Fantasie metropolitane e fenomeno UFO: le cover-up

Da Roswell all’Area 51

Un aerostato del Progetto Mogul in fase di allestimento precedente al volo. I volti dei tecnici sono stati oscurati per nascondere la loro identità.
Credit: USAF/CIA, 1997

L’ambiente sociale in cui scoppiò il fenomeno UFO era molto particolare. Da un lato gli Stati Uniti avevano vinto una guerra mondiale contro un nemico, almeno inizialmente, tecnologicamente più avanzato. La paura per una rappresaglia nazista era ancora ben viva nella mente degli americani. Ma appena finita la guerra col Giappone grazie a due bombe atomiche, ecco affacciarsi un nuovo e più temuto nemico che fino al giorno prima era stato suo alleato durante la guerra: l’Unione Sovietica.
La fobia per i sovietici spinse gli USA come mai era accaduto nella loro storia a finanziare la ricerca, sia civile che, soprattutto, militare. Nel 1947 il timore che i russi sviluppassero armi atomiche in grado di colpire il suolo americano spinse gli americani a progettare una rete di fonometri ad alta quota per monitorarne i progressi. Tale progetto fu affidato all’università di New York che, basandosi sul concetto che le onde acustiche di una sonora esplosione possono raggiungere l’alta atmosfera ed essere captabili quindi oltre il raggio della curvatura terrestre. Il nome di quell’operazione era Mogul [1].
Tale programma in verità ebbe vita assai breve: troppo costoso e assai poco affidabile.

Operazione Mogul

Nella pratica l’intera operazione consisteva nell’inviare nell’atmosfera superiore tutta una serie di palloni aerostatici che sorreggevano i microfoni con la relativa elettronica. Per i primi test di lancio fu impiegata una boa marina e riflettori ottaedrici per monitorare la posizione delle sonde al posto dei più classici sistemi di triangolazione del radiosegnale (Non c’era posto in aereo per portare i ricevitori!).

Ecco come erano i famosi geroglifici tanto decantati dagli ufologi.
Credit: USAF/CIA, 1997

Il radar del sito di lancio ([fancybox url=”https://www.google.com/maps/place/Holloman+AFB,+NM+88330/@32.8431167,-106.1366451,13z/data=!3m1!4b1!4m13!1m7!3m6!1s0x0:0x0!2zMzTCsDE1JzAyLjAiTiAxMDXCsDM1JzQ0LjAiVw!3b1!8m2!3d34.250556!4d-105.595556!3m4!1s0x86e05c343376eabd:0xaed4091d6eaea12f!8m2!3d32.8438274!4d-106.0990906?hl=en”]Holloman Air Force Base, Alamogordo, New Mexico[/fancybox]) non riusciva infatti a seguire efficacemente il pallone sonda fatto di neoprene — un materiale con una resa molto migliore della comune gomma per i palloni stratosferici, oggi di uso comune per esempio nelle tute da sub (è difficile da tagliare o strappare e torna sempre nella sua forma originale …) ma piuttosto innovativo nel 1947 — e per questo i tecnici fecero ricorso all’ultimo momento ai riflettori radar, commissionandoli a una fabbrica di giocattoli, che usò lo stesso nastro adesivo rosa e viola con motivi fantasia, usato dall’azienda per alcuni loro giocattoli, per rinforzare la balsa usata per costruire i riflettori ottaedrici, del resto molto simili agli aquiloni per bambini. 

La sonda n°4 del progetto Mogul partì dalla base aerea di Holloman il 4 di giugno. Come ho cercato di spiegare, le sonde erano ancora nella fase sperimentale, quasi tutto il materiale necessario alla loro costruzione proveniva dal libero mercato, anche il fonorivelatore era una banale boa d’ascolto marina, una AN/CRT-1 [2] [3].
Tutto l’impianto della sonda era quindi sperimentale: 20 palloncini collegati in cordata alla distanza di 6 metri l’uno dall’altro (le sonde meteo usavano soltanto un palloncino da 350 grammi), 5 riflettori ottaedrici fatti con carta stagnola (probabilmente una versione del Mylar conosciuto come Terylene, noto anche come PET) e balsa e una boa marina lanciati nell’atmosfera superiore; la storia di copertura della solita sonda meteorologica non avrebbe retto neanche un minuto in caso di incidente.

Una notte buia e tempestosa

[A] large area of bright wreckage made up of rubber strips, tinfoil, a rather tough paper and sticks.

[Una] grande area di brillanti detriti, composti da strisce di gomma, da stagnola, da carta e bastoncini.

There was no sign of any metal in the area which might have been used for an engine and no sign of any propellers of any kind, although at least one paper fin had been glued onto some of the tinfoil.

Non trovammo alcun segno di metallo nella zona che potesse sembrare un motore o qualcosa di simile, anche se c’era un’aletta di carta che aveva incollati alcuni [pezzi] di carta stagnola.

There were no words to be found anywhere on the instrument, although there were letters on some of the parts. Considerable scotch tape and some tape with flowers printed upon it had been used in the construction.

Non trovammo alcuna parola [o scritta] sull’oggetto, sebbene ci fossero delle lettere su alcuni pezzi. Molto nastro adesivo e qualche nastro con fiori stampati erano stati utilizzati nella costruzione.

No strings or wire were to be found but there were some eyelets in the paper to indicate that some sort of attachment may have been used.

Nessuna stringa o filo furono trovati ma c’erano alcuni occhielli nella carta che suggerivano che un qualche tipo di legatura potrebbe essere stata utilizzata.

William “Mac” Brazel

Ed è quello che avvenne il 7 luglio 1947, o uno dei giorni immediatamente precedenti secondo alcune fonti,  vicino a [fancybox url=”https://www.google.com/maps/place/33%C2%B058’06.0%22N+105%C2%B014’36.0%22W/@34.1680175,-106.1775067,8.61z/data=!4m5!3m4!1s0x0:0x0!8m2!3d33.968333!4d-105.243333?hl=en”]Roswell, New Mexico[/fancybox], dopo un volo di 145 chilometri dal sito di lancio. Un temporale fece precipitare la sonda Mogul n° 4 senza controllo in un ranch dove poi fu trovata da William Brazel, il rancher della contea di Lincoln che scoprì il relitto (alcune frasi della sua testimonianza sono riportate qui a fianco).
Nulla nel luogo dell’incidente poteva far credere a uno schianto di un disco volante; anche la cordata di palloni era volata via da qualche altra parte mentre quello che fu trovato sul primo sito erano i resti, stando alla  prima testimonianza del rancher, che potevano appartenere a qualcuno dei cinque riflettori — in effetti racconta Brazel che tentarono inutilmente di ricomporre quello che pensavano essere un aquilone — e qualche pezzo di neoprene translucido di qualche palloncino distrutto, forse dalla tempesta o forse dalla caduta. 
Il resto è una storia che finì lì. Per un paio di settimane i giornali locali dettero spazio alla notizia e anche qualche agenzia internazionale lo fece, come la [fancybox url=”https://ilpoliedrico.com/wp-content/uploads/2017/07/afp9jul1947.jpg”]France Press.[/fancybox]  
Comunque, già nel 1952 si era scoperto che i rottami di Roswell erano i resti di un qualche bersaglio radar [4] quasi certamente appartenuto a qualche tipo di progetto militare segreto.
Erano trascorse soltanto un paio di settimane dal curioso racconto di Kenneth Arnold [5] e stava diventando assai comune e sarcastico descrivere tutto ciò che non si poteva riconoscere in cielo con un lapidario “They’re a flying saucers“, un po’ come oggi usiamo ironicamente dire “Sono degli UFO” [1.

Tuttavia poi l’ilarità suscitata da questo argomento portò nel 1950 a Los Alamos durante una pausa pranzo Enrico Fermi a chiedersi: “ Where’s Everybody?“] [6].

Trent’anni di silenzio

Comunque fu nel 1978 che la storia di Roswell riprese vigore. Nel paragrafo XVIII di Retrievals of the Third Kind: A case study of alleged UFOs and occupants in military custody [7], il saggista e ricercatore UFO Leonard Stringfield 1 racconta di essere stato contattato da un maggiore dell’Intelligence dell’Air Force , J.M. (Jesse Marcel) che disse di aver partecipato al recupero dei resti di Roswell.

Major J.M. and aides were dispatched to the area for investigation. There he found many metal fragments and what appeared to be “parchment” strewn in a 1 square mile area. “The metal fragments,” said the Major, “varied in size up to 6 inches in length, but were of the thickness of tinfoil. The fragments were unusual,” he continued, “because they were of great strength. They could not be bent or broken, no matter what pressure we applied by hand. The area was thoroughly checked, he said, but no fresh impact depressions in the sand were found. The area was not radioactive. The fragments, he added, were transported by a military carry-all to the air base in Roswell and from that point he was instructed by General Ramey to deliver the “hardware” to Ft. Worth, to be forwarded to Wright-Patterson Field for analysis. When the press learned of this retrieval operation, and wanted a story, Major J.M. stated, “To get them off my back I told them we were recovering a downed weather balloon.” When the major was asked for his opinion as to the identification of the fragments he was certain they were not from a balloon, aircraft, or rocket. He said because of his technical background he was certain that the metal and “parchment” were not a part of any military aerial device known at that time.

[Il] Maggiore J.M. e i suoi assistenti furono inviati nella zona per l’inchiesta. Lì trovarono molti frammenti di metallo e quella che sembrava essere “pergamena” sparsi in un’area di un miglio quadrato.
“I frammenti di metallo”, disse il maggiore, “variavano in dimensioni fino a 6 pollici di lunghezza, ma erano dello spessore della carta stagnola. Questi frammenti erano insoliti”, continuò, “perché erano molto robusti. Non  potevamo piegarli o romperli con le mani a prescindere dalla forza che impiegassimo.”
Aggiunse anche che la zona fu accuratamente controllata ma non furono scoperte altre depressioni da impatto sulla sabbia. L’area non era radioattiva. I frammenti  furono caricati   su un mezzo militare e trasportati tutti alla base aerea di Roswell e il generale Ramey ordinò di consegnare l’hardware a Ft. Worth, per inviarli al Wright-Patterson Field per l’analisi.
Quando la stampa seppe di questa operazione di recupero, chiese [altre] informazioni e il maggiore J.M. dichiarò: “Per levarmi l’impiccio, ho detto loro che stavamo recuperando un pallone meteorologico perduto.” 2
Quando gli fu chiesta la sua opinione sull’identificazione dei frammenti, disse che era certo che non provenissero da un pallone, un velivolo o un razzo. Aggiunse [anche] che a causa del suo background tecnico era certo che quel metallo e la “pergamena” non potessero essere parte di qualsiasi dispositivo aereo militare noto a quel tempo.

Leonard H. Stringfield

Il testimone, J. M., affermò di aver raccolto dal luogo dello schianto dei frammenti di una specie di carta stagnola non più grandi di 15 centimetri, però molto resistenti alla trazione e alla piegatura, tutte caratteristiche del polietilene tereftalato, inventato nel 1941 in Inghilterra col nome di Terylene e brevettato come Mylar nel 1952.  
Se effettivamente i riflettori radar fossero stati costruiti con tessuto di polietilene come il Terylene, non ci sarebbe niente di anomalo o di alieno nei resti raccolti dai militari guidati dal maggiore J. M.. Esso era soltanto un materiale inventato pochi anni prima e ancora sconosciuto al pubblico e il suo impiego
 in un pallone meteo sarebbe sembrato troppo curioso.
Nessuna radioattività, nessun altro cratere da impatto, nessun congegno che possa somigliare a un motore o propulsore. Niente di niente, nessuna prova che una navicella extraterrestre si sia mai schiantata a Roswell quel giorno.
Ma la fantasia dei fuffologi (io scherzosamente li chiamo così, non  posso neanche immaginare che le storie da essi raccontate siano anche solo lontanamente verosimili e che possano crederci veramente anche loro) non finisce certo qui, con l’ufino che dopo un viaggio di ben 39.2 anni luce — sì, perché i ‘lieni pensati dai fuffologi vengono da ζ Reticuli! — va a schiantarsi nel bel mezzo del nulla come un autista ubriaco. 
Tale nave spaziale, prelevata dai militari, sarebbe stata impacchettata e spedita presso una base militare talmente segreta che non ne esisterebbe traccia neppure negli archivi militari.

Area 51

Tale base è la famigerata Area 51.  Qui secondo la mitologia ufologica la nave spaziale sarebbe stata smontata, studiata e riprodotta.
Quei fanatici sono convinti che sia stata l’ingegneria inversa applicata sulla tecnologia dell”UFO a darci oggi i componenti elettronici miniaturizzati, i microchip che controllano anche la nostra lavatrice, i cristalli liquidi delle nostre TV e le altre mille diavolerie moderne. Nulla riguardo a nuovi sistemi di energia e propulsione, su come affrontare i viaggi interstellari o come risolvere i nostri, gravi, problemi di inquinamento che minacciano la nostra specie di più di quanto faccia l’intero arsenale nucleare globale!
Non contenti, questi pittoreschi narratori, hanno aggiunto in seguito ‘lieni morti o moribondi, biopsie segrete sui cadaveri dei suddetti, contatti con specie extraterrestri e alleanze o collaborazioni di comodo occulte, perfino.

Al di la di tutte queste idiozie, la super segreta Area 51 esiste davvero. Non è poi così segreta anche se i vertici militari USA ne celarono l’esistenza fino al 2013.
Anche i programmi svolti in questa base erano talmente segreti e compartimentati che gli stessi ingegneri non avevano coscienza del loro lavoro o di quello dei loro colleghi 3.
L’area in cui sorge la base, i resti di un lago salato ormai asciutto, Groom Lake, è piuttosto lontana da qualsiasi insediamento civile e è un’ottima pista naturale per il collaudo di aerei. Per questo è un sito militare di enorme importanza strategica.
Qui furono sviluppati e testati aerei militari super segreti: il Progetto Acquatone, che portò al primo aereo stratosferico Lockheed U-2, il cui scopo era proprio quello di spiare dall’alto i progressi militari sovietici, nacque proprio qui. Nel 1960 però un missile contraereo russo riuscì ad abbattere uno di questi [8].
Questo incidente causò un ripensamento generale dell’intero progetto, anche se è importante sottolineare che l’U-2, essendo ancora in servizio, resta uno dei velivoli più longevi della storia militare. Così nacque il Progetto Oxcart, che portò alla realizzazione di un nuovo velivolo con capacità supersonica (Mach 3.35) a quota di crociera (23000 metri), il Lockheed A-12. In confronto l’U-2 era quattro volte e mezza più lento 4. L’aereo poteva volare a oltre tre volte la velocità del suono a quote che erano il triplo dei normali aerei di linea di quel tempo, e alcune sue configurazioni non erano verniciate. In sostanza erano interamente lucide tanto da poter riflettere i raggi del sole ed essere visto anche dal suolo. La particolare forma era stata studiata per eliminare gli angoli retti per aver la più piccola impronta radar possibile e questo lo rendeva il velivolo più bizzarro che si fosse visto a quell’epoca. 
Però presto l’A-12 si rivelò essere un aereo costosissimo e tutto quel calore in eccesso lo rendeva un ottimo bersaglio per i missili a guida termica. Fu così che nacque l’idea di progettare i primi velivoli avanzati con tecnologia stealth come il Lockeed SR-71 Blackbird.

Non voglio qui ripercorrere tutti i progetti ormai non più segreti di tutte le tecnologie nate nell’Area 51. Ma dal gigantesco U-2 al costosissimo A-12, fino ai moderni bombardieri B-2 e altri aerei dalle forme più strane e improbabili, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale con i prototipi del bombardiere Northrop YB-35 (primo volo nel 1946) che riprendevano il concetto del Horten HO-229 nazista, poi nella versione a turbogetto YB-49 dell’anno dopo — curiosamente simile alle descrizioni dei flying saucers di  Kenneth Arnold, negli Stati Uniti è stato un gran fiorire di prototipi di velivoli segreti che a occhi non preparati venivano descritti come UFO. Si calcola che almeno la metà di tutti i presunti avvistamenti UFO negli anni ’50 e ’60 siano da imputarsi a velivoli sperimentali segreti, alcuni dei quali li abbiamo visti entrare in servizio attivo mentre altri sono finiti nel dimenticatoio, abbandonati o cancellati.
Guardate la carrellata di alcuni aerei qui sotto, in attesa del gran finale …

Fantasie metropolitane e fenomeno UFO: i miraggi di Marfa

Come ho detto alla fine della seconda parte, per quanto possa sembrare suggestiva e attraente l’ipotesi del contatto extraterrestre, essa è comunque la meno probabile in assoluto. Fare un viaggio di milioni di chilometri per mutilare una capra o rapire un boscaiolo (come Travis Walton di Snowflake, Arizona. Ci hanno ricavato pure un libro e un film; pensate ai soli diritti d’autore …) è un po’ come  prendere un aereo per l’Australia, suonare un paio di campanelli a caso per scherzo e tornarsene di corsa a casa per timore di essere scoperti. Se a voi pare logico … 

Le luci di Marfa.

[fancybox url=”https://www.google.it/maps/place/Marfa,+Texas+79843,+Stati+Uniti/@30.3123365,-105.5402904,7.49z/data=!4m5!3m4!1s0x86efb0a37f4025ff:0x720e0d3e89d4c90!8m2!3d30.3094622!4d-104.020623″]Luci di Marfa[/fancybox]Le celebri Luci di Marfa, in Texas

Marfa è un’amena cittadina dell’ovest texano. È un bel posticino 1, ha il suo celebre museo cittadino, la sua caserma dei pompieri rosa e le sue celebri … luci fantasma [9]!
In qualsiasi periodo dell’anno, verso il passo del Paisano (Paisano Pass) si rendono visibili delle curiose luci che sembrano fluttuare e muoversi nell’aria. Da riprese a lunghissima esposizione appare evidente uno schema: quello di una strada trafficata! E in effetti lì passa la Route 67, costruita negli anni ’20. Alcuni contestano questa spiegazione affermando che il piano stradale è diverso da quello delle luci osservate e che si hanno notizie di luci analoghe osservate fin dalla fine del XIX secolo, all’incirca dalla fondazione della città (nacque come stazione ferroviaria). 
Ma la spiegazione in realtà è molto semplice: miraggio, detto anche Fata Morgana. Un miraggio Fata Morgana avviene, un po’ come in tutti i miraggi, quando due strati di densità molto diversa di aria  deflettono e riflettono la luce di oggetti in realtà molto più lontani e addirittura fuori dal piano visibile dall’osservatore, Così la luce può essere deviata, riflessa o addirittura amplificata, distorcendo tutto ciò che mostra. Una carovana in transito, un bivacco o una lanterna da viandante possono benissimo essere responsabili di ciò che videro gli abitanti di Marfa prima della costruzione della strada. Coloro che andarono a cercare l’origine di quelle luci non trovarono niente semplicemente perché quelle che avevano osservato erano da qualche altra parte; ripeto, da un posto diverso e molto più lontano da dove sembravano provenire.

Cosa abbia visto realmente Kenneth Arnold forse non lo sapremo mai, ma la sua descrizione dei flying saucers somiglia tantissimo a quella dell’aereo sperimentale nazista catturato dagli Alleati Horten HO 229.

Le luci che osservò Kenneth Arnold erano molto più probabilmente frutto di un abbaglio ottico— l’equipaggio del DC-4 dietro di lui non notò alcunché. Più semplicemente lui si trovò nella condizione favorevole per assistere a qualcosa che al momento non seppe spiegare. Solo successivamente, quando il suo racconto apparve sui giornali,  quei piattini volanti che sembravano erratici divennero dischi volanti. Anche lo stesso Kenneth Arnold all’inizio pensò che potevano essere velivoli militari top secret, ma poi pensò che ancora quella tecnologia era ancora al di là delle capacità umane che aveva appena imparato a scindere l’atomo. 
Però quelle tecnologie che Arnold credeva ancora in divenire, forse si stavano già studiando. Sicuramente la sua storia insieme quella dei foo fighters fornì la copertura perfetta per la più grande operazione di depistaggio civile mai orchestrata. Ma anche questa è un’altra storia. Alla prossima.

Fantasie metropolitane e fenomeno UFO: le origini moderne

E ora la seconda parte di questo lungo articolo. Il mio obbiettivo non è tanto dimostrare l’inesistenza del fenomeno, quanto quello ben più importante di chiedere al lettore di essere estremamente critico e più cauto nell’accettare le verità che spesso chi narra questi episodi pretende di imporre. Con questo approccio tutti i principali, e più noti, eventi UFO paiono frutto di interpretazioni errate e zeppi di mitologia metropolitana.

 

La nascita del fenomeno UFO moderno

Qui una ricostruzione in scala 1:1 del’Horten HO 229 per testarne le capacità di invisibilità ai radar. Fu sviluppato dai nazisti dopo la disfatta nella Battaglia di Inghilterra. L’avveniristico design lo fa assomigliare all’attuale bombardiere stealth Northrop Grumman B-2 Spirit. Era fatto di legno e disegnato per minimizzare la sua impronta sui radar. C’era l’idea di costruirne uno più grande alimentato da ben sei motori a getto per raggiungere la costa orientale degli Stati Uniti. Ecco come sarebbe stato il mitico UFO nazista.

Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, negli Stati Uniti si era diffusa la leggenda di una nuova super arma nazista capace di colpire la Costa Orientale. Quest’arma doveva essere una versione più potente e complessa della V2 che stava martellando Londra. Era impensabile allora ottenere la precisione dei moderni ICBM (Intercontinental Ballistic Missile) e si supponeva che i tedeschi avessero sviluppato un nuovo tipo di velivolo capace di arrivare fino al continente americano [10] [1. In realtà i nazisti non svilupparono mai velivoli del genere; si avvicinarono a un aereo con prestazioni stealth come quello della prima foto (una riproduzione in scala reale di un aereo sperimentale catturato dal Gen. Patton) ma non riuscirono ad andare oltre, per nostra fortuna, alla fase sperimentale.Però erano abili comunicatori e manipolatori: seppero abilmente diffondere voci su super armi e congegni inverosimili al solo scopo di incutere terrore presso i loro nemici. Questa campagna di mistificazione non finì con la guerra e la sconfitta del nazismo; essa continuò anche negli anni ’50 del XX secolo ad opera di personaggi legati all’antisemitismo esoterico, oltreché a ciarlatani che trassero vantaggio dalle teorie complottistiche dell’epoca con la vendita dei loro libri.] 1.

Intanto si erano diffuse voci riguardanti strane sfere di fuoco avvistate dai piloti Alleati [11] intorno ai loro velivoli. Strane sfere luminose che apparivano improvvisamente intorno alle ali e che sembravano danzare attorno alla fusoliera prima di scomparire. Anni più tardi, dopo la fine del conflitto si scoprì che le medesime luci apparivano anche ai piloti dell’Asse e ai piloti impegnati nel Pacifico, pure a quelli giapponesi. Si venne a sapere anche che alcuni piloti tentarono addirittura di ingaggiare, invano, un combattimento [12][13] con queste luci che, stranamente ma non sempre, riuscivano ad apparire nei radar  2.
Un temporale in mare non è mai una bella cosa, ma spesso, quando il fronte nuvoloso sta per estinguersi e ci si avvicina al fronte d’aria più secco può capitare, con le navi a vela è più facile, che la differenza di potenziale elettrico dell’aria e l’imbarcazione superi i 20-30 mila volt per centimetro — non è difficile, è lo stesso fenomeno per cui basta spazzolarsi i capelli in una stanza con aria secca, magari al buio e davanti allo specchio — ed ecco apparire sugli alberi i celebri Fuochi di S. Elmo [14]. Per i marinai erano segnale di buon auspicio, infatti il fronte temporalesco era ormai alle loro spalle. La differenza di potenziale elettrostatico è innescata dallo sfregamento delle molecole d’aria del fronte più secco con quello umido.
La stessa azione può innescarsi tra un velivolo e il mezzo in cui si muove velocemente. Un po’ come quando si prende la scossa dall’auto dopo un lungo viaggio in una giornata secca: in questo caso siamo noi a chiudere il circuito e a prenderci la sberla; nel caso di un aeromobile metallico non c’è modo di chiudere il circuito e scaricare le cariche elettrostatiche. Allora queste si accumulano fino a rendersi visibili come aria ionizzata continuamente caricata dal moto dell’aeromobile. Poi occorre ricordare che il volo umano, eccettuati gli aerostati, non aveva nemmeno mezzo secolo. L’addestramento dei piloti, i complessi meccanismi biologici e psicologici del volo non erano compresi quanto oggi. Quindi fenomeni allucinatori seguiti da episodi di combattimenti al vento erano tutto sommato comprensibili.

[fancybox url=”https://www.google.it/maps/place/Monte+Rainier/@47.3837991,-120.707494,6.84z/data=!4m5!3m4!1s0x5490d193f70860fb:0x5b5e4fe17ad6b707!8m2!3d46.8523075!4d-121.7603229″][/fancybox]Mount Rainier, Washington

E qui si arriva a Kenneth Arnold, l’uomo da cui partì tutto il moderno fenomeno UFO.
O meglio, tutto partì dai pittoreschi articoli di giornale che riportarono la sua storia: era il 24 giugno 1947. La storia raccontata da Kenneth Arnold è nota un po’ a tutti: egli affermò che mentre stava cercando i resti di un aereo C-46 scomparso (c’era su una ricompensa di 5000 dollari) di aver visto nove luci che all’inizio lui stesso scambiò per riflessi o per qualche velivolo sperimentale segreto. Poi egli li descrisse come oggetti a forma di mezzaluna e molto sottili e che il loro movimento ricordava quello di flying saucers, ovvero piattini volanti, lanciati sull’acqua. Qui iniziarono le speculazioni della stampa: per alcuni giornali erano come un piattino da dolci tagliato a metà con una protuberanza triangolare sulla parte posteriore, per altri erano come dei grandi dischi piatti. Non ripercorrerò per intero la storia di Arnold, nel tempo altri testimoni indipendenti affermarono di aver visto qualcosa nel cielo quello stesso giorno a Mount Rainier [15] ma non l’equipaggio del DC-4 che viaggiava poco dietro a Kenneth Arnold e che lui usò per stimare rotta, dimensioni e velocità dei suoi flying saucers.

Riflessi e altri giochi di luce? Forse test militari segreti? A pensarci bene la descrizione fatta da Kenneth Arnold pare che si sposi molto bene con la sagoma dell’Horten HO 229 ma non ci sono prove che quel velivolo abbia mai volato sul suolo americano. Non ci sono neppure altre prove che confermino la veridicità del suo racconto o del contrario. Forse si trattò di una fortunata combinazione delle due cose, forse solo una di esse, oppure nessuna e in tal caso dovremo cercarne un’altra. L’unica certezza è che per quanto possa apparire attraente l’ipotesi extraterrestre è anche sicuramente la meno attendibile e probabile.

Il nostro viaggio ora si sposta in un luogo molto lontano — 2400 chilometri a sud-est — dallo stato di Washington: dal Texas, Ma questa è un’altra storia. Alla prossima puntata …

Fantasie metropolitane e fenomeno UFO, introduzione

Da sempre mi sono sentito dire di tutto, chiedere di tutto. Ma mai mi ero sentito domandare: “Sei stato rapito dagli Alieni?”. Anche se la cosa mi ha in quel momento strappato un sorriso divertito, dopo mi ha lasciato l’amaro sapore delle cose non comprese, o forse mal spiegate. Per un attimo ho percepito frustrazione e impotenza, sicuramente la medesima sensazione che prova un maestro nel bocciare un suo allievo perché di fatto sottolinea anche il suo fallimento. Ringrazio colui che mi ha fatto la domanda perché da quella riflessione è nata questa serie di articoli che usciranno in più puntate.

Non esistono domande sciocche, forse ingenue ma mai sciocche. Le risposte invece spesso lo sono.
Risposte su chi siamo, da dove veniamo e su cosa ci aspetta, spesso sono affidate a incompetenti e ciarlatani che si inventano idiozie come antichi astronauti, civiltà antichissime più evolute della nostra il cui sapere è andato perduto e così via, dalle catastrofi planetarie a società occulte che governano clandestinamente il mondo giusto per avere un attimo di notorietà e soldi facili.
Sì soldi, perché è sufficiente presentare un libro dalla copertina accattivante, un titolo roboante che accenna al mistero rivelato e questi si trasformano in best seller.

There are more things in Heaven and Earth than are dreamt of in your philosophy, Horatio.

Ci sono più cose in cielo e in terra di quante la tua filosofia possa sognare, Orazio.

William Shakespeare, Hamlet (1.5.167-8)

L’essere umano è sempre stato attratto dall’idea di voler dare un senso a tutto. In fondo questo desiderio ha permesso all’Uomo di evolversi e di elaborare concetti sempre più astratti fino a darsi le religioni e la scienza. Ma è anche la sua più grande debolezza.
Le prime hanno cercato di dare una significato al cosmo mescolando regole naturali e sociali. Rigidi codici strutturati per spiegare tutto e insieme dettare le vie del comportamento civile.
Un connubio che oggi a molti non appare percorribile e che però poi finiscono per cercare per altre vie. In questo, senza l’opportuno equilibrio, alcuni finiscono per idealizzare la scienza trasformandola suo malgrado in religione. Altri invece, più o meno consapevoli nel disconoscere anche le basi del metodo scientifico, mescolano antiche credenze e tradizioni col modernismo più sfacciato: ecco come nascono i seguaci di molte credenze non proprio scientifiche.
Ed è proprio in questo crogiuolo di misconoscenza verso il metodo scientifico che nascono le idee più bislacche. Io non voglio convincere nessuno a negare per partito preso il fenomeno UFO, non è questo l’intento di questa serie di articoli e neppure il mio scopo. Ma una volta escluse le mistificazioni, e di burloni ce ne sono in giro tanti come tanti sono quelli che cercano il loro breve momento di gloria e denaro, gli errori e gli altri effetti naturali o di manufatti dell’uomo, forse un decimo dell’uno percento ancora sfugge alle spiegazioni più razionali.

It is a capital mistake to theorize before one has data. Insensibly one begins to twist facts to suit theories, instead of theories to suit facts.

È sempre un madornale errore teorizzare a vuoto. Senza accorgersene, si finisce per deformare i fatti per adattarli alle teorie, anziché il contrario.

Arthur Conan Doyle, Sherlock Holmes

Magari è solo questione di tempo per trovare anche per loro una spiegazione convincente senza necessariamente invocare fantastici omini verdi (o Grigi).
Anche il celebre scienziato Carl Sagan suggeriva di studiare attentamente quei casi che sfuggivano all’interpretazione [16], se non altro per comprendere meglio i motivi che spingono le persone a credere al fenomeno UFO.

Nell’antichità c’era chi affermava di aver visto in cielo carri celesti multicolori ai lati del Sole, visto angeli e di udito perfino delle trombe. Oggi sappiamo cosa sono i pareli; abbiamo capito che gli arcobaleni che qualche volta circondano il Sole sono prodotti da aghi di ghiaccio sospesi nell’alta atmosfera anziché essere la strada del carro del Sole e che qualche volta i fenomeni aurorali possono produrre suoni come scoppiettii e brontolii di sottofondo ben udibili [17].
Tutta la scienza si regge su alcuni grandi pilastri filosofici; uno di questi è il Rasoio di Occam: se più fenomeni possono spiegare un evento, quello più semplice tende ad essere quello giusto. Magari qualche volta questo non accade ma spesso è così. Quindi anche qui, parlando del fenomeno UFO è importante ricordarsi di applicare questo sano principio. Limitarsi a chiudere l’argomento con una indifferente scrollata di spalle è a mio avviso altrettanto sbagliato quanto credere aprioristicamente al fenomeno UFO; questo tengo a precisarlo.

Il fenomeno UFO esplose con l’inizio della Guerra Fredda. Coincidenze? Non credo…

UmbyWanKenobi

Un esempio che trovo da sempre curioso: le abductions, ovvero quelli che affermano di essere rapiti dagli alieni. Perché mai una civiltà più evoluta della nostra dovrebbe sprecare così tante risorse economiche per compiere viaggi di milioni di chilometri e rapire una persona a caso e pure di nascosto, magari anche un po’ sempliciotta ed affidare ad essa messaggi di rinnovamento spirituale o scientifico? Non sarebbe più semplice e pratico atterrare sul prato della Casa Bianca (o nella Piazza Rossa a Mosca), presentarsi all’umanità e manifestare così la loro presenza insieme al loro messaggio?

La scoperta di vita extraterrestre o addirittura un contatto con una civiltà aliena è quello che più elettrizzerebbe il mondo scientifico. A confronto le scoperte degli ultimi secoli impallidirebbero di fronte a questa notizia. La susseguente rivoluzione del pensiero umano, la matematica certezza che non siamo soli nell’Universo, sarebbe paragonabile alla scoperta del fuoco o l’invenzione della ruota.
Proprio per questo non può essere lasciata in mano a ciarlatani, visionari e speculatori. E tutto il marasma da questi creato è stato abilmente sfruttato dai militari un po’ in tutto il mondo per nascondere i progetti più segreti.
Un altro esempio? La mitica Area 51. Qui si progettarono negli anni ’50 gli aerei spia U-2, poi, quando uno di essi fu abbattuto dalla contraerea sovietica, si passò a studiare i primi sistemi stealth: un DC-9 sarebbe dovuto apparire grande come un passerotto. La base era talmente segreta che per decenni il governo americano ne negò più volte anche l’esistenza. Anche i progetti militari erano talmente segreti che gli stessi ingegneri erano all’oscuro anche del lavoro dei loro colleghi e i ben pochi documenti scritti erano così segreti che non erano neppure classificati come tali; se uno di questi fosse caduto in mani sbagliate sarebbe apparso così banale da non destare attenzione!

[fancybox url=”https://www.google.it/maps/@37.2376948,-115.8234622,11.15z”][/fancybox]L’Area 51 è lì, da qualche parte …

Così il fenomeno UFO da pittoresco ma interessante elemento divenne la più abile ed efficace azione di copertura militare. Test di sistemi d’arma sperimentali incautamente visti da ignari civili diventarono UFO; la base Area 51, come altre basi in tutto il globo, divenne una fantasticheria piena di cadaveri alieni e retroingegneria di dischi volanti extraterrestri.
La cosa non finì certo lì. Il progetto HAARPS, nato per studiare le interazioni tra le comunicazioni militari a onde corte e la ionosfera — per questo era in Alaska, come gli analoghi impianti sovietici e svedesi — perturbata dalle aurore boreali e le tempeste solari (non credo che a qualcuno piacerebbe sapere che un missile teleguidato potrebbe mancare il bersaglio e colpire per sbaglio un centro abitato per colpa di una tempesta solare), divenne per i ciarlatani e i loro discepoli un’arma per il controllo atmosferico capace di scatenare a comando tempeste, siccità e perfino terremoti dall’altra parte del pianeta.

Bizzarro, vero? quello che più veniva demonizzato — i militari cattivi, capaci di svendere l’intera umanità ai biechi interessi di razze ‘liene — erano proprio quelli che più erano contenti della copertura gratuita che i creduloni di fantasie inventate da ciarlatani in ciabatte (quelli sì che intascavano bei soldi dalle loro ciarle sparate con libri, convegni e apparizioni in TV) fornivano loro.
Alla prossima puntata …

Analfabetismo funzionale e senso critico

Qualcuno una volta disse che la scienza non può essere democratica ma si sbagliava. La storia invece dimostra che l’evoluzione dello spirito umano e quello scientifico sono indissolubilmente legati tra loro e il loro grado di condivisione e diffusione nella società.

Il 22 febbraio scorso, una conferenza stampa organizzata dalla NASA illustrava la scoperta di quattro pianeti in orbita a una debole stellina lontana soli 39 anni luce, un tiro di sasso su scala cosmica. Per chi segue ormai da anni la nuova frontiera dell’esoplanetologia sa che notizie abbastanza simili sono ormai quasi la quotidianità. Grazie agli strumenti di ultima generazione e l’affinarsi delle tecniche di indagine negli ultimi vent’anni sono stati confermati (dal 6 ottobre 1995, il primo esopianeta riconosciuto, 51 Pegasi-b) ben 3609 — al momento in cui scrivo — pianeti per 2703 sistemi planetari di cui ben 610 di questi sono sistemi con più di un pianeta riconosciuto [18]; una media di un nuovo pianeta ogni due giorni e poco più!
Coloro che hanno sin qui seguito questo blog, senz’altro hanno avuto modo di apprendere come da una debolissima curva di luce sia possibile ricavare tantissime informazioni, non certo assolute come taluni credono — ci sono tante variabili in gioco su cui si gioca tutto, come la distanza assoluta e il grado di estinzione della luce della stella per effetto del mezzo interstellare — ma comunque ragionevolmente accettabili quel tanto che basta per produrre stime all’interno di un certo margine di tolleranza.

[fancybox url=”https://www.youtube.com/watch?v=iITe3pIwfIE” caption=”Il lancio e l’atterraggio verticale del Falcon9 dopo aver inviato la capsula Dragon con i rifornimenti alla Stazione Spaziale Internazionale.”][/fancybox]

Tutti i video spettacolari, le immagini e le slide che si sono viste in quei giorni, ma anche le altrettanto meravigliose conquiste scientifiche e tecnologiche come i razzi recuperabili Falcon9 che possiamo vedere all’opera qui accanto, sono il frutto dell’ingegno umano incarnato in migliaia di anonimi scienziati e ricercatori di tutto il mondo che operano per il benessere di tutta l’umanità.
Questo benessere è tangibile sotto quasi ogni cosa che usiamo ogni giorno, i telefoni cellulari non sarebbero così piccoli e potenti senza lo sviluppo delle tecnologie di miniaturizzazione sviluppate per le missioni spaziali; Internet nacque per esigenze di comunicazione militare e scientifica, furono gli scienziati del CERN di Ginevra che inventarono il WEB, lo stesso mezzo spesso usato per sproloquiare bischerate sulla perniciosità della ricerca scientifica e l’inutilità di essa.

Avrebbero dovuto intitolare questo virgolettato « L’Idiozia, l’apoteosi del qualunquismo »

La cosa più triste è che ormai ogni giorno tra gli innumerevoli detrattori della ricerca scientifica scopro politici, giornalisti e opinionisti senza distinzione di censo, cultura o religione. Tutte persone invece il cui compito è proprio quello di guidare le coscienze 1.
A questo punto, viene da chiedersi perché questo accanimento antiscientifico che parte dalla negazione dei fatti, come ad esempio la negazione dello sbarco sulla Luna, fino al rifiuto delle più sicure tecniche di profilassi come le vaccinazioni.
Non esiste una risposta univoca a tale domanda e nemmeno motivi che possano giustificare questa linea di pensiero. Eppure a leggere i commenti di qualche prezzolato opinionista che criticava – credo il giorno dopo – la meravigliosa scoperta di quel piccolo e affollato sistema planetario sembra che esista un cortocircuito tra la scienza e quello che la gente percepisce.
Anche a costo di apparire riduttivo, scorgo che in questo mondo — vedi per es. Internet — in cui la densità delle informazioni mediamente disponibili su un qualsiasi argomento è la più alta mai avuta in tutta la storia umana, al comune cittadino quello che paradossalmente manca è proprio la capacità di intelligere tali informazioni.
Un esempio — stupido quanto volete — che mi viene ora in mente è che fa notizia una batteria di un laptop o di uno smartphone quando esplode, ma nonostante questo il mercato pretende dispositivi sempre più piccoli, economici e veloci. Dietro a questi incidenti ci sono inevitabili processi fisici e i desiderata dei consumatori che cozzano con quegli accorgimenti necessari che potrebbero evitare questi problemi, come batterie più voluminose e involucri più pesanti. Pochi però si rendono conto della mole di ricerca necessaria per ottenere dispositivi di accumulo di energia ancora più piccoli e meno rischiosi mentre tutti pretendono di goderne i frutti.


Penso che i ‘lieni siano idioti.
Viaggiare per anni luce per venire a fare cerchi nel grano sulla Terra è come se volassi in Australia a suonare i campanelli e poi tornassi indietro per non farmi scoprire.

Il problema del discernimento non inizia e non si ferma certo qui. A monte c’è anche la tremenda analfabetizzazione di ritorno, un deprimente effetto collaterale che credo sia dovuto in buona parte ad un pigro metodo scolastico dove viene preferita la mnemonica alla spiegazione, l’indottrinamento piuttosto che la promozione dello spirito critico. Penso che un sistema scolastico sostanzialmente incapace di  sostenere una qualche forma di dibattito e confronto costruttivo tra insegnanti e allievi, è in tutta onestà incapace di formare individui pienamente consapevoli. E lo dimostrano tutte le statistiche riguardanti il grado culturale di chi ha finito o cessato in anticipo il percorso scolastico: a fronte di una minoranza di persone capaci di comprendere un testo, molti di più sono coloro che non sono in grado di farlo e, di conseguenza, incapaci di compiere scelte responsabili che possono andare dall’accettare o meno tesi discutibili o errate fino al voto democratico.
Questo deve far riflettere sull’importanza di un processo di scolarizzazione perenne dell’individuo: non ci si può solo limitare a dire che due più due fa quattro perché è così e basta, va illustrato anche perché ciò accade. Con un percorso di istruzione e di confronto limitati nel tempo poi non può esserci spazio per l’elasticità di pensiero e lo spirito critico dell’individuo ormai necessari per affrontare la sempre più imponente mole di informazioni a cui può accedere. È  proprio la mancanza di questi strumenti che porta poi le persone ad abbracciare le tesi più assurde: da quelle parascientifiche fino a quelle antiscientifiche e la loro strumentalizzazione.

Io non ho la soluzione a questo grave problema, sarei un presuntuoso se dicessi di averla. Di fatto mi limito a denunciare le storture che quotidianamente scorgo e che fanno attualmente parte del dibattito attuale, come per esempio le fake news.


« Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza. »
(Ulisse, Inferno Canto XXVI vv. 118-120 Dante Alighieri)

Lo spirito critico, che in troppi usano per giustificare anche le tesi più bacate, serve quando è costruttivo, quando cioè porta ad un miglioramento delle proprie e delle altrui condizioni. Ad esempio, rifiutare la profilassi dei vaccini contro agenti patogeni potenzialmente letali significa esporre al rischio di contrarre le malattie anche coloro che per per problemi diversi non possono vaccinarsi. Allo stesso tempo però chiedere che i controlli sui farmaci siano il più possibile terzi e trasparenti, rientra nello spirito critico di cui tutti noi dovremmo poter disporre.
I media svolgono un ruolo fondamentale nel’evoluzione culturale dell’individuo. Se viene continuamente trasmesso il messaggio che basta indovinare un pacco, grattare una schedina di cartone o tirare una leva di una slot machine virtuale per diventare milionari, che la cultura non fa mangiare e che nel mondo reale la strada del successo non passa necessariamente dal merito, allora è ancor più evidente quanto sia importante, ma anche difficile, un reale cambio di passo.
L’unico suggerimento che mi sento di dare al lettore è quello di usare almeno il buon senso. Non esistono cure miracolose o trucchi nascosti, i soldi non crescono sugli alberi e il successo deve essere conquistato mostrando il proprio valore. Non ci sono complotti segreti mondiali, progetti per il controllo di massa di interi popoli o altre castronerie simili, solo sprovveduti convinti che queste cose esistano e pochi che sfruttano tali convinzioni per arricchirsi.
Tutti vorremmo un mondo migliore, senza guerre, carestie e povertà; ma siamo qui, ora, in una situazione dove ancora una volta c’è chi pretende di risolvere asti mai dimenticati con l’uso delle armi, col Riscaldamento Globale e i Migranti che fuggono da guerre che paradossalmente consentono il nostro tenore di vita, dal petrolio e il gas naturale al coltan per i condensatori al tantalio dei nostri telefonini.
Ripeto, non ho una soluzione a tutto questo, solo gli stolti credono di averla in tasca. Ma credo nella condivisione delle idee, la più alta delle espressioni della democrazia.

Specie interplanetaria

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Wanderers – a short film by Erik Wernquist

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Questo post era nato come aggiornamento di stato su Facebook. Poi però ho pensato che il mio estemporaneo sfogo valesse qualcosa di più. 

L’intera storia è costellata di bivi e di spartiacque da cui non è possibile tornare indietro. No, non sto parlando ora di freccia entropica e direzione univoca della freccia del tempo; parlo di scelte e svolte che condizionano la storia umana.
A volte sono i singoli uomini a scegliere e quasi mai — per nostra fortuna — i politici e i condottieri.
Pensate a Galileo, Copernico, Alessandro Volta, Marie Curie, Guglielmo Marconi e tutti gli altri che non cito non certo per dimenticanza o per far loro torto.
Inventando l’home computer in un garage due ragazzi hanno stravolto il genere umano ben più di quanto abbia saputo fare Alessandro il Grande col suo effimero impero. Oppure pensate a quell’umile garzone di fabbro che verso il 1200 inventò la staffa per le selle usate poi dai cavalieri mongoli di Gengis Khan per conquistare il suo impero.
Visionari, magari presi per sciocchi, che giocavano coi dischi di cartone e le zampette di rana o con cilindri di ghisa e stantuffo. Eppure è così che sono nate le pile elettriche e i motori a combustione interna, da persone quasi dimenticate oggi 1 ma che hanno scritto la storia del genere umano più di tutti i condottieri e duci esistiti.
La storia è fatta dalle persone e dai popoli. Essa è guidata dalle intuizioni e forgiata dalle svolte sociali. E ora ne abbiamo di fronte uno, altrettanto importante di quello che spinse quattrocentomila anni fa alcuni nostri antenati a lasciare l’Africa: la conquista del cosmo.
No, non si tratta di viaggiare verso le altre stelle, cosa che forse in un futuro lontano forse faremo, ma di esplorare e colonizzare permanentemente il Sistema Solare; diventare finalmente una specie interplanetaria.
Un mondo di 7 miliardi di persone non può permettersi di trascurare questa occasione. La ricchezza e il benessere che da questa opportunità derivano potrà porre fine alle sofferenze di tutto il genere umano al di là di qualsiasi promessa di impero terreno di qualsiasi nuovo duce.
La tecnologia per questo epocale salto c’è già o potrà essere sviluppata entro i prossimi cinquant’anni se solo ci fosse la volontà politica di farlo. E questa voglia occorre alimentarla come un fuoco che cova sopito.
Come coscienza individuale forse non ci sarò più. Ma i miei figli vedranno quasi sicuramente l’umanità diventare finalmente una specie interplanetaria. Questo sogno mi ripaga di ogni sacrificio.

Platone, le ombre e la scienza moderna.

Quando il luglio scorso terminai di illustrare per sommi capi l’energia oscura prevista nel modello \(\Lambda CDM\) accennai che anche altre teorie erano state suggerite per rimediare all’espansione accelerata dell’Universo e sull’esistenza dell’invisibile materia oscura. Mi riferisco alle teorie MOND (Modified Newtonian Dynamics), una classe di teorie che  propongono alcune modifiche della legge di Newton per spiegare le curve di rotazione osservate nelle galassie. Ma prima di parlare di questa relativamente nuova classe di teorie che propone prospettive alquanto interessanti, voglio farvi parte di una mia riflessione sul  significato della scienza che magari troverete stimolante.

Illustrazione del Mito della caverna in un’incisione del 1604 di Jan Saenredam.
Credit: Wikipedia

2400 anni fa il filosofo greco Platone scriveva la sua opera  Politéia, tradotto in italiano La Repubblica. In questa raccolta vi è l’allegoria del Mito della Caverna, una novella ricca di simbolismi che hanno a che fare più con la psiche umana che la scienza. Ma credo che almeno in questo caso l’interpretazione del messaggio sia altrettanto interessante,
Noi oggi esploriamo la realtà con una miriade di strumenti; misuriamo, cataloghiamo, cerchiamo nessi e proviamo a comporre puzzle assai distanti tra loro come il microcosmo e il macrocosmo. Ma l’atto ultimo, cioè quello di descrivere compiutamente quel che ci circonda, è esclusivamente compito del pensiero umano. E in questo noi siamo esattamente come quei prigionieri descritti da Platone, possiamo afferrare la realtà solamente per come la osserviamo, con gli strumenti che costruiamo per misurarla e niente più.

… pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli … incapaci … di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini. Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate … Se [essi] potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni? E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa?

Sappiamo creare teoremi, elaboriamo nuovi concetti che crediamo possano avvicinarsi il più possibile a descrivere la realtà. Ma questa è incurante di tutti i nostri sforzi e ancora qualcosa ci sfugge.
Il Cosmo è fondamentalmente indifferente alle vicende umane: esso esisteva 13 miliardi e rotti anni prima del genere umano e continuerà ad esistere ancora per eoni dopo che l’ultimo discendente dell’Uomo sarà scomparso.
Eppure lo stesso cerchiamo di dare un significato alle ombre, pensiamo che quella che vediamo e percepiamo sia la realtà. Ma sono convinto, credo che prima di tutto dovremmo imparare che non può esserci una realtà assoluta che potremmo mai comprendere.
Ogni teoria scientifica costruita dall’Uomo per descrivere quello che lo circonda, che sia la Λ CDM, il Principio Olografico, la Teoria delle Stringhe o il Modello Standard, tutte concezioni perfettibili e più o meno integrabili fra loro, descrivono qualcosa che le altre non fanno, tutto dipende da cosa e come si osserva e dall’osservatore.
In fondo è quello che ci insegna il principio ultimo della Relatività: tutto è relativo e non può esserci un osservatore più privilegiato di altri. L’atavico concetto antropocentrico su cui sono basate tante certezze assolute  tipicamente umane messo di fronte a ciò che è si dimostra ancora una volta errato fin dalle sue fondamenta: l’Universo, il Cosmo, il Creato, chiamatelo come volete, aborre due cose: gli assoluti e gli infiniti.
A ben pensarci il messaggio che però ne viene fuori è bellissimo, un bagno di umiltà per tutto il genere umano. Non può esserci un teorema, un principio filosofico o religioso migliore degli altri. La scienza si è evoluta abbastanza nell’interpretare più o meno compiutamente la realtà, il Cosmo che ci circonda, lasciando alle religioni l’arduo fardello di cercare di rispondere al perché esiste l’Uomo e alle regole che esso sa imporsi. Guai a voler forzare queste due dottrine in un calderone unico o a escluderne una di loro d’imperio: esse sono egualmente e mutualmente necessarie per la comprensione del Cosmo.
In altre parole, volendo seguire la traccia indicata da Platone col Mito della Caverna, alla scienza spetta il compito di capire le ombre e alla religione il perché le vediamo.

Mars

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Trailer della mini serie Mars di Ron Howard e Brian Grazer

A me non piace parlare di qualcosa che non conosco. Dopo aver visto questa mini serie – sei puntate di 47 minuti ciascuna – sento fortissimamente invece il bisogno di dire anch’io la mia.
Fantastica. Non possono esserci altre parole che questa per descriverla.
Anche se la storia principale è ambientata nel futuro (2033 – 2037), non trovo che il termine descrittivo fantascienza le si possa attribuire. È più una proiezione romanzata e piuttosto realistica di cosa dovrebbero aspettarsi i primi futuri esploratori umani di Marte.
In mezzo a questo plausibile scenario spezzoni di registrazioni di archivio, interviste e istantanee sullo stato attuale della ricerca per l’esplorazione umana del cosmo, trasformano la mini serie in un film documentario  molto ben fatto.
Mars non fa sconti. Tragedie umane, errori e incidenti vengono dipinti nella loro cruda realtà. Ma anche affetto, spirito di sacrificio e volontà sovrumane vengono evidenziate con altrettanta chiarezza.

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Il prequel di Mars in lingua originale

Ed è proprio su questi punti che vi invito a riflettere.
Marte è solo il principio. Se volessimo individuare un trampolino di lancio per il grande tuffo nell’Oceano Cosmico, solo Marte potrebbe esserlo. Nonostante possa essere strategicamente importante per l’esplorazione umana del cosmo, la Luna è ancora troppo vicina alla madre Terra perché possa esserlo. Un insediamento umano permanente sulla Luna potrebbe essere essenziale per conquistare Marte, ma non potremmo mai considerarci una specie interplanetaria finché non avremmo colonizzato Marte.
E colonizzare Marte significa creare un insediamento umano autosufficiente. I futuri coloni avranno davanti a sé un mondo ostile, senz’aria e sterile. Questi non potranno contare sui rifornimenti da casa, dovranno arrangiarsi con le scorte iniziali e quel poco che il Pianeta Rosso potrà loro offrire in quel momento. Le sfide ingegneristiche saranno enormi, ma niente che non sia già alla portata della tecnologia attuale o di quella che si svilupperà nel giro dei prossimi cinquant’anni.
Ma la sfida più grande sarà tutta umana. Fino alla prima metà del XX secolo le esplorazioni erano tutte ad alto rischio di perdite di vite umane. Cercate le storie di Roald Amudsen che nel 1911 raggiunse il Polo Sud e quelle di Frederick Cook per il Polo Nord. La conquista dei poli richiese il grande sacrificio di uomini, mezzi e capitale. Cercate la tragedia del dirigibile Italia comandato da Umberto Nobile [cite]http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/video/la-spedizione-del-dirigibile-italia/1127/default.aspx[/cite] e capirete cosa intendo. Allora non c’erano satelliti guida, aerei e altri mezzi di soccorso e anche domani i pionieri di Marte saranno soli.
Eppure quello è inevitabilmente il futuro della specie umana se non ci avviteremo in una spirale di odio alimentata dai tanti manicheismi odierni.
Diventare una specie interplanetaria sarebbe il salto evolutivo più importante del genere Homo dalla comparsa dell’Homo Sapiens. Il bello è che questa volta potremmo essere noi a decidere il futuro evolutivo della nostra specie.
Come giustamente viene fatto notare nell’ultima puntata 1, l’incidente dell’Apollo 13 – e l’esoso costo del conflitto in Vietnam – spinse gli Stati Uniti a rivedere le sue priorità nella ricerca spaziale; da una parte Von Braun che sosteneva un ambizioso programma spaziale rivolto verso Marte [1. Next, Mars and Beyond, 25 luglio 1969.
«Even as man prepared to take his first tentative extraterrestrial steps, other celestial adventures beckoned him. The shape and scope of the post-Apollo manned space program remained hazy, and a great deal depends on the safe and successful outcome of Apollo 11. But well before the moon flight was launched, NASA was casting eyes on targets far beyond the moon. The most inviting: the earth’s close, and probably most hospitable, planetary neighbor. Given the same energy and dedication that took them to the moon, says Wernher von Braun, Americans could land on Mars as early as 1982.».] e dall’altra il Presidente Richard Nixon che non era mai stato un grande sostenitore dell’esplorazione spaziale. Alla fine vinse il programma meno costoso e meno ambizioso, quello dello Space Shuttle. Non che lo Shuttle non servisse, anzi, ci ha dato la prima vera stazione spaziale internazionale ISS e tanto altro, ma per quasi cinquant’anni ci siamo fermati ai margini del conosciuto. Più in là abbiamo osato mandare solo piccoli robot e sonde automatiche. La strategia dei piccoli passi di Nixon quasi certamente ci ha resi più maturi e consapevoli di quanto lo fossimo stati nell’era pre-spaziale ai tempi del programma Gemini e di questo credo dovremmo essergli grati.

Ma adesso è giunto il momento di andare oltre, verso Marte.

Logo nuovo, spirito di sempre.

Un cammino che parte da lontano nel tempo: Gennaio 2010.  Questa era la testata originale nata su Blogspot, la piattaforma blog di Google, e che per tanti anni aveva distinto il Blog da tutti gli altri.
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E dopo sei lunghi anni e svariati tentativi rimasti su carta, ecco il nuovo logo.  Arrivato dopo il cambio di tema di maggio e il supporto SSH di settembre, la nuova veste grafica è stata profondamente rivista e curata, dalle animazioni delle finestre fino ai font dei caratteri, dal pieno supporto degli articoli  con più autori all’interfaccia audio che legge gli articoli per gli ipovedenti e tante altre migliorie non solo estetiche, spero che il restyling sia da voi gradito.

 ilpoliedrico

Il mio contributo su Coelum di questo mese: Quando Marte parlava a Guglielmo Marconi.

Anche stavolta sono stato ospite della rivista Coelum Astronomia con il riadattamento di un mio vecchio articolo [cite]https://ilpoliedrico.com/2011/03/quando-marte-parlava-a-guglielmo-marconi.html[/cite] sul celebre Premio Nobel italiano Guglielmo Marconi. 
Sono felice per questo ma sento che gran parte del mio merito va a Voi Lettori che da anni leggete queste pagine. Quindi grazie e buona lettura anche stavolta.
Cieli sereni