Idrocarburi sintetici da scisti bituminosi (I parte)

Carrozza a cavallo in Central Park, New York Credit: Library of Congress: LC-DIG-ggbain-00138

I periodi di transizione sono in assoluto i più difficili: il treno e l’automobile dovettero superare molti pregiudizi prima di affermarsi come strumenti di locomozione. Alla fine del XIX secolo le scoperte scientifiche di Pasteur costrinsero le amministrazioni pubbliche a risolvere  i problemi di trasporto urbano all’interno delle grandi metropoli come New York, Parigi e Londra.
All’inizio furono i tram elettrici (i filobus) a cavallo del 1890-95  che andarono a sostituire parzialmente i sistemi di locomozione  animale, i quali generavano una quantità immensa di sporcizia, ritenuta – a ragione – responsabile di decine di migliaia di morti per febri tifoidi nei grandi centri urbani americani.
Alle automobili, inventate agli inizi del XX secolo, era proibito l’uso nelle città, ma poi la necessità di disporre di una sempre maggiore e flessibile mobilità e la necessità di eliminare del tutto  l’uso di animali per la locomozione 1 si unirono e aprirono le porte all’uso delle automobili anche nelle città.

Adesso lo stesso problema esiste sul fronte energetico: se centotrenta anni fa la necessità di avere nuove tecnologie di locomozione più pulite  hanno anche ristretto le dimensioni del mondo per l’uomo e le merci, oggi la tecnologia energetica non ne vuol sapere di rinnovarsi e di cercare soluzioni ai problemi ambientali e climatici che essa pure  ha prodotto, nonostante gli innumerevoli vantaggi di cui il genere umano beneficerebbe.
Ormai l’industria del petrolio ha raggiunto i suoi massimi estrattivi di sempre, il famoso picco di Hubbert è stato o quasi raggiunto. La disponibilità di estrarre petrolio facilmente sta diventando un ricordo e ormai sta diventando sempre più economico – anche se più caro  – estrarre petrolio da piccoli giacimenti di scarsa qualità come quelli che esistono al largo delle isole Tremiti 2.

Addirittura adesso sta diventando conveniente recuperare gli idrocarburi fossili dal fango e da un tipo particolare di roccia: lo scist0 bituminoso, con orribili conseguenze ambientali, che purtroppo in una logica di profitto diventano del tutto secondari.

Gli scisti bituminosi

Le argilliti
Le argilliti sono rocce sedimentarie originate da altri  sedimenti precedenti che hanno subito un cambiamento fisico o chimico (diagenesi) che ne altera la composizione originale.

Mappa dei depositi di gas da scisti bituminosi nel mondo. Credit: U-S. Energy Information Administration - Wikipedia

Gli scisti bituminosi sono rocce nere di origine sedimentaria ricche di materiale organico non ancora trasformato in  petrolio. In pratica i depositi di scisti bituminosi possono essere considerati i precursori dei giacimenti di petrolio (in inglese oil shales o black shales).
Conosciuti anche come argilliti petrolifere, queste possono essere usate direttamente come materiale combustibile 3 o lavorate per estrarne  gli idrocarburi e i gas (gas di scisto) che le compongono per un utilizzo più tradizionale.
Nel mondo sono diversi i siti censiti, perlopiù in Nord Europa, Stati Uniti, Canada e Brasile 4.
Il problema è che sfruttare questi giacimenti non è altrettanto semplice quanto sfruttare un normale pozzo di petrolio e, se i campi petroliferi non sono proprio il massimo dal punto di vista dell’impatto ambientale, i campi di scisti sono proprio devastanti.

Gli olii da scisti

 

Combustione dell'olio di scisto

Il  più comune metodo di estrazione è quello a cielo aperto . Questo sistema consiste nel rimuovere la maggior parte del terreno sovrastante per esporre i depositi di argillite petrolifera. Pratico,  se i depositi sono in superficie. Nel caso di depositi di scisti bituminosi sotterranei, si possono utilizzare i metodi classici simili a quelli usati per le miniere di carbone.

L’estrazione degli elementi utili dallo scisto bituminoso avviene solitamente  in luoghi diversi dai siti di estrazione, anche se diverse tecnologie più recenti consentono il processamento delle argilliti in loco. In entrambi i casi, un processo di pirolisi, ossia un riscaldamento in assenza di ossigeno ad una temperatura che varia tra i 450°C e i 500°C, trasforma il cherogene contenuto nello scisto bituminoso in olio di scisto (conosciuto anche come petrolio sintetico) e gas di olio di scisto.
Il trattamento in-situ comporta il riscaldamento degli scisti bituminosi direttamente nel sottosuolo. Questa tecnologia è potenzialmente in grado di estrarre più petrolio a parità di superficie rispetto ai sistemi tradizionali  ex-situ, in quanto consente di sfruttare a pieno le capacità produttive della miniera.
Alcune argilliti petrolifere sono ricche anche di altri elementi,  come zolfo, ammoniaca, allumina e anche … uranio 5 6.
L’olio di scisto derivato ​​da scisti bituminosi non è comunque adatto a sostituire il petrolio greggio in tutte le applicazioni. Esso può essere comunque ricco di alcheni, ossigeno e azoto in percentuali significativamente maggiori rispetto al greggio convenzionale.  Alcuni oli di scisto possano presentare una maggiore contenuto di zolfo o di arsenico o di altri metalli pesanti anche di 20 o 30 volte. Questorende l’olio di scisto più adatto per la produzione di distillati medi, come il kerosene , il carburante per aerei , e il diesel per autotrazione. Solo attraverso processi di raffinazione  adeguati come il cracking è possibile trasformare l’olio di scisto in idrocarburi leggeri come la benzina.

Diagramma dei processi di lavorazione degli scisti bituminosi: Credit: Office of Naval Petroleum and Oil Shale Reserves, U.S. Department of Energy, Wikipedsia

L’impatto ambientale  è ovviamente  più accentuato nelle miniere di superficie che in quelle sotterranee. Tra i più importanti sono il  drenaggio acido provocato dall’ esposizione improvvisa e conseguente ossidazione dei materiali sepolti, il rilascio di metalli pesanti, come visto sopra, tra cui il mercurio nelle acque di superficie e sotterranee, l’aumento dell’erosione, le emissioni di zolfo e anche l’inquinamento atmosferico causato dalla produzione di particolato durante l’attività estrattiva e il trasporto.
L’attività estrattiva può danneggiare il valore biologico del territorio e l’ecosistema della zona mineraria. La necessità di riscaldare il cherogene genera materiale di scarto ed emissioni di diossido di carbonio, uno dei  gas responsabili dell’effetto serra.
Gli ambientalisti si oppongono giustamente allo sfruttamento di olio di scisto, in quanto la sua produzione – e il successivo utilizzo – genera più gas serra anche rispetto ai tradizionali combustibili fossili, tant’è che l’Energy Independence and Security Act proibisce agli enti governativi degli Stati Uniti di acquistare l’olio prodotto da processi che producono più emissioni di gas a effetto serra di quanto potrebbero fare i prodotti petroliferi tradizionali.
Alcune tecniche sperimentali di cattura e stoccaggio della CO2 possono mitigare alcuni di questi problemi in futuro, ma allo stesso tempo possono causare altri problemi, tra cui l’onnipresente inquinamento delle falde acquifere.
Altra contaminanti dell’acqua comunemente associati alla lavorazione dell’olio di scisto sono gli idrocarburi eterociclici 7.
Ma forse uno dei danni maggiori riguarda proprio l’uso eccessivo di acqua necessaria per l’estrazione: a seconda della tecnologia estrattiva utilizzata si arriva a consumare da 1 a 5 litri di acqua per ogni litro di olio di scisto prodotto, in Estonia -paese di riferimento che fa largo uso di questa tecnologia energetica – nel 2002 l’industria petrolifera consumò circa il 91% dell’intera acqua consumata nel paese! Altri studi rilasciati dal  Bureau of Land Management degli Stati Uniti confermò simili analisi 8 9.

 

 

fine prima parte

Astronomy Day 2011

in collaborazione con Sabrina Masiero

Con un personal computer oggi si possono pianificare in anticipo i momenti osservativi e visualizzarli graficamente senza perdersi in noiosissimi e lunghi calcoli. I computer li fanno al nostro posto. Credit: Il Poliedrico.

Fare scienza significa ragionare. Ragionare significa essere creativi, con un pizzico di sano scetticismo, il che non guasta mai.
Ma fare scienza oggi è difficile, costoso e necessita di tecnologie all’avanguardia?
Dipende, se vogliamo studiare la struttura della materia elementare, dell’infinitamente piccolo probabilmente è così, ma quando si tratta di studiare l’infinitamente grande, no.
O almeno si possono usare le stesse tecnologie che servono per chattare, navigare su Internet o scrivere un testo col computer.
La scienza che studia l’infinitamente grande è l’astronomia, di cui il 7 maggio si festeggia la giornata mondiale, e che lo si creda o no, è la scienza più antica inventata dall’uomo.
Da quando i primi arboricoli scesero dagli alberi e impararono a cacciare nelle savane africane, questi si accorsero del dominio delle stagioni nel mondo che li circondava.
L’avvento dell’agricoltura e della stanzialità rese più evidenti i fenomeni legati alle stagioni e all’andamento dei cicli lunari e solari, come dimostra l’osso di Ishango, datato 20000 anni fa.
Eppure finora, dopo 200 secoli, gli unici strumenti necessari per fare astronomia sono ancora gli occhi per osservare e la capacità di ragionare. Il cannocchiale prima e il telescopio poi, inventati a partire dal XVII secolo sono solo strumenti accessori, come lo sono anche i satelliti artificiali e le sonde spaziali: senza la capacità tutta squisitamente umana di ragionare sui dati che queste meraviglie restituiscono ogni istante, questi sarebbero solo degli splendidi oggetti da esibire nel salotto buono.

Ancora oggi, nel momento in cui il costo dei prodotti tecnologici è basso, è possibile fare ricerca astronomica a ottimi livelli usando solo lo spirito di osservazione. Come è stato ribadito più volte anche su questi nostri blog, osservare e annotare fenomeni apparentemente banali come una eclissi di Luna, oppure seguire l’andamento della visibilità della luce cinerea o contare le tracce del picco visuale di uno sciame di stelle cadenti, è importante, perché a saper interpretare correttamente questi dati, si ottengono molte più informazioni di quante ce ne potessimo aspettare solo vedendo gli stessi fenomeni.

Lo sciame delle Perseidi. Credit: NASA

Oggi poi con l’avvento dei personal computer, come quello con cui state leggendo questo articolo, è tutto più facile. Carte celesti, effemeridi sempre aggiornate, pianificazione di eventi particolari futuri, archiviazione ed elaborazione dei dati raccolti, ora tutto questo è molto più semplice rispetto al passato.
Internet e le tecnologie di condivisione oggi mettono a disposizione di chiunque la possibilità di comprare tempi di osservazione del cielo su strutture semi professionali remote senza la necessità di acquistare apparecchiature costose e spesso poi sottoutilizzate rispetto alle loro capacità per motivi di tempo, di spazio o anche più semplicemente di volontà o capacità. Eppure le cose che ancora realmente servono per fare ricerca astronomica sono solo spirito di osservazione e ragionamento.

Come diceva un mio caro amico parroco, “Più siamo e meno si lavora ciascuno” o visto in altri termini non prettamente matematici, “La somma delle parti è maggiore dell’intero”, nella ricerca scientifica essere gruppo aiuta tantissimo, per questo un po’ ovunque nel mondo sono sorti dei circoli di astronomi cosiddetti non professionisti, detti anche amanti dell’astronomia o astrofili, ma che in realtà esprimono una professionalità degna di molti ricercatori universitari, tanto che discorrendo con molte di queste figure potrebbe sorgere qualche dubbio che la loro occupazione professionale reale sia soltanto un hobby stravagante.
Proprio per promuovere lo spirito di osservazione e mostrare alla gente la bellezza della ricerca astronomica ogni anno si celebra nel mondo una giornata proprio destinata all’astronomia.
L’Astronomy Day è una celebrazione globale dell’astronomia che ha lo scopo di promuovere l’interazione tra il pubblico, gli appassionati di astronomia e i professionisti.
Il tema che sta alla base dell’Astronomy Day è “Bringing Astronomy to People“, ossia portare l’astronomia alla gente.

Per convenzione il giorno dedicato all’appuntamento cade di sabato, tra metà aprile e metà maggio, quando la Luna è al primo quarto o poco prima del primo quarto. Questo comporta che la data dell’Astronomy Day non sia mai fissa, ma cambi di anno in anno, un po’ come la Pasqua. Se andiamo indietro di qualche anno, nel 2008 l’Astronomy Day cadde il 10 maggio, nel 2009 il 2 maggio e l’anno scorso il 24 aprile. Quest’anno cade il 7 maggio, l’anno prossimo si presenterà il 28 aprile, nel 2013 il 20 aprile, nel 2014 il 10 maggio e così via. Con un semplice calcolo nella fase della Luna si possono determinare anche gli anni successivi.
Sfortunatamente L’Astronomy Day non sembra aver mai avuto grande risonanza mediatica in Italia, anche se da ben dodici anni si celebra la Settimana Nazionale dell’Astronomia che quest’anno è caduta tra il 13 e 18 aprile, organizzata dalla Società Astronomica Italiana (SAIt), in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) e con l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF, sito web: http://www.inaf.it/struttura-organizzativa/dsr_1/didattica_divulgazione/divulgazione/sett_astro).
Il tema di questa edizione è stato scelto per celebrare anche il 150° anniversario dell’Unità d’Italia: “Scienziati e Scienza per l’Unità d’Italia”. Gli osservatori e le sedi dell’INAF sono stati aperti al pubblico per avvicinare le persone al mondo dell’astronomia moderna e riscoprire come questa disciplina veniva studiata 150 anni fa.

Su astroleauge.org (http://www.astroleague.org/AstronomyDay/AstronomyDay-2011-05.html) si trova la lista completa dei luoghi dove l’Astronomy Day viene celebrato in America. A livello internazionale, L’Inghilterra, Canada, Nuova Zelanda, Finlandia, Svezia, Le Filippine, Argentina, Malaysia, Nuova Guinea e altri paesi hanno celebrato questo giorno con varie attività a carattere culturale.
Per avere un’idea delle iniziative locali si può consultare la pagina:
http://www.astroleague.org/al/astroday/astroday.html .

In tutto il corso dell’anno molte sono le iniziative promosse dai vari gruppi astrofili italiani che organizzano periodicamente incontri con esperti, osservazioni astronomiche che coinvolgono il pubblico generico, visite guidate, quiz e laboratori per i visitatori di ogni età.
Spesso i planetari sono gestiti propri dagli astrofili stessi. È sicuramente un momento davvero affascinante entrare in un planetario e scoprire come avvengono i moti apparenti delle stelle, del Sole della Luna nel cielo ogni giorno.
Purtroppo, infatti, sempre più spesso ci si dimentica della vastità di quanto sta sopra alle nostre teste presi come siamo nel turbinio di offerte della televisione, dai videogiochi e altri passatempi
mondani.

NASA Astronomy Picture of the Day 12/4/2010 - Credit & Copyright: Josselin Desmars

Un tempo l’osservazione del cielo avveniva in modo molto più spontaneo e diretto. L’assenza di inquinamento luminoso dovuto alle luci artificiali permetteva l’osservazione della Via Lattea – ormai praticamente inosservabile nelle nostre città – delle stelle e dei pianeti, tant’è che oggi particolari fenomeni celesti particolarmente visibili come le grandi congiunzioni dei pianeti Venere e Giove (i due corpi celesti più luminosi visibili dalla Terra dopo Sole e Luna) spesso sono stati scambiati per UFO!
Ora l’osservazione diretta del cielo è diventata davvero molto difficile. Ma l’entusiasmo di conoscere e comprendere come i fenomeni celesti avvengono c’è ancora, questo lo si nota constatando che il numero di adesioni presso i Circoli Astrofili pian piano aumenta.
È importante che ci sia un risveglio del desiderio di conoscenza nella gente e la voglia di riscoprire la dimensione umana e perché no, anche di alcune nostre vecchie tradizioni un tempo legate proprio al cielo, al trascorrere del tempo e delle stagioni.
Invece l’atavico desiderio che spesso spinge a credere nei destini preordinati da oroscopi, cartomanti e maghi, è sinonimo di pigrizia, la stessa che ci ha fatto dimenticare che in fondo siamo tutti figli delle stelle.

 

Lo stesso articolo è disponibile su TuttiDentro di Sabrina Masiero che ringrazio per l’idea e il grande contributo a questo articolo.

Umberto e Sabrina

Trascinamenti nella quarta dimensione

Albert Einstein

Metti uno, due (meglio abbondare), quattro giroscopi in orbita. Ora  fai in modo che gli assi dei giroscopi puntino tutti verso una stella lontana lontana, in modo che la parallasse di questa sia più che trascurabile. Poi siediti e aspetta.
Libero da forze esterne, l’asse dei giroscopi dovrebbe continuare a indicare sempre la solita stella lontana lontana, o almeno così ci insegnavano i vecchi professori di fisica ai licei da sempre. Ma se lo spazio si piega sotto il peso di una massa, come sosteneva un omino dagli  improbabili capelli bianchi e baffetti dello stesso colore, allora la direzione dell’asse dei giroscopi dovrebbe subire una  deriva nel tempo.

Quarzo fuso
Il quarzo fuso è un vetro particolare ottenuto dalla fusione di cristalli di quarzo estremamente puro. Le proprietà ottiche e termiche di questo vetro  sono superiori a quelli di altri tipi di vetro per la sua purezza, consente una migliore resa nell’ultravioletto e Il suo basso coefficiente di espansione termico lo  rende inoltre un materiale particolarmente adatto per la costruzione di specchi di precisione.

In pratica è quello che hanno fatto quei giocherelloni di scienziati della NASA insieme a quelli di Stanford con il satellite Space Probe B (la versione A fu lanciata nel 1976 1).
I ricercatori hanno voluto misurare l’entità della curvatura dello spazio-tempo e per farlo hanno costruito 4 giroscopi superconduttori il cui componente principale è una pallina delle dimensioni di una da ping pong fatta di quarzo fuso ricoperta di niobio, costruita con una precisione tale da avere uno scarto di apena 40 atomi nel diametro (meno di 10 nm).

 

Le palline di quarzo fuso e niobio, fondamentali nei giroscopi criogenici . Credit:NASA

Il problema principale era quello di isolare i giroscopi da tutte le possibili interferenze di sia di natura interna che esterna. Questo è stato risolto racchiudendo i giroscopi in una struttura di piombo sotto vuoto spinto chiamata dewar 2 e raffreddata con elio liquido a 1,7° Kelvin (circa -271°C)  3. A quella temperatura il piombo diventa un semiconduttore che cortocircuita il campo magnetico terrestre,  isolando così i giroscopi, tantè che all’interno del dewar ogni interferenza magnetica era ridotta a meno di 3 micro Gauss 4
Il satellite Gravity Probe B fu lanciato nel 2004 in orbita polare ad appena 642 chilometri di quota, appena al di fuori dell’atmosfera per un periodo di volo di 17 mesi, sufficienti per raccogliere abbastanza dati per rilevare come lo spazio-tempo intorno alla Terra fosse curvato esattamente come la Relatività Generale prevede. La stella a cui hanno fatto riferimento gli assi dei giroscopi è IM Pegasi, una stella varabile binaria distante circa 329 anni luce nella costellazione  Pegaso. Questa è stata scelta perché è anche una notevole fonte di microonde, il che ha permesso di essere costantemente seguita dalla rete internazionale di radiotelescopi. Il monitoraggio continuo della stella da Terra  ha permesso di conoscerne la posizione assoluta rispetto ai giroscopi in orbita.

Credit: NASA

Per finire, dopo cinque anni di analisi dei dati dalla fine della missione, il risultato è che è stata misurata un precessione geodetica 5 di 6.606 più o meno 0,017 secondi d’arco e un effetto di trascinamento del campo 6 di 0,039 più o meno 0,007 secondi d’arco. Superfluo dire che entrambi i valori rilevati sono in preciso accordo con le previsioni della Relatività Generale di Albert Einstein. Ulteriori dettagli e animazioni sono disponibili qui sul sito dell’Università di Stanford.

Il supervisore del progetto, Francis Everitt – che somiglia tantissimo al buffo ometto di prima –  ha ricordato un suggerimento che una volta gli dette il suo relatore di tesi e Premio Nobel Patrick MS Blackett: “Se non riesci a pensare a cosa fare dopo la fisica, inventa qualche nuova tecnologia, e questa porterà a nuova fisica”.

“Beh,” dice Everitt, “abbiamo inventato 13 nuove tecnologie per il Gravity Probe B. Chissà dove questo ci porterà….”

Un’ultima curiosità: il progetto Gravity Probe B è  finanziato dal 1963, sono passati 47 anni prima di avere un risultato.
Ma che risultato: se amate usare il vostro navigatore satellitare, sappiate che la tecnologia che li fa funzionare tiene conto anche degli effetti relativistici rilevati dagli esperimenti come questo…

 


Cinque gemme nel cielo

Le cinque gemme del 1 maggio – Credit: Il Poliedrico

Domani mattina … levataccia!
Mi dispiace di avervi informato troppo tardi, magari avrete impegni e per quell’ora sarete in viaggio per la beatificazione del defunto Papa Wojtyla o per la Festa del 1 Maggio.
Comunque se alle 5:30 -6:00 volgerete lo sguardo ad est prima del sorgere del Sole potrete vedere quello che vi mostro nell’immagine qui sopra:
partendo dall’orizzonte avremo Giove (magnitudine -1.91) e Marte (magnitudine 1.25) separati da appena una ventina di primi d’arco, quindi sembreranno praticamente attaccati;
poco più su esattamente ad est sarà visibile Mercurio (magnitudine 0.90) e poco più in alto e indietro Venere (magnitudine -3.80):
su queste quattro gemme fa capolino una sottilissima falce di Luna crescente.

No, non sarà quindi una formazione di UFO quella che si presenterà domattina all’alba, ma un altro magnifico spettacolo del cielo,  un balletto che continuerà con i due pianeti più luminosi Venere e Giove che si rincorrono per tutta la metà del mese e saranno in mutua congiunzione il giorno 11 sempre nella luce soffusa dell’alba.

Buono spettacolo e soprattutto cieli sereni!

SETI: come stanno le cose

Da sempre sostenitore del Progetto Seti, non ho preso bene la notizia. Dopo l’attimo di scoramento iniziale però ho deciso di dare un misero sostegno straordinario al Progetto rispondendo all’appello del sito. Così oltre ai canonici 50 $ di Natale ho partecipato con un altro piccolo contributo straordinario. Perso per perso, non bevo, non mi drogo e ho smesso di fumare da quando sono diventato padre: uno sfizio potrò pur cavarmelo, no?

 

Alcune antenne dell'Allen Telescope Array Credit: Daniel Terdiman/CNET News

Venerdì scorso, l’amministratore delegato dell’Istituto SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence)  Thomas  Pierson ha reso pubblica la decisione di non usare più l’Allen Telescope Array (ATA) per motivi di bilancio. A seguito di questa decisione si è deciso di collocare le 42 antenne che compongono l’ATA in modalità di standby per mancanza di fondi operativi e di supporto del governo.
Anche se Pierson ha tenuto a precisare che le attività al Center for Education and Public Outreach, e al Carl Sagan Center for the Study of Life in the Universe non subiranno conseguenze, la chiusura di uno dei principali strumenti di scansione è stato un duro colpo per gli scienziati di tutto il mondo. I primi progetti SETI avevano sempre ricevuto finanziamenti governativi americani, mentre ultimamente aveva preso piede anche il sostegno e il finanziamento privato.

Tutto iniziò con Frank Drake, l’autore della famosa equazione che prova a stimare scientificamente il numero di civiltà tecnologiche che possono esistere in una galassia. Drake fu il pioniere originale del programma SETI. Negli anni 60 del secolo scorso e fu anche colui che ebbe l’idea di costruire una rete di oltre 300 antenne dedicate espressamente per questa ricerca. La prima serie è appunto l’ATA, 42 antenne finanziate dal miliardario co-fondatore di Microsoft Paul Allen attraverso una donazione di 11,5 milioni di dollari nel 2001  per la ricerca e lo sviluppo del progetto e altri 13,5 milioni dollari pochi anni più tardi per la costruzione.

Il progetto ha bisogno di qualche fonte di finanziamento, anche privato, per continuare ad esistere, ma il finanziamento è necessario anche per la costruzione di antenne aggiuntive come era stato inizialmente previsto. Per questo il progetto SETI sta cercando di ottenere finanziamenti anche da altre fonti come la US Navy, DARPA, NSF e altri donatori privati. Una campagna di finanziamento è stata lanciata anche sul web sul sito SETI per chiedere l’aiuto del pubblico che crede in questa ricerca.
L’appello si riferisce alle recenti scoperte della sonda Kepler e che una delle massime priorità dell’Allen Telescope Array era appunto quello di setacciare quella porzione di cielo con 10 miliardi di canali di ascolto per ogni mondo scoperto da Kepler nella fascia goldilocks, per un costo stimato di circa 5 milioni di dollari. Ogni dollaro donato serve per controllare 4 milioni di canali di un unico mondo .

Pierson indica che servono circa un milione e mezzo di dollari per anno per far tornare operativo l’ATA, e un altro milione l’anno per i costi del progetto SETI.

Per adesso non è possibile sapere se il SETI riuscirà a trovare i 2-2,5 milioni di dollari per quest’anno, sicuramente il fermo dell’ATA è un duro colpo alla ricerca, mentre per ora cattive sorprese dagli altri centri di ascolto non dovrebbero esserci.

L’Anomalia del Pioneer: mistero risolto?

Questo è un ottimo articolo scritto e pubblicato da Sabrina Masiero per TuttiDentro. L’ho riportato qui per mostrare – ancora una volta – come una ricerca scientifica seria possa portare a conclusioni logiche e inaspettate, piuttosto che scomodare improbabili alieni che manomettono le sonde come dichiararono un anno fa riprendendo i deliri di un sedicente esperto 1 i giornali di mezzo mondo. Anzi, ora più che mai serve un risveglio scientifico nelle nuove generazioni, perché capiscano l’importanza del ragionamento e dell’indipendenza del pensiero per non commettere gli stessi errori delle generazioni precedenti..

Il fly-by del Pioneer 10 con il pianeta Giove in un’immagine fantastica. Credit: NASA.

Per oltre un decennio, l’anomalia del Pioneer è stata un problema aperto, una sorta di domanda senza risposta nell’ambito della fisica. L’esistenza di un’apparente accelerazione costante dovuta al Sole registrata sulle due sonde spaziali Pioneer 10 e 11 fu rilevata per la prima volta nel 1998 da un team di scienziati del Jet Propulsion Laboratory (JPL) di Pasadena, (California) e pubblicata sul Phusics Revew Letter 2 L’anno successivo questa anomala accelerazione fu studiata in maggior dettaglio, ottenendo per essa un valore costante pari a (8.74 ± 1.33) × 10 ^(− 10) m/s ^2 3

Gli scienziati e i tecnici della NASA monitorarono costantemente la posizione delle due sonde spaziali utilizzando l’effetto Doppler. In particolare, l’astronomo John Anderson negli anni Ottanta ideò un algoritmo matematico in grado di utilizzare le trasmissioni radio tra le sonde Pioneer e il nostro pianeta per studiare gli effetti gravitazionali nelle regioni periferiche del nostro sistema solare interno (interno nel senso che ci limitiamo a considerare il nostro sistema solare costituito solo dai pianeti e trascuriamo tutto quello che sta oltre l’orbita di Nettuno, che fa ancora parte del nostro Sistema Solare e che comprende la Fascia di Kuiper e la Nube di Oort). Durante queste misurazioni, si osservò un’anomalia nei calcoli, una sorta di discrepanza tra l’effetto Doppler previsto dall’algoritmo di Anderson e la misurazione dei segnali radio delle due sonde. Da questa discrepanza emerse che i due Pioneer sembravano decelerare rispetto a quanto previsto dall’algoritmo di Anderson.
Per spiegare la decelerazione, si ipotizzò la presenza di grosse quantità di materia oscura, mai stata rilevata, nella zona più esterna del sistema solare, cioè al di là della fascia principale degli asteroidi, che tendeva a rallentare le due sonde. Un’altra ipotesi fu quella di ricorrere alla teoria del MOND (MOdified Newtonian Dynamics), ossia una teoria che afferma che la legge di gravitazione universale potrebbe non essere in realtà così universale e applicabile a tutti gli oggetti dell’universo come finora si è ipotizzato. In questa teoria viene introdotta una nuova costante, a(0), che ha le dimensioni di un’accelerazione e che modifica la legge di gravitazione universale di Newton per valori di accelerazioni molto piccoli. Questo comporta che la meccanica classica, quella newtoniana, funziona solo nel limite di accelerazioni grandi, superiori ad a(0), mentre per accelerazioni molto più piccole di a(0) interviene questa teoria modificata.
Sia la materia oscura che la teoria del MOND non riuscivano a spiegare questa discrepanza rilevata. Non erano state comunque escluse fattori tecnici, come un guasto o un malfunzionamento o un’anomalie della strumentazione delle sonde.

Si pensò allora che responsabile di questa decelerazione fosse il reattore SNAP-19 carico di qualche chilo di Plutonio 238 che alimentava entrambe le sonde e che poteva venir irradiato nello spazio in direzione opposta al moto delle sonde, producendo il rallentamento misurato. Ma si constatò che questo non poteva sussistere, dato che la spinta prodotta dal reattore avrebbe dovuto diminuire nel corso del tempo, anno dopo anno, non nel modo calcolato dai ricercatori.

 

Rappresentazione artistica del Pioneer 11 mentre compie il suo fly-by con Saturno. Credit NASA. Disponibile sul sito: Interstellar Spaceships and probes: http://privat.bahnhof.se/wb671350/space.html

In un lavoro pubblicato da F. Francisco  dell’Instituto  de  Plasmas  e  Fus˜ao  Nuclear, Instituto  Superior  Técnico di Lisbona e dai suoi colleghi il 27 marzo 2011 4 si afferma che i calcoli di Anderson degli anni Ottanta non erano corretti, perché non tenevano conto del calore riflesso dalle diverse parti che costituiscono le due sonde (effetti termici, come vengono chiamati). La radiazione generata dal reattore viene irradiata nello spazio ma anche riflessa dalle diverse componenti delle due sonde.
Utilizzando un nuovo algoritmo per calcolare i riflessi di luce su un oggetto tridimensionale, il team di Francisco è stato in grado di calcolare la quantità di calore emesso dal compartimento dell’equipaggiamento e a tener conto dei riflessi della radiazione termica contro la parete posteriore dell’antenna principale. Dato che quest’ultima punta verso il Sole e le sonde si stanno allontanando da esso, il calore riflesso rallenterebbe le due sonde Pioneer. Il valore della decelerazione, o anomalia del Pioneer, tornerebbe con quest’ultimo valore.

 

Nella parte conclusiva dell’articolo si legge: “With the results presented here it becomes increasingly apparent that, unless new data arises, the puzzle of the anomalous acceleration of the Pioneer probes can finally be put to rest” (traduzione: “Con i nostri risultati presentati qui, diventa sempre più chiaro che, a meno che non emergano nuovi dati, il mistero dell’accelerazione anomala delle sonde Pioneer possa essere considerato risolto“).

La rappresentazione delle traiettorie delle due sonde Pioneer 10 e 11. Credit: NASA.

Le due sonde Pioneer 10 e 11 furono lanciate quasi quarant’anni fa, la prima il 2 marzo 1972 e la seconda il 5 aprile 1973. Il Pioneer 10 fu la prima sonda spaziale ad oltrepassare la fascia principale degli asteroidi compresa tra Marte e Giove (con oltre 35 000 oggetti osservati) e la prima ad avere un incontro ravvicinato con Giove, il pianeta più grande del nostro sistema solare.
L’ultimo segnale dalla sonda Pioneer 10 raggiunge la Terra il 23 gennaio 2003 e numerosi furono i tentativi successivi di ripristinare il contatto, l’ultimo dei quali tra il 3 e il 5 marzo 2006, senza alcun risultato. Il Pioneer 10 si sta muovendo attualmente in direzione della stella Albebaran, una gigante rossa che forma l’occhio del Toro nell’omonima costellazione. Aldebaran è a circa 68 anni luce di distanza dal Sole (un anno luce è la distanza che percorre la luce in un anno alla velocità di quasi 300 000 chilometri al secondo) e il Pioneer impiegherà oltre due milioni di anni per raggiungerla.

Il Pioneer 11 fu la prima sonda a compiere un fly by con Saturno nel 1979. Non sono stati più possibili più contatti con essa dal 30 settembre 1995, cioè da quando non si è più trovata lungo la linea di vista con la Terra. Il Pioneer 11 si muove nella direzione individuata dalla Costellazione dell’Aquila, che si trova a nord-est della costellazione del Sagittario, e transiterà vicino ad una di queste stelle dell’Aquila fra circa 4 milioni di anni 5

E’ sicuramente un risultato interessante quello ottenuto da Francisco e i suoi colleghi che verrà ora preso in considerazione dalla comunità scientifica. Se tale conclusione verrà accettata, avremmo compiuto un passo in avanti nell’identificare un effetto di cui si dovrà tener conto nelle future missioni spaziali.
L’anomalia del Pioneer un decennio più tardi ha dato i suoi frutti.

 

 

Basato sull’articolo: “Modelling the reflective thermal contribution to the acceleration of the Pioneer spacecraft” F. Francisco, O. Bertolami, P.J.S. Gil e J.Pàramos, arXiv:1103.5222v1 [physics.space-ph]. Fonte ArXiv: http://arxiv.org/abs/1103.5222 .  Scaricabile su questo sito oppure direttamente, cliccando su: http://arxiv.org/PS_cache/arxiv/pdf/1103/1103.5222v1.pdf

 

Sabrina Masiero

(articolo originale su TuttiDentro: L’Anomalia del Pioneer: mistero risolto?)


Il Poliedrico è un dominio registrato

Umby

Dopo Infiniti tentennamenti, il dominio di secondo livello ilpoliedrico.org è stato finalmente registrato.
La decisione di registrare il dominio l’ho presa allo scopo di tutelare il nome del Blog e per offrire una migliore visibilità ai contenuti che offre.
Il cammino intrapreso ormai nel gennaio 2010 con il-poliedrico.blogspot.com è giunto a questo secondo traguardo. Il primo è stato raggiunto a fine giugno 2010, quando ho deciso che la piattaforma blogger iniziava ad essere stretta per gli obbiettivi che mi ero proposto e si rendeva necessaria un migrazione del Blog verso  un modello più fresco e configurabile come WordPress.
La scelta a quel punto cadde sulla piattaforma web italiana Altervista che offriva tutta una serie di garanzie di affidabilità di servizio che ho finora sempre  riscontrato e che anche al momento della decisione di registrare il  nuovo dominio ho preferito mantenere, nonostante qualche piccola difficoltà tecnica.

Spero che questa decisione valga lo sforzo fatto e che sia ampiamente condivisa dai lettori abituali.

Umberto Genovese

La Cometa Plutone

Rappresentazione artistica di Plutone con la sua atmosfera – Credit: PAS Cruickshank.

Nel 2006 una controversa decisione dell’Unione Astronomica Internazionale tolse lo scettro di pianeta a Plutone per relegarlo tra i corpi minori del nostro sistema solare.
Fu una decisione sofferta, contestata da quanti avevano preso simpatia per questo pianetino, il nono in ordine di distanza dal Sole. Il problema era che grazie a strumenti e tecniche sempre più raffinate c’era il concreto rischio di dover allungare a dismisura l’elenco dei pianeti del sistema solare, colmo di planetoidi della taglia di Plutone 1.

Che Plutone avesse un’atmosfera lo si sapeva già da molti anni 2, lo si era scoperto tramite i transiti planetari, ossia i passaggi del pianetino davanti a una stella e misurando la curva di luce di quest’ultima.
La composizione chimica di questa tenue atmosfera è azoto e metano, a cui si è aggiunto recentemente il monossido di carbonio 3.

Lo spettro della traccia di monossido di carbonio (in rosso) espressi in unità di gradi. – Credit: J.S. Greaves / Joint Astronomy Centre.

La pressione atmosferica è bassissima e estremamente varia a causa dell’eccentricità dell’orbita di Plutone: va da 6,5 a 24 μbar. Quando Plutone si allontana dal Sole, la sua atmosfera congela e precipita al suolo. Viceversa quando Plutone è più vicino al Sole, la temperatura di Plutone aumenta e la parte più volatile della sua superficie sublima.Curiosamente questa sublimazione ha come conseguenza quella di raffreddare  il pianeta, lo stesso meccanismo del sudore che raffredda il nostro corpo man mano che evapora dalla superficie della pelle. Infatti la temperatura di Plutone è di circa 43 K (-230 ° C), 10 K più  bassa di quanto si sarebbe supposto.
Invece il metano 4 crea una inversione di temperatura, con temperature medie più calde (36 kelvin 10 chilometri al di  sopra della superficie).
Questo crea il paradosso di come Plutone possa aver mantenuto la sua atmosfera così a lungo: e qui il monossido di carbonio appena scoperto svolge un ruolo importante per raffreddare ulteriormente l’atmosfera funzionando da termoregolatore in contrapposizione all’azione riscaldante del metano.

Potremmo considerare Plutone come il precursore di una nuova categoria di corpi planetari:
i Kuiper Belt Object.
Cosi avremmo tre tipi diversi di pianeti con struttura chimica ed evoluzione fisica simile: i terrestri, i gioviani e quelli che chiamo plutini, non necessariamente in risonanza 2:3 con l’orbita di Nettuno.

L’effetto quindi è che durante l’estate plutoniana si potrebbero verificare … curiose nevicate di azoto sulla superficie!
Sempre durante la breve estate il metano atmosferico può essere scisso in carbonio dalla radiazione ultravioletta solare e ricadere sulla superficie creando zone chiaroscure in contrasto con la brina di azoto visibili dalle immagini riprese dal telescopio spaziale Hubble 5. Queste macchie scure provocano il riscaldamento localizzato della superficie provocando dei geyser che espellono gas proprio come nelle comete.

L’evoluzione fisica dell’atmosfera di Plutone è pertanto estremamente sensibile all’eccentricità dell’orbita del corpo. Ancora purtroppo ne sappiamo troppo poco e questi dati attendono conferma dalla sonda New Horizons 6 il cui arrivo nei pressi di Plutone è previsto per il 14 luglio 2015.
Noi aspettiamo con ansia!


Note:

Buona Pasqua

La festività della Pasqua rappresenta per i Cristiani la resurrezione di Cristo, la sconfitta della morte terrena e la liberazione di ogni essere umano dal Peccato Originale.
Per gli Ebrei la Pasqua indica la  liberazione del Popolo d’Israele dalla schiavitù egizia, l’inizio del viaggio verso la nuova Terra Promessa.

Io non colgo molte differenze, entrambe indicano nella Festività Pasquale l’inizio di qualcosa di nuovo e di diverso: un cammino finalmente senza peccato verso una nuova esistenza, una nuova Terra Promessa.

È quello che auguro a tutti Voi Lettori de Il Poliedrico, che questa Pasqua rappresenti lo spartiacque verso un mondo nuovo, finalmente privo di ogni peccato, guerra o pestilenza, una nuova Terra Promessa dove regni la libertà e la giustizia, dove ogni essere umano finalmente trovi la felicità.

AUGURI A TUTTI

Perle in cielo e sogni umani

I flares satellitari si osservano quando la posizione del Sole e del satellite hanno lo stesso angolo rispetto all’osservatore. Nel caso specifico per la Svizzera questo particolare allineamento si verifica all’inizio della primavera.


Credit:Roland Stalder – Rigi Kulm, Switzerland

C’è una componente misteriosa nel significato della parola cielo che ha sempre affascinato l’essere umano.
In cielo sono state poste le divinità mitologiche e gli eroi classici, in cielo c’è chi vi cerca i segni della predestinazione e offre la divinazione  per gli uomini, gli angeli e le anime pie di molte religioni vengo collocate o fatte ascendere in cielo.
È quindi nel cielo che la naturale forma di interpretazione di fenomeni spesso banali venga cercata e spiegata: ecco allora che un banale riflesso dei satelliti geostazionari come si vede nel filmato può venire interpetrato come una curiosa formazione luminosa la cui unica spiegazione è spesso chiamata UFO.
Nell’antichità i fenomeni naturali  trovavano nelle divinità l’unica spiegazione: Zeus per i fulmini, Eolo per i venti, Nettuno per il mare, etc…,  solo per fare il primo esempio che mi viene in mente. Ovviamente insieme alle divinità, qualsiasi nome o attributo avessero, nacquero anche i personaggi che pretendevano di parlare e di intercedere per loro. Oggi si parlerebbe di reati come millantato credito e abuso della credulità popolare, ma a quei tempi non esisteva un codice penale evoluto come il nostro.
In seguito quelle forme di religione persero di significato, si evolsero in qualcosa che si  rivolgeva più all’etica e al comportamento umano, mentre l’intelletto aveva iniziato lentamente a sviscerare i segreti dei fenomeni naturali, anche se per l’immmaginario collettivo il cielo continuò a essere indicato come la sede naturale della purezza e del trascendentale.
Nei secoli la scienza si è evoluta, si è fatta più complessa e particolareggiata via via che la comprensione dei fenomeni naturali è cresciuta. Abbiamo capito finalmente che  la pretesa squisitamente umana di essere al centro dell’Universo, l’antropocentrismo, è una solenne cantonata, che molte delle nostre ancestrali credenze fossero soltanto illusioni.
Ecco che allora ancora una volta il cielo viene in soccorso all’immaginario collettivo: non ci sono più divinità da assecondare a loro capriccio, niente più angeli su carri infuocati che annunciano la fine delle sofferenze terrene. Adesso ci sono navi cosmiche, gli UFO, con i loro occupanti, gli alieni, che soccorrono un’umanità sofferente per i suoi errori.
La scienza che sa spiegare la stragrande maggioranza dei fenomeni di cui è a conoscenza, del resto – per fortuna – c’è sempre qualcosa di nuovo o di inaspettato che attende una risposta scientifica, forse si è fatta troppo complessa, o forse è diventata troppo presuntuosa per spiegare banalità come queste, oppure molti non sono disposti ad accettare una spiegazione logica preferendo ancora sognare, o infine tutte queste cose  assieme.
La scienza adesso può essere il potente strumento che consente di plasmare la realtà in un sogno, ma anche questo può essere interpretato da qualcuno come un modo di uccidere i sogni.