Study suggests that dinosaurs were warm-blooded

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Una errata interpretazione delle diverse scale temporali comporta una sottovalutazione dei tassi di crescita degli animali estinti, come i dinosauri.

La convinzione che i dinosauri fossero a sangue freddo (eterodermi) come i coccodrilli è ancora comune, nonostante che molti studi in passato abbiano indicato che il loro meccanismo biologico di termoregolazione fosse una sorta di via di mezzo tra il nostro (omeotermia) e quello dei rettili, detto mesotermia.
Nuovi studi sulla velocità di crescita dei dinosauri 1 suggeriscono che essi erano molto più simili agli animali a sangue caldo moderni di quanto si fosse finora sospettato tanto da poter sostenere che la dicotomia fra animali  a sangue freddo – a sangue caldo non è poi così scientificamente corretta, ma che i dinosauri si possono considerare come l’anello di congiunzione tra i il mondo dei rettili (ex. i coccodrilli), gli uccelli 2 e il nostro.

Sorgente: Study suggests that dinosaurs were warm-blooded


Note:

 

Studi sulla possibile violazione del principio di esclusione di Pauli: intervista a Catalina Curceanu

Il Principio di Esclusione di Pauli afferma che i fermioni (particelle fondamentali dotate di spin semi-intero: quark e leptoni) possono occupare solo uno stato quantico alla volta e non condividerlo con nessun’altra particella uguale. Solo 2 elettroni possono condividere lo stesso orbitale: uno di spin -1/2 e l’altro di spin opposto +1/2 (il segno dello spin indica l’orientamento nello spazio rispetto all’orbitale uno dritto e uno capovolto ↑↓ ).
Per questa semplice regolina la materia è solida, la sedia non cede sotto il nostro peso, non possiamo attraversare le pareti e se urtiamo un mignolo del piede contro uno spigolo questo ci fa un male boia (Effetto Pauli 1)

 

Sorgente: Stiamo studiando la possibile violazione del principio di esclusione di Pauli: intervista a Catalina Curceanu | Frascati Scienza


Note:

Physics-Astronomy: Antimatter haze found in thundercloud, and the laws of physics can’t explain it

Ebbene sì, durante le tempeste di fulmini si generano coppie di elettroni – positroni. Il positrone è la copia esatta dell’elettrone ma di carica elettrica opposta, per questo è antimateria. Il bello è che quando una coppia elettrone – positrone si incontrano essi annichiliscono, cioè si convertono in energia elettromagnetica pura pari a 2 fotoni \(\gamma\) da 511 kev.
Si pensa infatti che i fulmini si comportino come degli acceleratori naturali di particelle, accelerando elettroni a velocità prossime a quelle della luce, generando così raggi gamma che poi danno origine a loro volta alle coppie \(e^- / e^+\).
Il problema è che però vengono osservati più picchi gamma corrispondenti all’annichilazione di quanto i modelli matematici che descrivono i fulmini prevedano. Allora, da dove vengono gli altri?

Sorgente: Physics-Astronomy: Antimatter haze found in thundercloud, and the laws of physics can’t explain it

La Zona Galattica Abitabile

La quasi quotidiana scoperta di pianeti extrasolari pone il problena di dove guardare per trovarne di simili alla Terra [cite]http://goo.gl/kgCavI[/cite] potenzialmente in grado di sostenere la vita. Per i sistemi planetari si parla di Zona Goldilocks o Circumstellar Habitable Zone  (CHZ) [cite]http://goo.gl/gnyLKr[/cite] ma è da supporre che analoghe considerazioni valgano anche le galassie.

 

lifeFondamentalmente lo sviluppo della Vita complessa richiede che almeno tre punti siano soddisfatti:

 

  1. La presenza di una fonte di energia costante per tempi cosmologici (oltre il miliardo di anni (\( 1\  G_{yr}\)).
  2. Elementi pesanti necessari a formare pianeti di tipo terrestre [cite]http://goo.gl/dYFao2[/cite].
  3. Ambiente sufficientemente al riparo dalle radiazioni più nocive che potrebbe mettere a rischio ogni forma di vita e la sua formazione.

 

In base a questi vincoli si deduce che il confine interno di una Galactic Habitable Zone (GHZ) è delimitato dalle perturbazioni gravitazionali e radiativi del nucleo galattico che sono di ostacolo alle biosfere planetarie stabili, mentre il limite esterno è fissato dall’indice minimo di metallicità  1 necessario alla formazione dei pianeti [cite]http://goo.gl/dYFao2[/cite]. Pertanto è evidente di come la GHZ sia vincolata dalla morfologia, evoluzione chimica ed età delle popolazioni stellari della galassia.

Una fonte di energia costante: le stelle

img_9186Una fonte costante e continua di energia sono le stelle durante la loro permanenza nella Sequenza Principale. Ma non tutte le stelle possono considerarsi adatte a sostenere la vita come la conosciamo. Le stelle più massicce hanno un ciclo vitale molto breve: dai 200 mila anni di una Wolf-Rayet con una massa superiore alle 20 \(M_{\odot}\) fino ai 3 \(G_y\) per le F0 (1,6 \(M_{\odot}\)).
Ma non è solo una questione di ciclo evolutivo: certi studi ampiamente discussi sul sito gemello [cite]http://goo.gl/7waC7J[/cite] indicano una certa correlazione tra la massa stellare e la possibilità di possedere un sistema planetario. In pratica le stelle migliori ad ospitare un sistema sono stelle di massa inferiore a 1,5 -1,6 \(M_{\odot}\). Queste sono stelle di taglia medio-piccola e piccola che possono garantire almeno 4 \(G_y\) e oltre di permanenza nella Sequenza Principale e rappresentano almeno i 70 -75% delle stelle in una galassia alla stesso stadio evolutivo della nostra.

Il ruolo della metallicità delle stelle

La nebulosa “Occhio di Gatto” generata da una stella gigante tipo AGB.

La nebulosa “Occhio di Gatto” generata da una stella gigante tipo AGB.

La vita come la conosciamo è basata sull’esistenza di tanti elementi chimici più complessi dell’idrogeno ed elio, che gli astronomi chiamano per semplicità metalli, che vengono creati all’interno di stelle di grande massa e che vengono rilasciati nello spazio alla morte di queste con immani esplosioni di supernova e ipernova.  Senza questi metalli non possono formarsi i pianeti rocciosi, le atmosfere complesse, l’acqua e così via. Per comprendere meglio il ruolo dei metalli nella delimitazione di una GHZ è necessario partire dall’inizio della storia evolutiva delle galassie.
Tralasciando l’importante ruolo della materia non barionica 2 nella formazione delle galassie, dal collasso delle imponenti nubi di gas primordiale protogalattico composto unicamente da idrogeno e deuterio si formò una prima generazione di stelle: quelle più massicce si stabilirono presso il centro gravitazionale, mentre quelle più piccole (classe K e M [cite]http://goo.gl/ccspTg[/cite]) andarono a creare quello che oggi chiamiamo alone, una regione pressappoco sferica di stelle a bassa metallicità (Popolazione II e III) che circonda le galassie [cite]http://goo.gl/EnxEGT[/cite].
Nel giro di appena un miliardo di anni invece, le stelle più massicce del centro galattico  si sarebbero convertite in supernovae espellendo i loro metalli che avrebbero arricchito il mezzo interstellare esterno al nucleo. Le onde d’urto avrebbero poi innescato una seconda ondata di formazione stellare; stelle un po’ più piccole ma ricche di metalli che avrebbero poi potuto possedere anche dei pianeti rocciosi (Popolazione I). Di fatto, questo meccanismo implica che la GHZ migri nel tempo da posizioni relativamente più vicine al nucleo a porzioni sempre più esterne del disco man mano che la disponibilità di metalli aumenta verso la periferia galattica [cite]http://goo.gl/yMLtCS[/cite] 3.
Comunque, anche se è vero che un certo tenore di metallicità indica la presenza di elementi chimici complessi necessari alla formazione dei pianeti rocciosi, alcuni studi statistici sui pianeti extrasolari scoperti mostrano che esiste una pericolosa correlazione tra la presenza di grandi pianeti massicci in orbita stretta e l’alto tasso di metallicità riscontrato nella loro stella ospite [cite]http://goo.gl/Zg9L6A[/cite] [cite]http://goo.gl/Xmwa8O[/cite].  Questo curioso aspetto potrebbe escludere la presenza di pianeti più simili alla Terra che si trovano all’interno della loro CHZ e di fatto escludere dalla GHZ anche i pianeti in orbita a stelle con una metallicità elevata.
Pertanto già basandosi solo sull’indice di metallicità stellare si può abbozzare una prima stima dimensionale di una GHZ; un valore eccessivo potrebbe impedire la formazione di pianeti di taglia terrestre nella zona Goldilocks della stella ospite quanto una scarsa metallicità potrebbe impedirne proprio l’esistenza!

L’inabitabilità del nucleo galattico

Lo sconvolgente panorama del cielo visto su un pianeta immerso nel nucleo galattico.

Lo sconvolgente panorama del cielo visto su un pianeta immerso nel nucleo galattico.

Deve esserci una vista magnifica verso il Centro Galattico. Mille e mille stelle di ogni colore e taglia renderebbero un qualsiasi pianeta perennemente immerso in un perenne crepuscolo senza fine, intervallato da una fonte di luce più accecante proveniente dalla sua stella. Peccato che un pianeta simile possa essere tanto ostile alla vita umana e, probabilmente, ad ogni altra.
Sulla Terra il campo geomagnetico contro i raggi cosmici prima, e l’efficace scudo di ozono contro i raggi ultravioletti poi, hanno permesso alle primitive forme di vita acquatiche di  ergersi sulla terraferma.

\(O_3 +X \rightarrow XO + \ O_2 \ (dove \ X \ sta \ per \ O, \ NO, \ OH, \ Br \ e \ Cl) \)

L’ozono è una molecola triatomica dell’ossigeno altamente instabile perché cede facilmente il suo terzo atomo ad altri atomi come azoto, idrogeno, bromo e cloro. Alcuni di questi elementi sono già presenti nella stratosfera (azoto,ossigeno e idrogeno) o rilasciati dai vulcani, dal vapore acqueo e dagli oceani. La fotodissociazione indotta dalle radiazioni nell’alta atmosferica  scinde le molecole dei gas in singoli atomi molte volte più reattivi

  • N 2 -> 2N
  • O 2 -> 2O
  • CO 2 -> C + 2O
  • H 2 O -> 2H + O
  • 2NH 3 -> 3H 2 + N 2

finendo per  produrre:

  • NO 2 (consuma fino a 400 molecole di ozono)
  • CH 2
  • CH 4
  • CO 2

Ma un pianeta immerso nel nucleo galattico subirebbe un bombardamento di raggi cosmici che neanche l’azione combinata dell’eliosfera della sua stella e del campo magnetico planetario potrebbero fermare. Un tasso di radiazione appena 100 volte superiore a quello che mediamente investe la Terra [1.  Il flusso di raggi cosmici che normalmente investe la Terra è di \(9 \times 10^4 \ ergs \cdot cm^{-2} \cdot yr^{-1}\).] è sufficiente affinché la produzione naturale di monossido di azoto nella troposfera impedisca la formazione di uno strato di ozono stabile.
Il monossido di azoto quindi reagisce con altri atomi di ossigeno liberi trasformandosi nel micidiale diossido di azoto, un micidiale gas rossastro che tende a depositarsi al suolo. Qui il diossido di azoto è libero di convertirsi in acido nitrico e altri nitrati rendendo inospitali alla vita sia la superficie solida del pianeta che gli eventuali oceani [cite]http://goo.gl/3uHfS8[/cite].
Un flusso altrettanto simile di radiazioni può essere provocato dalle esplosioni di supernova di tipo II [cite]http://goo.gl/Fuu07j[/cite] entro un raggio di 10 pc dal pianeta [cite]http://goo.gl/1yGBu8[/cite], che presso i nuclei galattici sono statisticamente superiori che nel resto della galassia. Per questo nello stabilire una GHZ coerente occorre tener conto del rischio che eventuali esplosioni di supernova e RGB possano sterilizzare un pianeta che giace entro un raggio ben più grande del nucleo galattico.

Finora non sappiamo se la vita ha origine da materiali e reazioni chimiche che avvengono sul pianeta o sono frutto di una sequenza molto più antica che inizia già nello spazio interstellare (molte recenti scoperte spingono verso questa seconda ipotesi [cite]http://goo.gl/paIV6U[/cite]). Ma le stesse radiazioni ionizzanti che possono sterilizzare un pianeta possono benissimo distruggere i composti organici nelle comete e non solo.
Studiando le orbite dei resti della formazione stellare 4 (che per il Sole chiamiamo Nube di Oort) appare subito evidente che tanto più un sistema planetario si avvicina al nucleo galattico tanto più il pozzo gravitazionale di questo influenza e distorce le orbite dei resti cometari fino a disperderli o a farli precipitare verso il sistema planetario interno [cite]http://goo.gl/a4OajM[/cite]. Anche in questo caso i pianeti interni sarebbero continuamente sterilizzati dall’incessante bombardamento cometario a cui sono costretti.

Conclusioni

Naturalmente il concetto di GHZ fin qui espresso non è da considerarsi assoluto; possono esserci altre condizioni astrofisiche che qui non sono state prese in considerazione in grado di espandere o contrarre la zona galattica abitabile. Magari altre forme di vita potrebbero essere abbastanza tenaci da svilupparsi e prosperare anche in ambienti a noi ostili o comunque dove non ce lo aspetteremmo. Poi anche qui, nella periferia galattica esistono piccole stelle con un basso tenore di metalli e magari senza pianeti interessanti accanto a supergiganti capaci un giorno di sterilizzare altri mondi nel raggio di diversi parsec. Detta così quindi la GHZ può essere molto più frastagliata e meno definita della più nota Circumstellar Habitable Zone ma non per questo è meno intessante studiarla.

 

Una eclissi quasi alla cieca

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Un collier di immagini dell’eclissi. Il sorriso del celebre gatto di Schrödinger potrebbe essere così 🙂

E così l’eclissi del 20 marzo scorso è passata.
Intanto voglio pubblicamente ringraziare Stefano Cardinali per il prezioso aiuto dato durante la mattinata osservativa e per la sua piacevole compagnia. Ma cominciamo dall’inizio.
Una serie di disguidi e ritardi nella consegna di alcuni materiali (alcuni li ho ricevuti a eclissi finita!) hanno quasi compromesso miei propositi di immortalare il raro fenomeno.
Tanto per fare un esempio, i fogli di Baader Astrosolar li ho ricevuti, anche questi con diverse tribolazioni, solo il giovedì 19 alle 13:00! Così,  tra preparare così i nuovi filtri, che hanno però funzionato subito benissimo, le videocamere, i cavalletti etc. è passato il  resto della serata senza aver alcun modo di testare tutto.
Anche la scelta del sito di osservazione non è stata semplice.
Il sabato precedente all’evento ebbi il classico colpo di genio 1: usare la celebre Piazza del Campo di Siena come sfondo! Ero a conoscenza dei vincoli a cui sono sottoposte ogni forma di ripresa non occasionale della Piazza, e così provai a chiedere le autorizzazioni.
Nonostante la tempestiva e cortese risposta dei funzionari del Comune, ormai era troppo tardi per ottenere l’autorizzazione alle riprese e quindi ho dovuto ripiegare sul più tradizionale sito spesso usato per le mie riprese. 
A questo punto non posso che mostrarvi queste foto, che non avranno certo uno sfondo particolare, ma sono state sempre fatte col cuore!

 

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Il momento del massimo dell’eclissi.

IMG_9480

Una delle fasi iniziali dell’eclissi. vicino al bordo sinistro è possibile scorgere la macchia solare 2303. Le altre regioni attive presso il bordo occidentale sono troppo deboli per essere qui riprese.

eclipse

Sequenza di tutta l’eclissi nel suo cammino apparente nel cielo. Ogni fotogramma dista 3 minuti e 36 secondi dal successivo. i primi 8 fotogrammi sono stati ripresi con un tempo più breve rispetto ai successivi.

Eclissi di Sole 20 marzo 2015!

 

Quella che vedete qui sopra è la simulazione della prossima eclissi di Sole visibile dall’Italia Centrale. I tempi sono espressi in CET.

Come si può osservare dalle proiezioni cartografiche in basso (figure 1 e 2), l’area di non non totalità si estende dalla Groenlandia fino al Nord Africa, abbraccia tutta l’Europa e arriva fino a poco più della metà della regione russa dell’Asia e alcune regioni mediorientali.
Le immagini successive (figure 3 e 4) mostrano rispettivamente i tempi del fenomeno (in UTC) per le principali località del mondo interessate dall’eclissi e i tempi previsti per alcune città italiane (sempre in UTC).
Per osservare un’eclissi di Sole è necessario prendere alcune importanti precauzioni:
Non guardare mai il Sole ad occhio nudo, con dei semplici occhiali da sole, con semplici maschere da saldatore 1 o vetrini affumicati con la candela 2 ! I danni che si possono causare alla retina sono spesso irreversibili.Un buon filtro solare sicuro lascia passare solo lo 0,003 % della luce solare visibile e lo 0,5 % della radiazione infrarossa, pertanto tutti i gli altri filtri possono arrecare danni agli occhi. Vi consiglio pertanto di acquistare occhialini costruiti con una pellicola speciale chiamata Astrosolar della Baader Planetarium, studiata apposta per un uso astronomico.
Le medesime precauzioni vanno prese per tutti gli strumenti ottici: mai esporre direttamente macchine fotografiche, binocoli, cannocchiali e telescopi direttamente verso il Sole senza un’adeguata protezione a monte con i filtri solari appropriati: è sicuramente pericoloso per i vostri occhi, per le stesse attrezzature e potreste anche addirittura provocare un incendio. Quindi prestate sempre la massima attenzione quando vi accingete a osservare il Sole.

In alternativa, ma non me ne assumo alcuna responsabilità, mostro come si possono autocostruire occhialini di cartone adatti all’osservazione solare:

  1. Ritagliate una figura come il modello qui sotto sul cartoncino bristol:
  2.  e su un foglio di mylar o di Astrosolar™ una maschera come in questo disegno:
  3. Incollate con un filo sottile e continuo sul bordo di colla cianoacrilica la maschera al telaio in cartone e verificate che non passi la luce da alcuna altra parte se non dagli spazi preposti.

Il mylar si può acquistare nei negozi di ottica e astronomia: è simile al poliestere argentato con cui vengono incartate le uova di pasqua. L’importante è che non presenti difetti, grinze o buchi. La parte argentata deve essere rivolta verso l’esterno e la superficie deve essere priva di qualsiasi difetto o forellino, basta osservarla controluce ad una lampada ad incandescenza per accertarsene. Il mylar che invece si trova nelle cartolerie non è invece adatto, in questo sfortunato caso, se proprio volete, è bene usare almeno due maschere sovrapposte, sempre col lato argentato rivolto all’esterno, ma il suo uso è a vostro rischio e pericolo.

 

Total  Eclipse  of  2015 Mar 20Local Plot

Fig. 1

Total  Eclipse  of  2015 Mar 20 - World map

Fig. 2

world

Fig. 3

it

Fig. 4

 


Note:

 

Curiosity conferma le emissioni sporadiche di metano su Marte

Mille indizi non fanno una prova. In giurisprudenza questo è vero, in fondo è meglio un colpevole libero che un innocente in galera. Ma a vedere i dati che che le sonde automatiche su Marte restituiscono ogni giorno fanno credere che forse una prova definitiva sulla presenza o meno di forme di vita sul pianeta non è tanto lontana da essere scoperta.

 

Le misure del metano atmosferico di Marte rilevate dallo spettrografo del Curiosity.

Le misure del metano atmosferico di Marte rilevate dallo spettrometro TLS del Curiosity.

È notizia del dicembre scorso che lo strumento Tunable Laser Spectrometer (TLS) (che fa parte della schiera del laboratorio automatico Sample Analysis at Mars (SAM)) a bordo della Mars Science Laboratory Rover (Curiosity) [1. Il Tunable Laser Spectrometer è  stato progettato per  misurare gli isotopi del carbonio nell’anidride carbonica (CO2) e nel metano (CH4) dell’atmosfera marziana.] ha mostrato nell’arco di 605 sol (i giorni marziani) corrispondenti a quasi un anno marziano, segnali di almeno un importante cambiamento episodico nella concentrazione di metano atmosferico [cite]http://www.jpl.nasa.gov/news/news.php?release=2014-432[/cite] che è passato da 0,7 ppbv a circa 7 ppbv per un periodo di circa 60 sol per poi ridiscendere ai valori precedenti.
L’origine di questo improvviso aumento di metano, ma soprattutto la sua repentina discesa, non è semplice da spiegare; come del resto la quasi costante presenza di metano sul Pianeta Rosso.

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Come dimostra la tabella qui a fianco, su Marte c’è pochissimo metano persistente nell’atmosfera ma c’è. Le radiazioni solari ultraviolette che arrivano fino al suolo marziano indisturbate, dissociano queste molecole [cite]http://goo.gl/7OD3x8[/cite] in tempi piuttosto brevi, circa 300 – 350 anni o giù di lì. Questo significa che comunque una o più fonti rilasciano più o meno continuamente metano nell’atmosfera marziana [cite]http://ilpoliedrico.com/2012/07/le-misteriose-origini-del-metano-marziano.html[/cite] contribuendo a mantenere la debolissima ma costante presenza di questo gas.
Finora i risultati dei satelliti come il Mars Express e il Mars Global Surveyor e le osservazioni da Terra 1 avevano mostrato risultati abbastanza contraddittori che potevano essere scambiati come cattiva interpretazione dei dati, tant’è che lo stesso Curiosity fino al 2013 non aveva mai mostrato che tenui tracce del discusso gas [cite]http://goo.gl/NOgZba[/cite] facendo così pensare che su Marte non vi fosse alcuna attività metanogena importante in atto.
Ora però i nuovi dati, che sono stati oggetto di studio anche di un team guidato da Francisco Javier Martín-Torres, dell’Istituto andaluso di Scienze della Terra (CSIC-UGR) [cite]http://goo.gl/tD3Z1X[/cite], mostrano che invece una qualche attività sporadica metanogenica su Marte esiste.
Adesso che l’esistenza di questi pennacchi è stata confermata da strumenti presenti sulla superficie, ora resta da capirne le origini. Il confronto con i dati meteorologici raccolti dallo stesso Curiosity nello stesso arco di tempo potrà far luce se si tratta di fenomeni stagionali o meno; un altro passettino in avanti per carpire i misteri del Pianeta Rosso.


Note:

 

Buon anniversario SDO

Solar Dynamics Observatory 
This video is public domain and can be downloaded at: http://svs.gsfc.nasa.gov/goto?11742
 

Pages_from_417176main_SDO_Guide_CMRSono passati cinque anni e l’osservatorio orbitale Solar Dynamics Observatory (SDO) non ha mai smesso un momento di stupirci con le sue immagini della cromosfera e della superficie del Sole. Da alcuni considerato il successore dell’ancora funzionante Solar and Heliospheric Observatory (SOHO), in realtà sono due osservatori che si completano fornendo un quadro senza precedenti del Sole e della sua attività. Per questo basta vedere gli strumenti di bordo dei due osservatori spaziali disponibili sui due siti ufficiali per rendersene conto.
Con le sue riprese nell’ultravioletto estremo accoppiate con i dati dell’attività magnetica solare SDO ha aiutato gli astrofisici a comprendere meglio i meccanismi che sono alla base di molti fenomeni solari come ad esempio le espulsioni di massa coronale (CME),  i buchi coronali, l’evoluzione dell’attività del Sole tra i periodi di minimo e massimo del suo ciclo undecennale.
Agli occhi di un profano potrebbe sembrare assurdo spendere soldi per uno studio così approfondito e continuo del Sole; dopotutto è lì da diversi miliardi di anni e continuerà ad esserci ancora per qualche altro miliardo, quando dell’umanità non esisterà più neanche il ricordo. Invece, osservare una CME per tempo e arrivare a comprenderne i meccanismi di innesco è di enorme importanza per la nostra civiltà. Una CME che investe il nostro pianeta può mettere fuori uso i satelliti di comunicazione e di navigazione, disturbare gli strumenti degli aerei di linea fino a provocare blackout elettrici su aree più o meno vaste della Terra.
È giusto quindi studiare e tenere sott’occhio i capricci della nostra stella da cui, ricordiamoci sempre, dipende la nostra esistenza.

Fotografare il cielo: l’astroinseguitore (2a parte)

Prosegue il ciclo dedicato allo studio della tecnologia degli astroinseguitori speriando che possa in futuro suscitare interesse anche presso la Comunità degli autocostruttori italiani.
La fonte principale di questa puntata è ripresa dalla pagina inglese di Wikipedia.

 

I vari schemi apparsi su Sky & Telescope nel 1988

Fig. 1
I vari schemi apparsi su Sky & Telescope nel 1988

Lo scopo di un astroinseguitore è quello di muovere una macchina fotografica con la stessa velocità con cui si muove la volta celeste senza per questo usare, o comprare,  una costosa montatura equatoriale. I motivi di questa scelta possono essere i più disparati: si può immaginare che tra i più comuni vi siano l’ingombro, la facilità di stazionamento, il costo, etc.
L’unica cosa da tenere sempre ben presente è che anche un astroinseguitore richiede il puntamento preciso del suo asse verso il Polo Nord Celeste esattamente come una qualsiasi altra montatura equatoriale da telescopi. 
Non starò a ripetere la storia di questo strumento, per cui come ho promesso, adesso un po’ di teoria. 

 

Scotch_mount

Fig. 2

Qui è rappresentato lo schema più semplice, detto a braccio singolo e vite senza fine verticale, o tangente all’asse di rotazione sul cardine. Il problema è che questo schema introduce degli errori nella velocità angolare tanto più ci si discosta lungo la tangente teorica dalla circonferenza immaginaria del cerchio di raggio Rtan.
La precisione di inseguimento non supera i 5 – 10 minuti a basse focali (< 50 mm), il che non lo rende affatto adatto per pose a lunga esposizione e grandi obiettivi.

Isoscele-mount

Fig. 3

Una parziale soluzione è questa con la vite senza fine montata di sghembo, seguendo una linea secante tra i due vertici della vite e il cerchio immaginario Riso. in questo modo la deviazione tra la velocità angolare dello strumento e la velocità siderale sarà molto ridotta rispetto al primo schema, ma non nulla. La massima deviazione si avrà attorno alla metà corsa della vite per poi di nuovo ridursi verso la fine. Con questa configurazione si possono raggiungere fino a circa 20 minuti di esposizione sempre con basse focali.

Curved_rod_mount

Fig. 4

Come si sarà intuito, la soluzione migliore per uno schema a singolo braccio è quello di curvare la vite secondo una circonferenza di raggio Rarc. In questo modo ogni errore introdotto dalla linearità della vite dei modelli precedenti decade[cite]http://www.garyseronik.com/?q=node/52[/cite].
Con un’accurata sincronia col moto celeste, questa configurazione può virtualmente estendere all’infinito il tempo di esposizione; in pratica, errori nella creazione dell’asta curva e nella velocità dell’asta possono vanificare la bontà di questa soluzione.

Double-arm-mount

Fig. 5

Una novità introdotta nel 1988 da Dave Trott e pubblicata su Sky & Telescope fu la soluzione a doppio braccio, che a fronte di una maggiore complessità di progettazione e realizzazione rispetto ai modelli precedenti qui sopra illustrati, la precisione nell’inseguimento è molte volte superiore, permettendo di ottenere addirittura tempi di esposizione di oltre un’ora.  In sostanza un secondo braccio mobile semplicemente appoggiato al primo consente quel grado di libertà necessario per trasformare il movimento lineare della vite senza fine in movimento circolare su cui appoggia la fotocamera. 

Era quel salto qualitativo che gli astrofili che non potevano permettersi una vera montatura equatoriale da tanto attendevano; a quei tempi non erano disponibili reflex a CCD così economiche come oggi e per il profondo cielo si usavano ancora pellicole ed acidi. Era frustrante scoprire che il lavoro di una notte era stato inutile.

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Questa tabella mostra l’errore di inseguimento in secondi d’arco calcolata per gli schemi proposti dalla rivista Sky & Telescope nel 1988 e visibili qui all’inizio dell’articolo (Fig. 1).
Il quarto schema  a doppio braccio consente, in via del tutto teorica s’intende, di arrivare fino a 75 minuti di esposizione senza che l’errore apparente superi il secondo d’arco.  Per questo infatti è l’approccio più studiato oltre a quello del braccio singolo e vite curva (Fig. 4), costruttivamente più semplice.

Fig. 5a
RISO.II = distanza tra il fulcro del braccio pilota (rosso) e la vite motrice (giallo) lungo la base portante (grigio).
B = distanza tra punto di contatto del braccio pilota con il braccio della fotocamera (blu) e il suo fulcro.
C = distanza tra i fulcri dei due bracci lungo la base portante.

Osserviamo ora in dettaglio la figura 5a che rappresenta uno schema a doppio braccio di tipo 4, il più interessante. In questo schema il braccio pilota nella configurazione a isoscele aziona un secondo braccio su cui è montata la fotocamera. Esperimenti degli astrofili americani su questo schema hanno evidenziato che esistono condizioni particolari in cui l’errore di inseguimento è ridotto al minimo. Queste si ottengono quando il rapporto (che potremo chiamare β) tra la lunghezza del segmento B  e la distanza dei  fulcri rosso e verde (segmento C) è tra 2 e 2,186. L’angolo $\Phi$ attraverso cui il braccio della fotocamera si muove è dato da:
\begin{equation}
\Phi = \Theta+ arcsin \frac{sin\ \Theta}{\beta}
\end{equation}

Caratteristiche_filettatura

Fig. 6

La distanza invece tra il fulcro e il braccio motorizzato (rosso) RISO.II stabilisce direttamente la velocità di inseguimento del sistema tenendo conto del passo della vite motrice e la sua rotazione espressa in giri al minuto. 
In Europa, dove vale il sistema metrico decimale, il passo (fig. 6) posseduto dalle barre filettate i commercio è espresso in millimetri. Una barra comune spendibile come esempio è la M6, dove 6 sta ad indicare il suo diametro medio, che è di 6 mm e ha il passo di 1,00 mm (vedi tabella).

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I motori passo-passo per uso hobbistico sono perfetti per questo tipo di congegni. Un comune NEMA 1 [cite]http://www.circuitspecialists.com/stepper-motor[/cite] con micropassi da 0,9° 2 è l’ideale per pilotare un astroinseguitore. Si tratta di un motore passo-passo che richiede ben 400 singoli impulsi (360/0,9)  per completare un singolo giro e che quindi può garantire una precisione di movimento molto fine, fino a un quarto di secondo; molto più di quella che si potrebbe richiedere ad un progetto a così basso costo .
Tenendo conto della lunghezza del giorno siderale in minuti e decimali (23h 56m 4,1″), ossia 1436,068, la velocità dell’asta motrice in secondi (supponiamo per semplicità di calcolo di farle compiere un giro in 60 secondi) e il suo passo (in questo caso 1,00 mm), con questa equazione dovremmo ottenere il valore di RISO.II:

\begin{equation}\label{eq:Raggio}
 R_{ISO.II}=\frac{\left (  (passo_{vite} *\frac{60}{secondi \times giro}\right )*1436,068}{2\pi}
\end{equation}

\[\rightarrow\]
\begin{equation}
 R_{ISO.II}=\frac{\left (  1,00\ mm * \frac {60}{60}\right ) *1436,068 }{2\pi}= 228,55 \ mm
\end{equation}

A questo punto credo di aver detto molto sulla teoria che sta dietro a questi congegni. Adesso valuterò l’idea per la realizzazione pratica di un astroinseguitore a doppio braccio di tipo 4 come quello descritto in questo articolo. Se avete idee, suggerimenti o critiche, oppure volete dare il vostro aiuto alla realizzazione di questo progetto, vi invito ad usare la form direttamente qui sotto o a scrivere direttamente a : astroinseguitore_at_ilpoliedrico_dot_com. 

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 (continua)


Note: