Phobos-Grunt addio

- 11/11/2011

È proprio brutto il Ghoul!

Vi ricordate la celeberrima sonda russa Phobos-Grunt che doveva arrivare nei pressi di Phobos – una delle due lune di Marte – e che invece non riuscì ad andare oltre l’orbita terrestre?
Bene, secondo l’agenzia spaziale russa l’ultima vittima del Grande Ghoul Galattico è caduta sulla Terra tra le coste dell’Australia e Nuova Zelanda e del Cile  questa sera verso le 18:45 ora italiana.
Questo mette fine al tormentone iniziato nei giorni successivi al lancio della missione avvenuta l’8 novembre scorso, dopo che un guasto aveva impedito l’accensione del motore interplanetario che avrebbe dovuto portare la sonda verso Marte.

Il paradosso di Olbers e altre domande

Ci sono alcune domande che possono sembrare banali e scontate, ma che in realtà celano una complessità tale che le risposte non sono affatto semplici. Questo significa che non esistono quesiti ovvi, ma al più risposte ovvie.

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Credit: Il Poliedrico

Vi siete mai chiesti perché il cielo di notte è buio?
Banale, eh? Se rispondete perché il Sole è tramontato da un pezzo, me ne vado!
Pensateci bene. Se le stelle – in prima approssimazione possiamo prenderla così – sono distribuite uniformemente nello spazio, prima o poi con lo sguardo dovremmo incontrare la superficie di una stella, non importa quanto distante o quanto luminosa essa sia, ma ovunque volgessimo lo sguardo vedremmo la superficie di una stella e il cielo quindi splenderebbe ne più ne meno come la fotosfera del Sole.
Questo si chiama paradosso di Olbers 1, ma in realtà si posero la stessa domanda anche Keplero e Halley (solo per citarne alcuni) prima di lui.
Vediamo alcune risposte:

  • Le stelle più lontane sono oscurate dalla polvere.
  • L’Universo ha solo un numero finito di stelle.
  • La distribuzione delle stelle nel cosmo non è uniforme.
  • L’Universo è in espansione, la luce delle stelle più lontane è stirata dall’effetto Doppler verso il rosso in proporzione della distanza.
  • L’Universo è relativamente giovane. La luce delle stelle più distanti non ci ha ancora raggiunto.

 

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Verso il centro della Galassia

La prima risposta si può scartare subito: in un corpo nero, come lo è l’Universo, la polvere finirebbe per riscaldarsi e irradiare con la stessa intensità delle stelle che si nascondono dietro. È quindi sbagliata.
La seconda potrebbe essere quasi corretta, se non fosse che il numero di stelle dell’Universo pur essendo tecnicamente finito è cumunque abbastanza alto da illuminare comunque il cielo, come se fossse virtualmente infinito. Anche questa risposta non è convincente.
La terza pur descrivendo efficacemente la struttura reale dell’Universo su grande scala non può essere vera, altrimenti vedremmo il cielo solcato da linee luminose inframmezzato da piccole aree più scure di spazio vuoto, ma questo non si osserva: anche questa risposta è errata.
Solo le ultime due possono spiegare  perché il cielo è buio e sicuramente entrambe contribuiscono a questo effetto anche se in maniera diversa: l’effetto Doppler provocato dall’espansione dell’Universo provoca il progressivo stiramento delle lunghezze d’onda della radiazione stellare così che non riusciamo a vedere nel dominio ottico le stelle più lontane, ma noi viviamo in un guscio sferico che  possiamo chiamare Universo Osservabile. Questa porzione di universo ha un raggio uguale alla vita dell’Universo, cioè circa 15 miliardi di anni luce, e la luce delle stelle più distanti di questo limite ancora non ci ha raggiunto e quando lo farà sarà troppo stirata per essere influente.

Lo so, parlare di scale così grandi fa venire il mal di testa, per questo invece voglio proporre un  quiz molto più semplice: Perché le stelle sembrano più brillanti in inverno?

  1. Perché è più freddo.
  2. Perché guardiamo in una direzione dove le stelle sono più brillanti.
  3. Perchè l’aria è più rarefatta.
  4. Perché guardiamo verso il centro della Via Lattea.

Come al solito la risposta la avrete fra 15 giorni ….

SETI: segnali poco extra ma molto terrestri

Sapevo che prima o poi avrei dovuto scrivere un post come questo.
No, ancora nessun E.T. è venuto a farci visita o ci ha telefonato per dirci dove fosse, anche perché ancora le tariffe interstellari per la fonia mobile costano un occhio della testa.

La regione di cielo studiata dalla missione Kepler e ora dal SETI. Credit: Eastbay Astronomical Society/Carter Roberts

È capitato invece che dopo il ripristino a pieno regime del programma di ricerca SETI con la riapertura dell’Allen Telescope Array, lo sforzo dei ricercatori si sia concentrato presso una piccola regione accanto alla costellazione del Cigno – come del resto avevo più volte detto su queste pagine  – utilizzando il più grande radiotelescopio  mobile del mondo: il Green Bank Telescope.
Questa regione del cielo è quella che la missione Kepler della NASA sta analizzando da oltre un anno con eccellenti risultati nella ricerca di esopianeti, molti dei quali si presume siano di tipo roccioso e almeno  tre – non confermati – siano nella Goldilocks Zone, ovvero entro la fascia orbitale che consente a un pianeta di tipo terrestre di mantenere l’acqua allo stato liquido sulla sua superficie. L’intento di studiare questa stessa zona di cielo era stato espresso più volte dai vertici SETI per voce del suo direttore Jill Tarter , così come per questo specifico programma di ricerca sarebbero stati messi a punto nuovi e più sofisticati algoritmi di analisi del segnale capaci di discriminare milioni di canali simultaneamente.

Credit: NASA/SETI/UC Kepler

Quello che è appunto  accaduto è che durante un paio di osservazioni di quelli che vengono chiamati Kepler Object of Interest (KOI) un po’ di spurie raccolte dai ricevitori del radiotelescopio siano state mostrate per far vedere cosa ci dovremmo aspettare dai nuovi algoritmi di analisi qualora un segnale extraterrestre venisse realmente captato. Questi segnali avevano un aspetto simile a quello che si pensa possa essere prodotto da una tecnologia extraterrestre 1, anche se in questi due casi era evidente la loro origine molto terrestre.

Che si trattasse di spurie quindi era evidente fin dall’inizio per i ricercatori che hanno cercato di spiegarlo, ma purtroppo c’è chi ha subito gridato a “‘o miracolo!” e chi ha ripreso l’Istituto SETI quando ha cercato di chiarire l’equivoco (comunque bastava leggere!) parlando di complotti dell’U.S. Air Force (che è uno degli sponsor del progetto SETI) e di altri poteri occulti che vogliono mettere a tacere l’epica scoperta.

Che dire: il mondo è bello perché è vario ….

Fonti:
http://seti.berkeley.edu/kepler-seti-interference

Quadrantidi: i primi dati

credit: NASA Meteoroid Environment Office (MEO)

Stanno uscendo proprio in queste ore i dati riguardanti lo sciame delle Quadrantidi (il primo sciame meteorico dell’anno), generato dai detriti della cometa 2003 EH1.

Lo sciame ha raggiunto il picco  di 80 tracce per ora il 4 gennaio 2012 tra le 04:27 e le 05:30 UTC, quindi poco prima dell’alba in Italia.

Il NASA’s All-Sky Fireball Network 1 ha registrato ben 20 bolidi durante il picco che hanno permesso di determinare le orbite e le loro velocità, confermando che la velocità delle Quadrantidi oscilla tra i 38 e i 42 km/s. , più o meno in linea con la tabella qui.

fonti:
http://spaceweather.com/
http://imo.net/live/quadrantids2012/

La fisica del pulcino

 Voler parlare di fisica o di astronomia nella letteratura italiana non è poi così difficile: basta un pezzo della Divina Commedia di Alighieri dove i riferimenti astronomici si sprecano, oppure nella pittoresca letteratura salgariana o nel Pinocchio di Carlo Collodi o anche nel Manzoni – autore che però non ha mai attirato le mie letture.
Ma trovare le fondamenta della fisica in una filastrocca per bambini occorre una mente … poliedrica!

lunedì chiusin chiusino
martedì beccò l’ovino
sgusciò fuori mercoledì
pio pio fé giovedì
venerdì fé un volettino
beccò sabato un granino
la domenica mattina
aveva già la sua crestina

Questa è una vecchia filastrocca, la prima poesia che ho studiato a memoria ai bei tempi  della prima elementare.
Con questa filastrocca in genere si cerca di insegnare ai bambini l’ordine mnemonico dei giorni e dei loro nomi, ma a ben guardare c’è sicuramente molto di più, c’è uno dei concetti più fondamentali e discussi della fisica, viene insegnato il tempo.

In questa filastrocca ci sono i concetti del prima e del dopo, è rappresentato il concetto di causalità, la non ripetitività propria di una vita che nasce, si sviluppa e diviene adulta.
La scala dei tempi magari non è corretta, d’altronde è una semplice filastrocca pensata per insegnare i nomi dei giorni ai bambini, ma è da eventi come quelli descritti nella poesiola che l’uomo ha scorto la linearità del tempo, che è alla base del pensiero scientifico moderno e della fisica, mentre tutto attorno a lui mostrava il contrario.
E anche se il nostro eroe “la domenica mattina aveva già la sua crestina” il giorno successivo sarebbe stato non un altro lunedì qualsiasi, ma un giorno nuovo, con un uovo in meno e un intraprendente pulcino in più.

Poliedriche previsioni

il cielo il 5 marzo 2012 - Credit: Il Poliedrico

Tutti in questo periodo si abbandonano alle previsioni. Oroscopi, previsioni sportive, meteorologiche o di mercato 1 e, per quest’anno, ci si mettono pure i Maya con il loro calendario a termine il 23 dicembre prossimo venturo come una mozzarella a lunga conservazione!
Nell’attesa di assaggiare il prossimo panettone di Natale mi lancio anch’io per una volta nella moda delle previsioni e siccome più che sapere di essere un cattivo veggente sono soprattutto pigro nello scrivere, mi fermerò ad aprile (almeno la S. Pasqua i Maya ci permettono di festeggiarla):
Premesso che per quest’anno se rimarrete in Italia scordatevi le eclissi come abbiamo avuto quest’anno che sta per terminare, vediamo cosa ci offre il cielo nel 2012 e nel mese di

Gennaio:

Intanto informo i più temerari (l‘ho già detto: io sono pigro e freddoloso come tutti i vecchietti di questo mondo, quindi me ne starò a letto) che la prima metà del mese sarà dominata dallo sciame delle Quadrantidi, anche se la Luna Piena il giorno 7 disturberà non poco l’osservazione di questo ricco sciame; se vedrete una stella cadente in questo periodo mandate un pensierino agli jettatori della fine del mondo.
Il 2 del mese offrirà una bella congiunzione di Giove-Luna (poco dopo il 1° quarto) la cui distanza apparente sarà inferiore ai 5 gradi; non sarà poi molto, ma è pur sempre un bel colpo d’occhio.

Febbraio:

Il mese  non offrirà spunti particolarmente significativi, tranne forse che la Luna passerà vicino ad Aldebaran il giorno 2 e incontrerà Spica il 12 del mese in linea con Saturno.

Marzo:

Il 5 Mercurio sarà alla sua massima elongazione est – sarà visibile quindi al tramonto – in fila assieme a Giove (in alto) e Venere (nel mezzo). Una danza quella dei pianeti più luminosi che culminerà nella congiunzione del giorno 14, mentre il 24, cielo permettendo, al tramonto ritroveremo Venere e Giove e una sottilissima falce di Luna; questo sì che che sarà bello ammirare.

Intanto si preparano le condizioni per l’evento clou di questo primo quarto di anno: il 27 marzo Venere sarà alla massima elongazione est. Questo significa che sta per avvicinarsi alla Terra e, nonostante la sua falce illuminata rivolta verso di noi si stia assottigliando, per il breve periodo di circa un mese sarà estremamente luminosa: -4,5 / -4,7 di magnitudine!
Infatti ad aprile Venere sarà particolarmente luminosa, specie nei giorni attorno il 20 -25 aprile. Il 21 sarà Luna Nuova e il 22 sarà all’apogeo.
Quindi quali condizioni migliori per sperare di riuscire a vedere e fotografare l’Ombra di Venere 2?

Oltre il Modello Standard e il Bosone di Higgs

Francamente ancora non sappiamo se esista o meno il Bosone di Higgs, il famoso bosone portatore di massa delle particelle, quello che nel titolo di un suo libro 1 il fisico Leon Max Lederman aveva chiamato “maledetta particella”  (goddnam particle) e che un editore un po’ troppo moralista trovandola sconveniente la cambiò in “Particella di Dio”. Adesso un paio di recenti esperimenti pongono limiti alla sua esistenza.  Un po’ come dire “ non lo abbiamo ancora beccato, ma ci sono indizi che ci fanno credere che sia rinchiuso in quella stanza”.

In una conferenza stampa il 13 dicembre i ricercatori del CERN di Ginevra hanno annunciato che due diversi esperimenti 2  in corso presso il più grande acceleratore di particelle del mondo, il Large Hadron Collider (LHC) hanno posto limiti ben ristretti alle finestre energetiche in cui può essere verificata l’esistenza del bosone di Higgs.

Ma che cosa sarebbe esattamente il bosone di Higgs 3 ?
Il Modello Standard – che è l’evoluzione estrema della Meccanica Quantistica – descrive le basi di come le particelle elementari (fermioni e leptoni) interagiscono fra loro tramite bosoni di gauge, ovvero particelle che mediano, trasportano tre delle quattro forze fondamentali della natura:

  • la forza elettromagnetica (luce, magnetismo, elettricità) è mediata dai fotoni;
  • la forza nucleare forte (la forza che tiene uniti i quark per formare gli adroni – protoni e neutroni) è mediata dai gluoni;
  • la forza nucleare debole (responsabile del decadimento radioattivo  beta – decadimento del neutrone in protone) mediata dai bosoni W, Z e appunto il famoso bosone di Higgs.

La particolare natura della forza debole di interagire 4  sia con i leptoni che con i fermioni, sia con particelle cariche che particelle neutre, richiede appunto tre bosoni distinti per agire: uno per le interazioni cariche (W), uno per le interazioni neutre (Z) e uno (Higgs) per dare la massa a tutte le altre particelle, tranne i fotoni e i gluoni.
L’unica forza fondamentale che per ora rimane esclusa dal Modello Standard è la forza di gravità che verrebbe mediata a sua volta dal suo bosone: il gravitone.

Come funzionerebbe il bosone di Higgs?

Il bosone di Higgs fu teorizzato attorno al 1960 dal fisico Peter Higgs, ed altri,  per spiegare il modo in cui le particelle elementari acquistano massa a riposo.
Non è facile spiegare come questo avvenga senza ricorrere alla matematica, ma un fisico dell’University College di Londra, David Miller raccolse la sfida del ministro britannico della scienza, William Waldegrave che aveva indetto in proposito un concorso, in palio una bottiglia di champagne.
L’immagine suggerita da David Miller 5 è quella di un salone (lo spazio) pieno di persone (il campo di Higgs) che sono distribuite in maniera uniforme e impegnate a conversare ciascuna con il proprio vicino. All’improvviso questa festa viene animata dall’arrivo di un personaggio famoso (una particella) che attraversa la stanza. Tutte le persone vicine sono attratte da lui (la rottura di simmetria) e vi si affollano intorno. Man mano che il personaggio famoso si muove nella sala attrae altre  persone a lui più vicine mentre quelle che lascia alle sue spalle tornano nella loro posizione originale. A causa di questo affollamento aumenta la resistenza al movimento, in altre parole il personaggio famoso-particella  acquista la sua massa.

Il Large Hadron Collider - Credit:: Maximilien Brice

Per spiegare invece il concetto di bosone di Higgs, sempre Miller suggerisce di immaginare che all’improvviso, nello stesso salone pieno di gente, qualcuno faccia circolare una voce. Le persone più vicine la ascoltano per primi e si riuniscono per apprendere qualche dettaglio in più, quindi si voltano e si avvicinano alle altre persone nei paraggi per riferire quanto ascoltato. In questo modo la stanza viene attraversata da un’ondata di capannelli che si formano man mano e che a loro volta, come il precedente personaggio famoso, acquisiscono massa. Il bosone di Higgs sarebbe appunto questa rottura di simmetria nel campo di Higgs.
Nelle tre dimensioni, e con tutte le complicazioni relativistiche del caso, questo è in pratica il meccanismo postulato da Higgs. Al fine di dare alle particelle una massa, il vuoto si distorce a livello locale ogni volta che una particella si muove attraverso di esso provocando una rottura di simmetria. La distorsione – il raggruppamento del campo di Higgs intorno alla particella – genera la massa.
L’idea arriva direttamente dalla fisica dei solidi. Invece di un campo diffuso in tutto lo spazio, un solido contiene un reticolo cristallino di atomi con carica positiva. Quando un elettrone si muove attraverso il reticolo attrae gli atomi, causando un aumento di massa effettiva dell’elettrone fino a 40 volte più grande della massa di un elettrone libero.
A questo punto Il campo di Higgs postulato è una sorta di reticolo ipotetico nel vuoto che riempie il nostro Universo. Così si può spiegare perché le particelle Z e W che trasportano le interazioni deboli sono così pesanti, mentre il fotone che trasporta le forze elettromagnetiche sia senza massa. Ed è grazie a questa rottura di simmetria del vuoto che le particelle cominciano a interagire fra loro, acquisiscono massa e non possono viaggiare più veloci della luce.
Ma le analogie con la fisica dei solidi non finiscono qui: in un reticolo cristallino ci possono essere alterazioni locali che si muovono al suo interno senza il bisogno del transito di un elettrone che attrae gli atomi. Queste onde possono comportarsi esattamente come se fossero particelle. Queste sono chiamati fononi e anche loro sono bosoni.

Tuttavia, il Modello Standard può spiegare solo il 4% della materia e dell’energia contenute nell’universo.
Si presume che il resto sia fatto di materia oscura (23%) e l’energia oscura (73%). Questo significa che gli atomi costituiscono solo una netta minoranza di questo universo mentre il 96% ancora non è compreso nel Modello Standard, come non lo è del resto la gravitazione, la forza più diffusa nell’universo.
Nonostante i suoi successi predittivi, l’attuale Modello Standard è  una delle più brutte teorie proposte dalla fisica moderna.
Ha più di 19 parametri liberi, 3 serie di particelle ridondanti, 36 diversi tipi di quark e anti-quark, e una variegata collezione di gluoni, leptoni, bosoni, particelle di Higgs, particelle di Yang-Mills, etc.
Questo indica – e sono anche i suoi ideatori ad ammetterlo – che il Modello Standard non è certamente la teoria finale.
Al momento, l’unica teoria matematicamente auto-consistente in grado di fornire un quadro realmente unificato dell’universo è la teoria delle stringhe.
Questa Super Teoria del Tutto  non è ancora stata verificata, ma il Large Hadron Collider può finalmente trovare prove convincenti a favore di questa promettente teoria.
Il prossimo obiettivo per l’LHC potrebbe essere quindi individuare la materia oscura, quella sostanza invisibile che impedisce alle galassie di dissolversi.

Al di là delle origini del Sistema Solare

La scienza ha sempre cercato di rispondere alle più incredibili curiosità umane usando poche ma solide basi da cui partire. Adesso grazie al pensiero scientifico possiamo affermare di aver compreso a grandi linee la nascita e perfino la morte futura dell’Universo, la nascita del Sistema Solare, fino a quando il Sole si spegnerà in una piccola nana bianca tra circa 5 miliardi di anni 1.
Grazie agli studi paleontologici, biologici, chimici e fisici, siamo riusciti a ricostruire tutta la cronistoria della Terra, da quando era un polveroso sasso senza vita fino al meraviglioso mondo che è oggi.
Eppure gli scienziati non sono ancora sazi di sapere – d’altronde è bene che non lo siano mai, ci sono quelli che si domandano cosa c’era prima del Big Bang
2 o se possono esistere universi paralleli e come questi potrebbero essere.
Gary R. Huss invece si domanda più prosaicamente: quale tipo di stella ha dato origine alla nebulosa che ha creato il nostro sistema solare?
Questa può sembrare una domanda irrisolvibile ma invece la soluzione è molto più banale di quanto si pensi.

La zona centrale della Nebulosa dell’Aquila,

Analizzando le rocce terrestri, marziane, lunari e meteoriche è stato possibile per gli scienziati di farsi un’idea abbastanza precisa sull’abbondanza di certi elementi chimici piuttosto che altri nel sistema solare.

Senza scendere nel tedioso particolare sulle analisi dei rapporti tra i vari isotopi e radionuclidi 3 4 sparsi nei più vari campioni analizzati e conoscendo abbastanza bene i meccanismi della fusione nucleare che alimentano le stelle e che producono gli atomi più complessi di cui siamo composti, si possono calcolare quali tipi di reazione nucleare possono dar luogo a certe abbondanze.

L’immagine composita del resto di supernova G299.2-2.9. L’ampiezza della struttura è di circa 114 anni luce (Crediti: X-ray: NASA/CXC/U.Texas/S.Park et al, ROSAT; Infrared: 2MASS/UMass/IPAC-Caltech/NASA/NSF).

L’immagine composita del resto di supernova G299.2-2.9. L’ampiezza della struttura è di circa 114 anni luce (Crediti: X-ray: NASA/CXC/U.Texas/S.Park et al, ROSAT; Infrared: 2MASS/UMass/IPAC-Caltech/NASA/NSF).

Appunto studiando quali radionuclidi a vita breve  5 presenti all’inizio della storia del Sistema Solare 6 e la loro abbondanza relativa rispetto ai radionuclidi a vita lunga come l’uranio 238, il torio 232, il potassio 40 e così via, si può tentare di ricostruire la composizione chimica della nebulosa che dette origine al nostro sistema solare, primo e fondamentale passo per sapere cosa ci sia stato prima, ovvero quali potrebbero essere state le caratteristiche della stella – o stelle – che ha prodotto tutti gli elementi chimici più pesanti dell’idrogeno di cui tutti noi siamo costituiti.
Studiando i vari tipi di sintesi nucleare nei diversi casi di evoluzione stellare che arrivano a produrre i radionuclidi cercati, si è potuto stabilire che la massa limite va da 1 a 120 masse solari, un po’ vago come limite ma è già qualcosa.

Ma è possibile per una singola stella produrre i radionuclidi a vita breve scoperti nel sistema solare?
È poco probabile che una stella con una massa compresa tra le 20 e le 60 masse solari o una stella di massa intermedia del ramo asintotico delle giganti (AGB 7) sia la responsabile dei radionuclidi osservati.

La nebulosa “Occhio di Gatto” generata da una stella gigante tipo AGB.

Piccole stelle AGB non possono produrre abbastanza ferro 60. Una supernova di tipo II originata da una stella con una massa iniziale superiore a 20 masse solari produrrebbe troppo ferro 60 e troppo magnesio 53. Altre fonti come potrebbero essere novae, supernovae di tipo Ia, o il collasso del nucleo di una supernova O-Ne-Mg 8 o nane bianche non sembrano in grado di produrre radionuclidi a vita breve come quelli osservati nelle giuste proporzioni.
A questo punto la conclusione più probabile è che non sia stata una singola stella a generare la materia nebulare primordiale nelle proporzioni isotopiche rilevate, ma almeno due: una supernova di tipo II di massa inferiore o uguale a 11 masse solari e un’altra – probabilmente una stella di massa compresa tra 12 e 25 masse solari – che insieme hanno fornito gli elementi osservati all’incirca nelle proporzioni osservate.

Gary R. Huss. Ricercatore e direttore del laboratorio di chimica cosmica  WM Keck – Credit: Istituto  di Geofisica e Planetologia delle Hawaii.

Il traguardo che si è dato Gary Huss non è affatto semplice: ci possono essere stati molti processi che hanno potuto alterare in seguito il rapporto degli isotopi osservati nel sistema solare: la fase di preaccenzione del nostro Sole ha generato flussi di raggi X in grado di alterare molti rapporti isotopici, l’influenza dei raggi cosmici, e mille altri processi radiativi possono aver scombussolato il quadro originario della nebulosa primordiale.
Il suo sarà un lavoro terribilmente difficile ma che potrà dare immense soddisfazioni.

Comunque sarà bello scoprire che anche il Sole ha avuto due genitori.


Note:

 

 

Il rilancio del Progetto Seti passa da Kepler

l'Allen Telescope Array

Era l’ottobre di quest’anno che con una lettera ai partecipanti 1 al Progetto SETI che Eric Korpela, annunciava la riattivazione dell’Allen Telescope Array e spiegava quali ambiziosi obiettivi erano al centro del rilancio del progetto. Come già anticipato anche su questo sito, il desiderio di Jill Tarter era quello di studiare con l’ATA in quella precisa zona di cielo, quelle specifiche stelle che i risultati di Kepler hanno mostrato possedere pianeti comparabili come massa e dimensioni simili alla Terra dentro la zona Goldilocks 2, 3.

Adesso è confermato: l’Allen Telescope Array sta di nuovo cercando segnali radio come testimonianza di intelligenze extraterrestri scandagliando le stelle con un sistema planetario che Kepler ha scoperto.

Il direttore del Progetto SETI Jill Tarter. Credit: Sven Klinge.

Il telescopio spaziale Kepler con le sue scoperte ha potenzialmente rimodellando la nostra visione dell’universo. Questa è una eccezionale opportunità per le osservazioni SETI,” ha dichiarato Jill Tarter, direttore del programma SETI  “Per la prima volta possiamo puntare i nostri telescopi verso stelle che ospitano sistemi planetari – di cui almeno uno è simile alla Terra e che orbita nella zona abitabile attorno alla sua stella ospite. Questo è il tipo di mondo che potrebbe essere sede di una civiltà capace di costruire trasmettitori radio.

L’ATA era stato messo in stand-by lo scorso aprile col ritiro della ex partner del SETI Institute, lUniversità della California Berkeley,  per problemi di bilancio.

Berkeley è proprietaria del Hat Creek, nel nord della California in cui si trova l’ATA. Con i nuovi fondi recentemente acquisiti attraverso una massiccia campagna promozionale via Web e non solo, l’ATA ha potuto riprendere le osservazioni SETI là dove si era interrotta: esaminando le migliaia di nuovi candidati pianeti trovati da Kepler.

Massima priorità sarà data alla manciata di mondi scoperti finora che si trovano nella zona abitabile la loro stella, ovvero quella fascia orbitale dove le temperature sulla superficie di un pianeta consentono all’acqua di esistere allo stato liquido.

Ma Jill Tarter tiene a precisare che la Goldilocks non deve essere considerata invalicabile:

In SETI, come per tutte le ricerche, nozioni preconcette come le zone abitabili potrebbero essere degli ostacoli alla scoperta”, aggiunge Tarter “Così, quando avremo sufficienti  finanziamenti futuri dai nostri donatori, è nostra intenzione esaminare tutti i sistemi planetari trovati da Kepler“.

Le osservazioni dei prossimi due anni consentiranno l’esplorazione sistematica dei pianeti scoperti di Kepler nella finestra delle microonde da 1-10 GHz. L’ATA è l’unico radiotelescopio che può fornire l’accesso immediato a decine di milioni di canali in qualsiasi momento e ovunque in questa fascia di ben 9 miliardi di canali (ogni canale è largo appena un  1 Hz!).

Fino a poco tempo fa molte ricerche SETI erano focalizzate su limitate gamme di frequenza, tra cui un piccolo numero di osservazioni attorno alle frequenze  di transizione dello ione 3He+  a 8,67 Ghz, proposte nel 1993 dal team di Bob Rood (University of Virginia) e Tom Bania (Boston University) 4.

La ricerca iniziale dell’ATA sugli obbiettivi individuati da Kepler si concentrerà intorno alla banda 8,67 GHz, prima di passare ad esaminare gli altri miliardi di canali disponibili per l’osservazione.

Il successo della missione Kepler ha creato una straordinaria opportunità per concentrare la ricerca SETI. Mentre la scoperta dei nuovi esopianeti attraverso Kepler è sostenuta con i soldi del governo americano, la ricerca di intelligenze extraterrestri  in questi mondi può  essere svolta a casa da ciascuno di noi. E la nostra esplorazione SETI dipende interamente da donazioni private, per la quale siamo profondamente grati ai nostri donatori “, osserva Tarter.

Credo che adesso che l’Allen Telescope Array è tornato a lavorare come era stato promesso, altre donazioni non tarderanno ad arrivare, io l’ho fatto presso il sito SetiStars.

Il mistero delle supernovae Ia

La Supernova 1572 (la Nova di Tycho), una supernova di tipo Ia osservata nel 1572 dall'astronomo danese Tycho Brahe. (credit: NASA/CXC/JPL-Caltech/Calar Alto O. Krause et al.)

Tutto quello che sappiamo del nostro Universo lo abbiamo scoperto grazie all’analisi delle onde elettromagnetiche (luce visibile, onde radio, raggi X e gamma) che ci giungono dallo spazio, da altre stelle, galassie e nebulose lontanissime.
Ad esempio per sapere le dimensioni del cosmo si usano – superato il limite parallattico, attualmente circa 100 anni luce – le candele standard, ossia quegli oggetti di cui sono note le luminosità assolute a cui si applica poi la semplice legge dell’inverso del quadrato della distanza 1.
Per le zone di questa galassia e per poche altre galassie vicine si usa un tipo particolare di stelle variabili chiamate Cefeidi. Le Cefeidi sono stelle giganti che hanno una particolarità di inestimabile valore per un astronomo: il loro ciclo di variabilità è strettamente connesso alla loro luminosità: per cui analizzando la curva di luce di questo tipo di variabili si conosce automaticamente anche la luminosità assoluta, esattamente quello che occorre per essere una candela standard.
Il meccanismo fisico che è alla base della variabilità di una Cefeide è ben noto, ma lo stesso non può dirsi dell’altra candela standard usata in cosmologia: le Supernovae di Tipo Ia, usate dove non è possibile individuare una Cefeide.

Gli scenari possibili per la formazione di una supernova di tipo Ia

Le supernovae sono stelle che esplodono al termine del loro ciclo vitale generando una luminosità migliaia di volte più grande della galassia a cui appartengono, e quelle del tipo Ia – lo si desume anche in questo caso dalla curva di luce e dallo spettro elettromagnetico che emettono – hanno la particolarità di essere tutte molto simili come luminosità assoluta (magnitudune circa -19,3 per tutte), il che le rende ottime candele standard per le distanze cosmologiche, ossia al di fuori del nostro Gruppo Locale.
Per certo di questa classe di supernovae sappiamo che sono il risultato di un processo fisico in cui alcune nane bianche o stelle di neutroni 2 per qualche meccanismo finora poco chiaro,superano il limite di Chandrasekhar – che è quasi 1,4 masse solari. Questo è il limite oltre al quale una stella degenere non può andare in quanto gli stessi atomi (sarebbe più corretto dire elettroni) non possono reggere il  peso della stella senza il contributo della pressione radiativa generata dalle reazioni di fusione nucleare. Quando questo limite viene superato, i nuclei atomici ipercompressi riprendono a fondersi ad un ritmo impressionante liberando enormi quantità di energia che in pochi minuti portano alla deflagrazione della stella, indipendentemente dalla sua composizione chimica o dimensione di partenza. L’unico elemento costante è il limite della massa di Chandrasekhar che rende tutte queste supernovae uguali nelle esplosioni e nella luminosità.
Quello che appunto non è del tutto chiaro è come una stella degenere come una nana bianca o una stella di neutroni possa riacquistare abbastanza massa da deflagrare in supernova.
La tesi più comune finora accettata è quella del sistema binario stretto: la stella degenere strappa letteralmente la materia alla sua compagna gigante rossa (praticamente lo stesso meccanismo delle novae) fino a superare la massa limite.
Ma questo meccanismo però richiede che il trasferimento di materia tra la stella cannibalizzata e la stella degenere sia sufficientemente rapido da superare la massa critica prima che si sviluppi una nova 3, ma non troppo veloce da consentire alla stella degenere di rigenerarsi in una gigante rossa.
Il risultato di questo modello richiede quindi una serie di parametri da rispettare (velocità orbitale, eccentricità, distanza etc.) da risultare complicato avverarsi.
Inoltre ci si dovrebbe attendere di trovare almeno i resti della stella compagna della supernova, ma invece questi finora non sono mai stati ritrovati.
Lo scenario rimanente per spiegare le supernovae Ia è quello che chiama in causa due nane bianche in orbita reciproca che decade. L’orbita stretta sottrae energia al sistema doppio sotto forma di onde gravitazionali fino a che le stelle entrano in contatto e si fondono in un unico corpo che è destinato subito dopo a esplodere.
O no?
Anche questo scenario comporta altri diversi problemi mentre cerca di risolvere le lacune del primo.
Innanzitutto il problema della massa finale, che probabilmente dopo la fusione delle due nane bianche potrebbe superare il limite di Chandrasekhar di 1,4 masse solari dando luogo anche a una più massiccia deflagrazione, ma potrebbe anche generare un oggetto massiccio noto come le pulsar-millisecondo, dove la stella di neutroni degenere finale ha una rotazione abbastanza elevata da contrastare la compressione gravitazionale che innseca le reazioni di fusione nucleare 4. Tutte le pulsar perdono energia con la radiazione di dipolo magnetico, in questo caso accade che la rotazione diviene insufficiente a resistere al peso della stella degenere che così esplode.
Con questo meccanismo infatti rimane insoluto un grave problema: come riuscire a spiegare come esplosioni di stelle degeneri di diversa massa -anche se simile –  possano generare tutte la medesima luminosità assoluta, oppure si dovrebbe considerare che questa misura fosse in qualche modo male interpretata.

Certo che il mistero delle supernovae di tipo Ia rimane irrisolto, anche se studi in questo senso sono stati portati avanti  da due ricercatori, Dan Maoz 5 e Filippo Mannucci 6, che dimostrano come lo scenario più probabile per spiegare questa classe di supernovae è quasi sicuramente il modello della fusione di due nane bianche.
la loro analisi in sostanza parte dai problemi degli attuali modelli teorici e il tasso di supernovae Ia scoperte in relazione all’età e al tipo di popolazione stellare ospite. Quello che ne è emerso è che il secondo scenario, cioè quello della fusione di due nane bianche,  è il più probabile per spiegare il numero delle supernovae scoperte senza negare che anche il primo scenario, quello della cattura di materia da una compagna, può aiutare a spiegare il meccanismo di produzione  delle supernovae Ia, aprendo così la strada ad ancora altri problemi.
Per i particolari del loro studio vi rimando all’articolo su Arxiv 7, che saprà senz’altro illustrarvi meglio i risultati delle loro indagini.