotte di bianchissimo ghiaccio secco e ghiaccio d’acqua che si espandono e contraggono col variare delle stagioni.
La superficie marziana è composta da basalti e argille ricche di ferro: infatti, come hanno dimostrato le diverse missioni robotizzate di superficie – prime fra tutte le celebri sonde Viking I e II – il suolo marziano è chimicamente molto reattivo.
Il ferro contenuto nel terreno è fortemente ossidato, ed è appunto questa ruggine che conferisce a Marte il suo tipico colore rossastro.
Per questo tutte le ricerche in loco di forme di vita, ancorché batteriche, ha prodotto risultati negativi  o, al più, dubbiosi: il suolo ricco di ossidi e di argille non consente, per ora, di dare una risposta definitiva alla domanda che da secoli viene posta su Marte: “c’è vita o c’è mai stata?

La presenza di smectiti (un tipo di argille) nel suolo marziano fu accertato fin dalle missioni Viking 1 le quali posero seri problemi agli esperimenti biologici delle sonde proprio per la loro alta reattività chimica che falsava qualsiasi esperimento.
Adesso uno studio guidato da Catherine Weitz del Planetary Science Institute, 2 ha scoperto che all’interno di un gruppo di canyon chiamato Noctis Labyrintus ci sono segni evidenti della possibile presenza d’acqua allo stato liquido nel lontano passato di Marte, circa 2-3 miliardi di anni fa 3 4.
Questa scoperta è stata fatta utilizzando le  immagini ad alta risoluzione della fotocamera  High Resolution Imaging Science Experiment e dati spettrali della Compact Imaging Spectrometer for Mars Reconnaissance della navicella orbitale  Mars Reconnaissance Orbiter, unite ai modelli digitali del terreno marziano per  determinare elevazioni e visualizzare i rapporti geometrici tra le informazioni raccolte.
Probabilmente Marte ha avuto più episodi in cui l’acqua liquida può essere scorsa in quella regione  e aver depositato i minerali che aveva disciolto più a monte.
Nel corso del tempo può aver scavato il gruppo di canyon, differenziando i depositi per era geologica come avviene sulla Terra. Forse anche il  vulcanismo della zona di Tharsis può aver liberato acqua liquida dal sottosuolo che ha dilavato i canyon in epoche successive.
Quest’ultimo meccanismo spiega le presunte differenze di acidità (Ph) dell’acqua responsabile dei diversi depositi identificati dal team (il Ph dell’acqua modifica la composizione chimica dei depositi di cui è responsabile).

LE ERE MARZIANE

PRENOACHIANO
 Il Prenoachiano  inizia con l’accrescimento e la differenziazione del pianeta circa 4,5 miliardi di anni fa  e la formazione del bacino da impatto Hellas, tra 4,1 e 3,8 miliardi di anni fa. Quasi tutte le testimonianze di questo periodo geologico sono state cancellate dall’erosione atmosferica e da impatti meteorici nelle ere successive. 
 NOACHIANO
  Il Noachiano (dal nome della regione di Noachis Terra) è l’intervallo di tempo tra 4,1 e 3,5 miliardi di anni fa. Le regioni originatesi in questo periodo sono caratterizzate da crateri d’impatto abbondanti e di notevoli dimensioni. Si pensa che durante quel periodo su Marte sia esistita acqua allo stato liquido abbastanza da di creare mari interni.
 ESPERIANO
 L’Esperiano (dal nome dell’Hesperia Planum) si estende da 3,5 a 2 miliardi di anni fa 5, ed è caratterizzato dalla formazione di pianure laviche particolarmente estese che hanno contribuito al catastrofico rilascio di acqua dal sottosuolo che formò effimeri mari nelle pianure dell’emisfero nord.
 AMAZZONIANO
L’Amazzoniano (dal nome diAmazonis Planitia) è l’attuale era marziana che inizia con la fine dell’Esperiano. Le regioni formatesi in questo periodo sono relativamente povere di crateri, e la loro struttura è unicamente dovuta all’attività geologica. L’acqua liquida in superficie scompare e Marte diventa un freddo deserto secco.

Comunque sia, l’ipotesi che in un lontano passato Marte abbia ospitato le condizioni climatiche favorevoli per l’esistenza di acqua allo stato liquido è affascinante, perché sono le stesse condizioni di contorno richieste dalla Vita a Base Carbonio come quella sulla Terra.

Permettetemi una riflessione 6:

All’inizio Marte, dopo la sua formazione, aveva una composizione chimica dell’atmosfera molto simile agli altri due pianeti interni: Venere e Terra, cioè metano, anidride carbonica e ammoniaca.
Per tutto il Noachiano e gran parte dell’era successiva questa composizione permise a un poderoso effetto serra di mantenere la temperatura superficiale oltre il punto di congelamento dell’acqua, la quale arrivava sulla superficie attraverso il massiccio bombardamento di materiale cometario verso i pianeti interni che caratterizzò i primi 2 miliardi di anni del nostro sistema solare.
Assieme all’acqua cometaria arrivò sul Pianeta Rosso anche materiale organico precursore della Vita che trovò un ambiente favorevole per svilupparsi.
Anche qui, come sulla Terra, si svilupparono forme fotosintetiche di batteri,  i quali si resero responsabili, come sulla Terra, di una Catastrofe del’Ossigeno 7 marziana, spiegando così il terreno fortemente ossidato ancora presente.
Verso la fine  dell’Esperiano il progressivo rilascio nell’atmosfera di Marte  di ossigeno provocò la scomparsa dei gas serra che avevano garantito le relativamente alte temperature di prima. Mentre la Terra si congelò completamente con i suoi oceani, Marte vide assottigliarsi la sua atmosfera che, a causa del minor peso dell’ossigeno molecolare che aveva sostituito il metano e l’anidride carbonica, iniziò a disperdersi nello spazio grazie alla bassa velocità di fuga del pianeta, che è poco meno della metà di quella terrestre.

Credit: NASA Jet Propulsion Laboratory - California Institute of Technology

Così credo che Marte sia diventato il luogo freddo e inospitale che  è adesso. Un pianeta che ha vissuto i primi istanti della nascita della Vita Batterica e che però poi non è stata in grado di continuare il suo percorso evolutivo perché ha distrutto il fragile ecosistema del piccolo pianeta su cui era nata.
Dopo 2 miliardi e mezzo di anni non sarà facile trovare tracce di vita su Marte, dovremo accontentarci di prove indirette e supposizioni. Se esistono ancora forme di vita estremofile sarà un bel grattacapo riuscire a scovarle direttamente, a meno che la ormai prossima missione Mars Science Laboratory col suo rover Curiosity non  faccia davvero la tanto attesa scoperta.