Global Warming for dummies (seconda parte)

Nella prima parte di Global Warming for dummies mi sono speso a spiegare come si possa senza ombra di dubbio attribuire all’uso dei combustibili fossili — e quindi in definitiva alle attività umane — la responsabilità dell’innalzamento dei livelli di anidride carbonica nell’atmosfera fino a valori mai raggiunti nell’ultimo milione di anni.
Guardate Chernobyl dopo quasi 40 anni: lì dove l’uomo non può più arrivare sono tornate le foreste, gli orsi europei e i lupi. La natura non ha bisogno dell’uomo: siamo noi che abbiamo bisogno di lei per esistere; portiamole il rispetto che le è dovuto.

La Terra riceve energia dal Sole. Un corpo nero ideale alla stessa distanza dalla Stella riemetterebbe quell’energia con una temperatura di 255 K. In realtà la temperatura media della Terra è un po’ più alta (288 K). Questo è dovuto all’effetto serra generato dalla sua atmosfera. Credit: Il Poliedrico

Spiegare in parole semplici cosa fosse l’effetto serra non è così facile come sembra: noi lo chiamiamo effetto serra perché l’accumulo in eccesso di calore (energia termica) provocato da alcuni tipi di gas è sostanzialmente uguale a quello che si sperimenta all’interno di una serra chiusa. Ma se la serra ricava il suo calore bloccando la convezione dell’aria al suo interno, ossia che la stessa aria viene esposta continuamente al tepore di una sorgente (il Sole o una stufa), ragion per cui il calore tende ad accumularsi, l’effetto serra atmosferico ha origini fisiche molto diverse. La comprensione di questi meccanismi deve essere alla base di qualsiasi discussione sul cambiamento climatico in atto.

Tutto ha inizio dall’energia irradiata dal Sole e la distanza che c’è tra la Terra e la Stella. Chi legge questo Blog sa che ho già illustrato questo argomento quando spiegavo cos’è una zona Goldilocks[1] insieme a Sabrina Masiero del Gal Hassin e anche in altri articoli precedenti sul medesimo argomento. Per gli altri faccio un breve riassunto: qualsiasi corpo — idealmente di corpo nero, ossia che assorbe (e poi riemette) tutta l’energia che riceve — si trova in uno stato di equilibrio termico con una sorgente di energia che è dettato unicamente dalla quantità di energia emessa da questa diviso per l’area della sfera basata sulla distanza tra il corpo e la prima1. In altre parole, se la Terra fosse distante la metà dal Sole riceverebbe quattro volte più energia mentre se fosse il doppio più lontano ne riceverebbe appena un quarto di adesso. Attualmente la Terra si trova a una distanza tale dal Sole che il suo equilibrio termico — tenendo conto di un albedo planetario di 0.30 —  è di circa 255 gradi Kelvin2, ossia circa 18° sotto lo 0 Celsius! Questo significa che tutta l’energia che riceve la Terra dal Sole, se questa fosse idealmente un corpo nero, verrebbe riemessa nel lungo infrarosso, con un picco di emissione attorno agli 11μm (vedi immagine qui a lato),  Però la temperatura mediata del Pianeta, cioè depurata dalle variazioni regionali e zonali, è di circa 288 K, ossia di circa 15° centigradi. La differenza tra 255 e 288 è il calore che che trattiene la nostra atmosfera proprio come una serra, ma l’analogia appunto finisce qui!

La composizione della nostra atmosfera ci è nota e ce la insegnano fin dalle elementari (io almeno ricordo di conoscerla fin da allora):

Composizione dell'atmosfera errestre

NOMEFormulaPercentuale %
AzotoN₂78.084
OssigenoO₂20..946
ArgonAr0,934
Anidride carbonicaCO₂0.0427
NeonNe0.0018
ElioHe0.000524
MetanoCH₄0.00016
KriptonKr0.000114
IdrogenoH₂0.00005
XenoXe0.0000087
Vapore acqueoH₂O0.33 (varia da 0% a 6%)
OzonoO₃0.000004 (stratosfera)

La risonanza asimmetrica di dipolo delle molecole è alla base dell’effetto serra causato da queste. Il concetto vista di è da intendersi esemplificativo. Credit: Il Poliedrico

I due gas principali (azoto e ossigeno in forma molecolare, ricordiamolo) compongono da soli circa il 99% della nostra atmosfera e questo fa un po’ la differenza tra un pianeta con temperature accettabili come la Terra e e un pianeta come Venere col 95% di CO2.
Il segreto sta nella natura delle molecole diatomiche di azoto e ossigeno che possono eseguire solo vibrazioni simmetriche che non alterano il loro momento di dipolo e che quindi sono piuttosto trasparenti alla radiazione incidente. I gas più complessi, come ad esempio l’anidride carbonica, un gas triatomico, può produrre sia vibrazioni simmetriche che quelle che alterano il momento di dipolo della molecola, col risultato che queste oscillazioni la fanno entrare in risonanza ad una particolare lunghezza d’onda. Questo significa che a tali lunghezze d’onda la radiazione in ingresso viene assorbita e poi riemessa dalle molecole che entrano così in risonanza, il medesimo meccanismo che è alla base del concetto del laser. In pratica l’energia radiativa che viene catturata da quelle molecole viene poi diffusa in tutte le direzioni e intercettata da altre molecole uguali, e così via;  è così che a quella caratteristica lunghezza d’onda l’atmosfera risulta opaca.
Questo meccanismo che brevemente ho cercato di illustrare non vale soltanto per l’anidride carbonica, ma anche per tutte le altre molecole che possono avere vibrazioni sbilanciate nel loro momento di dipolo come l’acqua (vapore acqueo, H2O), il metano (CH4), il protossido di azoto (N2O) e così via. In pratica tutti i gas biatomici composti da atomi differenti, come il monossido di carbonio (CO) e tutti i gas composti da 3 o più atomi, per esempio l”ozono (O3), assorbono e riemettono radiazione infrarossa.

Gas SerraMolecola Contributo all'effetto serra (%)Forcing Radiativo (W/m²)Concentrazione troposfericaGWP (100 anni)Emivita atmosfericaNoteBande principali di assorbimento IRLunghezza d'onda (μm)Frequenza (cm⁻¹)Note vibrazionali
Anidride carbonicaCO₂9–26%~1.82~425 ppm130–100 anniBase di riferimento, accumulo costante4.3 μm, 15 μm4.3 μm, 15 μm~2349, ~667Asimmetrica e bending
MetanoCH₄4–9%~0.54~1.9 ppm25–30~12 anniPotente, ma meno persistente della CO₂3.3 μm, 7.7 μm~3.3, ~7.7~3010, ~1300Stretching e bending
Vapore acqueoH₂O36–70%Variabile, non quantificabile direttamenteVariabile (0.01–4%)Ore/giorni (dipende da pioggia)Non direttamente emesso, dipende dalla temperatura2.7 μm, 6.3 μm, >12 μm~2.7, ~6.3, >12~3700, ~1600, <800Molte bande, molto attivo
Protossido di azotoN₂O~2%~0.17~0.3 ppm~300~120 anniEmesso da fertilizzanti e combustione4.5 μm, 7.8 μm~4.5, ~7.8~2220, ~1280Stretching e bending
OzonoO₃ 3-7%~0.40~10–100 ppb (variabile stagionale)20-25Ore/giorni ma con impatto cumulativoInquinante secondario: si forma da NOx + VOC + luce solare9.6 μm~9.6~1040Vibrazione asimmetrica
Gas fluorurati
CFCs / SF₆ / PFC<1%
~0.34 (media stimata)
Tracce (ppb)1,000–23,500Centinaia a migliaia di anniEstremamente persistenti e artificiali8–12 μm, 10.5 μm~8–12~830–1250Bande forti e persistenti

Come si può vedere dalla tabella qui sopra in realtà il contributo netto dell’anidride carbonica al riscaldamento globale non pare essere così rilevante quanto quello prodotto dal vapore acqueo. Ma c’è una cosa molto importante che occorre tenere bene a mente: l’acqua di superficie del pianeta, ossia mari, fiumi, ghiacciai e oceani, ricoprono più del 70% del globo. Questo significa che ogni più piccolo aumento della capacità di trattenere calore nell’atmosfera si traduce immediatamente in un aumento della quantità di vapore acqueo contenuto in essa e quindi anche dell’energia termica trattenuta. E anche se l’aumento della copertura nuvolosa provoca un aumento dell’albedo, ovvero la riflessione della radiazione solare in ingresso fino al 90%, altrettanto questa impedisce alla radiazione del pianeta di uscire, un po’ come una coperta trattiene il caldo.
Questo è un circolo vizioso: se non viene trovato il modo di fermarlo non può che peggiorare. E l’unico modo è quello di impedire che altra CO2 si accumuli nell’atmosfera e che porti alla formazione di altro vapore acqueo e anzi, sarebbe pure opportuno cercare di ridurla. E per farlo non c’è che un modo veloce, rapido e naturale: piantumare nuove foreste e rigenerare quelle già esistenti, ridurre se non proprio eliminare l’uso dei combustibili fossili e i loro derivati; insomma occorre ridurre l’impronta antropica nell’ambiente: proprio il contrario di quello che incoscientemente abbiamo fatto nell’ultimo secolo perché i primi allarmanti segnali di quello che stavamo facendo al nostro pianeta sono conosciuti da almeno altrettanto3.
Finora gli oceani sono riusciti a stabilizzare abbastanza bene il clima ma questa loro capacità è quasi arrivata al suo limite. Inoltre la loro capacità di assorbire l’anidride carbonica diminuisce con l’aumentare della loro temperatura mentre l’aumento dell’acidificazione di questi è letale per gli ecosistemi più fragili come le barriere coralline che sono alla base della catena alimentare dei mari.

C’è più energia nell’aria

Ed eccoci al rebus che crea tanto sconcerto ai profani: come può essere in atto il Riscaldamento Climatico se qui, oggi, fa freddo?
Tralasciamo per un attimo la confusione che c’è tra clima e condizione meteorologica come  ho spiegato la volta scorsa. Spesso le persone credono che siano sinonimi ma non è affatto così: il clima si riferisce a un arco di tempo lungo, non necessariamente globale ma che comunque interessa una regione più o meno vasta o con caratteristiche simili: il clima mediterraneo, oppure tropicale o quello desertico; il tempo meteorologico invece interessa una porzione limitata nel tempo e nello spazio, ad esempio qui domenica quasi certamente pioverà mentre a Marsiglia oggi fa caldo. Allo stesso modo, se dico che nell’era pleistocenica i dati indicano che era più caldo di ora, mi riferisco all’andamento globale del clima di quel periodo e non che magari un giorno del Pleistocene accadde che nevicò sui Balcani.
Chiarito — una volta per tutte spero — questo concetto, passo ad illustrare perché proprio la settimana scorsa qui era freddo: nell’atmosfera c’è più energia; molta più energia di quanto serva a far sì che le escursioni termiche siano piccole come le vorremmo.  Immaginate di segnarvi anno dopo anno le temperature della vostra località sul calendario e poi di riportare quei valori su di un grafico; oggi le serie storiche di quasi tutto il mondo sono liberamente disponibili a chiunque: qui accanto potete vedere quella di New York. Come potete vedere quella che appare è una sinusoide: un picco minimo nella stagione più fredda e un massimo in quella più calda.
Se l’energia atmosferica fosse contenuta, anche le oscillazioni tra il minimo e il massimo lo sarebbero. Ma con l’aumentare dell’energia intrappolata nell’atmosfera anche le escursioni termiche aumentano di conseguenza e si fanno sempre più estreme e imprevedibili, come ho cercato di illustrare nella figura qui sopra. Ecco spiegato perché qui oggi fa quasi fresco mentre in questi giorni la Cina sperimenta un’insolita ondata di calore.

Conclusione

I rapporti isotopici che inchiodano le responsabilità umane nell’aggravare il naturale effetto serra della nostra atmosfera sono lì, nell’aria che respiriamo ogni istante; essi sono disponibili a chiunque abbia interesse a volerli studiare. Certo, occorre avere accesso alle strumentazioni appropriate per leggerli oppure ci si può rivolgere a un ente terzo come il NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) verso cui confluiscono tutte le serie storiche mondiali a cui generalmente i climatologi di tutto il mondo fanno riferimento, o a enti analoghi — in Italia ci sono le ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale)  — oppure a qualche università. Anche per farsi spiegare meglio di quanto abbia fatto io qual’è la differenza tra clima e tempo e cosa sia il Global Warming ci sono fior di accademici e professori — so che qualche fantademente usa questo termine in modo dispregiativo ma non me ne curo — pronti a farlo gratis.
Con queste due puntate ho tentato, e spero di esservi riuscito, a fare un po’ di luce su questo bruciante argomento; mi auguro che da adesso non vi facciate più trarre in inganno da incoscienti vestiti per bene che danno fiato alle trombe esclusivamente per i loro interessi.

Global Warming for dummies (prima parte)

Ho ascoltato con somma pazienza qualcuno affermare che a Bergamo con un paio di gradi in più si starebbe meglio.
Ma quando leggo di professori universitari o politici di una certa rilevanza — almeno mediatica — sparare castronerie come quelle che sento in questi piovosi giorni che “siccome oggi fa freddo allora il Global Warming è tutta una truffa mediatica“, vengo assalito dal tremendo dubbio se realmente stiano marciando così per propria convenienza (più probabile) o perché ne siano convinti (assai meno probabile).
Per questo ho deciso di tornare sull’argomento.

 

Articolo di giornale

Prima pagina di un (pessimo) giornale a tiratura nazionale.Il nome della testata è stato volutamente cancellato.

Nei giorni scorsi qualcuno mi fece notare la prima pagina di un quotidiano a tiratura nazionale, che qui ripropongo, per dimostrare quanto sia ancora controverso il dibattito sul Global Warming
Sì, qui ora mentre scrivo fa ancora freddo per essere metà maggio. Ma mentre qui e su più o meno tutta l’Europa centrale fa un po’ più freddo della media stagionale, in Spagna, nel sud della Francia e in Turchia la situazione è opposta. 
Coloro che denunciano l’inesistenza del Riscaldamento Globale trincerandosi dietro a una situazione meteorologica particolare hanno torto marcio. Non posso affermare se questa loro convinzione derivi dalla mancata comprensione del tema, dalla confusione che spesso viene fatta tra tempo meteorologico (locale sia nello spazio che nel tempo) e clima (andamento regionale o globale esteso nel tempo e depurato da fattori stagionali), oppure che si tratti di una scelta cosciente e ponderata.
Purtroppo propendo per questa seconda ipotesi, portata avanti da una corrente politica conservatrice e reazionaria transnazionale che si fa beffe del rischio globale che la civiltà umana in questo momento corre.
No, non penso che l’umanità corra il rischio di soccombere entro i prossimi decenni o secoli, ma tutta la nostra civiltà, il villaggio globale che faticosamente abbiamo costruito negli ultimi due secoli, potrebbe soccombere molto presto a causa della nostra scelleratezza se non abbiamo la volontà e la forza di correggere i nostri errori. 

Quindi non mi sento tranquillo quando sento gioire un uomo politico per lo scioglimento dell’Artide perché così si aprono nuove rotte commerciali[2] (dopo che il suo governo ha sempre negato che esista il Global Warming) e neppure quando vedo certi titoloni sbattuti in prima pagina come questo sopra che gioca pure sulle parole dando di fatto degli idioti a chi, in tutti questi anni, ha denunciato le pesanti responsabilità umane nell’attuale cambiamento climatico.

Dopo questa pesante filippica dove respingo ai mittenti la definizione di sciocco indirizzata verso chi si batte per sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere politiche di contenimento di un processo ormai quasi irreversibile quale è il Global Warming antropogenico, torno a spiegare cos’è e perché capita che, nonostante la tendenza al rialzo delle temperature medie del pianeta nel lungo periodo, possa in alcuni momenti fare ancora più freddo del solito.
Impiegherò un paio di puntate perché l’argomento non è difficile da comprendere ma lungo da spiegare ma spero lo stesso di riuscire nell’intento. Dopodiché sta a voi lettori cercare di spiegare agli scettici che incontrerete come stanno le cose.

Le prove che inchiodano le pesanti responsabilità umane: gli isotopi del carbonio.

Ciclo del carbonio atmosferico

Il ciclo del carbonio atmosferico in sintesi. La riga di centro indica i principali serbatoi naturali di carbonio. In verde sono descritti i principali processi che sottraggono il carbonio nella forma di CO2 dall’atmosfera. In rosso tutti gli altri, che cioè rilasciano carbonio. Credit: Il Poliedrico

Nessuno scienziato nega che il clima nei secoli scorsi sia stato anche molto diverso da quello attuale, ma i meccanismi di scambio gassoso con la litosfera hanno mantenuto per milioni di anni il tasso di concentrazione dell’anidride carbonica dell’atmosfera entro i 150-300 parti per milione. I complessi meccanismi alla base del ciclo naturale del carbonio (in realtà sono due: il ciclo organico e quello geologico) sono i responsabili di queste contenute oscillazioni: una minor concentrazione della CO2 atmosferica — sottratta dalle piante — porta all’abbassamento della temperatura a livello globale, ossia a una glaciazione; di conseguenza, anche le foreste che sequestrano l’anidride carbonica atmosferica trasformandola in lignina diminuiscono di pari passo con l’avanzata dei ghiacci mentre le emissioni vulcaniche intanto rimangono sempre abbastanza costanti. Questo ultimo fatto porta lentamente a un rialzo della percentuale di CO2, un riscaldamento globale naturale che sottrae di nuovo spazio ai ghiacciai e lo restituisce alle piante. E così all’infinito: cicli interglaciali caldi con alti (max 300 ppm) tassi di anidride carbonica atmosferica intervallati da periodi glaciali in cui la CO2 è più bassa (150-180 ppm).
L’anidride carbonica sequestrata dalle foreste sotto forma di lignina tramite processi di marcescenza e alte pressioni finisce per trasformarsi in carbone, mentre i medesimi processi trasformano in petrolio e gas naturale gli animali che, nella loro catena alimentare, in definitiva si sono nutriti di quelle stesse piante. Con l’inizio dell’Era Industriale tutto questo è cambiato: in appena 250 anni, e specialmente nell’ultimo secolo, l’Uomo ha imparato a sfruttare a proprio vantaggio l’energia racchiusa in quei serbatoi naturali di carbonio attraverso la combustione di quelle sostanze (combustibili fossili). Quindi buona parte di quel carbonio sequestrato dall’atmosfera in milioni di anni è stato liberato di nuovo in appena un paio di secoli e poco più.

Clima

Concentrazione della CO2 nell’atmosfera negli ultimi 800 mila anni (ppm). Credit NOAA/Il Poliedrico

La riprova di quanto ho detto sta nei rapporti isotopici del carbonio atmosferico: il 12C e il 13C sono due isotopi stabili del carbonio e poi c’è anche il 14C, un radioisotopo del carbonio che ha origine dall’interazione dell’azoto atmosferico coi raggi cosmici secondo lo schema: $$ n + \ ^{14}N \rightarrow p +\ ^{14}C $$
Il radiocarbonio 14 (6 protoni e 8 neutroni) ha una emivita di appena 5715 anni, ossia circa la metà degli atomi di una certa quantità di 14C torna ad essere 14N (azoto 14) per effetto del decadimento β in quasi 6000 anni.  Siccome la quantità di raggi cosmici negli ultimi 100 mila anni è più o meno costante, anche la quantità di 14C atmosferico è rimasta pressappoco la stessa (circa 70 tonnellate) nel medesimo arco di tempo[3]. Il naturale decadimento radioattivo del carbonio 14 comporta che esso sia praticamente assente nei combustibili fossili, e infatti sono circa due secoli che i naturali rapporti tra gli isotopi 12C, 13C e 14C espressi negli ultimi 800 mila anni stanno mutando come conseguenza al consumo di questi 1.
Sempre rimanendo a parlare di isotopi del carbonio, occorre anche ricordare che a parità di proprietà chimiche i processi biologici prediligono sempre gli atomi più leggeri 2: per questo nell’anidride carbonica prodotta dall’uso dei combustibili fossili il δ13C è sbilanciato in favore della versione più leggera dell’atomo di carbonio (12C).
E come detto in precedenza, dalla combustione di fonti fossili è assente la versione più pesante del carbonio (14C) perché esso dopo appena 75 mila anni è ridotto a circa 1 millesimo di quanto era stato sequestrato all’inizio. Quindi, è l’analisi temporale dei rapporti fra i diversi isotopi che ci conferma che l’attuale surplus di anidride carbonica atmosferica è dovuta all’uomo e alle sue attività energivore basate sui combustibili fossili.

Non sono io, non è qualche scienziato prima di me o la ragazzina svedese Greta Thunberg a dirlo: sono gli isotopi del carbonio a farlo; i fatti, quelli su cui ogni giornale dovrebbe basarsi e sui quali qualsiasi politico dovrebbe tener conto prima di prendere una decisione che potrebbe influire sulla collettività, sono questi.


(fine prima parte)

SAY IT AIN’T SO STEPHEN (the last part)

Planets of the apes

Make love, not war Unlike their chimpanzee cousins, the bonobo apes often resort to sex as a social tool for conflict resolution.

Make love, not war
Unlike their chimpanzee cousins, the bonobo apes often resort to sex as a social tool for conflict resolution.

Humans and chimpanzees share much more than a common ancestor some four million years in the past. They share, in particular, a not infrequent and sometimes decidedly disastrous tendency to solve problems with individuals of the same species—even the same social group—by violent means.
It can be argued that in the long run such bad manners do actually offer some sort of evolutionary advantage. Big strong males scaring rivals off mate more frequently, passing their traits along. Hierarchical order enforced through a blow or two to the head helps keep rules from being broken by rogue individuals. Territory is defended fiercely, which results in better survival chances for the tribe. Et cetera.
It is not widely known, though, that chimpanzees do have very close relatives, one of the two species making the genus Pan (the other one being the chimpanzees themselves). The bonobo—or Pan Paniscus, if you really want to be formal—differs from Pan Troglodytes in a just a few details here and there physically, like relatively longer legs, pink lips, dark face, and parted long hair on its head. It all boils down as something very much like what happens with crocodiles and alligators, which would be basically the same kind of creature to the average beholder.
Physically that is. Now socially is an entirely different pair of shoes.

Make love, not war (2) In a few moments of human history there have been pacifist movements on a global scale. The Hippies of the late 60s are an example. But the Hippy culture also had an important historical role for the subsequent technological computer revolution.

Make love, not war (2)
In a few moments of human history there have been pacifist movements on a global scale. The Hippies of the late 60s are an example. But the Hippy culture also had an important historical role for the subsequent technological computer revolution.

Bonobos have been found to drastically lack the aggressiveness exhibited as a norm by chimpanzees—matter of fact, they seem to spend a lot of their awake time engaged in what could be best described as Peace And Love. Literally, in case you were wondering: sexual activity generally plays a major role in bonobo society, being used as what some scientists perceive as a greeting, a means of forming social bonds, and a means of conflict resolution. (They also do not seem to discriminate in their sexual behavior by sex or age, with the possible exception of abstaining from sexual activity between mothers and their adult sons. Male/male or female/female interaction are quite common.) Their unique approach to life does not end there—according to observations in the wild, when bonobos come upon a new food source or feeding ground, the increased excitement will usually lead to communal sexual activity, presumably decreasing tension and encouraging peaceful feeding. (!)
So there. We have basically the same kind of creature, with the same abilities and capacities yet a totally opposite attitude, which does not appear to be the result of any Ten Commandments brought down from the inexistent mountains in the Congo river. It can be rightly argued that such a peaceful bonobo society anyway has not, technologically and scientifically, done a whole lot—no spaceflight, fire, or advanced agriculture—but then neither have the aggressive chimps, come to that.
So at the very least the remote possibility would seem to exist that an alien society on a nearby world could very well be found to virtually lack the worst hostile impulses that have long plagued our own human societies. They, in a sense, would be the bonobos to our Homo Sapiens. Meaning no wars—and more importantly, no Wellsian invasions of neighboring planets.
Absolute certainty? Of course not. But we can hope, we can hope….
It could be pointed out that at any rate aggressiveness has worked for us humans, helping us fend off all those pesky predators to eventually come to rule the world as the dominant species. And yet even we have slowly begun to understand the perils of our ways. We haven’t always been able to stop the lunacy: right up to 1914 virtually everybody and his kid brother in polite society was fond of explaining why wars had become obsolete and totally absurd in the brave new world we had created by then. Yet we had the horrible and totally unprecedented Great War—and, only a few decades later, an even more devastating one ending in a potentially world-ending scenario.
And still.

[…]
but these NIGHTS!
Heights of the summer’s nights, stars above and stars of Earth besides: O to be dead at last and at long last eternally to know the stars… the stars! How, how, how can they ever be forgotten?
[…]
Rainer Maria Rilke: Duineser Elegien

The Cold War didn’t end in a hot one. And when we stepped onto another world, for the first time ever in history, we did it in peace, with no weapons.
The universe did not come with guarantees. There were no guarantees we could achieve the level of knowledge required to explore the Solar System, to take that small step for a man that became a giant leap for all of humankind. There are no guarantees we have brethren of some kind out there in this vast sea of stars around us; intelligences like ours—or vastly different from ours, conceivably—from which we can learn, and keep going on as a society, a species. As there are no guarantees those intelligences, if found at all, will be as peaceful and friendly as we would like them to be.

There’s just the one way to know—to boldly go where we haven’t gone before. For that to happen, we can’t look at the stars above in abject fear and despair. We’ll have to turn to poet Rainer Maria Rilke for the right emotion to feel when looking up at the night sky, when we contemplate the thought that up there we have before us the greatest adventure ever, a journey that hopefully—no guarantees—will take humankind to heights we ourselves today won’t get to see but can dream about:

March 2019

SAY IT AIN’T SO, STEPHEN (third part)

Pride And Punishment

On Easter Island we can see a perfect example of the collapse of an isolated civilization. It was the isolation and over-exploitation of the available natural resources that were considered inexhaustible to trigger it.

Company isn’t just an antidote for boredom—when it comes to cultures, it may mean the difference between stagnation and growth.
Australian aborigines, cut off from contact with other human groups (and the fresh achievements in technology and knowledge they would bring with them), hit a technical peak—and stopped there. Without any new input, any new ideas to add to their own savvy, to crossbreed with their own knowledge to result in a breakthrough conducive to a higher mastery of their environment and resources, they could go no further. Uncorroborated reports point out to some Tasmanian groups even losing the capacity to make fire—which they would thereafter remedy by borrowing it from friendly neighbors—if admittedly this would be an extreme case of technical retrogradation.
Cultural and technological isolation can also, oddly enough, happen by deliberate choice. After developing a very interesting civilization the Chinese during the Qing dynasty in the 15th century pretty much decided what they had achieved so far was good enough for them, and that was it. They from then on stopped virtually all contacts with the outside world (and the new developments in both science and technology) until the outside world then by the late 1800s drastically showed them what they had been missing all along. The consequences are arguably felt even to this day.
Japan was another such case, if here the reaction to Commodore Perry’s forceful opening of the islands to the world was a policy of quickly catching up on what the previously ignored neighbors had to offer, which turned Japan into a world power some decades later.
Contact with other cultures, then, appears to be a sine qua non for any civilization to live long and prosper, to borrow a phrase. Sufficiently interested readers are invited to take a look at I. Shklovskii’s Universe, Life, Intelligence, (Moscow, USSR Academy of Sciences Publisher, 1962)—later developed into Intelligent Life In The Universe, after a collaboration with Carl Sagan—for a number of insights on this issue.
And, once more, science fiction was there first. Aside from all the fast-paced adventures of the space explorers he depicts as stranded on Earth, the premise of Chad Oliver’s The Winds Of Time (1957) is indeed the plight of a lonely civilization looking desperately everywhere else for company. It of course helped that Oliver was an anthropologist himself, a point evident throughout the novel.
So, at the very least, then a case can be made as well for a hypothetical technically advanced alien culture being also self-contained and averse to foreign contacts—which greatly diminishes the chances they need to come all the way to Earth to show what their weaponry can do.
Which, naturally, brings us once again to the issue of which is the more advanced civilization (in what science and/or technological field??) and what exactly can you do when you come to Earth with all guns firing.

Go native or go home

A very overlooked aspect in the collective imagination is that our world may seem more dangerous and threatening to aliens than they are to us.A hydrothermal worm. Credits: Philippe Crassous

Suppose, if you will, you’re parachuting on the Amazon jungle. (Let’s ignore that nasty canopy of treetops where your parachute has every chance to become entangled, and assume you’ll make it to the ground all right.) All through the descent you’re surrounded by the best technology available, from the ingenious device that allows you to slow down what otherwise would be a freefall, to the boots protecting your feet from the rough ground.
And now, having made it to the floor of the jungle, you’re ready to show those tribesmen who’s boss. As soon, that is, as you can wipe all that sweat from your forehead. And fend off those insects flying around you. Oh, yes, also the snakes. Did we mention the insane heat?
Oh, well, at least you can call for reinforcements, in case things get slightly out of hand. Right? Right? “What do you mean, help may take decades to come?” “Er, we mean lightspeed. Like nothing can go faster than that, unless you develop some Star Trek-like warp speed. And even then travelling through interstellar distances will still take some time. Hellooo!”
Meh, forget it—your call for help won’t be answered for several years, and it’ll take twice as long for you to be able to hear the response. That uncooperative limit set by the speed of light, remember.
Supplies, supplies, supplies. You’re using up your bullets on those pesky aborigines like water; better save some for a rainy day. (Rainy day in the jungle, now that you mention it, how about that. Not nice, no sirree.) Food, of course; the local fare is inedible when available at all.
So you can see the problem here. Unless the planet you’re bent on invading is a rather close duplicate of your own, chances are you’ll find the whole enterprise as charming as invading Hell. The local gravity field, for starters: Wells’ Martians had to resort to some serious technical props to move about in a world where they felt three times heavier, and conceivably didn’t have it any easier either when trying to sleep at night (imagine you’re wearing a full-body cast after an accident, say). It could be the other way around—a weaker gravity that initially will make you feel like a star athlete capable of the most astonishing feats until you start losing muscle and bone mass, and become irreversibly unable to set foot on your home world again.
And yes, the environment; temperature and such details. What liquid did you say plays the role of water in your home world? Ammonia? How nice—but no, it isn’t a liquid here; kind of too hot here on Earth for that. You might decide you’ll then forgo taking showers, but how about dying of thirst?
Oh well, is your home “water” instead a silicone fluid? Then I’m afraid this planet is a tad too cold for you—you’d need another one with a hotter mean temperature than a blast furnace.
Invading a planet with a totally alien biochemistry would have one advantage though—the local microbial fauna and flora conceivably wouldn’t be able to eat you alive, like they did Wells’ Martians. Only, of course, that might not be enough of an incentive to travel lightyears away from your home world, fight natives that outnumber you (and might have a trick or two up their technological sleeve) and, if you’re lucky, conquer a world you can’t live in unprotected.
A thought here: Even for a race so addicted to war and conquest as the human race, environment counts. All invasions here have taken place under the same gravity, with a similar atmospheric composition, and with an adequately edible fauna and flora. Also within the same mean temperature range—nobody has rushed to conquer Antarctica, or sent armored divisions to occupy that nicely dry Sahara Desert.
So that would then leave terraforming—or “alienforming,” if you will. You will conquer that alien, uninhabitable world, and then spend conceivably centuries trying to turn it into some place nicer where you can hope the grandkids of your grandkids may one day live. A case can be made for trying that with a world closer to yours though—preferably on your own star system, if you already have that kind of technology at hand.
Unless, of course, those aliens are so incurably aggressive.


(To be continued…)

SAY IT AIN’T SO, STEPHEN (second part)

Sweet Home Amazon

Countless Americans were fooled into believing a real Martian invasion of America was taking place on October 30, 1938. The perpetrator of this supposed “hoax” was The War of the Worlds. Performed primarily by Orson Welles — and based on the 1897 H.G. Wells novel of the same name — the show was unprecedented in bringing fictional aliens into american’s homes. Thousands panicked, and police even showed up at the radio studio to shut it down.

For the sake of argument, we’ll freely agree to stipulate there are alien lifeforms out there, (whatever you may mean by that) of an adequately intelligent variety (again, we’ll accept any working definitions), on as many planets around as many stars as you would like to include in this here conversation. We’ll even go ahead and also grant them the capacity to exercise a modicum of control of their environment—i.e., consider them gifted with hands, trunks, tentacles, or whatever suitable piece of anatomy of theirs can be used for similar purposes as our own upper paws.
That, in ultimate analysis, would appear to be the mark of a technology-capable species with a serious chance to become dominant in its world. You need something that can grasp that stone ax (or its equivalent) so you can hit dead that nasty creature trying to eat you before you can even tame fire (or whatever passes for it), don’t you. And how exactly do you plan to build that spaceship to invade Earth if you don’t have a good pair (or dozen pairs) of tentacles?
Since they can be argued to be related, we’ll also from now on loosely regard both science and technology as two sides of the same coin, and accordingly imply either, or both, as convenient. You have roughly the technology that your science allows you to develop; and in turn, your technology allows you to acquire more science (ever heard of the Hadron Collider?)
So there. You have your intelligent, technically savvy, and science-oriented aliens. What of it?
If you feel tempted to occasionally agree with those worried about a potentially hostile, scientifically and technologically more advanced alien civilization, rest assured it is a perfectly natural, and even logical, feeling—it would take more than a moderate dose of narcissism to believe that Earth, and only Earth, is the science and technology leader in the known universe. Our Sun is roughly five billion years old, with the slightly younger Earth boasting tool-using hominids for possibly just three million years—and did we mention the Industrial Revolution, which gave us steam power, mass production, and ultimately, our present fledgling space exploration program, came about a mere three centuries ago?
Meanwhile, the closer stars are to the Milky Way nucleus, the older they are—way older than our comparatively juvenile Sun. It would make sense to consider the possibility they have planets, and civilizations. Cultures which, in accordance with the same basic reasoning, should boast a science and technology arguably surpassing those of Earth by the same margin as, say, modern Western ones outpace the knowledge and technical skills of the last remaining isolated Amazon tribes….
Distance, of course, may play a role here—the Eskimos were never conquered by Chaka Zulu, say. The Australian aborigines don’t seem to have needed to plan in a hurry how to hold off the Roman legions. At least preliminarily, therefore, we’ll consider just the immediate neighborhood of our Solar
System, and hope the nasty guys next galaxy have their hands full with their own neighbors.
At first blush, it would then appear there are three main possibilities
a) We have technologically capable neighbors all right, but they happen to be less advanced than we are. (So we don’t have to worry about them, at least for a good while, depending on how far ahead we are. Whoopee.)
b) Our neighbors, alas, are roughly as science and technically savvy as we ourselves are. (Think, if you will, of a Star Trek-like scenario; everybody with about the same gadgets. Or, given our present capabilities, every other civilization in the area enjoying a Western, middle-class life standard.) We can’t reach them, they can’t reach us. Still acceptable so far, but we can’t rule out the possibility they get ahead of us by some unexpected discovery or two. (Think America in 1945 suddenly coming up with the atomic bomb.)
c) We are the Amazonian tribe in this neighborhood—everybody else and his kid brother is way, but way ahead of us in everything science and technology. (Depressing, scary, and arguably absolutely plausible.) Uh-huh.
And now we feel it is a good time to put something to you here.

Relativity and linearity

The first European explorers of Australia carried with them a number of technological products the likes of which the aborigines had never seen and couldn’t even begin to make sense of. In turn, the explorers were equally baffled by a piece of indigenous technology arising from an empirical if adequate knowledge of aerodynamics they themselves had no clue of—the returning boomerang.
Native American groups like the Innuit could (and did) teach the first visitors from Europe a thing or two about insulation techniques. Maya medicine and calendar were more knowledgeable than those of their eventual conquerors. Interestingly enough, they seem to have never hit on the idea of the wheel, for all that they were of course aware all right of its shape.
At this point, if not earlier, you have conceivably guessed what the underlying issue here is—assessing scientific and technological superiority, or inferiority, is a tricky proposition.
Complicating things even further, the development of science and technology is anything but a linear process.
A given culture may have excellent marks on this area of technology, and that area of knowledge—only to miserably fail to grasp that other science concept that could conceivably give it an edge, and completely skip yet this other technology that you would swear was so vital that everybody should be able to discover it in due time—and thus go from A to C without having a clue B even existed. Again, both the Maya and Inca civilizations went on to achieve impressive heights without even imagining that metallurgy, with all the advantages it implies, was within their reach.
Next, there’s absolutely no guarantee that a scientific or technical development, once discovered or achieved, will go on to become part of that civilization’s capabilities—or even be taken further to a stage where it becomes a distinct advantage.
Though the Chinese invented the rocket as far back as the 10th century, it remained a relatively modest auxiliary weapon that had all but disappeared from battlefields (and from China herself) by the time the Germans at Peenemunde decided to take a different approach to it. The fifth century Greeks were already experimenting with steam machinery—only, unfortunately, they failed miserably to see its possibilities. It’s anybody’s guess what modern history would be like if that incipient technical revolution had taken root.
And in the early 1900s electrical automobiles were thought to be the future, only to be rendered moot by petrol ones—a trend that many try to reverse today. Incidentally, petrol cars used the same combustion engine technology that in turn allowed heavier-than-air flying machines, cutting short the hitherto seemingly unstoppable development of blimps for air transport….
Therefore we can go ahead and postulate the possibility (and plausibility) of an alien culture in possession of some of our technologies, while lacking some others. Like, say, they have space-faring vehicles, but no radio (which

incidentally was the case of Wells’ Martians). Or they developed the laser, but have no hint that computers could be even a possibility. Or…or…
A strong advantage here—an Achilles’ heel there. What side could emerge the winner in a (wildly speculative, we would hope) clash between any one of those myriads of plausible civilizations and ours is left as an exercise for the gentle reader.


(To be continued…)

SAY IT AIN’T SO, STEPHEN (first part)

Con questo articolo, suddiviso in quattro puntate per motivi di lettura, inizia la nostra collaborazione con lo scrittore americano Ricardo L. Garcia. Gli episodi di questo saggio usciranno uno per settimana per tutto il mese di aprile e … saranno in inglese!
Cieli sereni

 

“We come from a planet far beyond this galaxy. A planet far more developed than Earth.” To Serve Man (1962)

For most of us, the sight of the skies at night brings a feeling of awe—so many stars, so far away, so full of mystery.
Some will see in them the mark of a Creation with a purpose and a message, a timeless show of power infinite and logical and coherent. Others will instead regard the distant points of light up above and argue how inevitable it was—considering what we have come to know about the laws governing at least this Universe—that they formed out of the Legos of matter and antimatter, energy and dark energy, given enough space-time and a Big Bang or two.
And still some others (hopefully few in number if in the utterly baffling company of minds like Stephen Hawking’s, no less) will look at the stars above in fear, of all feelings.
Not fear that the stars fall down and wreck this green, sweet world of ours—for all that the slightly misnamed “falling stars” (aka meteorites) do deserve some serious attention, viz. Tunguska, 1908—but that strange and powerful civilizations, evolved on planets orbiting those same points of light embellishing the night sky, may make it their next New Year’s resolution to attack and conquer a defenseless Earth.
Anybody else blaming Herbert George Wells please raise your hands.
Let it be entered into evidence that prior to The War Of The Worlds (1897) all imagined aliens (literary or not) were considered benign, when not decidedly saintly and having a soft spot for their laughingly naïve earthly cousins, as in Voltaire’s Micromegas. It was only, alas, after Wells’ tale of bellicose Martians braving a crippling gravity to go on to beat the earthlings with weapons resulting from a vastly superior technology that the idea of conquerors out of space started to draw some attention.

While so far we seem to be living in a safe neighborhood—no signs of civilizations, the nasty kind or else, have been detected from Mercury to the Kuiper Belt apart from our own, which we don’t propose to label here—the sea of stars up above could very well, we are told, be a different story (pun shamelessly intended). Not that long ago, the late world-renowned
astrophysicist Hawking warned us against the perils of advertising our presence here to the universe at large; like, say, insisting on such adolescent behavior as beaming radio messages at star cluster M13 or (the horror!) even irresponsibly inflicting our musical tastes on any entities out there retrieving the records on Voyagers 1 and 2. (What conceivable retaliation could follow listening to Johnny B. Goode is an alarming thought.)
It is, to be sure, a little late for that, and not only because those proofs of our existence have already been sent on their way. Granted, the 1974 message sent from the Arecibo, Puerto Rico, radio telescope (consisting of 1,679 binary digits, approximately 210 bytes, transmitted at a frequency of 2,380 MHz and modulated by shifting the frequency by 10 Hz, with a power of 450 kW, with a total duration of less than three minutes) will merely take some 25,000 years to reach its target, and anyway it was intended more as a technology exercise than a real hello. Voyager 1, more in keeping with certain post office standards for delivery of packages, will instead take some 40,000 years to come within shouting distance of star AC 79 3888.
All of which would seem to suggest we still have some time to prepare ourselves to be gallantly—and inevitably—defeated by that superior alien technology. Except, of course, we may not have that long: Ever since 1920 a lot of our radio, and then later also TV transmissions, passing with relative ease through the ionosphere, conceivably have given us already away decades ago to any alien civilization out there.
So there. What can we possibly do?


(To be continued…)

VLTI (Gravity) registra la prima atmosfera extrasolare

HR8799. Una stella distante 129 anni luce, è la prima ad ospitare un pianeta di cui si sia osservata direttamente l’atmosfera!

Sono passati appena 40 anni da quando fu accertata l’esistenza dei pianeti attorno alle altre stelle; non che vi fossero dubbi al riguardo ma si riteneva che dimostrarne l’esistenza e perfino scrutarne qualcuno — come poi è stato fatto — fosse impossibile. E invece … eccoci qua!
Sfruttando l’ eccezionale apertura interferometrica di ben 100 metri (vedi nota a piè di pagina), gli astronomi sono riusciti a ricavare lo spettro dell’atmosfera di HR 8799 e, uno dei quattro pianeti di una stella molto giovane — appena una trentina di milioni di anni — di classe F0, distante appena 129 anni luce [4]. Il corpo celeste è un gioviano caldo, con una massa superiore di circa 10 volte quella di Giove ed è altrettanto giovane quanto la sua stella. Questa è una fortuna, perché permetterà in seguito di studiare nel dettaglio la sua evoluzione.
Comunque intanto sono stati raggiunti, e superati, diversi traguardi: il primo, e sicuramente il più importante, riguarda la capacità tecnologica di riuscire ad osservare finalmente l’atmosfera di un esopianeta, ossia di un mondo che non appartiene al nostro sistema solare; il secondo è che quell’atmosfera non è esattamente come i modelli standard delle atmosfere planetarie descrivono. E questo spingerà senz’altro gli astronomi a cercare e studiare altre esoatmosfere per cercare di comprenderne meglio i meccanismi. Intanto vi invito a consultare i link a fine articolo per vedere i risultati scientifici.
Questo è il link al comunicato ufficiale dell’ESO

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Note:

 

Schizzo della disposizione dell’interferometro del VLT. La luce da un oggetto celeste distante entra in due dei telescopi del VLT e viene riflessa dai vari specchi nel tunnel interferometrico, al di sotto della piattaforma di osservazione sulla cima del Paranal. Due linee di ritardo con carrelli mobili correggono in continuazione la lunghezza dei cammini in modo che i due fasci interferiscano costruttivamente e producano frange di interferenza nel fuoco interferometrico in laboratorio.

L’Interferometria viene usata da decenni nel campo delle onde radio, dove si possono ottenere immagini con strumenti virtuali pari quasi al diametro terrestre, Il principio di funzionamento di un apparato interferometrico si basa sulla sovrapposizione in fase di due o più segnali coerenti allo scopo di esaltarne il segnale; per ottenere questo effetto però la differenza tra i cammini ottici dei fasci stessi deve rimanere inferiore ad un decimo della loro lunghezza ottica. Ora, nella radioastronomia il margine è piccolo ma comunque ottenibile senza grosse difficoltà: a 21 cm di lunghezza d’onda — ossia quella dell’idrogeno interstellare — la tolleranza è di appena 2 cm; anche se questa è misurata su basi lunghe migliaia di chilometri (Very-Long-Baseline Interferometry). Ma ricorrendo a trucchi che prevedono l’uso combinato di orologi atomici locali e maser all’idrogeno, l’ostacolo è comunque facilmente risolvibile.
Ma questi non funzionano nell’interferometria ottica dove le fasi del segnale sono lunghe appena 1μm (ossia nel vicino infrarosso) e dove quindi la tolleranza richiesta deve essere ancora dieci volte più piccola, Questo risultato però è ottenibile facendo convergere i fuochi dei 4 telescopi del VLT in un unico punto avendo cura che tutti i segnali percorrano esattamente la stessa distanza. In questo modo, e sfruttando sapientemente le ottiche adattive dei telescopi, si può raggiungere l’incredibile risultato di avere una risoluzione pari a circa un millesimo di secondo d’arco a  1μm di lunghezza d’onda. Il che significa risolvere un oggetto grande appena un paio di metri sulla Luna!

Links

Astrophone

Gli smartphone moderni sono molto più che dei semplici strumenti di comunicazione. Opportune configurazioni e programmi possono perfino essere usati nell’astronomia amatoriale, e non solo per stabilire semplici effemeridi.

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Dal 26 al 28 febbraio scorso il più elusivo dei pianeti visibili ad occhio nudo, Mercurio, era alla sua massima elongazione orientale, cioè alla sua massima distanza angolare dal Sole (18.1°) in direzione est. Quello è il miglior momento per poterlo osservare, immerso nelle luci del crepuscolo vespertino, anche se va  detto che non sempre è facile.

Non sempre porto con me le fotocamere, i cavalletti — e i loro attacchi — e tutto il resto; ma lo smartphone sì. Quando presi questo nel lontano 2016, lo scelsi per la sua fotocamera interna: essa era tra le migliori che offriva allora il mercato e il software di gestione dello scatto era tra i più versatili ed evoluti dell’epoca. In verità esistono applicazioni terze che vantano all’incirca le stesse caratteristiche, ma l’app originale è studiata proprio per offrire il massimo dal suo hardware  — come ad esempio registrare gli scatti nel formato RAW — e le fotografie che riesce a produrre lo dimostrano ampiamente.
Ma non meno importante è la funzione di geolocalizzazione, quella che manda in bestia tanti paranoici della privacy, ad essere essenziale. Questa funzione, cooordinandosi coi sensori cinetici e della bussola, è in grado di rintracciare ed evidenziare la posizione degli oggetti nel cielo proiettandola sull’ampio display principale: una specie di realtà aumentata per astrofili.
Queste non sono certo grandiose quanto le immagini ottenibili con sensori CCD iper raffreddati e costosissime montature motorizzate ma in un certo senso le preferisco così: ottenere belle foto con mezzi non espressamente progettati per il medesimo scopo, lo trovo immensamente appagante. E sapete una cosa? Nonostante pose lunghe dell’ordine di decine di secondi (posso arrivare fino a 30, come le comuni reflex), qui non è stato fatto uso di alcun cavalletto ma di un più banale borsetto come appoggino e uno stecco come zeppa (può testimoniarlo il mio buon amico Stefano che in genere mi accompagna in queste sortite).
Quindi ricapitolando, possedere non soltanto un telefono assai evoluto ma addirittura un computer che mi aiuta, quando questo potesse servire, a riconoscere la posizione degli astri nel cielo in tempo reale, e le effemeridi di qualsiasi oggetto visibile, è una cosa per me preziosa. E le foto che qui vi presento ampiamente lo dimostra:

Menkib

Quella indicata dalla freccia è Menkib (zeta Persei), una gigante azzurra di appena 10 milioni di anni che è 19 volte più pesante del Sole e 100 mila volte più luminoso di questo. È distante da noi quasi 1000 anni luce, la luce che ha eccitato il sensore del mio smartphone è partita mezzo secolo prima della I Crociata!

Alhabor

Questa invece era conosciuta dagli Arabi come Alhabor e dai Romani come Sidus Canicula, stella del cagnolino (piccolo cane).  Infatti è α Canis Majoris, meglio conosciuta come Sirio. Il periodo dal 24 luglio al 26 agosto, che coincide con la levata eliaca di Sirio, è anche il periodo più caldo e afoso di questa parte del mondo e prende appunto il nome di canicola proprio dalla celebre stella. La costellazione, il Cane o Canis Majoris in latino, era conosciuta fin dall’Antico Egitto perché la levata eliaca dell’aforisma celeste annunciava le periodiche inondazioni del fiume Nilo.

 

Cometa di Natale

Certo che spesso le cose più facili spesso prendono la via più difficile, ma così …

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A volte sembra che le Leggi di Murphy siano delle vere e proprie leggi naturali. Poi però come recitava un vecchio adagio dei cartoni animati “tutto è bene quel che finisce bene“, m’è riuscito di portare a casa, questo risultato.

Ma andiamo con ordine: domenica scorsa ho valutato attentamente le migliori -per me – condizioni per cercare di riprendere la 46P/Wirtanen nelle sue migliori condizioni di visibilità. Però anche la sempre maggiore presenza nel cielo della Luna in fase crescente poneva dei vincoli di visibilità non indifferenti, ormai non sono più un giovanotto e dopo cena preferisco il tepore di una coperta che il freddo zucchino di queste serate invernali! Per questo le date suggerivano di non andare oltre al 12 dicembre scorso. Ma anche le previsioni meteo erano impietose e prevedevano cielo sereno solo per il 10 e l’11. Il 10 dicembre è quello che infine ho scelto.
Il mio intento iniziale era quello di rendere omaggio a Siena riprendendola come sfondo ideale ma ogni sito che avessi in mente avrebbe sofferto di un notevole inquinamento luminoso e quindi questa idea è stata quasi subito abbandonata. Allora ho cercato altri siti con paesaggi bucolici come ce ne sono a bizzeffe da queste parti. Avrei dovuto scegliere un sito piuttosto lontano dai centri abitati ed il gioco sarebbe stato fatto.
47P/WirtanenPurtroppo un altro vecchio adagio racconta che “Le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni“. E così che io e l’altro mio amico che solitamente mi accompagna in questo genere di avventure, siamo rimasti impantanati con l’auto nel nulla della campagna senese lontano da strade frequentate. Niente che non potessimo risolvere da soli con qualche manovra degna di una competizione fuoristrada fatta con una vettura ibrida da oltre 1300 kg!
Pensate che le difficoltà siano così finite? Macché! Figurarsi quando ho scoperto di avere ben due cavalletti fotografici e nessun loro attacco! Per questo ho solo immagini dell’evento riprese col grandangolare da 10 mm: non potevo usare un cavalletto necessario per foto con focali più lunghe. In più, ogni mio sforzo di allontanarmi dall’inquinamento luminoso pur rimanendo in un punto comunque elevato si è dimostrato inutile: alla fine il luogo migliore si è rivelato essere una conca naturale tra due colline che di fatto hanno funto da schermo dal riverbero delle luci artificiali. Non proprio il massimo ma è stata la miglior soluzione possibile in quel momento. Poi con un supporto di fortuna e qualche spessore di sostegno mi è bastato puntare alla giusta zona di cielo e via; tanto ogni regolazione dei tempi e degli ISO li faccio tutti da remoto da dentro l’auto.

Sono comunque abbastanza fiero dei miei risultati che date le premesse potevano essere ben peggiori.
Giusto ieri (il 15 n.d.a.) le mie foto principali – quelle in cima alla pagina – sono state usate al Gal Hassin da Sabrina Masiero in una presentazione al pubblico della cometa di Natale  e dello sciame meteorico delle Geminidi che a causa del maltempo sulla regione non hanno potuto sfruttare il loro magnifico cielo. Ho saputo anche che sono state apprezzate. Sono piccole soddisfazioni anche quelle!
Cieli Sereni 🙂

Complottismi e il Rasoio di Occam

Con l’avvento delle tecnologie di comunicazione di massa, come più in generale lo è Internet, il fenomeno del “complottismo” è diventato talmente importante che sta iniziando a erodere lo spazio dedicato alla democrazia.
Tempo fa parlai su queste pagine di analfabetismo funzionale e di ritorno. Esso è uno tra i più gravi problemi sociali che la nostra civiltà ha di fronte e che deve trovare la forza di affrontare, perché esso genera storture a ogni livello e rappresenta il vero problema con cui le democrazie dovranno prima o poi confrontarsi. Una migliore formazione culturale di massa però potrebbe fermare questo elemento.

Anzitutto mi preme fare una breve premessa, ma che da sola meriterebbe un intero trattato. Non c’è niente di male in un po’ di sana diffidenza. Dubium sapientiae initium  è uno dei motti cardine di questo Blog, e invito i miei lettori a dubitare sempre, e su tutto, anche su quello che scrivo io. Sia la diffidenza che il cercare schemi in tutto quel che ci circonda è nella natura umana, istinti che nei millenni hanno permesso all’uomo di evolversi e diventare ciò che è oggi.
Guardate le nuvole, un quadro astratto o qualsiasi altra cosa non ben definita come il cielo stellato. Se vi sforzate un attimo vi scorgerete schemi a voi familiari: volti di persone, forme animali etc. Quella si chiama pareidolia, ovvero la capacità di scovare forme note in schemi casuali.
Lo stesso meccanismo funziona anche per gli eventi: ossia l’essere umano ha la capacità di ricollegare fatti casuali in uno schema più generale. Se avete letto Agatha Christie capirete immediatamente quel che intendo. Questa capacità è fondamentale per l’istinto di sopravvivenza dell’individuo, per esempio: piove ⇒ tuoni ⇒ possibilità di morire folgorato; ma però  indirizza anche   la percezione meccanicistica di causa-effetto tipica di qualsiasi evento verso una visione più finalistica, cioè che indica un fine ultimo occulto: ho lavato l’auto ⇒ piove ⇒ un essere superiore ce l’ha con me perché ho l’auto pulita. Questo genere di dibattito interessava Anassagora, Platone e Aristotele già 25 secoli fa.

Quindi è normale cercare schemi in eventi e fenomeni casuali, ma ora noi possiamo valutarli con un bagaglio infinitamente superiore di conoscenze e di informazioni rispetto ai nostri antenati: le correnti d’aria di diversa umidità e temperatura all’interno di una tempesta caricano elettricamente le nubi temporalesche dando poi origine ai fulmini che possono uccidere una persona; quindi non è il caso di andare fuori durante un temporale. Poi se qualcuno vuol vedere nei fulmini la furia di Thor o di Zeus o di qualche altro essere soprannaturale è liberissimo di farlo.

L’analfabetismo funzionale

Costituzione Italiana
Articolo 33
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
[….]
Articolo 34
La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

Sembra un controsenso parlare di analfabetismo funzionale in paesi, come l’Italia, dove la Costituzione suggerisce la scuola pubblica gratuita.
Eppure i dati degli istituti di ricerca internazionali sono impietosi: in Italia gli analfabeti funzionali sono almeno tra il 30 e 45% della popolazione tra i 16 e i 65 anni, a seconda dei parametri di riferimento presi.
Ma questo non  è il punto di arrivo del mio discorso, ma soltanto la premessa che dovrebbe essere tenuta in debita considerazione quando si tentano di analizzare i complottismi.

Cos’è il complottismo? Sostanzialmente pensare che tutto: dalla narrazione di un evento fino alla trattazione di un argomento o la descrizione di un fatto siano frutto di un inganno volto a negare la realtà per fini più o meno oscuri. Non è affatto un fenomeno culturale moderno, anzi. Ci fu chi pensò che la Prima Guerra Mondiale o la nascita dell’Unione Sovietica fossero eventi pilotati da un disegno politico perverso (Rudolph Steiner, 1918), oppure chi credette al cumulo di sciocchezze descritte nei Protocolli dei Savi di Sion 1 come Adolf Hitler e i nazisti. 

Esiste poi diffusa nella società una buona dose di sfiducia nelle istituzioni che non sempre si sono mostrate integerrime e trasparenti. i casi di malasanità, di tangenti per scopi politici, la politica stessa usata da molti come  strumento di elevazione sociale personale se non addirittura come strumento di potere e feudo, hanno minato la fiducia che le istituzioni invece dovrebbero tutelare come il bene più prezioso. Gli esempi che qui cito riguardano l’Italia, ma non è difficile scoprire che anche negli altri Paesi più o meno accade o è accaduto lo stesso.
Quindi non importa se l’ex ministro della Sanità Francesco de Lorenzo introdusse la vaccinazione obbligatoria contro l’epatite B nel 1991, oppure che istituì il numero unico per il soccorso sanitario 118 (1992): egli è passato alla storia per gli affari di Tangentopoli in concorso a Duilio Poggiolini, e per la leggenda metropolitana di aver aumentato le soglie di potabilità dell’acqua contaminata dall’atrazina 2, il messaggio che passa è spesso condizionato nella sua accezione negativa a prescindere dai risultati. Attenzione: non voglio con questo riabilitare certe figure a scapito di altre, ma credo che il compito di chi ha nel cuore il dibattito scientifico sia quello di attenersi ai fatti nudi e crudi e di lasciare il resto del giudizio alla Storia.

La sfiducia generalizzata nelle istituzioni democratiche

Questo clima di sfiducia è l’humus ideale per fare della dietrologia che poi spesso sfocia nel complottismo: perché mai dovrei fidarmi, dare fiducia, alle parole di un politico o di un ministro quando lui, o altri prima di lui, ha avuto comportamenti non proprio specchiati o è, o è stato, in odore di conflitto di interessi veri o presunti?
Una volta il popolo sapeva ciò che i canali ufficiali raccontavano; sì, è vero, qualche volta circolavano anche notizie tramite canali alternativi, ma essi erano sempre di terza mano e circoscritti ad una cerchia di persone piuttosto ristretta. Con la stampa, la radio e la televisione le cose non cambiarono se non in termini numerici di platea; d’altronde tutti questi sono canali a senso unico: qualsiasi notizia o informazione può essere veicolata in un’unica direzione, ossia proponente e fruitore. Internet ha cambiato tutto: ognuno — anche io in questo momento — può proporre informazione, giusta o sbagliata che sia, ad un pubblico più o meno vasto non meglio definito.
Una volta  la chiacchiera da bar, magari detta per celia o in un momento di squilibrio, rimaneva per quel che era: una sbruffonata detta in libertà, condita da risatine e prese in giro lì per lì 3. Grazie ad Internet e ai social network, che dopotutto fanno ciò per cui sono stati progettati, oggi invece chiunque può raggiungere una platea infinitamente più vasta dei quattro buontemponi da osteria. E grazie alla tecnologia che consente — finalmente — lo scambio di informazioni, ossia che fonde in un unico soggetto ideale proponente e fruitore, anche le bischerate possono diventare oggetto di proselitismo. Però finché queste rimangono nell’ambito delle sciocchezze stravaganti, il danno è obbiettivamente poco, ma quando queste diventano oggetto di pressione mediatica e sociale allora diventano un problema serio.
Mi spiego meglio: se qualcuno mi parla di scie kimike o di ufini ‘lieni posso farci giusto una risata perché so che quelle che si vedono talvolta in coda agli aerei sono banali scie di condensazione (vapore acqueo) reso visibile dalle condizioni ambientali in cui si trova il vettore in quel momento, e che i ‘lieni non siano poi così stupidi da rapire qualche stravagante tipo e sgozzare alcune capre in giro per la campagna, quanto piuttosto  mi aspetterei da parte loro un ingresso un attimino più eccitante come potrebbe essere l’atterrare sul tetto del Palazzo dell’ONU, sul prato della Casa Bianca o nella Piazza Rossa a Mosca: dopotutto hanno viaggiato per metà galassia per venirci a far visita. Ma quando le scie chimiche o gli UFO diventano oggetto di interrogazioni parlamentari allora inizio a preoccuparmi. 
Ancora peggio quando vedo che strumenti importanti come i vaccini diventano oggetto di diatriba politica, in entrambi i sensi: e qui mi riferisco a coloro che tentano di dare un colore politico oppure ideologico alla Scienza: questa non ha colore politico e non appartiene alla causa di un partito, è frutto di secoli di esperienze e ingegno umano e appartiene a tutta l’Umanità. Cercare di tirarla per la giacchetta, come — anche ora — tenta di fare qualcuno è la cosa in assoluto più dannosa che si possa fare alla causa scientifica. È giusto — e si dovrebbe — abbracciarne lo spirito, ma mai attribuirsene la paternità., anche indirettamente, per colpire gli avversari  accusandoli di non essere dalla parte della Scienza.

Qualche esempio

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Dietro a una alquanto distorta idea di democrazia libertaria, il movimento no-vax si fa scudo di concetti come Libertà dell’Individuo, Diritti del Cittadino, Libertà di Cura etc., sacri se presi nel giusto contesto, per una idea antiscientifica e perniciosa.
Prima di tutto è opportuno ricordare che l’idea che i vaccini siano dannosi non è nuova: R. Steiner, il pittoresco personaggio che ho menzionato qui sopra, nei primi anni del XX secolo era contrario ai vaccini sostenendo che le malattie esantematiche fossero un passaggio necessario alla crescita del bambino, fino ad ipotizzare che i vaccini sarebbero potuti diventare un mezzo per il controllo delle masse(!). Ma la paura verso i vaccini era ancora più antica, in pratica risale all’epoca della scoperta del metodo della vaccinazione, dove si mescolavano timori per la purezza dell’uomo, a credenze religiose.Se avesse vinto quella linea di pensiero avremmo ancora oggi malattie mortali come il vaiolo, la tubercolosi  e la poliomielite con cui avere a che fare. Per fortuna invece, nel Mondo Occidentale soprattutto ma anche in buona parte del III Mondo, queste malattie sono virtualmente scomparse proprio grazie a poderose campagne di vaccinazione di massa: questo discorso da solo dovrebbe dimostrare che la fobia verso i vaccini è scientificamente immotivata.
Se questo non bastasse, l’altro ritornello complottista che vuole che i vaccini siano in realtà un’oscura trama dei Poteri Forti, di Big Pharma e compagnia cantante per arricchirsi con il loro commercio, basta ricordarsi che il vaccino è fondamentalmente una profilassi, cioè che previene l’insorgere di una patologia che richiede una cura. E allora: dove sarebbe realmente questo guadagno? Concentriamoci per un attimo su un altro cavallo di battaglia dei no-vax.

Il brevetto di Wakefield per una nuova serie di singoli vaccini al posto di un unico vaccino trivalente (MPR).

Un’altra obiezione riguarda la diffusa credenza che i vaccini contengano metalli pesanti o comunque sostanze dannose per l’uomo; questa malata convinzione si basa su uno studio falsificato ad hoc da un medico gastroenterologo, tale  Andrew Wakefield, reo di aver intascato soldi da un avvocato,  Richard Barr, al soldo di un movimento no-vax, JABS, orientato a dimostrare un legame tra incidenze di alcune patologie come il Morbo di Chron e l’autismo con le vaccinazioni MPR (Morbillo-Parotite-Rosolia, in inglese MMR: Measles-Mumps-Rubella) ricevute [cite]10.1136/bmj.c5258[/cite]: un po’ come se volessi dimostrare che la principale causa di morte per incidente stradale è aver conseguito la patente di guida dietro compenso dalla lobby dei Piloti della Domenica.
Non contento del suo falso studio, Wakefield suggerì poi di sostituire il trivalente con una serie di vaccini singoli di sua concezione — dopo averne depositato i brevetti — e organizzato una massiccia campagna di raccolta fondi per la loro produzione: un po’ come se suggerissi di sostituire la vostra auto con dei pattini a motore di mia invenzione.

Questa immagine è uno screenshot relativo a un cartone animato protetto da copyright della Warner Bros.

Ecco dove spunta il Rasoio di Occam che ho richiamato nel titolo: è qui che occorre pesare il pensiero complottista coi fatti reali, ovvero abbandonare una visione finalistica per tornare a inquadrare il problema per quel che è veramente. Davvero le scie degli aerei sono volte al compimento di un oscuro piano architettato per il controllo delle masse (notate la somiglianza di questa idiozia col pensiero di Steiner)?
In un’altro articolo illustrai [5] che studi — seri — per la geoingegneria climatica sono ancora al livello teorico, mentre  per quanto riguarda il controllo meteorologico di aree specifiche ormai è routine. Ma in nessun caso si parla di scie chimiche e di irrorazioni, a meno che non viviate dentro a un un campo di mais da fertilizzare e tutto il mondo per voi inizi e finisca qui, e nel tal caso vi beccherete l’irrorata del contadino. 
Se fosse vera l’idea del complottista medio di oscure trame volte a soggiogare e sterminare metà del genere umano, mi viene da pensare che questi siano un po’ come quelli della ditta ACME (Company Making Everything) di Wile E. Coyote e Beep Beep: a furia di volersi occupare di tutto (scie chimiche, terremoti artificiali, segnali subliminali, vaccinazioni di massa, falsi allunaggi etc.) poi non ne azzeccano una manco per sbaglio.
Nonostante la manifesta imbecillità umana nel progettare e mettere in pratica conflitti militari quasi in ogni angolo del pianeta, programmare la distruzione dell’equilibrio biologico con la deforestazione selvaggia, l’inquinamento dei mari e il riscaldamento globale, la popolazione mondiale è in continuo aumento e l’accesso a Internet è oramai praticamente diventato un Diritto Fondamentale della Persona; in questo modo anche gli stolti possono guadagnarsi un minuto di celebrità  inventando inverosimili panzane come la Terra Piatta 4.

Conclusioni

Per finire mi riallaccio al preambolo iniziale: l’analfabetismo funzionale. Se non si è in grado di capire un testo anche elementare, seguire compiutamente un dibattito etc., è assai difficile poi distinguere il confine tra una burla, una truffa oppure un complotto. Tutto appare reale e credibile; anche la più colossale fandonia. Diversi anni fa feci un esperimento sociale; niente di malizioso e senza alcuna valenza scientifica: proposi a una persona, oggi tra i miei più cari amici e che ora mi starà senz’altro leggendo, una rilettura alternativa dell’epopea umana partendo addirittura dall’estinzione dei dinosauri. Misi insieme alcune sciocchezze prese qua e là insieme a dati reali, ci confezionai attorno una cronistoria fantastica avvincente, ma soprattutto coerente. Più tardi svelai al mio amico l’arcano dimostrandogli quanto sia facile inventarsi una fantasia; in seguito, con la sua complicità, ho ripetuto tale bufala in una pagina social e ho visto che nessuno ha contestato la mia narrazione, anzi: essa era presa per vera perché apparente confermava altre loro sbagliate credenze.
Questo dimostra che è infinitamente più semplice credere che l’Allunaggio del 1969 e quelli successivi siano stati girati in qualche studio cinematografico da Stanley Kubrick (il regista di 2001: Odissea nello spazio) perché è più appagante fantasticare su un complotto mondiale che impegnarsi per capire l’immenso sforzo di ingegneria occorso per raggiungere la Luna. Ma anche ragionando un attimo soltanto su questo punto, si può notare subito quanto però sia difficile, e di conseguenza assurdo, nascondere un simile segreto che coinvolge, direttamente o indirettamente, decine di migliaia di persone per quasi cinquanta anni. E questo senza entrare in altri dettagli tecnici come la regolite lunare, l’apparente paradosso della bandiera che oscilla, le ombre e il cielo senza stelle nelle fotografie lunari.

Quindi nessun complotto o burla può reggere il vaglio di un principio fondante del metodo scientifico: a parità di informazioni su un certo fatto, il più semplice contesto che le racchiude è quello più probabilmente vero. Disegni, trame oscure, Nuovo Ordine Mondiale, perdonatemi il francesismo, sono tutte puttanate. Ma quando simili argomenti diventano dibattito politico, allora viene da chiedersi se davvero ci possa essere qualcosa di bacato nel nostro modo di concepire la democrazia.
Sì, qualcosa di sbagliato c’è, e a mio avviso la risposta sorprendente è che ancora nonostante tutto non c’è ancora abbastanza democrazia e che dovremmo  trovare assolutamente il modo di rimediare. Quando a uno qualsiasi di noi non viene consentito, per motivi economici o sociali, di formarsi culturalmente, di ricevere una istruzione al passo della società e di conseguenza di evolversi come Cittadino Consapevole, allora la Democrazia arretra, rinuncia al suo più importante obbiettivo: farsi Popolo .