Il mistero dei barioni mancanti

L’ammasso di galassie nella Chioma di Berenice (Abell 1656) – Credit: NASA, ESA, and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA). Acknowledgment: D. Carter (Liverpool John Moores University) and the Coma HST ACS Treasury Team.

Nel 1933 l’astrofisico svizzero Fritz Zwicky, del California Institute of Technology, applicò un metodo di indagine chiamato teorema del viriale all’ammasso di galassie della  Chioma e ottenne le prime prove dell’esistenza di una importante discrepanza tra la materia visibile e la massa misurata dell’ammasso.
Zwicky stimò che la massa totale dell’ammasso basata sui moti delle galassie vicino al suo bordo rispetto ad una stima in base al numero delle galassie totale dell’insieme era circa 400 volte più alta.
La gravità stimata delle galassie visibili nel ammasso sarebbe stata troppo piccola per giustificare la velocità di queste e quando ulteriori osservazioni confermarono in seguito i risultati di Zwicky, per i cosmologi si pose seriamente il “problema della massa mancante”.
Infatti a questo punto se si voleva mantenere intatto Il concetto dell’inverso del quadrato della distanza ( 1/R2 dove R è la distanza) che è la base della teoria della gravitazione, nasceva un bel problema scientifico: come giustificare questa differenza? Cos’è questa materia che ha una importante influenza gravitazionale ma che è di fatto invisibile alle analisi ottiche/elettromagnetiche?

La galassia UGC 7321, un ottimo esempio di galassia cxircondata da un alone di materia oscura. Rielaborazione immagine:  Il Poliedrico

La galassia UGC 7321, un ottimo esempio di galassia circondata da un alone di materia invisibile.
Rielaborazione immagine:
Il Poliedrico

Il Modello Cosmologico Standard suggerisce che tutto l’Universo è composto per il 4,9% da materia barionica – neutroni, protoni, elettroni (anche se questi non sono proprio barioni) – ordinaria, il 26,8% da una forma di materia totalmente sconosciuta che però produce effetti gravitazionali e per il 68,3% da energia oscura l2 l3.
Ma se spiegare quel 26,8% di materia oscura è già un grosso problema, figuriamoci spiegare che almeno la metà della massa barionica richiesta dal Modello Cosmologico Standard non si trova!
Certo questo è un bel rompicapo nel rompicapo, è come dover comporre un puzzle con tessere che sono a loro volta altri puzzle da comporre.

Oggetti di natura barionica fredda che non emettono luce possono essere  pianeti, nane brune o anche dei semplici granelli di polvere, ma mentre una nube interstellare copre vaste regioni di spazio, un corpo massiccio di dimensioni megametriche 1 intercetterà di certo meno luce di una nube grande svariati anni luce. Obbiettivamente però è difficile che una massa significativamente importante 2 sia dispersa in miliardi di corpi massicci troppo piccoli per emettere o assorbire luce in maniera apprezzabile.
Questi oggetti massicci sono chiamati MACHO (MAssive Compact Halo Object) ma secondo le stime migliori possono rappresentare appena il 20% della massa totale di una galassia 3, certo rappresentano una parte importante della massa di una galassia, ma comunque sono sempre un po’ troppo pochi per giustificare la parte non rilevata di massa barionica.

Questa è una simulazione computerizzata dell'aspetto di circa 2 miliardi di anni di spazio che mette in evidenza lo WHIM. Credit: Matthew Hall, NCSA.

Questa è una simulazione computerizzata dell’aspetto di circa 2 miliardi di anni di spazio che mette in evidenza lo WHIM.
Credit: Matthew Hall, NCSA.

Alcuni studi recenti inoltre mostrano che le singole galassie sono al centro di gigantesche bolle di gas ionizzato 4 di massa paragonabile alla galassia ospite. Data la rarefazione estrema, questo gas è ionizzato a temperature comprese tra i centomila e un milione di kelvin, quindi è quasi impossibile da vedere, visto che a quelle temperature le righe spettrali degli atomi dominano nei Raggi X.
Probabilmente la sua origine è legata ai venti stellari  della galassia  e modellato almeno in parte dal campo magnetico globale di questa.
Questo è lo WHIM (Warm-Hot Intergalactic Medium), ovvero mezzo intergalattico caldo, di cui le bolle galattiche sono solo una parte, che si estende tra le galassie dando all’Universo l’aspetto di  ragnatela tridimensionale.

Forse è presto per dirlo, ma con i MACHO e lo WHIM almeno la tessera del puzzle che rappresenta la massa barionica mancante pare sia ricomposta e che in fondo questa sia stata ritrovata.
Adesso resta che capire cosa sia l’altro 84,5% della massa dell’Universo che chiamiamo Materia Oscura e che ancora sfugge alla nostra comprensione.
Sotto a chi tocca.


L’enigma dei neutrini solari

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L'interazione debole di un antineutrino elettronico con un neutrone all'interno di un nucleo atomico può spingerlo a decadere in un protone e un elettrone. Credit Il Poliedrico.

L’interazione debole di un antineutrino elettronico con un neutrone all’interno di un nucleo atomico può spingerlo a decadere in un protone e un elettrone. Credit Il Poliedrico.

Abbiamo visto nello scorso articolo che i neutrini sono delle particelle molto particolari, non solo per la loro impalpabilità – interagiscono solo con la forza nucleare debole e la forza gravitazionale – ma anche perché pur essendo una particella sola può assumere tre diversi stati diversi tra loro che si differiscono nella massa, mentre il Modello Standard pur prevedendo  i tre tipi diversi di neutrino associati ai tre leptoni (elettrone, muone,tau) li propone senza  1.
Ma è appunto la massa che permette ai neutrini di oscillare, ossia di cambiare stato, o sapore come volete chiamarlo.
Già con i primi esperimenti di lettura della quantità dei neutrini provenienti dal Sole fu chiaro che qualcosa non andava: i conteggi dei neutrini mostravano che solo un terzo dei neutrini elettronici arrivava sulla Terra rispetto alla quantità prevista per mantenere il Sole acceso. Dunque, o qualcosa non andava nelle reazioni termonucleari del Sole oppure ⅔ dei neutrini elettronici prodotti dalla catena  protone-protone trovavano il modo di non farsi vedere.
La risposta che ora appare evidente è che durante il loro cammino di 150 milioni di chilometri molti neutrini cambiano sapore e che quindi sfuggono ai rivelatori.

Possiamo considerare ogni neutrino come una miscela delle tre diverse masse caratteristiche al loro sapore che continuamente interferiscono l’una con l’altra come fanno frequenze radio diverse, sommandosi o abbantendosi ritmicamente cambiando le loro proporzioni. La probabilità di trovare un dato tipo di neutrino ad una certa distanza dal punto in cui è stato creato dipende valori chiamati angoli di mescolamento (indicati con la lettera greca theta $\theta$), che esprimono la proporzione tra le diverse masse – autostati –  1, 2 e 3 del neutrino.

(continua)


Note:

La nebulosa Lamantino e il suo microquasar SS 433

L’uomo ha sempre inteso scorgere figure a lui familiari in ogni dove 1, nelle nuvole come nella volta stellata, proiettandovi immagini di miti e leggende, facendo nascere così le costellazioni, così diverse da cultura e cultura eppure tutte egualmente degne di essere conosciute. Forse un giorno ve ne parlerò.  

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Pensate di scorgere la figura di un lamantino – una specie di grosso tricheco senza zanne – nel cielo e ampia circa 700 anni luce, per noi grande quanto quattro lune piene, in direzione dell’Aquila. Questa è W50 2, conosciuta anche come Nebulosa Lamantino (Manatee in inglese),  il resto di una supernova esplosa almeno 20000 anni fa a 18000 anni luce dal Sole:  SNR G039.7-02.0.

Normalmente si è portati a pensare che il guscio di una supernova sia grossomodo sferico o giù di lì, eppure i resti di questa supernova dimostrano che non sia sempre così. In questo caso infatti il guscio è notevolmente alterato dai poderosi getti e dai campi magnetici emessi  dal curioso oggetto che ne è al centro: SS 433.

SS 433 3 e in realtà un sistema binario ad eclisse composto dai resti dell’antica supernova, una stella di neutroni oppure – più probabilmente – un buco nero, che risucchia materia dalla stella compagna, una vecchia stella di classe A ancora nella sequenza principale, che una volta doveva essere la componente più piccola di questo stretto sistema stellare. La materia risucchiata dall’accrettore crea un disco di accrescimento attorno al resto di supernova che dà origine a due getti perpendicolari di idrogeno ionizzato che si propagano nello spazio a velocità relativistiche: circa il 26% della velocità della luce.

La nebulosa Lamantino e la sorgente SS 433.
Credit: Il Poliedrico

Per tutte queste peculiarità SS 433 viene oggi considerato un microquasar 4, in quanto rispecchia in scala ridotta quello che le galassie attive fanno nella loro  gioventù.
L’asse di rotazione del resto di supernova non è complanare con l’asse del sistema ma inclinato di circa 20 gradi con questo. Il risultato è che l’asse di rotazione ruota di conseguenza intorno alla perpendicolare del sistema con un ciclo di 162,5 giorni. Il moto precessionale conseguente attorciglia le linee del campo magnetico del disco che si propagano nello spazio, mentre i due getti di plasma emessi spazzano lo spazio con un movimento elicoidale che disegna due coni divergenti. Tutto questo si traduce nel bizzarro spettro di SS 433 che appare contemporaneamente avvicinarsi e allontanarsi da noi, ma che in realtà è dovuto ai flussi di plasma che viaggiano in direzioni opposte.
Non solo, oltre all’effetto Doppler lo spettro di SS 433 è influenzato anche dalla relatività: sottraendo infatti gli effetti dello spostamento Doppler rimane una componente di spostamento verso il rosso corrispondente ad una velocità di circa 12000 chilometri al secondo. Questa non rappresenta l’effettiva velocità di recessione di SS 433, ma è dovuta dalla dilatazione temporale che si manifesta alle velocità relativistiche dei getti dove, per le componenti del plasma e di conseguenza anche per la radiazione da loro emessa, il tempo scorre più lentamente.
E sono appunto questi getti a deformare la sfericità del guscio e a farla somigliare più alla figura abbastanza familiare di un lamantino che riposa.

Ecco spiegata quindi la strana forma della Nebulosa Lamantino e il curioso microquasar che ne è al centro.


Il magnetismo dei mantelli planetari

Il ruolo del mantello nei pianeti rocciosi viene spesso sottovalutato. Adesso è giunto il momento di riconsiderare la loro importanza nello sviluppo di un pianeta.

Si suppone che i mantelli dei pianeti rocciosi siano, come ci mostra la composizione chimica di quello terrestre, ricchi di magnesio e ossigeno. Quindi studiare i minerali di ossido di magnesio può essere utile per capire l’interno dei pianeti.
Un team guidato da Stewart McWilliams del Carnegie Institute of Science è riuscito a riprodurre le proibitive condizioni esistenti nei mantelli planetari, ovvero pressioni che vanno da 0,3 TPa 1, il doppio della pressione esistente nella zona del mantello inferiore terrestre, fino a 1,4 TPa, condizione questa presente su pianeti molto più grandi della Terra che continuamente oggi scopriamo in orbita ad altre stelle.
Il metodo usato per produrre simili pressioni e temperature è simile a quello sviluppato per i reattori a fusione nuleare chiamato fusione a confinamento inerziale (Inertial confinement fusion, in breve ICF) In questo caso però il bersaglio è composto da molecole di ossido di magnesio, appunto uno dei composti più importanti del mantello.

Credit: Il Poliedrico

Particolarmente resistente alle alte temperature e pressioni, l’ossido di magnesio è largarmente utilizzato nell’industria dei materiali refrattari e nei cementi per l’edilizia. Studi teorici mostrano che esso può esistere in natura solo in tre diversi stati: solido alle nostre condizioni ambientali, liquido a temperature elevate (> 3125 K a pressione normale) e un’altra particolare struttura solida che si manifesta a pressioni – e temperature – molto alte, come quelle ad esempio nel mantello di un pianeta.
Quest’ultima struttura però finora non era mai stata osservata prima. McWilliams e il suo team hanno studiato per la prima volta come l’ossido di magnesio si comporta in questi diversi stati scoprendo che il legame molecolare subisce importanti modifiche passando da uno schema simile al cloruro di sodio nella prima forma (B1 nella figura) alla seconda fase solida simile a quella delle leghe metalliche binarie (B2).

Un altro particolare importante è stato osservato nell’ossido di magnesio: questo allo stato fuso – magma fuso – diventa un semiconduttore, mentre al  normale stato solido è un isolante naturale. Questa scoperta riflette il comportamento alla fusione di altri non metalli come il carbonio, il silicio e lo zolfo.

Diagramma di fase del MgO: la fase solida B1 e la fase solida B2. I pallini colorati sono i dati ricavati dagli esperimenti. In grigio l’intervallo teorico di transizione previsto dalla teoria a 0 K. Le temperature di fusione sperimentali (6, 7) sono rappresentate dai triangoli bianchi.
Sono inoltre mostrate le condizioni  planetarie interne previste per la Terra, quelle ipotizzate per un  pianeta di 5 masse terrestri, Giove, e per la massa di un gioviano caldo; la discontinuità nella temperatura (a 1.3 e 6.5 Mbar rispettivamente) nei pianeti di tipo terrestre corrispondono al limite del mantello.

Queste scoperte sono molto importanti e possono aiutare a capire come possono essersi evoluti i pianeti.
Prima che un pianeta si avvii verso la sua fase di differenziazione nota come Catastrofe del Ferro le condizioni fisiche – principalmente temperatura – possono permettere l’esistenza di ossido di magnesio – e di altri non metalli – allo stato fuso, un oceano di magma in grado di generare correnti elettriche e quindi un campo magnetico.
Questo campo magnetico primordiale può pertanto essere abbastanza importante da riuscire a proteggere una atmosfera primordiale generata dal degassamento del magma liquido dall’azione erosiva dei venti stellari che nelle prime fasi della nascita di un sistema solare possono essere particolarmente violenti.
In seguito il campo magnetico generato da un nucleo di ferro fuso differenziato può essere ben più efficace delle correnti elettriche di un unico grande oceano di magma in via di solidificazione e di stratificazione.

Allo stesso modo ancora adesso l’ossido di magnesio nella seconda fase solida può ancora esistere nei mantelli inferiori di esopianeti rocciosi super massicci, generando un campo magnetico che forse il nucleo solido non può generare 2.


Riferimenti:
Phase Transformations and Metallization of Magnesium Oxide at High Pressure and Temperature,” by R.S. McWilliams et al., Science, 2012.
Published Online November 22 2012
Science 7 December 2012:
Vol. 338 no. 6112 pp. 1330-1333
DOI: 10.1126/science.1229450

Superconduzione nelle stelle di neutroni

La nebulosa HEIC 0609a, i resti di Cas A
Credit: NASA , ESA , and the Hubble Heritage STScI /AURA )-ESA /Hubble Collaboration. Acknowledgement: Robert A. Fesen (Dartmouth College, USA) and James Long (ESA/Hubble)

Forse la vide il Flamsteed, 332 anni fa, come una debole stellina di sesta magnitudine lassù sopra a Caph (β Cas), proprio dove le polveri del piano galattico sono più spesse.

In realtà quella stellina era una  supernova del tipo IIb, ovvero il risultato del collasso di una massiccia supergigante rossa al termine della sua vita, distante 11000 anni luce. Solo l’assorbimento della polvere interstellare lungo il piano galattico ha impedito che fosse più visibile di una debole stellina di appena 6a magnitudine agli osservatori della fine del XVII secolo.
Questa supernova fu riscoperta nel 1947 con i primi radiotelescopi, rivelandosi da subito come la sorgente radio extrasolare più brillante del cielo.
Cas A, questo è il suo nome, continua ancora a stupire gli scienziati dopo tutti questi anni.
Alcune teorie in passato  ipotizzavano che della supernova fosse rimasto un buco  nero, ma forse in questo caso sbagliavano.
Probabilmente quello che resta della supergigante è una stella di neutroni,  una stella così densa che gli elettroni e i protoni riescono a fondersi insieme annullando la loro opposta carica elettrica trasformandosi in neutroni 1.

L’osservatorio spaziale a raggi X Chandra ha scoperto che questa stella di neutroni si è raffreddata di circa il quattro per cento durante un periodo di osservazioni di 10 anni.
Questo calo di temperatura indica che qualcosa di insolito sta accadendo all’interno di Cas A.
In una serie di lavori apparsi su alcune riviste riviste scientifiche più di un anno fa, si è discusso di questo curioso raffreddamento, arrivando alla conclusione che probabilmente la stella di neutroni sta attraversando un periodo in cui i protoni rimanenti nel nucleo della stella sono in uno stato superfluido. In questo caso i protoni -che sono portatori di carica elettrica – creano un superconduttore 2 3.

Questi studi ampliano la nostra conoscenza sugli stati della materia degenere in condizioni limite, che in questo caso porta a creare uno stato di superconduttività a temperature prossime al miliardo di gradi quando sulla Terra si può ottenere la superconduttività solo con materiali e condizioni particolari a temperature bassissime.

Cas A non solo quindi ci dà l’opportunità – rara se non unica – di studiare una stella di neutroni molto giovane e di verificare subito i nostri modelli teorici su questo particolare tipo di oggetti, ma possiamo studiare come si comporta la materia allo stato iperdenso e come si comporta la forza nucleare forte, che lega le particelle subatomiche, in condizioni così critiche.


La materia oscura? Forse solo una bolla?

 Nota: il titolo non è corretto ma per ovvi motivi di indicizzazione ormai non può più essere cambiato. In verità non mi è mai neanche piaciuto anche se ormai è così e basta. Il titolo più corretto sarebbe 

La massa mancante? E se fosse in una bolla?

ringrazio chi mi ha fatto notare l’incongruenza del titolo rispetto al breve articolo. non me ne vogliate per questo. Errare humanum est …

La bolla che avvolge la Via Lattea. Bolle simili avvolgono anche le altre galassie.
Credit: NASA / CXC / M.Weiss; NASA / CXC / Ohio State / A Gupta et al

Una enorme  bolla caldissima, tra 1 e 2,5 milioni di kelvin, con un raggio di almeno 300.000 anni luce avvolge la Via Lattea. La massa di questa bolla è paragonabile da sola a tutta la massa della Galassia.
Questo è il risultato di un recente studio sui dati ripresi dal Chandra X-Ray Observatory della NASA, dell’XMM-Newton dell’ESA e il giapponese Suzaku.

Chandra ha osservato otto sorgenti extragalattiche di raggi X distanti centinaia di anni luce misurando l’assorbimento dell’ossigeno in prossimità del disco galattico, consentendo così di stimarne anche la temperatura di questa bolla.

Studi simili hanno dimostrato che bolle simili circondano anche le altre galassie con temperature che vanno tra i 100.000 e 1 milione di kelvin.
Se questi studi verranno confermarti anche da altre ricerche, l’annoso problema della massa mancante potrebbe avviarsi verso una soluzione, ma ancora ancora non basta.


Riferimenti:
http://chandra.harvard.edu/photo/2012/halo/
A huge reservoir of ionized gas around the Milky Way: Accounting for the Missing Mass? ArXiv 16 agosto 2012

PTF 11kx, un mistero da risolvere

PTF 11kx è il puntino blu in questa galassia a 600 milioni di anni luce di distanza.
Credit: BJ Fulton (Las Cumbres Osservatorio in rete Telescope Globale)

Le supernovae di tipo Ia sono degli ottimi indicatori di distanza su scala cosmica 1. È merito delle loro esplosioni se è stato possibile capire quanto sia enorme il nostro Universo.
Eppure di tutte le supernovae finora osservate non ce n’era una di cui si possedesse qualche indizio sul sistema progenitore, tutto era basato sull’intuizione teorica. Finora …
Infatti i ricercatori del Palomar Transient Factory, attraverso un complesso sistema di allerta computerizzato collegato al telescopio robotizzato Samuel Oschin da 120cm è riuscito a cogliere indizi sul sistema che ha dato origine alla supernova PTF 11kx.

 PTF 11kx è una supernova di tipo Ibis esplosa in una galassia a 600 milioni d anni luce (z = 0.04660) di distanza nella costellazione Lince 2 scoperta il 16 gennaio 2011.
Quando fu scoperta, la supernova mostrava strane righe del calcio il che è abbastanza insolito, tanto che i ricercatori del PTF allertarono subito i loro colleghi dell’Osservatorio Keck alle Hawaii.

PTF 11kx
Credit:astro.berkeley.edu

Presto gli astronomi del Keck si accorsero che il guscio di polveri attorno alla supernova responsabile delle righe di assorbimento del calcio era troppo lento per essere prodotto da una esplosione di supernova ma troppo velocemente per essere frutto del semplice vento stellare.
L’unica spiegazione plausibile era che questo guscio avesse avuto origine da una nova preesistente a PTF 11kx e che stesse rallentando quando fu investito dall’esplosione di supernova.
Nei giorni successivi il segnale del calcio stava scomparendo, quando 58 giorni dopo rieccolo apparire, sintomo evidente che i gusci concentrici erano evidentemente più di uno.
A questo punto era chiaro che il progenitore di PTF11kx era un sistema binario composto da una nana bianca e una supergigante rossa.

Altri studi non sono mai stati conclusivi sui sistemi progenitori di supernova. Una delle supernovae più precoci mai avvistate nonché  la più vicina Ia dal 1972, SN 2011fe, o se preferite PTF 11kly visto che fu scoperta dallo stesso team della nostra eroina e con gli stessi mezzi,  non ha mostrato particolari segnali che potessero dirci quali erano le condizioni fisiche preesistenti al momento dell’esplosione, ponendo limiti assai restrittivi sui possibili sistemi originari 3

PTF 11kx è un bel rompicapo: a un sistema binario come quello ipotizzato dagli astronomi non è insolito produrre più eruzioni di nova: nella nostra Galassia abbiamo RS Ophiuchi a non più di 5000 anni luce che lo fa abbastanza spesso (6 volte negli ultimi 114 anni, l’ultimo nel 2006) e sappiamo bene come funziona: una nana bianca sottrae materia dalla sua compagna gigante rossa per effetto mareale; la materia forma quindi un disco di accrescimento intorno alla nana bianca finché in un punto non si raggiungono temperature e densità tali da innescare una fusione nucleare. l’esplosione susseguente disperde il disco di accrescimento e il ciclo si ripete.
Quindi c’è da chiedersi come questa volta si sia potuto accumulare tanta materia fino al limite di Chandrasekhar di quasi 1,4 masse solari nel sistema progenitore fino a produrre una supernova.

Un mistero che se risolto potrebbe svelarci ancora molte cose sulle origini delle Candele Cosmiche.

Materia esotica paramagnetica

Sono molte le nozioni scientifiche che abitualmente diamo per scontate. Pensiamo che esse siano vere ovunque nell’Universo – il che è sostanzialmente vero – ma non teniamo conto che in questo ci possano essere delle condizioni limite in cui ciò che sappiamo è incompleto.

In prossimità di una stella di neutroni la materia potrebbe essere ancora più esotica di quanto si pensi. Qui il magnetismo potrebbe prevalere sull’elettrostatica che normalmente governa la dinamica molecolare.

Eppure ci siamo già passati. Alla fine del 19° secolo Lord Kelvin si diceva convinto che si era scoperto tutto lo scibile, mentre subito dopo i concetti di spazio e di tempo assoluti crollavano sotto i colpi della Relatività e l’infinitamente piccolo veniva riscritto dalla Meccanica Quantistica.
Adesso proprio nel campo del quasi infinitamente piccolo, un settore che pensavamo di conoscere bene, pare che le nostre conoscenze siano incomplete.
Trygve Helgaker dell’Università di Oslo e il suo team hanno provato a simulare al computer quello che accade alla materia quando è sottoposta a campi magnetici potentissimi che possono essere generati solo dal nucleo collassato di una stella, una nana bianca o una stella di neutroni.

I legami chimici sono quelle forze elettrostatiche che consentono agli atomi di aggregarsi  fra loro e creare quelle strutture più complesse che chiamiamo molecole.  La forza dei legami chimici varia notevolmente, ci sono i legami forti come i legami covalenti e i legami ionici, e i legami deboli, come le interazioni dipolo-dipolo, che al momento non ci interessano affatto.
Il legame più semplice conosciuto e diffuso  nell’universo, è ovvio, riguarda due atomi dell’elemento più semplice che c’è, l’idrogeno. In questo  caso si parla di molecola di idrogeno o idrogeno molecolare, simbolo H2.
Questo è un legame covalente omopolare, dove i due nuclei atomici – in questo caso due protoni, di carica elettrica positiva – condividono due elettroni – di carica elettrica negativa. La carica elettrostatica quindi è nulla e la molecola è stabile.
In questo caso gli elettroni occupano lo stesso orbitale e, per il Principio di esclusione di Pauli, hanno spin opposti.
Helgaker e il suo team, avvalendosi di complesse simulazioni computerizzate, si sono accorti che una molecola di idrogeno in presenza di enormi campi magnetici dell’ordine di 100000 Tesla, che si possono appunto trovare in prossimità di una nana bianca o una stella di neutroni, si comporta in modo alquanto bizzarro, rivelando una nuova forma del legame covalente finora sconosciuto.
In questo caso la molecola di idrogeno si orienta parallelamente alle linee del campo magnetico, e il legame chimico tra i due atomi diventa più stretto e più stabile.
Nel caso in cui uno degli elettroni venga poi eccitato fino a un livello di energia che normalmente romperebbe il legame, come ad esempio dopo aver assorbito un fotone, la molecola non fa altro che riorientarsi perpendicolarmente al campo magnetico, ma curiosamente resta intatta.

 la dinamica dei legami molecolari in un ambiente comune (in inglese).

Questo avviene perché il campo magnetico riallinea lo spin degli elettroni in una unica direzione che è normalmente sempre antiparallelo quando due elettroni occupano lo stesso orbitale. Ma il Principio di esclusione di Pauli impedisce a due elettroni identici di occupare lo stesso orbitale, per cui un elettrone è costretto a cambiare posizione e passare allo stato quantico successivo, che è però un orbitale antilegame 1.
In un ambiente normale la molecola di idrogeno si dissocierebbe quasi subito nei suoi componenti fondamentali, invece qui l’intensità del campo magnetico riesce a mantenerla curiosamente stabile. I ricercatori hanno chiamato questo nuova forma di legame legame paramagnetico.

Il legame paramagnetico consentirebbe alle molecole di idrogeno di esistere anche in ambienti estremi come lo sono le sottilissime e caldissime atmosfere di questi nuclei stellari.
Dovrebbe essere quindi possibile osservare questa nuova forma della materia  studiando gli spettri di questi oggetti ipermagnetici in cerca di una loro particolare firma nelle righe spettrali che dovrebbe essere diversa dalle altre finora conosciute, perché il riposizionamento di una molecola eccitata nel campo magnetico deve comunque lasciare una sua impronta.
Se  Helgaker e i suoi hanno ragione dovremmo rivedere le nostre conoscenze sulla materia sottoposta a condizioni estreme.
Infatti i nuclei stellari collassati non si fermano certo a generare solo – si fa per dire – 100000 Tesla: molte stelle di neutroni raggiungono campi magnetici fino a 10000 volte più intensi.
Potremmo scoprire che la materia si comporta in modo ancora diverso e più esotico, magari campi magnetici ancora più intensi di quelli fin qui studiati non si limitano ad alterare gli orbitali ma anche la dinamica dei nuclei atomici fino a creare nuovi tipi di materia non ancora conosciuti.