Da Euclide alla vastità del cosmo passando per \(\Lambda\)

Nella prima parte abbiamo visto come una disciplina scientifica, la geometria, che era nata per misurare la terra intesa come territorio, sia anche il più potente strumento in grado di descrivere l’Universo. Menti brillanti come Eratostene di Cirene e Aristarco di Samo, Pitagora ed Euclide e poi Hilbert, Lorentz e Riemann, solo per citare alcuni che ora mi vengono in mente per primi, ci hanno donato gli strumenti migliori per sondare i segreti del cosmo. Ma come tutti gli attrezzi, occorre perizia nell’usarli, e questo è compito dell’intelletto umano, senza il quale, tali strumenti sarebbero inutili.

Adattato e corretto da: Il Poliedrico

Non è affatto facile comprendere le scale cosmiche. Lo scorso esempio dell’isola sperduta ne è un perfetto esempio. Le dimensioni della Terra sono enormi rispetto alla scala umana, mentre quelle del Sistema solare sono quasi al limite della comprensione. Con i mezzi attuali ci vogliono 9 anni per arrivare nei pressi di Plutone e almeno 8 mesi per andare su Marte, il pianeta più vicino. 
Distanze ancora più grandi come quella che ci separa dalla stella più vicina, Proxima Centauri, sono talmente grandi che vengono misurate con lo spazio percorso dalla luce nell’arco di un anno, affinché diventino comprensibili: più di 4 anni luce per arrivare alla stella più vicina al Sole nella Galassia. A sua volta questa è talmente grande che la luce impiega 100 mila anni per attraversarla per intero, ossia un trilione di chilometri, un 1 seguito da 18 zeri (nel sistema metrico internazionale) di chilometri; un numero che fa vacillare la mente al solo immaginarlo.
Eppure questi numeri  sono ancora poca cosa su scala cosmica: dovessimo confrontare le dimensioni della nostra galassia rispetto alla distanza che ci separa dalla galassia più lontana mai osservata, equivarrebbe a paragonare un centesimo di protone alla distanza che separa il Giappone dal Cile, ovvero l’intero Oceano Pacifico! E, come cercherò di spiegare, l’universo osservabile è comunque ancora piccolo rispetto all’intero Universo. Stabilire quanto lo sia non è facile, tutto dipende dalla geometria dello spazio stesso che a sua volta è influenzata dalla quantità di materia/energia scaturita dal Big Bang che è in esso contenuta.

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Geometria non euclidea

La volta scorsa accennai alla somma degli angoli di un triangolo quale misura della forma dell’universo conosciuto, in quel caso l’isola sperduta nell’oceano. Per quanto grandi potessero essere tracciati, in una porzione relativamente piccola di spazio sferico la loro somma non si discosta dai canonici 180° (1π) previsti dalla geometria euclidea. Immaginiamo ora però due navi che vanno verso l’equatore partendo dallo stesso polo ma seguendo meridiani diversi. Entrambe incontreranno l’equatore da una direzione che è perpendicolare ad esso. La somma degli angoli di questo triangolo immaginario non sono i noti 180° ma ben di più. 
La figura animata (passateci il mouse sopra) a fianco illustra ancora meglio il concetto.
Il medesimo discorso vale anche per uno spazio iperbolico ma a condizioni invertite: in questo caso, la somma degli angoli di un triangolo significativamente grande  disegnato su una superficie iperbolica è inferiore ai 180°.  
Tutto questo preambolo ci suggerisce quale sia il percorso da seguire per comprendere la geometria e farsi magari anche una idea delle reali dimensioni dell’Universo, come vedremo più avanti.

La topologia dell’Universo

La geometria locale dell’universo è determinata dalla sua densità. media come indicato nell’articolo. Dall’alto in basso: un universo è sferico se il rapporto di densità media supera il valore critico 1 (Ω> 1, ); in questo caso la curvatura è positiva (κ >0) e si ha il suo successivo collasso (Big Crunch); un universo iperbolico nel caso di un rapporto di densità media inferiore a 1 (Ω <1) e curvatura negativa (< 0) quindi destinato all’espansione perpetua (Big Rip); e un universo piatto possiede esattamente il rapporto di densità critico (Ω = 1, κ=0). L’universo, a differenza dei diagrammi, è tridimensionale.

Come insegna la Relatività Generale, la geometria dell’Universo è condizionata da quanta materia/energia (\(\rho\)) emerse col Big Bang [1]. Perché si abbia un universo euclideo, cioè piatto, occorre che col Big Bang si sia prodotta una certa quantità di materia/energia e che quindi questo abbia una certa densità critica (\(\rho_{c}\)), Una densità più elevata di questa spingerebbe l’universo verso un nuovo collasso, il Big Crunch, mentre al contrario, se fosse poca, l’espansione avverrà per sempre fino alla sua disgregazione ultima.
Il rapporto tra queste due grandezze dice di quanto si discosta l’Universo reale da quello ideale: $$ \Omega\ =\ \frac{\rho}{\rho_{c}}$$
Come ho dimostrato nell’altro articolo è possibile calcolare la densità critica per il nostro Universo \(\rho_c\) direttamente dalla Costante di Hubble \(H_0\).
\(\rho_c\) ci indica quanta materia ed energia dovrebbero esserci nell’Universo affinché questo sia euclideo. Ma tralasciando per un attimo l’apporto della densità energetica associata all’energia del vuoto \(\Lambda\) (l’energia oscura),  vien fuori che nell’Universo ci sono troppo poche materia ed energia, per comodità di linguaggio indicate come materia (materia ordinaria e materia oscura) e materia relativistica (i neutrini e i fotoni) [cite]https://arxiv.org/abs/1303.5076[/cite].

$$ \frac{\rho}{\rho_c}\ =\ \Omega\ =\ \Omega_{m}\ +\  \Omega_{rel}\ +\ \Omega_{\Lambda}$$

  • \(\Omega_{m}\) è tutta la massa ordinaria insieme alla materia oscura \(\left(\frac{\rho_{m}}{\rho_{{m}_{crit}}}\right)\)
  • \(\Omega_{rel}\) indica i quanti di energia (fotoni) e i neutrini \(\left(\frac{\rho_{rel}}{\rho_{{rel}_{crit}}}\right)\)
  •  \(\Omega_{\Lambda}\) rappresenta il rapporto di densità dell’energia  del vuoto \(\left(\frac{\rho_{\Lambda}}{\rho_{{\Lambda}_{crit}}}\right)\)

I dati forniti dal satellite ESA Planck indicano che le quantità di materia, ordinaria e oscura, e l’energia sono troppo poche — circa il 30% — del valore necessario a produrre un universo euclideo; eppure gli stessi dati indicano che l’interno del nostro orizzonte, fin dove cioè è per noi possibile vedere, 13.8 miliardi di anni luce, l’Universo appare euclideo, piatto.
Dovremmo aspettarci un Universo aperto, ma invece non lo è, esattamente come la superficie del mare che circonda la nostra isola nel vasto oceano ci appare piatta.
In conclusione il nostro orizzonte è soltanto una minuscola porzione di un universo molto più vasto che metricamente si espande per effetto del restante 70%, \(\Omega_{\Lambda}\), la densità energetica del vuoto che alimenta la sua espansione e che lo fa apparire sostanzialmente piatto nella nostra scala.

La scala dell’Universo

Quando si tenta di dare una scala all’Universo spesso ci si dimentica che, essendo la velocità della luce finita e assoluta, quando si scrutano gli oggetti lontani si vedono come erano al tempo della luce da loro emessa o riflessa. Per esempio, quando si osserva Marte, lo si vede non come è ora ma come era quasi cinque minuti fa.  E se idealmente dovessimo sparare con una pistola contro di esso, prendere accuratamente la mira non servirebbe, perché nel tempo che impiegherebbe il proiettile a raggiungerlo, il pianeta si è spostato lungo la sua orbita.
La stessa cosa avviene per tutto il resto: M31, la galassia di Andromeda, che è anche l’unica che ci viene incontro, la vediamo come era 2,5 milioni di anni fa, quando ancora dell’uomo non c’era ancora traccia, ma intanto questa nel frattempo si è avvicinata a noi di quasi 9 milioni di miliardi di chilometri, un numero che è ancora comunque un’inezia su scala cosmica.

Rappresentazione artista del’aspetto reale dell’orizzonte visibile dell’Universo. Esso è solo una minuscola frazione di un intero molto più grande. Credit: Pablo Carlos Budassi

Quando noi guardiamo nei recessi dell’Universo visibile vediamo galassie a noi lontanissime nello spazio ma anche nel tempo. Osservare la galassia più lontana significa vederla anche com’era 13 miliardi di anni fa e in tutto questo tempo le dimensioni dell’Universo sono cambiate. 
Un altro aspetto da non sottovalutare è che l’espansione metrica dell’Universo sta anche accelerando. Questo significa che per un calcolo più accurato occorre tenere d’occhio anche questo aspetto, e non solo. Durante la sua esistenza, l’Universo ha attraversato epoche in cui l’energia, la materia oscura e poi la materia barionica hanno dominato sulle altre, e i loro effetti sull’espansione dell’Universo sono stati diversi [cite]https://arxiv.org/abs/0803.0982[/cite].
A questo punto diventa chiaro che non è possibile fare riferimento alle normali coordinate spaziotemporali come siamo abituati a fare normalmente, ma occorre pensare a sistemi che siano invarianti in un certo istante di tempo cosmologico. A parole sembra difficile ma in pratica è semplicemente un modo per descrivere come potrebbe apparire l’universo in un istante particolare, come scattare una foto istantanea della scena. Questo è il concetto che è alla base delle coordinate comoventi, un sistema di coordinate dove l’espansione metrica dello spazio e lo scorrere del tempo sono ininfluenti 1.
Non sto a ripetere tutti i lunghi passaggi matematici necessari a calcolare le dimensioni attuali dell’Universo. Esempi di questi calcoli sono qui riportati in fondo all’articolo [cite source=’doi’]10.4006/0836-1398-25.1.112[/cite] [2] [cite]10.1088/0067-0049/192/2/18[/cite] [cite]https://arxiv.org/abs/astro-ph/9905116[/cite]. Chi è seriamente interessato a questo studio, qui trova molto materiale interessante.

Conclusioni

In conclusione noi possiamo vedere soltanto una minuscola parte di un universo molto più grande.
Per effetto dell’espansione metrica dello spazio, al momento in cui scrivo l’orizzonte a noi visibile, chiamato anche raggio o spazio di Hubble 2 che è di 13.8 miliardi di anni luce, ma le più lontane galassie che ancora osserviamo sono già a 46 miliardi di anni luce di distanza da noi ( orizzonte cosmologico attuale espresso come distanza comovente) e la loro luce che ora, nel tempo a noi attuale che potremmo chiamare anche momento cosmologico, emettono non ci raggiungerà mai. 
Il grado di confidenza con cui vengono misurati gli angoli all’interno del nostro orizzonte cosmologico ci permettono di stimare l’ampiezza della curvatura (\(\Omega_{\kappa}\)) dell’Universo: per le rilevazioni del satellite Planck [cite]https://arxiv.org/abs/1303.5076[/cite] \(\Omega_{\kappa}\) vale tra -0.001 e -0,0005: come dicevo, un valore molto piccolo, praticamente impercettibile anche per la nostra scala cosmologica.
Basandoci però su questi dati vien fuori che il raggio dell’intero nostro Universo potrebbe essere almeno 88 volte ancora più grande della lunghezza di Hubble, 1214 miliardi di anni luce. Altre stime spingono fino a 230 e a 400 volte il raggio visibile, solo futuri dati ancora più precisi potranno dirci quanto e quali di queste si avvicinano al vero.

Euclide, Pitagora, Riemann e tantissimi altri grandi pensatori e scienziati ci hanno donato la capacità di poter dare forma e dimensioni, entro un certo grado di libertà ovviamente, a ciò che non possiamo vedere, esattamente come Eratostene di Cirene poté dare forma e dimensioni alla Terra senza poterla mai né vedere o misurare direttamente. Questa è la più grande conquista che il genere umano potrà mai ottenere: la capacità di pensare.

Eratostene e la vastità del cosmo

Tra le cose più straordinarie e difficili da spiegare sono le dimensioni reali dell’Universo. In effetti la stima reale è molto difficile ma non impossibile. E non è quello che comunemente si è portati a credere. Anche stavolta partiamo da lontano, dall’inizio.

Esperimento di Eratostene

Credit: Il Poliedrico

Immaginate di essere nati e cresciuti su un’isola sperduta. Dal punto più in alto di quest’isola vedreste solo mare in tutte le direzioni, fino all’orizzonte; anche da lassù non notereste la curvatura del pianeta e, per quanto vi sforziate a disegnare triangoli sempre più grandi, la somma dei loro angoli continuerebbe a restituirvi 180 gradi (questo è fondamentale per la continuazione del discorso). Potreste facilmente arrivare alla conclusione che il mondo sia tutto lì e piatto, e in effetti tutto l’universo osservabile per voi sarebbe quello.
In effetti l’idea della Terra Piatta, che oggi ci fa sorridere, ebbe origine proprio così, la mancanza di osservazioni dirette della sfericità del globo all’inizio fece credere proprio questo: anche se un osservatore fosse salito sul monte più alto non avrebbe avuto modo di capire che la Terra è così vasta rispetto alla scala umana che è impossibile percepire ad occhio la sua curvatura.

Ma nel II secolo avanti Cristo tutto cambiò. L’espansione della cultura greca era all’apice e così anche la sua scienza. Eratostene di Cirene, astronomo e filosofo vissuto proprio in quel periodo, fece un paio di importanti osservazioni.

Gli astri sono sfere

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Eclissi di Luna del 15 giugno 2011.La Luna sta oltrepassando l’ombra della Terra ed è evidente la rotondità della penombra.Una Terra piatta non avrebbe potuto generare una simile ombra.
Image credit: Umberto Genovese.

Durante le eclissi di Luna l’ombra proiettata dalla Terra sulla Luna è rotonda; la Luna stessa e il Sole lo appaiono. Anche le sfere da qualsiasi angolo si guardino sembrano dei circoli perfetti. Quindi anche la Luna, e il Sole e per estensione la Terra devono esserlo, altrimenti questi astri dovrebbero apparire ovoidali per la maggior parte dell’anno.
Questa importante osservazione potrebbe essere già stata fatta anche in precedenza da altri osservatori, ma è la chiave per capire meglio il pensiero dello scienziato.
Eratostene sapeva che la Terra è una sfera.

Il pozzo e l’obelisco

Al solstizio d’estate la luce del Sole nella città di Syene, l’odierna Assuan, non proietta ombre: la luce solare raggiunge direttamente il fondo dei pozzi e delle cisterne; non è così invece ad Alessandria d’Egitto, circa 800 chilometri più a nord.
La realtà è però appena un po’ più complessa; Assuan non è proprio sul Tropico del Cancro e Alessandria d’Egitto non è esattamente sullo suo stesso meridiano, ma in fin dei conti l’importante è la validità del ragionamento di Eratostene.

Partendo dal rapporto che esiste tra l’ombra proiettata dagli edifici e la loro altezza è possibile ricavare l’angolo di incidenza della luce del Sole. Misurando quest’angolo nel giorno del solstizio ad Alessandria e considerando perpendicolare il Sole ad Assuan il medesimo giorno, Eratostene elaborò la sua idea. Poi, basandosi sui rapporti dei mensores regii — i cartografi reali che ogni anno stilavano le mappe nei regni ellenistici per fini fiscali — provò a stimare le dimensioni del Globo.
Il concetto è abbondantemente spiegato dalla figura qui sopra: l’angolo incidente prodotta dall’ombra è uguale all’angolo del settore circolare avente origine dal centro della sfera, in questo caso la Terra. Essendo l’angolo una parte dell’intero, 360°, allora la stessa distanza tra le due città moltiplicata per il rapporto precedente restituisce le dimensioni del pianeta.
Eratostene stimò che l’ombra proiettata generasse un’angolo grande un cinquantesimo di angolo giro, 7,2° 1 e che la distanza tra le due città fosse di 5000 stadi egizi. In conclusione stimò che la Terra avesse 250 000 stadi di circonferenza, ossia 39 375 chilometri; soltanto 700 chilometri in meno di quanto fosse in realtà 2, 40 075 km.

La scala cosmica

Stimando la circonferenza della Terra, Eratostene di conseguenza ne calcolò ovviamente anche il raggio. Questo spinse l’astronomo ellenista anche a cimentarsi nel misurare le dimensioni della Luna e della sua orbita. 

Nel 270 a.C. un altro astronomo greco, Aristarco di Samo, aveva provato a misurare l’orbita lunare stabilendo che in una eclissi la Luna impiegasse circa 3 ore per attraversare il cono d’ombra della Terra. Ipotizzando che l’ombra terrestre fosse uguale per dimensioni alla Terra e infinita nella sua proiezione, il prodotto in ore fra un’orbita completa e il transito nella zona d’ombra indica la distanza, in diametri terrestri, tra la Terra e la Luna: $$\frac{30 \times 24}{3} \ = \ 720 \ / \ 3 \ = \ 240$$
Da questo calcolo Aristarco stabilì che l’orbita lunare (all’epoca si parlava di sfere celesti) avesse una circonferenza pari a 240 volte il diametro terrestre.In realtà la lunghezza dell’orbita lunare è di 2 413 402 km, mentre il diametro terrestre è di 12 742 km. Un rapido calcolo ci indica che in realtà son solo 189.4 volte il diametro della Terra. Aristarco peccò mettendo la sfera della Luna 8 diametri terrestri più in là del dovuto.
Oggi sappiamo che la durata di ogni eclissi varia dalla posizione orbitale in cui la Luna intercetta l’ombra della Terra — che non è affatto un cilindro ma un cono — e che quasi sicuramente l’astronomo greco confuse il mese sinodico (il tempo che impiega la Luna a raggiungere la stessa posizione rispetto al Sole, ad esempio due noviluni, circa 29,53  giorni) col mese siderale (il tempo che la Luna impiega per percorrere un’orbita completa attorno alla Terra, circa 27,32 giorni); a questo uniamoci che ancora non esistevano mezzi efficaci per misurare il tempo ed ecco spiegato perché il metodo di Aristarco, corretto nel ragionamento, dette risultati che oggi sappiamo errati.

Questa volta però Eratostene usò una stima assai grossolana del disco lunare, derivata forse da una mala interpretazione dei precedenti calcoli di Aristarco. Assunse che il disco lunare fosse grande 2 gradi, quando in realtà questo è molto più piccolo, circa 32 primi d’arco, falsando così di quasi quattro volte tutta l’operazione di calcolo. Questo lo spinse a credere che l’orbita lunare fosse solo 180 volte il diametro del satellite. Al pari di Aristarco anche Eratostene immaginò che l’ombra della Terra fosse un cilindro i cui vertici superiori sono rivolti verso l’infinito, e stimò dal transito umbrale durante una eclissi che questa fosse tre volte più grande della Luna. Comunque in sintesi questi furono i risultati di Eratostene:


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Se egli avesse invece usato la dimensione angolare corretta si sarebbe avvicinato molto di più al dato reale: 2 861 804.82 chilometri per un raggio orbitale di 455 470 km, solo 70 mila chilometri di scarto contro i 100 mila del metodo di Aristarco. Questo significa che anche errare un dato, anche il più banale come in questo caso, spesso può vanificare il più buono dei propositi 3.

Questi sono solo un paio di esempi di come l’uomo avesse da sempre cercato di dare una misura  al mondo che lo circonda per poi cercare di carpirne i segreti. I due scienziati ellenici non avevano orologi atomici, laser e riflettori sulla Luna, neppure il cannocchiale di Galileo o compreso l’isocronismo dei pendoli. Eppure usando lo spirito di osservazione e l’intelletto cercarono, e quasi ci riuscirono, a misurare la Terra e quanto fosse distante la Luna.
Piccoli passi che però ci avvicinano alla prossima domanda: ma quanto è grande l’Universo?  

I colori del cosmo

Noi percepiamo quasi tutto quello che ci circonda tramite la vista e i colori. La vista ci fa scegliere il colore dei vestiti che indossiamo, la merce che compriamo o anche se una pietanza possa essere o meno invitante salvo magari spiacevoli sorprese quando l’assaggiamo.

Lo spettro cosmico a circa 260 Mpc (7-800 milioni di anni luce)

È così che nel 2004 un team di astronomi ha cercato di capire il colore … dell’Universo.
Per  giungere al risultato sono stati  presi in esame gli spettri di oltre 200000 galassie riportate nel 2DF Galaxy Redshift Survey a cui sono state apportate le necessarie correzioni dovute allo spostamento verso il rosso dello spettro  per l’espansione dell’universo.
Un lavoro non proprio facile, ma che  in fondo ha dato i suoi frutti:  scopriamo così che adesso l’Universo ora è rosa!
Non è facile riprodurlo con esattezza sui monitor dei pc per le loro molteplici regolature di temperatura del colore o con le luci ambientali, ma se fosse possibile vedere tutta la luce dell’intero Universo nello stesso momento apparirebbe così come in questo riquadrino a fianco.

Qualcuno potrebbe obbiettare che questa è una ricerca assurda, a chi vuoi che importi di che colore è la luce dell’Universo, invece non è così, è una ricerca che è importantissima per la comprensione dell’evoluzione del cosmo.
Prendiamo questo:

Questo spettro è la somma della luce di tutte le galassie prese in considerazione: sono ben rappresentate le righe di emissione dell’ossigeno e dell’idrogeno (le righe più chiare) e le righe di assorbimento del calcio, del magnesio e del sodio (le righe più scure).
Queste righe ci danno importantissime informazioni sullo stato e la quantità di materia presente in questo momento nel cosmo. In passato lo spettro e il colore dell’Universo erano diversi. L’Universo era dominato dalle gigantesche stelle blu-azzurre di classe O che bruciavano idrogeno a una velocità pazzesca ed esplodevano in supernova rilasciando gli elementi più pesanti che avevano sintetizzato, come il popcorn in una padella bollente. Queste esplosioni comprimevano e frammentavano le nubi di gas da cui sarebbero nate nuove stelle più piccole che contenevano gli elementi che avrebbero formato anche i pianeti rocciosi e  i mattoni della Vita.

10 miliardi di anni fa l’Universo era più blu – e piccolo – di adesso, magari se fossimo vissuti a quell’epoca lo spettacolo celeste sarebbe stato magnifico, ma la materia dell’Universo non era ancora organizzata per sostenerci, esistevano solo idrogeno ed elio.
Tra 10 miliardi di anni saranno sempre meno e sempre più piccole le stelle che nasceranno, il colore dominante sarà il rosso e poi un giorno tutto questo non ci sarà  più.
Non ci saranno nuove stelle a rischiarare l’Universo, resteranno solo le caldissime nane bianche e le stelle di neutroni.
Anche loro però alla fine cederanno il passo al buio finale dominato dai buchi neri che ora sono al centro delle galassie e che un tempo facevano brillare queste come miliardi di soli, i quasar.
Ma non è finita qui, anche questi mostri galattici finiranno per evaporare in una pioggia di particelle elementari chiamata Radiazione di Hawking 1, ma l’Universo sarà talmente grande da essersi dissolto.
Puff!

Gaia, il coltellino svizzero del Cosmo

Colgo l’occasione per ringraziare l’astronomo Marco Castellani dell’Osservatorio Astronomico di Roma per aver condiviso alcune slide su Gaia da cui poi ho tratto questo articolo.

Rappresentazione artistica del telescopio spaziale Gaia Credit: ESA

Immaginate di possedere un obiettivo, un cannocchiale o – se preferite – un telescopio tanto potente e preciso da misurare lo spessore di un capello di un turista a Cosenza stando in cima al Monte Rosa.
Che attraverso questo formidabile strumento possiate vedere quanto pesa, che età ha e perfino di misurare la brezza che gli scorre sulla faccia mentre cammina.

Questo formidabile oggetto esiste e si chiama Gaia, acronimo di Global Astrometric Interferometer for Astrophysics.
Gaia è una sonda dell’ESA che nel 2013 andrà a prendere il posto di Hipparcos, l’altro famoso satellite che ha misurato con una accuratezza finora non raggiunta la posizione e la velocità radiale di ben 100000 stelle con una precisione di 2 millisecondi d’arco.
Gaia promette di andare molto più in là:  misurerà la posizione, la distanza, e  il moto proprio con una precisione di circa 7 μas (un microarcosecondo è 1 × 10−6 secondo d’arco, ovvero un milionesimo di arcosecondo) per le stelle fino alla settima  magnitudine (il mitico spessore del capello a 1000 km di distanza), 20 μas dalla 8 alla 15a magnitudine, e di 200 μas fino alla ventesima, per un totale quindi di circa un miliardo 1 di stelle – In realtà alcune incertezze risentiranno del colore della stella in esame.
Di queste saranno prese misure spettrofotometriche e di velocità radiale, consentendo così di avere la prima mappa stellare 3D dinamica del nostro angolo di cielo completa di composizione chimica delle stelle, permettendoci così di avere un quadro preciso della storia della Galassia e della sua evoluzione.

Gli indicatori standard
La luminosità di un oggetto varia con l’inverso del quadrato della distanza dall’osservatore.
Per esempio la luce di un lampione osservata a 100 metri di distanza apparirà 4 volte più brillante di uno a 200 metri e 9 volte più brillante di uno a 300 metri. Quindi sapendo la luminosità assoluta del lampione e misurando con un fotometro l’intensità luminosa del lampione osservato, si può calcolare la sua distanza dall’osservatore.
Questo è il principio base con cui vengono calcolate le distanze in astronomia.
Ci sono alcune classi di stelle variabili – Cefeidi, RR Liræ, Mira Ceti – la cui curva di luce  è legata alla luminosità assoluta, e questo ha permesso di calcolare la loro distanza e di conseguenza dell’ambiente in cui si trovano con un lieve margine di incertezza. Questo ha permesso di calibrare altre candele standard come le novæ e le supernovæ di tipo Ia.
Dopodiché si è cercato altri tipi di candele standard come la tipologia delle galassie etc, ma come potrete immaginare ìl margine di incertezza cresce con l’aumentare della distanza.

Se questo può sembrare poca cosa, Gaia farà in grande quello che già sta facendo Kepler nei pressi del Cigno: Kepler usa il metodo fotometrico, ossia la curva di luce dovuta ai transiti planetari, Gaia – oltre a questo sistema – misurerà anche le velocità radiali delle stelle consentendo addirittura di calcolare le masse in gioco e le loro orbite planetarie: un enorme passo avanti per la nostra conoscenza di altri pianeti 2.

In campo extragalattico Gaia potrà fornire un quadro più ampio di conoscenze attraverso la fondamentale opera di ricalibrazione degli indicatori di distanza che ci permettono di stimare le distanze su scala universale, la scoperta di altre lenti gravitazionali e quasar e il continuo monitoraggio delle supernovæ extragalattiche, mentre all’interno del sistema solare contribuirà a scoprire ed osservare molti corpi minori -alcuni potenzialmente pericolosi per la Terra – come gli asteroidi Near-Earth e quelli della cintura di Kuiper 3.

Se pensate che tutto questo sia poca cosa, Gaia studierà anche la curvatura dello spazio-tempo attraverso la curvatura della luce stellare in prossimità del Sole, come previsto dalla teoria della Relatività Generale  di Einstein.

Se vi pare poco ….