2010 TD54 vicino non conta…

Domani 12 ottobre ci passerà accanto un asteroide di appena 7 metri di diametro ad una distanza compresa tra i 50 e i 65 mila chilometri. Il suo nome è 2010 TD54 [1], ed è uno degli innumerevoli corpi celesti minori che ogni tanto ci sfiorano durante la loro orbita, che potete vedere a questo link.

Sicuramente i media tradizionali domani ci ricameranno sopra qualcosa, i soliti catastrofisti dell’era moderna avranno qualcosa su cui discutere, gli astrologi forse daranno la colpa all’oscuro pianetino di aver fatto sballare le loro carte astrali.
Comunque non preoccupatevi, con appena 7 metri di diametro, in caso di impatto con la nostra atmosfera questo verrebbe completamente disintegrato senza diventare pericoloso, sarebbe solo un’altro dei tanti bolidi che vediamo solcare l’aria di tanto in tanto.

 

[1] http://www.minorplanetcenter.org/mpec/K10/K10T65.html

103P/Hartley2, storia di una macchiolina verde

Doppio ammasso di Perseo: notate la macchiolina verde, magnitudine totale stimata di 10.3 [1],  lì sopra a NGC869 (quello sotto è  NGC884)? Le sue coordinate sono in ascensione retta 02 11 26.04 e declinazione +56 45 04.2 (grado più, grado meno).

Ripresa effettuata il 07/10/2010 23:22

Bene, per fotografarla non sono dovuto andare troppo lontano, ero in giardino, protetto dai lampioni al sodio dell’illuminazione stradale dalla mia casa e da alti pini dalle luci della città più vicina a nord. Praticamente vedevo solo una striscia di cielo dominata da Cassiopea.
Non ho una strumentazione astronomica, non l’ho mai avuta, nonostante la mia innata passione del cielo. Per questa fotografia ho usato una comune reflex digitale Canon EOS 1000d, non una macchina al top, ma che mi consente di interfacciarla con un comune pc portatile via USB  per le operazioni di messa a fuoco manuale e per lo scatto, su un comune, banale e poco costoso cavalletto fotografico. L’obiettivo è il Canon EF-S 55-250/4-5.6 IS, usato alla lunghezza focale di 214 mm, focale 5,6 a 1600 ISO.
La foto è stata ottenuta sommando 13 esposizioni di 3,2 secondi ciascuna  per un totale di 41,6 secondi elaborati con il programma freeware Iris.
La necessità di dover ricorrere a pose molto brevi è stata dettata soprattutto dall’uso di una montatura non motorizzata per evitare il più possibile l’effetto delle strisciate dovuto alla rotazione terrestre, u n  po’ di mosso è stato inevitabile, ma comunque lo reputo accettabile per questa ripresa.

Questa è la filosofia hacker applicata all’astrofotografia, ossia tirare fuori il massimo da pochi mezzi. L’obiettivo non è pensato per la fotografia astronomica, ma ha fatto il suo dovere, il cavalletto non motorizzato ha retto la macchina fotografica senza tentennamenti nonostante l’inquadratura fosse quasi allo zenit, e il portatile non si è scaricato sul più bello. In compenso, mi sono buscato un po’ di freddo e di umidità… ma ne è valsa la pena, che dite?

 

 

[1]  ephemeris

Riscaldamento globale o cambiamento climatico?

Osservate questa immagine

Il Sahara e il clima

con i suoi 9400 km2 è il più grande deserto della Terra, ma non è sempre stato un deserto: il clima del Sahara ha subito un’enorme variazione passando da un clima umido a uno estremamente secco più volte negli ultimi 100 mila anni. Durante l’ultima era glaciale, il Sahara era ancora più grande di quanto lo sia oggi. La fine del periodo glaciale portò più pioggia nel Sahara, nel periodo tra l’ 8000 aC e il 6000 aC, probabilmente a causa dell’instaurarsi di aree di bassa pressione dovute allo scioglimento dei ghiacciai europei.
Una volta che i ghiacci scomparvero, il nord del Sahara si asciugò. Nel sud del Sahara, però, la desertificazione fu contrastata dall’avvio di un regime monsonico, che portava pioggia più a nord rispetto a quella attuale. I monsoni sono dovuti al riscaldamento dell’aria sulla terra durante l’estate. L’aria calda sale e tira su aria fresca e bagnata dal mare, causando le pioggie.
La principale causa era dovuta ad una maggiore inclinazione dell’asse terrestre  rispetto a oggi, e in quel periodo il perielio avveniva alla fine di luglio.
Intorno al 3400 aC, l’area monsonica si ritirò a circa dove è oggi, provocando la progressiva desertificazione del Sahara. Questi cambiamenti climatici sono stati responsabili delle grandi migrazioni di flora e di fauna verso est conosciute anche come “Pompa del Sahara“,
Le principali migrazioni che interessarono la specie umana si riferiscono a:
* Homo erectus (ssp. ergaster) nel sud est e nell’est asiatico
* Homo heidelbergensis verso il Medio Oriente ed Europa occidentale
* Homo sapiens sapiens
Anche la diffusione delle lingue afro-asiatiche ( berbero e egiziano in Nord Africa e semitico alla Penisola Arabica e Medio Oriente) avvennero a causa di questi fenomeni migratori innescati dai cambiamenti climatici. In particolare quest’ultimo è conosciuto come evento 5,9 kiloyear ritenuto responsabile di notevoli influenze sulla storia e le società umane che si affacciano nel bacino del Mediterraneo.


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estensione dei ghiacci artici 2007- 2010 1

Il 19 settembre, il ghiaccio marino artico ha raggiunto il suo minimo per il 2010, una superficie di 4,60 milioni di chilometri quadrati.
Il  National Snow and Ice Data Center (NSIDC) ha riferito che nel 2010 il ghiaccio marino artico  ha  raggiunto il terzo valore più basso mai registato (Il minimo storico è del 2007,  con una superficie di 4,13 milioni chilometri quadrati)
Il contorno giallo è la media della  minima estensione del ghiaccio di mare raggiunta nel periodo 1979-2000. Rispetto alla media di lungo periodo, il ghiaccio del Mare del Nord tra l’Alaska e la Siberia orientale è stato particolarmente ridotto nel 2010.
Questa è una delle prove più tangibili che sia in atto un processo di cambiamento climatico nella nostra atmosfera. L’origine di questo fenomeno è tutt’ora motivo di dibattito.
C’è chi accusa le attività umane di essere le principali responsabili del cambiamento come molti ambientalisti e l’ex vicepresidente americano Al Gore, c’è chi parla di ciclicità naturali come molti  altri scienziati climatologi, o c’è chi insieme alle cause più naturali tipo l’attività solare, l’albedo della superficie del pianeta etc. unisce la sconsideratezza di alcune attività umane, come inquinamento atmosferico, deforestazione etc., come ad esempio faccio io.

Questo non è tenere un piede su due staffe, e ve lo spiego.
Le cause naturali responsabili che possono provocare un cambiamento climatico importante sono tante e  le variabili in gioco sono praticamente infinite e tutte interconnesse intimamente tra loro.
Abbiamo iniziato a comprenderle solo da pochi decenni: la circolazione termoalina degli oceani, la composizione atmosferica e i fenomeni vulcanici, la percentuale di luce riflessa dalle nubi, dal suolo, dal mare e dalle calotte polari, la desertificazione naturale e quella prodotta dall’uomo…, tutte singole voci che possono sembrare insignificanti o esagerate a seconda di quello che si vuole osservare, ma che invece dovrebbero essere scientificamente valutate assieme, e non indicate ora questa ora quella come responsabile di tutti i mali del mondo o la panecea per essi.
Ad esempio, le ipotesi che indicavano un calo dell’irradiazione solare durante i periodi di minima attività solare, potrebbe essere ridimensionate stando a questi studi, inficiando i modelli teorici sul clima fin qui studiati.  Questo indica che su un tema così delicato è impossibile fare previsioni certe e che le certezze (per alcuni) invalicabili di oggi, domani potrebbero non esserlo più alla luce di nuove informazioni. D’altronde questo è il bello della Scienza.

La prossima volta che vi sentirete dire che il cambiamento climatico in atto è una bufala degli scienziati catastrofisti o  un complotto malthusiano per sterminare tre quarti della popolazione mondiale,  ricordatevi di questa immagine.

Fonte: http://earthobservatory.nasa.gov/IOTD/view.php?id=46282

Спутник, Compagno di viaggio

Prendete una pallina di alluminio di 58 cm di diametro e che pesa  circa 84 kg, con su quattro antennine  di quasi tre metri che mandano un solo segnale radio su due distinte frequenze  di 20 e di 40 Mhz: “bip… bip… bip…”  per   22 giorni, mettetela in orbita ellittica con un perigeo di 224km e un apogeo di 947 km e avete ottenuto lo Sputnik 1, con 53 anni di ritardo.

 



Il vettore sovietico R7 sulla rampa di lancio

Come era fatto lo Sputnik1

Sono passati ben 53 anni dal lancio del primo satellite artificiale che ha inaugurato l’era moderna, quella che ci vuole protagonisti nel cosmo.
Adesso i satelliti artificiali ci sono familiari, sono una parte dominante della nostra quotidianità: i telefoni, la televisione, i geolocalizzatori che abbiamo in auto o in tasca, Internet… non esisterebbero, o sarebbero molto diversi da come li conosciamo oggi.
Ma allora non era così: dieci anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, erano solo due le nazioni che potevano impegnarsi in un programma costoso e prestigioso che conduceva allo spazio: l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti d’America.
Il primo round lo vinsero i sovietici, ma l’obbiettivo più grande, quello di portare un uomo sulla Luna lo vinsero gli americani appena 12 anni dopo.

 

 

 

 

 

Gliese 581g e il principio deduttivo

Gliese 581g (come me lo immagino)

Non avevo ancora posato la penna dopo aver parlato della Legge di Moore dei pianeti (così era stato ribattezzato lo studio statistico sulla scoperta di un pianeta abitabile entro il 2011) e della regione Riccioli d’oro (in inglese Goldilocks zone) [1], che il team di astronomi guidato da Steven Vogt annunciava al mondo di aver scoperto un pianeta all’interno della fascia Riccioli d’oro della stella Gliese 581 usando lo spettrometro HIRES all’osservatorio Keck (Hawaii).

Stella
Gliese 581
Costellazione Bilancia
Ascenzione retta
( α ) 15 h 19 m 26 s
Declinazione
( δ ) −07° 43′ 20″
Magnitudine apparente
( m V ) 10.55
Distanza 20.3 ± 0.3 anni luce
(6.2 ± 0.1 parsec )
tipo spettrale M3V
Massa ( M) 0.31 masse solari
Raggio (R) 0.29 raggio solare
Temperatura ( T ) 3480 ± 48 Kelvin
Metallicità [Fe/H] -0.33 ± 0.12
Età 7 -11 miliardi di anni

I pianeti scoperti in realtà sono due, portando il totale dei pianeti del sistema stellare Gliese 581 a ben sei pianeti di cui quattro già noti. Uno ha una massa sette volte quella terrestre con un periodo di 433 giorni è il più esterno, con un’orbita il cui semiasse maggiore è di 0,758 unità astronomiche (113 milioni di chilometri dalla stella) chiamato per definizione Gliese 581f, e l’altro, quello che più ha destato scalpore, è stato chiamato Gliese 581g.
Gliese 581g invece ha un’orbita molto più vicina al suo sole, solo 0,146 unità astronomiche (21 -22 milioni di chilometri), che però per Gliese 581 rappresentano più o meno la zona Riccioli d’oro.
Infatti la stella è molto più piccola del nostro Sole e molto più debole: è una nana rossa la cui luminosità nello spettro visibile rappresenta appena lo 0,2% di quella del Sole. Ma Gliese 581 irradia principalmente nel vicino infrarosso, con il picco emissione alla lunghezza d’onda di circa 830 nanometri, per cui applicando le dovute correzioni bolometriche, si scopre che la stella emette l’1,3% del Sole. Per questo infatti la zona Riccioli d’oro è così vicina alla stella – e rende Gliese 581g un posto molto buio per noi terrestri.
Gliese 581g ha un periodo orbitale di 36,6 giorni [2], percorrendo la sua orbita a circa 43 km/sec. Questo comporta che quasi sicuramente (anche se su questo non v’è certezza, ndr) la sua rotazione (il suo giorno) sia sincrono con la sua orbita, avendo così un emisfero perennemente rivolto alla stella e l’altro perennemente al buio. Se così fosse, la sua eventuale atmosfera potrebbe dare origine a violente tempeste lungo il terminatore del pianeta, ma anche qui siamo sul campo di mere speculazioni scientifiche.
Sì, perché a parte l’orbita e la massa (con un certo grado di incertezza) del pianeta e della sua composizione, atmosfera, periodo di rotazione, non sappiamo assolutamente niente.
Si suppone che Gliese 581g abbia una massa che parte da 3,1 a 4,3 volte quella della Terra e un raggio che va da 1,3 a 1,5 volte la Terra, se fosse un pianeta prevalentemente roccioso, 1,7-2,0 volte la Terra, se fosse prevalentemente composto da acqua ghiacciata; ossia abbiamo un grado di incertezza che porta a stimare il raggio del pianeta da 1,3 a 2,0 volte quello della Terra.
Questo porta a ritenere che la gravità superficiale del pianeta oscilli tra 1,1 e 1,7 volte della Terra, in grado perciò di trattenere un’atmosfera, magari più densa di quella terrestre.
Ma queste, ripeto, sono solo ipotesi, ricavate unicamente dai parametri orbitali, quindi supporre che abbia una atmosfera, ospiti o possa mai ospitare forme di vita aliena, semplicemente ancora non lo sappiamo, forse lo scopriremo con la prossima generazione di telescopi o forse no.
Finché non avremo la possibilità di osservarne lo spettro direttamente e magari fotografarlo sarà difficile dare una risposta: comunque io me lo immagino come nel disegno, molto scuro, un bel marrone scuro, perché se davvero ospitasse la Vita, questa avrebbe la necessità di catturare tutta l’energia emessa dalla sua fredda stella.

 

Crediti: The Lick-Carnegie Exoplanet Survey: A 3.1 M_Earth Planet in the Habitable Zone of the Nearby M3V Star Gliese 581
di Steven S. Vogt, R. Paul Butler, Eugenio J. Rivera, Nader Haghighipour, Gregory W. Henry, Michael H. Williamson
fonte: http://arxiv.org/abs/1009.5733


[1] A quando il Primo Contatto?

[2] così io ad esempio avrei circa 438 anni gliesani

Hello… Gliese 581

Credit: National Science Foundation / Deretsky Zina

Mentre mi documento e studio i dati sulla scoperta di Gliese 581f e Gliese 581g (il PDF in inglese lo trovate a questo indirizzo) per ricavarne qualcosa di più sostanzioso di un copia&incolla qualsiasi vi lascio con questa piccola chicca, non è un granché,ma lo sapevate che…
Nell’ottobre 2008 dei membri del social network Bebo inviarono una trasmissione radio ad alta potenza in direzione di Gliese 581 c (uno dei  sei pianeti di Gliese 581), usando il radiotelescopio RT-70 dell’Agenzia spaziale Ucraina. Questo messaggio raggiungerà Gliese 581 nel 2029 Per sapere una risposta dovremo aspettare fino al 2049.

A quando il Primo Contatto?

Una notizia di questi giorni, poi rivelatasi una bufala, prevedeva di affidare l’incarico di gestire un’eventuale futura scoperta di E.T.I. (Extraterrestrial Intelligence) all’ufficio UNOOSA (UN Office for Outer Space Affairs) al cui vertice siede attualmente l’astrofisica malese Mazla Othman. La notizia, pubblicata in origine dal Sundey Times, sarebbe dovuta essere annunciata durante una conferenza scientifica al centro congressi della Royal Society Kavli nel Buckinghamshire previsto per la prossima settimana.

Con tutto il rispetto per la scienziata malese,  è comunque un po’ poco un ufficio che fino a ieri era conosciuto soltanto agli addetti ai lavori per gestire un evento così importante per l’umanità come la fase di Primo Contatto: questa, a mio avviso, già doveva far riflettere sulla serietà della notizia.
Un vero Primo Contatto dovrebbe essere gestito non solo dall’intero corpo scientifico e accademico mondiale (matematici, fisici, biologi, etc.) ma anche da teologi di tutte le religioni e dall’Ufficio di Presidenza delle Nazioni Unite insieme ai  rappresentanti politici di tutte le nazioni del pianeta; dopotutto non è un evento che capiti spesso, anzi sarebbe unico.

Ma al di là della bufala, quali probabilità ci sono che si possa verificare prossimamente un Primo Contatto?

La zona riccioli d’oro

Questa è una  fascia teorica in cui un pianeta riceve abbastanza energia dalla sua stella da permettere l’esistenza dell’acqua liquida  necessaria per la biochimica del carbonio come la conosciamo noi.
Quindi la zona riccioli d’oro  seguirà grossomodo la legge dell’inverso del quadrato della luminosità di una stella, ovvero più questa è luminosa più lontana è la zona da essa.

Ad esempio nel lontano passato, il Sole era meno luminoso di oggi, e solo un massiccio effetto serra delle prime atmosfere impedì al pianeta Terra di congelarsi forse definitivamente.

La sonda Keplero, di cui ho illustrato i risultati parziali finora resi pubblici in questo articolo, ha permesso di farci scoprire finora 490 pianeti certi. Su questi dati (in realtà il campione al tempo considerato era di 370 pianeti) sono state fatte indagini statistiche che suggeriscono la probabilità del 50% che la prima Exo-Terra possa essere scoperta entro il maggio 2011, il 75% entro il 2020, e il 95% entro il 2.264 [1].
Ho cercato di illustrare con diversi articoli sul Poliedrico quanto sia alta la probabilità che esistano altre forme di vita nell’Universo, ma vorrei rimarcare su un punto fondamentale di questa: le forme di vita più comuni saranno quasi sicuramente (il condizionale è d’obbligo quando si fanno speculazioni di questo livello) batteri e organismi con poca o nessuna organizzazione pluricellulare -presupposto abbastanza ragionevole per avere una forma di vita senziente. Questo non significa che la vita senziente come la intendiamo noi sia esclusa dal novero delle probabilità, ma che essa certamente rappresenta una rarità rispetto a tutte le altre forme di vita. Di questo argomento ne tiene conto anche la celeberrima equazione di Drake, in cui qui ho cercato di dare una soluzione fin troppo ottimistica qui.
La scoperta di una Exo-Terra non significa necessariamente che essa ospiti forme di vita: potrebbe essere un inferno come Venere, sterile come Marte, o inospitale come il nostro Adeano. Dopotutto la Terra è stata abbastanza inospitale alle forme di vita che oggi conosciamo per una discreta parte della sua storia, e che come si può notare qui a fianco,  è solo negli ultimi 530 milioni di anni, con l’esplosione cambriana, che la vita sulla Terra ha assunto le caratteristiche che tutti conosciamo.
Quindi ad una Exo-Terra per ospitare forme di vita non basta che sia della dimensione giusta (massa) e nell’orbita giusta (zona riccioli d’oro), ma deve essere osservata anche nel periodo giusto.
L’unico modo che abbiamo per stabilirlo è quello spettroscopico: analizzando l’impronta energetica degli atomi dell’atmosfera del pianeta lasciata sulla luce che esso ci rimanda della sua stella. Più facile a dirsi, in questo caso, che a farsi.
Anche adesso possiamo solo dedurre che un pianeta di dimensioni inferiori a quelle di Giove orbiti intorno ad una stella dalle perturbazioni gravimetriche sul baricentro del sistema stellare o attraverso le deboli variazioni fotometriche della stella, riuscire a separare la luce di un piccolo pianeta dalla sua stella  attualmente è al limite delle capacità dei nostri strumenti. Ad esempio l’Hubble è in grado di discernere particolari dell’ordine del decimo di secondo d’arco (immaginate un cerchio diviso per 36000), ossia distinguere la Terra mentre è alla fase del quarto (alla massima distanza angolare dalla stella) da 32 anni luce , quindi è un po’ difficile riuscire per ora anche solo discernere la luce del solo pianeta con un’orbita all’interno della fascia riccioli d’oro, ossia circa 130-200 milioni di chilometri dalla stella. In previsione di questo genere di osservazioni, la sonda EPOXI nel 2008 puntò i suoi strumenti verso la Terra, per avere appunto un’indicazione  su cosa dovremmo aspettarci osservando un’altro pianeta simile alla Terra in orbita ad un’altra stella.

Comunque quella di un’altra Exo-Terra rimarrebbe più una scoperta scientifica che una situazione di Primo Contatto, e lo stesso dicasi per l’eventualità tutt’altro che remota che possa in un prossimo futuro essere scoperta un’altra forma di vita elementare al di fuori del nostro pianeta. L’unica possibilità rimane dal programma SETI, ma non sarebbe anche in questo caso un Primo Contatto vero e proprio: potremmo sempre decidere di non rispondere, un po’ come facciamo la domenica mattina a letto quando telefonano gli scocciatori.
Queste possibili scoperte potrebbero rivoluzionare il  modo di pensare la nostra esistenza, la nostra filosofia e le nostre religioni. Potrebbe davvero essere il profondo cambiamento culturale di cui avremmo tanto bisogno.


[1] http://blogs.discovermagazine.com/sciencenotfiction/2010/09/23/carbon-dioxide-sucks-it-cooks-our-planet-makes-first-contact-harder/ , http://arxiv.org/abs/1009.2212

Deep Impact/EPOXI verso la 103P/Harley 2

Sequenza di immagini del transito della Luna sul disco della Terra, ripresa da EPOXI il 28 e 29 maggio 2008.

Deep Impact/EPOXI, cortesia NASA/JPL

Ho già scritto due articoli sulla 103/P/Hartley 2, un terzo  sarebbe potuto essere stancante, dopotutto si tratta di una delle tante comete che ci sfiorano ogni anno. Invece no, questa è un po’ più speciale delle altre, perché il 4 novembre sarà oggetto di un incontro ravvicinato con  una sonda inviata dall’uomo.

Vi ricordate della missione Deep Impact che sparò un proiettile di 370 chili contro la 9P/Tempel 1 il 4 luglio del 2005? Bene, a parte i colpi, che son finiti, la sonda era ancora in ottimo stato, quindi perché non approfittarne? Alla NASA e all’Università del Maryland decisero di riusare la sonda per un altro incontro ravvicinato con un’altra cometa, le cambiarono nome, da Deep Impact a EPOXI e via. Fu scelta la cometa Boethin, ma questa non fu possibile rintracciarla per l’appuntamento previsto per il 2008. A questo punto  la scelta cadde sulla nostra cometa Hartley 2 come obbiettivo finale, con un fly-by previsto prima per l’11 ottobre, e poi deciso definitivamente per il 4 novembre del 2010.

Ma la gloriosa sonda Deep Impact/Epoxi non è rimasta a bighellonare nello spazio senza far niente per cinque anni: infatti nel 2008 ha compiuto studi su sette pianeti extrasolari cercando di determinarne l’albedo e di individuarne altre caratteristiche fisiche. Ha anche ripreso la Terra nell’infrarosso e nel visibile per mettere a punto  un plausibile modello di pianeta adatto alla vita visto dallo spazio da potersi usare nelle osservazioni future.
Alla fine dei conti, 330 milioni di dollari spesi bene.

Carburante sintetico dall’anidride carbonica


Nel 1990 uno studente universitario di nome Lin Chao della Princeton University usò una cella elettrolitica con dei catodi di palladio e un catalizzatore chiamato piridinio (un sottoprodotto della raffinazione del petrolio) per costruire molecole di metanolo partendo dalla CO2 facendovi scorrere energia elettrica. I suoi studi furono pubblicati nel 1994, ma nessuno se ne era mai interessato, finora.
Nel 2003 Andrew Bocarlsky riprese interesse per quella scoperta mentre stava cercando un modo per limitare l’effetto serra dovuto all’accumulo di CO2 nell’atmosfera. La studente Emily Barton riprese da dove gli studi di Chao si erano interrotti utilizzando una cella elettrochimica che si avvale di un materiale semiconduttore utilizzato nelle celle solari fotovoltaiche per uno dei suoi elettrodi, riuscendo a usare la luce solare per trasformare la CO2 in carburante di base.
“Fino a pochi anni fa l’unico rimedio all’accumulo di CO2 era quello di seppellirla in profondità nei giacimenti petroliferi esausti, ma adesso con questa nuova tecnologia si aprono strade completamente nuove” -dice Bocarlsky -“prendendo la CO2, acqua, sole e il giusto catalizzatore si può generare un combustibile alcolico”.
Per sfruttare questa nuova e promettente tecnologia è stata creata anche una società per attrarre i capitali necessari: la Liquid Light.
“Prendi l’elettricità e l’idrogeno, li si combinano con le emissioni di CO2 e ottieni la benzina”, spiega Arun Majumdar, direttore della ricerca Advanced Projects Agency-Energy (ARPA-e) che sta studiando queste tecnologie, in una conferenza nel mese di marzo.  “Questo è come prendere quattro piccioni con una fava, cioè sicurezza energetica, i cambiamenti climatici, il deficit federale e, potenzialmente, la disoccupazione.”
“Quando queste nuove tecnologie arrivano alla fase commerciale, questi posti di lavoro finiscono sempre negli Stati Uniti”, sostiene Alan Weimer ingegnere chimico dell’Università del Colorado a Boulder, che sta lavorando su altri generatori di carburante solare.
Per questo genere di combustibili sintetici ricavati ‘usando l’energia solare, si è mossa anche l’US Air Force, tra i principali finanziatori di questi progetti.
Michael Berman della US Air Force Office of Scientific Research dice: “Il paese e l’Air Force, hanno bisogno di  fonti sostenibili e sicure di energia …. Dato che il sole fornisce l’energia sufficiente per le nostre esigenze, il nostro obiettivo è quello di avere un carburante a base di CO2 partendo dalla luce solare e acqua come prodotti di base per produrre un combustibile chimico che può veicolare l’energia solare  in una forma che possiamo usare dove e quando abbiamo bisogno “.

Tratto da Scientific American (articolo originale di David Biello, 23 settembre 2010)

 

Non voglio ripetermi sulle scelte scellerate di un’intera classe politica che riduce i fondi per la ricerca mentre aumentano gli sprechi e i clientelismi che producono altro debito pubblico. L’articolo è già eloquente con le voci dei protagonisti di queste ricerche. Vorrei però sottolineare la diversa mentalità di fare impresa al di qua dell’oceano e al di là. Un’industria automobilistica, ancorché storica ma decotta come la Chrysler non attraeva più i capitali americani necessari per sopravvvivere; c’è voluto l’intervento della Fiat italiana per continuare ad esistere. Però negli USA i capitali, i venture-capital come li chiamano loro, esistono. Per creare la Liquid Light i capitali sono stati trovati, magari molti meno che quelli necessari a finanziare una industria automobilistica pre-fallita, ma se l’idea di ricavare combustibile dalla CO2 funziona potrà dare centinaia di volte questi ultimi. In Italia, e continuo con Marchionne e la Fiat, quei capitali gettati per risollevare la Chrysler americana, avrebbero potuto essere investiti nel paese e per il paese con ricerca e società innovative. Quanto potrà durare il mercato dell’auto mondiale? 10, forse 20 anni ancora, se sarà lungimirante e punterà alla ricerca per continuare a rinnovarsi. Checché ne dicano i vertici Fiat, la Fabbrica Italiana Automobili Torino è sopravvissuta così a lungo solo grazie agli aiuti di Stato, elargiti in tutti i modi possibili e immaginabili da tutti i governi italiani: sgravi fiscali, cassa integrazione, incentivi alla rottamazione. L’Italia ha la fortuna di essere bagnata dal mare per tre dei suoi quattro lati: bene, il traffico marittimo non è mai stato potenziato per privilegiare il trasporto su gomma. La rete ferroviaria non è mai stata riammodernata dalla Seconda Guerra Mondiale, ad esclusione di ritocchi quasi puramente estetici. L’alta velocità ferroviaria in realtà è stata una presa per i fondelli agli italiani: linee nuove (!)  pagate dalla collettività almeno quattro volte che quelle di altri paesi per treni che viaggiano a 180-200 km/h, mentre il TGV francese opera sui 250 km/h su linee di 30 anni. Problemi di orografia? parliamone: Il Giappone, uno dei paesi col più alto rischio sismico del mondo, ha le sue linee ad alta velocità dal 1964 e i treni a levitazione magnetica che operano sui 400 km/h. Il celebre Avvocato Agnelli diceva che se andava bene la Fiat, andava bene anche l’Italia, io non ne sarei tanto sicuro..