La Zona Galattica Abitabile

La quasi quotidiana scoperta di pianeti extrasolari pone il problena di dove guardare per trovarne di simili alla Terra [cite]http://goo.gl/kgCavI[/cite] potenzialmente in grado di sostenere la vita. Per i sistemi planetari si parla di Zona Goldilocks o Circumstellar Habitable Zone  (CHZ) [cite]http://goo.gl/gnyLKr[/cite] ma è da supporre che analoghe considerazioni valgano anche le galassie.

 

lifeFondamentalmente lo sviluppo della Vita complessa richiede che almeno tre punti siano soddisfatti:

 

  1. La presenza di una fonte di energia costante per tempi cosmologici (oltre il miliardo di anni (\( 1\  G_{yr}\)).
  2. Elementi pesanti necessari a formare pianeti di tipo terrestre [cite]http://goo.gl/dYFao2[/cite].
  3. Ambiente sufficientemente al riparo dalle radiazioni più nocive che potrebbe mettere a rischio ogni forma di vita e la sua formazione.

 

In base a questi vincoli si deduce che il confine interno di una Galactic Habitable Zone (GHZ) è delimitato dalle perturbazioni gravitazionali e radiativi del nucleo galattico che sono di ostacolo alle biosfere planetarie stabili, mentre il limite esterno è fissato dall’indice minimo di metallicità  1 necessario alla formazione dei pianeti [cite]http://goo.gl/dYFao2[/cite]. Pertanto è evidente di come la GHZ sia vincolata dalla morfologia, evoluzione chimica ed età delle popolazioni stellari della galassia.

Una fonte di energia costante: le stelle

img_9186Una fonte costante e continua di energia sono le stelle durante la loro permanenza nella Sequenza Principale. Ma non tutte le stelle possono considerarsi adatte a sostenere la vita come la conosciamo. Le stelle più massicce hanno un ciclo vitale molto breve: dai 200 mila anni di una Wolf-Rayet con una massa superiore alle 20 \(M_{\odot}\) fino ai 3 \(G_y\) per le F0 (1,6 \(M_{\odot}\)).
Ma non è solo una questione di ciclo evolutivo: certi studi ampiamente discussi sul sito gemello [cite]http://goo.gl/7waC7J[/cite] indicano una certa correlazione tra la massa stellare e la possibilità di possedere un sistema planetario. In pratica le stelle migliori ad ospitare un sistema sono stelle di massa inferiore a 1,5 -1,6 \(M_{\odot}\). Queste sono stelle di taglia medio-piccola e piccola che possono garantire almeno 4 \(G_y\) e oltre di permanenza nella Sequenza Principale e rappresentano almeno i 70 -75% delle stelle in una galassia alla stesso stadio evolutivo della nostra.

Il ruolo della metallicità delle stelle

La nebulosa “Occhio di Gatto” generata da una stella gigante tipo AGB.

La nebulosa “Occhio di Gatto” generata da una stella gigante tipo AGB.

La vita come la conosciamo è basata sull’esistenza di tanti elementi chimici più complessi dell’idrogeno ed elio, che gli astronomi chiamano per semplicità metalli, che vengono creati all’interno di stelle di grande massa e che vengono rilasciati nello spazio alla morte di queste con immani esplosioni di supernova e ipernova.  Senza questi metalli non possono formarsi i pianeti rocciosi, le atmosfere complesse, l’acqua e così via. Per comprendere meglio il ruolo dei metalli nella delimitazione di una GHZ è necessario partire dall’inizio della storia evolutiva delle galassie.
Tralasciando l’importante ruolo della materia non barionica 2 nella formazione delle galassie, dal collasso delle imponenti nubi di gas primordiale protogalattico composto unicamente da idrogeno e deuterio si formò una prima generazione di stelle: quelle più massicce si stabilirono presso il centro gravitazionale, mentre quelle più piccole (classe K e M [cite]http://goo.gl/ccspTg[/cite]) andarono a creare quello che oggi chiamiamo alone, una regione pressappoco sferica di stelle a bassa metallicità (Popolazione II e III) che circonda le galassie [cite]http://goo.gl/EnxEGT[/cite].
Nel giro di appena un miliardo di anni invece, le stelle più massicce del centro galattico  si sarebbero convertite in supernovae espellendo i loro metalli che avrebbero arricchito il mezzo interstellare esterno al nucleo. Le onde d’urto avrebbero poi innescato una seconda ondata di formazione stellare; stelle un po’ più piccole ma ricche di metalli che avrebbero poi potuto possedere anche dei pianeti rocciosi (Popolazione I). Di fatto, questo meccanismo implica che la GHZ migri nel tempo da posizioni relativamente più vicine al nucleo a porzioni sempre più esterne del disco man mano che la disponibilità di metalli aumenta verso la periferia galattica [cite]http://goo.gl/yMLtCS[/cite] 3.
Comunque, anche se è vero che un certo tenore di metallicità indica la presenza di elementi chimici complessi necessari alla formazione dei pianeti rocciosi, alcuni studi statistici sui pianeti extrasolari scoperti mostrano che esiste una pericolosa correlazione tra la presenza di grandi pianeti massicci in orbita stretta e l’alto tasso di metallicità riscontrato nella loro stella ospite [cite]http://goo.gl/Zg9L6A[/cite] [cite]http://goo.gl/Xmwa8O[/cite].  Questo curioso aspetto potrebbe escludere la presenza di pianeti più simili alla Terra che si trovano all’interno della loro CHZ e di fatto escludere dalla GHZ anche i pianeti in orbita a stelle con una metallicità elevata.
Pertanto già basandosi solo sull’indice di metallicità stellare si può abbozzare una prima stima dimensionale di una GHZ; un valore eccessivo potrebbe impedire la formazione di pianeti di taglia terrestre nella zona Goldilocks della stella ospite quanto una scarsa metallicità potrebbe impedirne proprio l’esistenza!

L’inabitabilità del nucleo galattico

Lo sconvolgente panorama del cielo visto su un pianeta immerso nel nucleo galattico.

Lo sconvolgente panorama del cielo visto su un pianeta immerso nel nucleo galattico.

Deve esserci una vista magnifica verso il Centro Galattico. Mille e mille stelle di ogni colore e taglia renderebbero un qualsiasi pianeta perennemente immerso in un perenne crepuscolo senza fine, intervallato da una fonte di luce più accecante proveniente dalla sua stella. Peccato che un pianeta simile possa essere tanto ostile alla vita umana e, probabilmente, ad ogni altra.
Sulla Terra il campo geomagnetico contro i raggi cosmici prima, e l’efficace scudo di ozono contro i raggi ultravioletti poi, hanno permesso alle primitive forme di vita acquatiche di  ergersi sulla terraferma.

\(O_3 +X \rightarrow XO + \ O_2 \ (dove \ X \ sta \ per \ O, \ NO, \ OH, \ Br \ e \ Cl) \)

L’ozono è una molecola triatomica dell’ossigeno altamente instabile perché cede facilmente il suo terzo atomo ad altri atomi come azoto, idrogeno, bromo e cloro. Alcuni di questi elementi sono già presenti nella stratosfera (azoto,ossigeno e idrogeno) o rilasciati dai vulcani, dal vapore acqueo e dagli oceani. La fotodissociazione indotta dalle radiazioni nell’alta atmosferica  scinde le molecole dei gas in singoli atomi molte volte più reattivi

  • N 2 -> 2N
  • O 2 -> 2O
  • CO 2 -> C + 2O
  • H 2 O -> 2H + O
  • 2NH 3 -> 3H 2 + N 2

finendo per  produrre:

  • NO 2 (consuma fino a 400 molecole di ozono)
  • CH 2
  • CH 4
  • CO 2

Ma un pianeta immerso nel nucleo galattico subirebbe un bombardamento di raggi cosmici che neanche l’azione combinata dell’eliosfera della sua stella e del campo magnetico planetario potrebbero fermare. Un tasso di radiazione appena 100 volte superiore a quello che mediamente investe la Terra [1.  Il flusso di raggi cosmici che normalmente investe la Terra è di \(9 \times 10^4 \ ergs \cdot cm^{-2} \cdot yr^{-1}\).] è sufficiente affinché la produzione naturale di monossido di azoto nella troposfera impedisca la formazione di uno strato di ozono stabile.
Il monossido di azoto quindi reagisce con altri atomi di ossigeno liberi trasformandosi nel micidiale diossido di azoto, un micidiale gas rossastro che tende a depositarsi al suolo. Qui il diossido di azoto è libero di convertirsi in acido nitrico e altri nitrati rendendo inospitali alla vita sia la superficie solida del pianeta che gli eventuali oceani [cite]http://goo.gl/3uHfS8[/cite].
Un flusso altrettanto simile di radiazioni può essere provocato dalle esplosioni di supernova di tipo II [cite]http://goo.gl/Fuu07j[/cite] entro un raggio di 10 pc dal pianeta [cite]http://goo.gl/1yGBu8[/cite], che presso i nuclei galattici sono statisticamente superiori che nel resto della galassia. Per questo nello stabilire una GHZ coerente occorre tener conto del rischio che eventuali esplosioni di supernova e RGB possano sterilizzare un pianeta che giace entro un raggio ben più grande del nucleo galattico.

Finora non sappiamo se la vita ha origine da materiali e reazioni chimiche che avvengono sul pianeta o sono frutto di una sequenza molto più antica che inizia già nello spazio interstellare (molte recenti scoperte spingono verso questa seconda ipotesi [cite]http://goo.gl/paIV6U[/cite]). Ma le stesse radiazioni ionizzanti che possono sterilizzare un pianeta possono benissimo distruggere i composti organici nelle comete e non solo.
Studiando le orbite dei resti della formazione stellare 4 (che per il Sole chiamiamo Nube di Oort) appare subito evidente che tanto più un sistema planetario si avvicina al nucleo galattico tanto più il pozzo gravitazionale di questo influenza e distorce le orbite dei resti cometari fino a disperderli o a farli precipitare verso il sistema planetario interno [cite]http://goo.gl/a4OajM[/cite]. Anche in questo caso i pianeti interni sarebbero continuamente sterilizzati dall’incessante bombardamento cometario a cui sono costretti.

Conclusioni

Naturalmente il concetto di GHZ fin qui espresso non è da considerarsi assoluto; possono esserci altre condizioni astrofisiche che qui non sono state prese in considerazione in grado di espandere o contrarre la zona galattica abitabile. Magari altre forme di vita potrebbero essere abbastanza tenaci da svilupparsi e prosperare anche in ambienti a noi ostili o comunque dove non ce lo aspetteremmo. Poi anche qui, nella periferia galattica esistono piccole stelle con un basso tenore di metalli e magari senza pianeti interessanti accanto a supergiganti capaci un giorno di sterilizzare altri mondi nel raggio di diversi parsec. Detta così quindi la GHZ può essere molto più frastagliata e meno definita della più nota Circumstellar Habitable Zone ma non per questo è meno intessante studiarla.

 

La Zona Circumstellare Abitabile delle altre stelle

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Umby

Abbiamo visto nello scorso articolo 1 come si quantifica in linea di massima la Zona Circumstellare Abitabile del Sole, un passaggio importante, se non obbligato, per comprenderne il significato.  Ma come si stima una Zona Goldilocks attorno ad un’altra stella?
In realtà è molto più semplice di quanto si pensi, bastano le quattro operazioni elementari, sapere cosa siano la radice quadrata di un numero e un logaritmo, e un po’ di pazienza.

Innanzitutto occorre stimare quanta energia emette una stella, cosa non poi così difficile come può sembrare.
Si parte calcolando la magnitudine assoluta 2 della stella in esame.
L’equazione nuda e cruda che lega la luminosità apparente e la luminosità assoluta è questa:
\[

M_v = m_v – 5 * \log{\left(\frac{D}{10}\right)}

\]

dove $M_v$ e $m_v$ sono le magnitudini visuali, cioè come sono percepite le luminosità dall’occhio umano 3, mentre D è la distanza espressa in parsec (3,26 anni luce).
Detta così dice poco, ma per fare un esempio prendiamo il nostro Sole, la cui magnitudine apparente è di -26,75 e distante 0,000004848137 parsec:
\[
Mv = -26,75 – 5 * \log{\left(0,000004848137/10\right)}
\]
\[
Mv = -26,75 – 5 * \log{\left(0,00004848137\right)}
\]
\[
Mv = -26,75 – 5 * -6,31442
\]
\[
Mv = -26,75 –31,57212
\]
\[
Mv = 4,82212
\]

mica è difficile!

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Ma purtroppo la magnitudine assoluta calcolata si riferisce solo alla luce visibile così come noi la percepiamo, mentre le stelle emettono energia in uno spettro infinitamente più ampio che dipende dalla loro temperatura superficiale 4.
Allora perché si riesca a tenere conto di tutta l’energia emessa da una stella occorre correggere il dato visuale di conseguenza. Il primo passo consiste nell’applicare la Correzione Bolometrica ($BC$) da cui poi si giunge alla luminosità assoluta:
\[
M_{bol} = M_v + BC
\]

Dove $M_{bol}$ è la magnitudine bolometrica assoluta, $M_v$ come sopra e $BC$ la costante di correzione bolometrica (in linea di massima possiamo usare i valori della tabella qui accanto).
Sempre riferendosi alla nostra stella il valore di $BC$ è -0,08, per cui sviluppando l’equazione precedente abbiamo:
\[
M_{bol} = 4,82 + -0,08 = 4,74
\]

che è appunto la magnitudine bolometrica assoluta del Sole.
Ora trasformiamo la magnitudine bolometrica assoluta ricavata sopra  in unità solari per maggiore praticità e comprensione. In questo modo la Fascia Goldilocks ci verrà restituita in unità astronomiche.
\[
\frac{L_{Stella}}{L_{Sole}} = 100^{\left[\frac{M_{bolStella} – M_{bolSole}}{-5}\right]}
\]

Per il Sole questo rapporto è ovviamente 1 , ma vedremo presto come si applica alle altre stelle.
Un ottimo metodo di calcolo della CHZ fu messo a punto da Daniel Whitmire, James Kasting e Ray Reynolds nel 1992 e poi rivisto negli anni successivi. Questo studio tiene conto di diversi parametri come la chimica atmosferica, l’albedo etc., si riassume in due costanti che, usate ai denominatori di queste equazioni, restituiscono una stima abbastanza affidabile delle dimensioni della Zona Goldilocks per le varie stelle espresse in UA:

\[

r_{i} =\sqrt {\frac{L_{stella}}{1,1}}  \Longleftrightarrow r_{o} =\sqrt {\frac{L_{stella}}{0,53}}

\]

Il raggio limite interno che rappresenta il confine più caldo è dato dalla prima equazione nel valore di $r_i$, mentre il limite più esterno e più freddo è dato dalla seconda in $r_o$.
Se provassimo ad applicarlo per il Sistema Solare, allora avremmo $r_i=\sqrt{1/1,1}=0,95$ e $r_o=\sqrt{1/0,53}=1,37$, un po’ diversi da quelli del precedente articolo che non teneva assolutamente conto dell’albedo e dell’atmosfera, ma non poi così tanto.

Adesso proviamo un esempio pratico. è notizia di questi giorni che sia stato trovato un sistema planetario attorno alla stella $\tau$ Ceti 5, una delle stelle a noi più più vicine, solo 11,89 anni luce e di $m_v$ 3,50 6.

\[
M_v=3,5 -5 * log{\left(\frac{\left(11,89/3,26\right)}{10}\right)} = 3,5 – -2,19 = 5,69
\]
\[
M_{bol}=5,69+(BC=-0,21) = 5,48
\]
\[
\frac{L_{\tau Ceti}}{L_{Sole}} = 100^{\left[\frac{5,48 – 4,79}{-5}\right]}\approx {0,529}
\]
\[
r_{i_\tau Ceti} =\sqrt {\frac{0,529}{1,1}}=0,694   \Longleftrightarrow r_{o_\tau Ceti} =\sqrt {\frac{0,529}{0,53}} =0,999
\]

Anche se questi numeri sono solo indicativi, è interessante vedere come non sia poi così difficile cercare di quantificare una fascia abitabile intorno a una stella. La CHZ per $\tau$ Ceti si estende quindi tra le 0,7 e 1 unità astronomica. Chissà, probabilmente aveva ragione Isaac Asimov, il cielo di Aurora è un più aranciato del nostro.

Riferimenti:
Whitmire, Daniel; Reynolds, Ray, (1996). Circumstellar habitable zones: astronomical considerations. In: Doyle, Laurence (ed.). Circumstellar Habitable Zones, 117-142. Travis House Publications, Menlo Park.


La Zona Circumstellare Abitabile del Sole

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Credit: Il Poliedrico

Si fa presto a parlare di Zona di Abitabilità, Goldilocks o Riccioli d’Oro intorno ad una stella.
Anche se sarebbe più corretto parlare di Zona Circumstellare Abitabile (CHZ), con queste parole si indica una fascia, sarebbe meglio parlare di guscio, una zona più o meno estesa che si estende intorno alla stella, né troppo vicina e né troppo lontana da garantire un flusso di energia costante da mantenere per eoni l’acqua allo stato liquido.

Ho detto eoni appunto perché il flusso energetico deve essere abbastanza costante nel tempo per dare modo alla Vita di crescere e svilupparsi sul pianeta che ha la fortuna di orbitare in quella zona.
Ma come si fa a calcolare quanto è capiente e quanto è distante una Goldilocks dal suo sole?

L’energia emessa da un corpo nero 1 dipende esclusivamente dalla quarta potenza della temperatura moltiplicata per la costante di Stefan-Boltzmann che vale  $5,67 \cdot{10^{-8}} W/m^2 K^4$ e indicata con la lettera greca $\sigma$ (sigma).
Quindi proviamo a calcolare l’area del Sole:

\[

4 \cdot  \pi \cdot {6,96 \cdot 10^{8}}^2= {6,087 \cdot {10^{18}} \ \ m^2

\]

Adesso è possibile calcolare per la temperatura superficiale del Sole, 5778 Kelvin, l’energia emessa in watt per ogni secondo dal Sole:

\[

{6,087 \cdot{10^{18}} \cdot 5,67 \cdot{10^{-8}} \cdot 5778^ 4 = {3,85 \cdot{10^{26}

\]

Una cifra veramente astronomica, magari insignificante rispetto a molte altre stelle 2 come Sirio, Canopo o Vega, da cui dipende però la nostra vita e che è necessario conoscere per i passaggi successivi.
Si è detto che dunque la Zona Goldilocks è quel guscio attorno alla stella in cui l’acqua si presenta allo stato liquido, per cui considerando una pressione ambientale di 100 kPa (una atmosfera) come sulla Terra, l’acqua è liquida in un intervallo di temperature compreso tra 0 e 100° C, ovvero tra 273,15° K e 283,15° K.

Una vista mozzafiato della Terra vista dallo spazio.

Calcolando quindi a quale distanza dalla sorgente di radiazione di corpo nero si ha l’equilibrio per queste due temperature – tralascio i passaggi di mero calcolo per evitarvi il mal di testa,  si ottiene una Zona Goldilock compresa tra 0,55 e 1,04 UA. La Terra senza un po’ di effetto serra atmosferico sarebbe molto più fredda.
Ma questo intervallo di temperature non è poi così corretto.
Il vapore acqueo ha un potenziale serra molto alto. La Terra si trova in un’orbita di equilibrio termico appena al di sopra del punto di congelamento dell’acqua (278° K). Questo significa che l’emissione radiativa 3 del pianeta cade nell’infrarosso, proprio dove alcuni gas, vapore acqueo, metano e anidride carbonica assorbono e riemettono di più, trattenendo di conseguenza questa radiazione. Questo fa crescere la temperatura reale fino a 20° C di media. Ma se questa arrivasse a soli 40° C, l’evaporazione dell’acqua innescherebbe un effetto valanga capace di portare la temperatura fino a livelli incredibilmente alti; più o meno quello che è successo al pianeta Venere.
Inoltre alcune zone della Terra presentano condizioni di temperatura ben al di sotto del punto di congelamento dell’acqua, pertanto una temperatura di -10° C (263° K) può essere considerata tollerabile per la vita, anche in virtù delle probabili sorgenti di calore endogeno localizzate originate dal decadimento radioattivo delle rocce di cui un pianeta è composto.
Con questi nuovi valori, la Zona Goldilocks del nostro Sistema Solare può estendersi ragionevolmente tra le 0,8 e 1,2 AU dal Sole, è proprio una fortuna esserci capitati proprio in mezzo.

Comunque sono molti i fattori che incidono sulla temperatura effettiva di un pianeta: la composizione chimica dell’atmosfera, l’albedo alle lunghezze d’onda dove la stella ha il picco di emissione, il calore endogeno, solo per citarne alcuni più importanti. Questo potrebbe ampliare – o magari ridurre – anche di molto l’estensione della Zona Goldilocks, tant’è che magari un pianeta grande il doppio del nostro potrebbe essere abitabile anche nell’orbita di Marte.