Neutrini più veloci della luce? forse sì forse no …

È di queste concitate ore la notizia che gli scienziati dei laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare  del Gran Sasso in collaborazione con quelli del CERN di Ginevra avrebbero scoperto che una forma dei neutrini associati al muone (\nu_\mu\,) supera la velocità della luce nel vuoto è 1 di circa 20 parti per milione.

Di per sé se venisse confermata la scoperta sarebbe semplicemente devastante: infatti per la meccanica relativistica niente può superare la velocità della luce purché abbia una massa – per quanto piccola – ma non nulla. E i neutrini, per pur piccola che sia, hanno una massa e per questo non dovrebbero nepure eguagliare la velocità della luce nel vuoto c, anche se dopo i fotoni sono le particelle più veloci.

Le prospettive che si aprirebbero a mio avviso possono essere sostanzialmente due:
la meccanica relativistica e la sua controparte quantistica potrebbero risultare essere una versione semplificata di una più ampia meccanica superluminare, forse una vera TOE (acronimo inglese per Theory Of Everything), un po’ come la meccanica newtoniana lo è per quella relativistica, oppure l’oscillazione neutrinica durante il percorso ha subìto uno strappo – ha preso una scorciatoia – sfruttando una di quelle dimensioni arrotolate che le bozze delle TOE attuali richiedono per essere coerenti.
Infine potrebbe anche essere un errore di riduzione dei dati raccolti, uno di quelli a cui proprio non si penserebbe mai, un po’ come quando si perde un pomeriggio a cercare gli occhiali e che poi si hanno sulla testa.

Basta, tra tunnel spaziali, passaggi extradimensionali, sto solo facendo della fantascienza anche se l’occasione di dire la mia era troppo ghiotta anche a costo di scadere nel ridicolo per lasciarla perdere.
Aggiungo solo che i dati della – per ora presunta – scoperta sono disponibili su Arxiv a questo indirizzo. Leggeteli e poi venite a commentare qui, o sul forum o su Facebook.

 

UARS 23/09/2011: la fine di un satellite

UARS Artist Concept - Credit: NASA

L’Upper Atmosphere Research Satellite (UARS) è stato un satellite per lo studio dell’alta atmosfera, in particolare ha monitorato la qualità dello strato di ozono che protegge la Terra dalla radiazione ultravioletta del Sole.
Al momento del lancio nel 1991 il satellite pesava 5.900 kg e la sua missione doveva durare solo tre anni, ma il buono stato degli strumenti ha permesso di prorogarla fino al 2005, quando l’UARS fu dismesso nel dicembre di quell’anno e immesso in un’orbita di rientro.

Dopo 6 anni quel momento è arrivato.
Il rientro dell’UARS è previsto per il 23 settembre (domani), con lo scarto di un giorno.

Immagine del satellite UARS ripresa dall'astrofilo Jim Saueressig II il 20 settembre 2011 a Burlington, Ks. Notate la luminosità della traccia nonostante il crepuscolo mattutino. - Credit: Jim Saueressig II

Per ora non è possibile fare previsioni certe su quale sarà l’area della caduta.
La NASA per questo ha disposto un servizio RSS per gli aggiornamenti.
Si prevede che la disintegrazione della UARS produrrà una palla di fuoco che potrebbe essere visibile anche in pieno giorno.
Ma non tutti i frammenti bruceranno durante il  rientro nell’atmosfera:  secondo gli esperti della NASA ci potrebbero essere fino a 26 detriti 1 potenzialmente pericolosi  che impatteranno la superficie in un’area di 4-500 chilometri di raggio alla velocità di 44 metri al secondo.

 Potete seguire le ultime orbite del satellite UARS attraverso il link utile che ho messo a disposizione nella colonna a lato cliccando su Satellite Tracking Flyby e cercarlo nel cielo. Buona fortuna!

La Nebulosa Polletto

 

 

 

Osservate questa meravigliosa immagine della Nebulosa Lambda Centauri, nota anche come IC 2944.
L’Osservatorio europeo meridionale (ESO) ha pubblicato questa immagine di oggi (21 settembre 2011) ripresa col Wide Field Imager sul telescopio MPG/ESO da 2,2 metri a La Silla,Cile.
Si tratta di una nube di idrogeno, illuminata da calde stelle appena nate nella costellazione del Centauro.

Qualcuno ci vede la testa di un rosso polletto,  voi?

Dalla longitudine alla velocità della luce, storia dei satelliti Medicei

…il giorno 7 gennaio del corrente anno 1610.
all’una di notte , mentre osservavo gli astri
celesti con il cannocchiale, mi si presentò
Giove, e dato che mi ero allestito uno
strumento davvero eccellente, mi avvidi che gli
stavano vicino tre Stelline invero piccole , ma
assai luminose…e mi destarono una certa
meraviglia perché, per il fatto che sembravano
disposte secondo una precisa linea retta e
parallela all’Eclittica e più luminosa di altre
di pari grandezza.
(Sidereus Nuncius, Galileo Galilei)

 

Credit: Il Poliedrico

Oramai tutti noi abbiamo presente la planimetria del nostro globo, la foma dei continenti e – più o meno – dove sono le più importanti città del mondo.
Ora per ricavare le coordinate assolute in ogni punto del pianeta richede solo una manciata di secondi e un qualsiasi navigatore GPS incluso oramai anche in moltissimi telefonini.
Beh, una volta non era così. La latitudine non era un problema, bastava misurare l’altezza della Polare per stabilirla, ma fino all’avvento delle radiocomunicazioni che permettevano la trasmissione istantanea dei segnali di tempo, era un problema calcolare la longitudine di un qualsiasi luogo.
La longitudine infatti si calcola misurando in maniera più precisa possibile il tempo locale e facendo la differenza con il tempo del meridiano di riferimento (adesso Greenwich Mean Time (GMT)).
Galileo Galilei, studiando i moti dei Satelliti Medicei si accorse ben presto che questi vanno incontro a periodici transiti dietro il pianeta gigante (occultazioni) o dietro il suo cono d’ombra (eclissi), tanto  precisi  da poterli usare come un orologio celeste.
Nel frattempo una delle potenze mondiali di allora, la Spagna, aveva promesso col suo re Filippo III una ricompensa a chiunque avesse trovato un efficace rimedio al principale problema della navigazione di allora, la determinazione della longitudine, causa principale di innumerevoli sciagure e naufragi dell’epoca.
Galilei mise a punto delle effemeridi e propose il suo metodo ai reali di Spagna, ma fu bocciato dai consiglieri del re 1.
Il metodo galileiano per produrre longitudini esatte vide il successo solo dopo la morte dell’astronomo pisano, e solo sulla terraferma, dove si poteva disporre di osservatori più stabili di un cannocchiale sul ponte di una nave. Per queste vide il successo di cronometri sempre più precisi ed affidabili 2, che facevano ricorso a un altro principio fisico scoperto da Galileo Galilei: l’isocronismo del pendolo.

Nella seconda metà del seicento, Giovanni Cassini (lo scopritore della omonima divisione negli anelli di Saturno e della celebre Macchia Rossa di Giove0) e il suo assistente danese Ole Rømer all’Osservatorio di Parigi si accorsero che vi erano delle discrepanze tra i tempi previsti dei transitti dei Satelliti Medicei e la posizione di Giove e la Terra lungo le loro orbite, in particolare i transiti anticipavano quando la distanza tra i due pianeti era minima e posticipavano quando questa era massima.
Questa fu la prima conferma sperimentale che la velocità della luce è finita. Rømer la calcolò in 210.800 chilometri al secondo, un valore inferiore a quello reale di 299.792,458 km/s dettato unicamente dalla scarsa precisione degli strumenti che Rømer e Cassini avevano a disposizione.
Come amo ripetere ai miei figli non è importante un calcolo sbagliato, quanto capire il concetto e arrivare alle conclusioni giuste. Rømer lo fece.

AP Columbæ una neonata molto vicina

Illustrazione di un gigante gassoso orbita attorno a una stella nana rossa simile a AP Columbae. (Credit: Harvard-Smithsonian Astrophisical Center)

Su questo pianeta era trascorso molto tempo dal”estinzione dei dinosauri di 65 milioni d’anni fa. Era infatti il tempo in cui si svilupparono le antenate delle prime protoscimmie che avrebbero portato al genere umano, circa 40 milioni di anni fa. Nascevano allora le grandi catene montuose come le Alpi e l’Himalaya per l’effetto della deriva dei continenti.
Il mondo allora era molto più caldo di oggi: il clima artico era più simile a quello della Foresta Amazzonica attuale che a quello della tundra odierna.

 Mentre la vita biologica su questo Pallino Blu 1 prosperava, ad appena 27 anni luce di distanza un altro miracolo si compiva: una piccola nana rossa grande appena un terzo del nostro Sole si accendeva.

AP Columbae
Epoca j2000 (ICRS)
Costellazione Colomba
Ascensione retta  06h04m52.16s
eclinazione  -34°33'36.1" 
Caratteristiche
Tipo spettrale M 5 D
Tipo di variabile Nessuno
Luminosità (bolometri) 0,001 L
Temperatura 3700 Kelvin
Età 0,04 Miliardi di anni

AP Columbæ, una debole stellina rossa dell’emisfero sud,  è ancora in fase di presequenza principale,  praticamente una stella ai primi bagliori di vita, la cui distanza è stata calcolata con precisione col sistema della parallasse.
Questa importante scoperta è frutto di una collaborazione internazionale tra il Centro di Astrofisica e Scienze dello Spazio dell’Università della California e la Scuola di Ricerca di Astronomia e Astrofisica dell’Università Nazionale Australiana (ANU).
Simon Murphy, che simpaticamente nella sua homepage si definisce un proto astronomo, è uno dei coautori della ricerca e fa presente che nonostante che AP Columbæ sia studiata da almeno 15 anni, solo ora si sono apprese le sue caratteristiche più peculiari: la sua distanza e la sua età.
Per la distanza non ci sono stati particolari problemi, questa è stata misurata col metodo della parallasse 2, ma l’età?

La risposta a questa domanda è nelle proporzioni degli elementi chimici che compongono la stella.

AP Columbae - Credit: Centre de Données astronomiques de Strasbourg

Dall’analisi spettrale della luce di AP Columbæ è stata rilevata una anomala percentuale di litio, un metallo alcalino che si è prodotto unicamente durante la prima nucleosintesi dell’Universo, quella del Big Bang insieme all’idrogeno, all’elio e al berillio. Il litio concorre al processo di fusione termonucleare della stella abbassando la soglia di innesco della fusione: la presenza di litio in una stella indica quindi che questo non è stato ancora consumato e che la stella è molto giovane.
Ricapitolando: attraverso l’analisi della luce e dello spettro si possono ricavare una quantità incredibile di informazioni di    una stella: dimensioni, massa, temperatura e perfino l’età con ragionevole approssimazione.
In questo caso si è scoperto che questa stella è circa un terzo della massa del Sole, è  luminosa appena un millesimo di questo, e ha una temperatura superficiale di appena 3700 Kelvin.
La poca distanza di AP Columbæ dalla Terra (ripeto, questa è di appena 27 anni luce) la rende un ottimo laboratorio per verificare le nostre teorie sulla formazione dei pianeti extrasolari, in particolare dei giganti gassosi – o gioviani – che per ora in qualche modo riescono ancora a sorprendere gli astronomi.

Chissà, forse per Gaia c’è un altro buon bersaglio da studiare.

Gaia, il coltellino svizzero del Cosmo

Colgo l’occasione per ringraziare l’astronomo Marco Castellani dell’Osservatorio Astronomico di Roma per aver condiviso alcune slide su Gaia da cui poi ho tratto questo articolo.

Rappresentazione artistica del telescopio spaziale Gaia Credit: ESA

Immaginate di possedere un obiettivo, un cannocchiale o – se preferite – un telescopio tanto potente e preciso da misurare lo spessore di un capello di un turista a Cosenza stando in cima al Monte Rosa.
Che attraverso questo formidabile strumento possiate vedere quanto pesa, che età ha e perfino di misurare la brezza che gli scorre sulla faccia mentre cammina.

Questo formidabile oggetto esiste e si chiama Gaia, acronimo di Global Astrometric Interferometer for Astrophysics.
Gaia è una sonda dell’ESA che nel 2013 andrà a prendere il posto di Hipparcos, l’altro famoso satellite che ha misurato con una accuratezza finora non raggiunta la posizione e la velocità radiale di ben 100000 stelle con una precisione di 2 millisecondi d’arco.
Gaia promette di andare molto più in là:  misurerà la posizione, la distanza, e  il moto proprio con una precisione di circa 7 μas (un microarcosecondo è 1 × 10−6 secondo d’arco, ovvero un milionesimo di arcosecondo) per le stelle fino alla settima  magnitudine (il mitico spessore del capello a 1000 km di distanza), 20 μas dalla 8 alla 15a magnitudine, e di 200 μas fino alla ventesima, per un totale quindi di circa un miliardo 1 di stelle – In realtà alcune incertezze risentiranno del colore della stella in esame.
Di queste saranno prese misure spettrofotometriche e di velocità radiale, consentendo così di avere la prima mappa stellare 3D dinamica del nostro angolo di cielo completa di composizione chimica delle stelle, permettendoci così di avere un quadro preciso della storia della Galassia e della sua evoluzione.

Gli indicatori standard
La luminosità di un oggetto varia con l’inverso del quadrato della distanza dall’osservatore.
Per esempio la luce di un lampione osservata a 100 metri di distanza apparirà 4 volte più brillante di uno a 200 metri e 9 volte più brillante di uno a 300 metri. Quindi sapendo la luminosità assoluta del lampione e misurando con un fotometro l’intensità luminosa del lampione osservato, si può calcolare la sua distanza dall’osservatore.
Questo è il principio base con cui vengono calcolate le distanze in astronomia.
Ci sono alcune classi di stelle variabili – Cefeidi, RR Liræ, Mira Ceti – la cui curva di luce  è legata alla luminosità assoluta, e questo ha permesso di calcolare la loro distanza e di conseguenza dell’ambiente in cui si trovano con un lieve margine di incertezza. Questo ha permesso di calibrare altre candele standard come le novæ e le supernovæ di tipo Ia.
Dopodiché si è cercato altri tipi di candele standard come la tipologia delle galassie etc, ma come potrete immaginare ìl margine di incertezza cresce con l’aumentare della distanza.

Se questo può sembrare poca cosa, Gaia farà in grande quello che già sta facendo Kepler nei pressi del Cigno: Kepler usa il metodo fotometrico, ossia la curva di luce dovuta ai transiti planetari, Gaia – oltre a questo sistema – misurerà anche le velocità radiali delle stelle consentendo addirittura di calcolare le masse in gioco e le loro orbite planetarie: un enorme passo avanti per la nostra conoscenza di altri pianeti 2.

In campo extragalattico Gaia potrà fornire un quadro più ampio di conoscenze attraverso la fondamentale opera di ricalibrazione degli indicatori di distanza che ci permettono di stimare le distanze su scala universale, la scoperta di altre lenti gravitazionali e quasar e il continuo monitoraggio delle supernovæ extragalattiche, mentre all’interno del sistema solare contribuirà a scoprire ed osservare molti corpi minori -alcuni potenzialmente pericolosi per la Terra – come gli asteroidi Near-Earth e quelli della cintura di Kuiper 3.

Se pensate che tutto questo sia poca cosa, Gaia studierà anche la curvatura dello spazio-tempo attraverso la curvatura della luce stellare in prossimità del Sole, come previsto dalla teoria della Relatività Generale  di Einstein.

Se vi pare poco ….

 

 

 

 

 

Una fine prematura per la Cometa Elenin?

Cometa Elenin fotografata dall'osservatorio solare STEREO B. Credit:NASA

Forse C/2010 x1 (Elenin) non ce la farà.
Qualche giorno prima che uscissi con l’articolo su di lei, il 19 per l’esattezza,  la cometa Elenin è stata centrata da una delle tanti eruzioni solari di  questo periodo di avvicinamento al Massimo del Ciclo Solare, compromettendo forse la sua sopravvivenza oltre il perielio, mentre era più o meno all’altezza dell’orbita di Venere.
Secondo Ian Musgrave, un astrofilo australiano che ha lavorato sulle immagini riprese dalla sonda STEREO H1B che si è accorto dell’incidente  1 la luminosità della cometa e della sua coda sono diminuite dell’80%, facendo pensare – legittimamente – che il CME che ha investito la cometa l’abbia in parte dissolta.

Pensandoci bene, le caratteristiche orbitali estrapolate a ritroso suggeriscono che la cometa Elenin provenga dalla fascia più esterna della Nube di Oort, come avevo evidenziato la volta scorsa.
Questo spiega abbastanza bene come la cometa sia meno densa della media e significa anche che la sua composizione sia particolarmente ricca di sostanze volatili che una volta raggiunto il sistema solare interno sublimano in fretta sotto l’azione poderosa del vento solare, il che spiegherebbe la notevole chioma e coda registrati tra luglio e agosto  in fase di avvicinamento a cui avevo accennato.

Il flare che ha investito C/20010 X1 era inaspettato ma che forse ha degradato la cometa fin quasi alla sua più che probabile disintegrazione al perielio, dove tra forze mareali e calore del Sole 2 metterà in gioco la sua resistenza -ed esistenza.
Se effettivamente dovesse accadere sarebbe un peccato per la mole di informazioni che potrebbe ancora darci sul suo luogo di provenienza, la Nube di Oort, di cui a stento possiamo ancora avanzare delle ipotesi.
Se accadrà, avremo probabilmente un nuovo sciame di stelle cadenti da ammirare con stupore, alla faccia dei Catastrofisti della Fine del Mondo.

C/2010 X1 (Elenin) una cometa abbastanza banale

ISON
International Scientific Optical Network (ISON)
è una organizzazione internazionale non governativa coordinata dall’Istituto Keldysh di Matematica Applicata dell’Accademia Russa delle Scienze con lo scopo di tracciare i rifiuti spaziali e i corpi minori come comete, asteroidi etc.Questa organizzazione coinvolge gli osservatori astronomici dell’ ex Unione Sovietica (FSU) e chiede agli astrofili di partecipare alle sue attività scientifiche.
Coinvolge a livello internazionale 11 paesi -tra cui l’Italia- con 23 impianti di osservazione universitari e privati.

C/2010 X1 al momento della scoperta 1

C/2010 X1 (Elenin), conosciuta anche con il nome del suo scopritore Leonid Elenin, un astrofilo russo che la notò per primo il 10 dicembre 2010 sulle lastre riprese dall’osservatorio robotizzato di Mayhill, New Mexico, uno dei 23 osservatori sparsi nel mondo che partecipano al progetto ISON, checché ne dicano i soliti catastrofisti della fine del mondo 2, è una banalissima cometa di lungo periodo – 11800 anni! – che avrà il suo perielio il 10 settembre prossimo.
la C/2010 X1 (Elenin) ha probabilmente origine dalla fascia esterna della Nube di Oort, a circa un anno luce dal nostro Sole, dove impiegava 5,7 milioni di anni per compiere una sola orbita.
Testimone della sua gioventù è la sua chioma, che è passata in poco tempo da 80000 a 200000 chilometri di diametro 3, indicando una più che discreta attività nucleare che non potrà che accentuarsi verso il perielio e che forse potrà riservarci piacevoli sorprese.
Per quella data (10/9/2011) purtroppo la cometa Elenin sarà invisibile dall’Italia essendo prospetticamente vicina al Sole.
Sarà invece visibile con una magnitudine di 6 4 dall’inizio del mese di ottobre prima dell’alba ai confini tra le costellazioni della Vergine e del Leone, dove raggiungerà i 5 gradi a nord di Regolo il 10/10, mentre tra il 14 e il 15 transiterà vicino a Marte.
Al momento della minima distanza dalla Terra, il 17 ottobre Elenin sarà visibile come un oggetto tra la sesta e la settima magnitudine  a 6 gradi a nord dell’ammasso aperto M44, conosciuto anche come il Presepe 5, parallelo all’Asinello Boreale al centro della costellazione del Cancro.
Il 20 ottobre invece Elenin incrocerà l’orbita terrestre passando a 35,6 milioni di chilometri dal pianeta, un niente su scala cosmica, ma pur sempre 92 volte più lontano della Luna.
Ma – secondo me – il clou si avrà – cielo permettendo – nei giorni tra il 21 e 24 novembre, quando Elenin transiterà  accanto all’ammasso delle Pleidai seppur enormemente affievolita dall’enorme distanza ormai raggiunta (ha raggiunto ormai l’orbita di Marte): si stima che per allora avrà una magnitudine visuale intorno a 11, osservabile solo con strumenti di generoso diametro e con cieli scuri.

Fotoritocco: come nascondere l’inquinamento luminoso

Credit: Il Poliedrico

Questa è l’immagine originale, tolto il Master Dark, ovvero il rumore elettronico del sensore CCD.
Come potete vedre, l’immagine è comunque sbiadita, poco definita nonostante i ben 20 secondi di esposizione come rilevano i dati EXIF:

Image size      : 3888 x 2592
Camera make     : Canon
Camera model    : Canon EOS 1000D
Tempo di esposizione: 20 s
Apertura diaframma: F4
Lunghezza focale: 27.0 mm
ISO speed       : 800

La colpa principale è dell’inquinamento luminoso che maschera il segnale utile con l’orribile patacca gialla che prende quasi tutta l’immagine.
Siccome è impensabile costruire una flat box per un banale 18-55 che non è stato – ovviamente – progettato per le riprese del cielo notturno, e che comunque il rumore dell’inquinamento rimarrebbe, ecco dunque come elaboro le mie foto per ricavarne il massimo dell’informazione disponibile.

 

Credit: Il Poliedrico

Per l’elaborazione uso Gimp, un software di fotoritocco potente altrettanto quanto il più famoso Photoshop 1, ma con licenza GNU GPL, il che lo rende immediatamente disponibile legalmente e gratuitamente per chiunque rispetto ai software commerciali, è disponibile per qualsiasi piattaforma operativa GNU/Linux, MS Windows 2, Apple Mac OsX 3.

Cominciamo a caricare l’immagine (potete salvare e usare quella qui sopra per le prove) che vogliamo correggere e immediatamente aumentiamo la luminosità dell’immagine complessiva agendo sulle curve di colore del livello.
In questo modo si renderanno visibili molti particolari in più,  in questo caso stelle, ma si accentuerà anche il rumore di fondo dell’inquinamento luminoso, ma quello non è un problema. Attenzione a non strafare giocando con le curve, il rischio di creare artefatti e di rovinare così l’immagine è sempre in agguato.

 

Credit: Il Poliedrico

A questo punto è necessario creare due nuovi livelli dell’immagine visibile dal menù a discesa di Gimp Livello -> Nuovo dal visibile su cui operare come riportato in figura.
Il livello Visibile#1 lo spengiamo cliccando sull’occhietto a sinistra nella finestra Livelli. Poi selezioniamo il livello inferiore, il Visibile, e lo impostiamo in modalità Solo toni scuri – o “Darken only” se possedete la versione inglese.

 

Credit: Il Poliedrico

Selezioniamo il movimento di livello con questo pulsante nella finestra Strumenti e clicchiamo sull’immagine di livello nella finestra principale. Poi con le freccie spostiamo il livello Visibile fino a mascherare completamente le stelle.
È meglio in questo caso usare le frecce per ottenere l’effetto voluto, è più  preciso del movimento del mouse e più facile poter tornare indietro per non eccedere nel movimento del livello.
Una volta ottenuta l’informe poltiglia- in questo caso marrone – è bene uniformare il tutto con un paio di passaggi di sfumatura gaussiana per nascondere ogni traccia residua di informazione reale. A volte per ottenere informazione è necessario distruggere altra informazione.
Ora si possono fondere verso il basso  il livelli Visibile con lo sfondo e ottenere così un unico livello Sfondo – in modalità normale, mi raccomando –  e Visibile#1.

 

Credit: Il Poliedrico

Adesso riaccendiamo Visibile#1 e lo impostiamo in modalità differenza et …. voilà: il rumore dell’inquinamento luminoso è scomparso, lasciando intatta l’informazione originale, ossia le stelle.
A questo punto si può di nuovo giocare con le curve di colore per migliorare ancora l’immagine, ma sempre senza eccedere.

 

Credit: Il Poliedrico

Questo è il risultato finale. Non sarà un granché, i trucchi con i filtri e i livelli permettono molte più cose, come ad esempio correggere il mosso delle stelle causato dalla lunga esposizione, etc., ma intanto avete scoperto come nascondere il fastidioso inquinamento luminoso che è ormai inevitabile nei centri urbani, il che credo non sia poco.

Un’ultima cosa: lavorate sulle immagini grezze in formato RAW o PIC o TIFF quando potete, i risultati saranno migliori.

 

 

 

 

 

 


Un punto esclamativo cosmico!


Credit: X-ray NASA/CXC/IfA/D.Sanders et al; Optical NASA/STScI/NRAO/A.Evans et al

 

 

 

Pare un gigantesco punto esclamativo in mezzo al cosmo, in realtà sono due galassie a spirale che stanno per collidere. VV 240 Nord è quella di sopra, vista di taglio e VV 340 Sud quella di sotto, vista di fronte.
È più o meno quello che accadrà anche alla Via Lattea e M 31, ossia la celebre galassia di Andromeda, il più lontano oggetto visibile a occhio nudo: 2,5 milioni di anni luce, tra qualce miliardo di anni. Peccato che con tutta probabilità non saremo lì a vedere questo spettacolo.
Chi pensa a chissà quale casino darà eco lo scontro si sbaglia: lo spazio fra le stelle è perlopiù vuoto, con un po’ di polvere e gas nobile qua e là che verrà compresso in nuove stelle e pianeti. Qualche onda di marea spingerà qualche stella nello spazio intergalattico, ma niente di più.
Chi si aspetta uno scontro fisico tra due stelle temo che resterà deluso, a meno che quelle due stelle  non siano particolarmente jellate, allora in tal caso consiglio alle eventuali forme di vita intelligente di quei sistemi di andarsi a cercare un posticino più sicuro da qualche altra parte.
Arp 302 (così si chiama l’insieme delle due galassie) può anche sembrare una lama di luce che sta per trafiggere un cuore innamorato, o una scintilla che sta per entrarvi, ma siccome nord e sud in questo caso possono apparire solo come convenzioni, io le immagino insieme capovolte, uno splendido fiore che aspetta soltanto di essere odorato 1