Finalmente riapre l’Allen Telescope Array

 

 

Alcune antenne dell'Allen Telescope Array

Finalmente, nonostante la crisi globale che attanaglia il mondo 1, la ricerca SETI  per l’intelligenza extraterrestre è tornata in pista, grazie a più di 200.000 dollari in donazioni da migliaia di fans, dopo il blocco parziale della ricerca con il fermo dell’Allen Telescope Array, come dissi a suo tempo in questo articolo.

Thomas  Pierson dichiara che i guai finanziari non sono stati completamente risolti, ma già si pensa di riattivare l’array nel mese di settembre.

Dopo che la ricerca scientifica con l’array di antenne era stata sospesa per problemi di fondi, una mobilitazione di donazioni via Web, nota come SETIstars, è iniziata nel mese di giugno e circa 45 giorni dopo, il 3 agosto, i contributi hanno raggiunto l’obbiettivo dei 200.000 dollari.
Questo era quanto serviva al SETI Institute per riattivare la ricerca con l’Allen Telescope Array.

Jodie Foster in Contact

Tra i collaboratori del SETIstars ci sono l’attrice Jodie Foster, nota per il ruolo di scienziato protagonista nel film  “Contact” 2; lo scrittore di fantascienza Larry Niven, creatore della serie di romanzi “Ringworld“; l’ astronauta Bill Anders dell’Apollo 8, la prima spedizione che raggiunse la Luna con equipaggio umano nel 1968.
In una nota che accompagna il suo contributo, Anders ha scritto: “È assolutamente irresponsabile che la razza umana non cerchi delle prove di intelligenza extraterrestre”.

Adesso l’istituto SETI è  alla ricerca di modi per abbattere  i costi operativi di almeno 1,5 milioni di dollari all’anno, più un altro milione dalle operazioni scientifiche per rendersi completamente indipendenti dall’Università di Berkeley.
Gli astronomi del SETI Institute sperano di utilizzare l’ATA per ascoltare i segnali provenienti dai sistemi planetari più promettenti individuati dalla sonda Kepler della NASA.
Jill Tarter, direttore dell’istituto di ricerca SETI, ha detto in aprile che i fondi necessari per questa importante ricerca richiederebbero almeno 5 milioni di dollari.

Intanto SETIstars rimarrà aperto per ricevere altre donazioni, chi vuole può continuare a donare qualcosa.

Un Sole … petomane

Voglio ringraziare Tutti i lettori e le lettrici di questo blog per gli importanti traguardi che abbiamo insieme raggiunto. La classifica di Wikio Scienza aveva classificato Il Poliedrico al 71° posto appena questo si è proposto alla loro classifica il mese scorso. Questo mese Il Poliedrico ha raggiunto il 22° posto, appena fuori dalla Top Twenty, risultato che francamente non mi aspettavo, almeno non così presto. Non credo che questo traguardo possa essere mantenuto, ma col vostro aiuto e incoraggiamento ci proverò, anzi ci proveremo. Anche i fans sulla pagina Facebook hanno raggiunto oggi quota 60 iscritti, e anche questo successo lo dedico a Voi.

Da sinistra verso destra: AR1263 e AR1261 . Credit: Steve Yezek, Iowa (USA)

Questa foto, scattata da Steve Yezek a est di Plymouth, Iowa, il 31 di luglio scorso, mostra quelle che finora sono state le più grandi macchie solari visibili in questo ciclo solare (il numero 24).

Il 2 di agosto il gruppo AR1261 ha generato un lungo flare di classe M1 e una espulsione di massa coronale a 900 chilometri al secondo proprio diretta verso la Terra.

 

Credit: GSFC/NASA

CVD, ovvero Come Volevasi Dimostrare, il giorno seguente AR1261 si è ripetuto con un altro flare di classe M6, dando un rinforzino a quello precedente.
Utilizzando i dati messi a disposizione dalle sonde STEREO e SOHO, gli analisti del meteo spaziale del Goddard Space Flight Center della NASA hanno messo a punto un modello tridimensionale sul cammino nello spazio del CME del 2 agosto.

Siccome non c’è 2 senza 3, il  giorno 4 agosto AR1261 non  ha infatti deluso il motto: infatti alle 03:57 UT ha scatenato un terzo  flare di classe M9 con conseguente CME da 1950 km/sec. capace di spazzare via i due precedenti nella loro corsa verso la Terra, arrivo previsto per il giorno 5 verso le 14:00 UT, con un margine di più o meno 7 ore.

Aurora nella regione di Cumbria (nord dell'Inghilterra) 5/6 agosto 2011 Credit: Raymond Gilchrist

La tempesta geomagnetica è arrivata infatti verso le 18:00 UT del 5 agosto 2011 comprimendo la nostra magnetosfera e facendo scattare l’allarme per i satelliti e le centrali elettriche 1, ma generando bellissime aurore visibili persino nel sud dell’Inghilterra, cosa che non succedeva dal 2003 2, nel Minnesota, nello Utah, in Germania e in Polonia.

Intanto, mentre il gruppo AR1261 dava sfoggia di sé con magnifiche eruzioni di plasma coronale, il gruppo AR1263 raddoppiava le sue già considerevoli dimensioni raggiungendo i 50000 chilometri di estensione  mentre si apprestava a tramontare per la Terra.

Come inizio mese non c’è stato male.

Ufo, ufini, ufetti … uffa …

Non è tutto UFO quel che si vede in cielo

Malgrado l’estrema variabilità di questa strana estate, si sta bene fuori la sera. Poi questo è il periodo principe per le agognate vacanze, di riposo dal lavoro e lo  studio, deelle sagre e festicciole varie all’aperto, delle stelle cadenti d’agosto …

Carino vero? È soltanto un gadget. - Credit: http://walyou.com/cool-ufo-night-light-gadget/

L’altra mattina una notizia sparata in  prima pagina sul giornale locale e ripresa in quarta con l’articolo completo, narrava di un avvistamento di strane luci apparse improvvisamente  nel cielo che sembravano muoversi in direzione del capoluogo, poi scomparse poco dopo, come hanno potuto constatare le Forze dell’Ordine subito avvertite dell’inusuale avvistamento che infatti non hanno notato niente di insolito.

Trovo più che giusto avvisare le Autorità se si assiste a qualcosa di veramente inusuale, ma perché sia veramente inusuale intendo dire che dopo aver fatto mente locale sulle possibili spiegazioni, non ce sia qualcuna in grado di spiegare il fenomeno in maniera diversa dal classico UFO.

 

Lanterne cinesi al festival Loi Kratong a Mae Jo, vicino Chiang Mai – Credit: Wikipedia

La maggior parte di noi conosce il volto di questo o questa starlette del cinema o del gossip o dello sport, ma sono più che sicuro che avrebbe difficoltà a riconoscere una costellazione dello Zodiaco (mentre poi magari consulta gli oroscopi per scegliere pure il colore dei calzini!) o una congiunzione planetaria, figuriamoci un flash di un satellite o il transito della Stazione Spaziale Internazionale.
Poi ci sono tantissimi fenomeni di origine più… terrena, come fuochi pirotecnici, bengala o razzetti di segnalazione sparati per divertimento da qualcuno. Oppure le lanterne cinesi, piccole mongolfiere di carta con una candela che scalda l’aria al loro interno, che in alcuni paesi come la Svizzera o l’Australia sono vietate, ma che  -da noi – è diventato di moda usarle per festeggiare qualche evento particolare.

 

L’elettrosfera terrestre
L’elettrosfera è una regione ristretta della magnetosfera occupata da plasma chiamata ionosfera, più precisamente lo strato più basso di questa, a circa 30 chilometri di quota.
Questo strato ha una elevata conducibilità elettrica ed è essenzialmente ad un costante potenziale elettrico rispetto al suolo.
La ionosfera è il bordo interno della magnetosfera ed è la parte di atmosfera che viene ionizzata dalla radiazione solare.
La fotoionizzazione solare è un processo fisico nel quale un fotone incidente su un atomo , ione o molecola dell’atmosfera, provoca l’espulsione di uno o più elettroni .

Anche altri fenomeni naturali perfettamente normali come i miraggi dovuti all’inversione termica dell’aria che  in grado di deflettere la luce proveniente in alcuni casi anche al di là dell’orizzonte, possono essere responsabili di strani avvistamenti.
Rimanendo in ambito atmosferico l’amosfera e la terra sono come le due armature di un gigantesco condensatore sempre carico a causa della viscosità dell’aria, che poi così isolante elettrico non è. L’armatura a carica negativa è il suolo terrestre mentre quella a carica positiva è l’elettrosfera, uno zona variabile della ionosfera intorno ai 20-30 chilometri di altezza.
Se non fosse per la viscosità dell’atmosfera  che contribuisce a ricaricare costantemente questo condensatore 1 questo si scaricherebbe nel giro di pochi minuti .  Questo significa che siamo costantemente immersi in un campo elettrico che ogni tanto può dar luogo a fenomeni di scarica spontanea. Sono eventi estremamente rari,  ma pensate che un fulmine può arrivare a scaricarsi al suolo fino a 40 chilometri dalla tempesta che l’ha originato e che questa magari è oltre l’orizzonte di chi osserva.
Poi  ci sono fenomeni soggettivi che interessano direttamente la corteccia visiva chiamati fosfeni. Al di là del patologico, i fosfeni sono macchie o punti luminosi – da non confondersi con le mosche volanti che  sono un’altra cosa – prodotti dall’esposizione a campi elettromagnetici o a radiazioni ionizzanti 2 che possono dar luogo ad allucinazioni visive  di breve durata -generalmente al massimo qualche secondo – che generalmente non vengono neppure percepite, ma che in circostanze straordinarie appaiono come reali nel campo visivo.
Anche altri fenomeni naturali come i bolidi (meteoriti un po’ più grandi, che superano in magnitudine il pianeta Venere .4,6) che possono essere visti anche in pieno giorno o gli Earthgrazers possono sembrare qualcos’altro.
Poi ci sono macchine sperimentali di origine prettamente umana che non somigliano a niente di conosciuto, come alcuni velivoli militari con tecnologie Stealth, VTOL, STOVL più facili da incontrare intorno alle basi militari, oppure palloni sonda per il controllo meteorologico o addirittura amatoriali (vedi Una sonda di … polistirolo) che possono trarre in inganno.

Insomma, non è detto che ciò che vediamo e che non sappiamo ricondurre a qualcosa di noto è per forza un manufatto di una civiltà extraterrestre, di alieni che dopo aver fatto un viaggio di centinaia di anni luce si fermano a fare un picnic nel Chianti o un bagno nel Salento sperando di non essere notati.
Tutto ha una spiegazione più … terrena, basta avere la pazienza di cercarla.

Il piccolo mondo Vesta

Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

 

 

 

Vesta ripreso dalla sonda Dawn il 23 luglio 2011 da una distanza di 5200 chilometri dalla superficie. Credit: NASA/JPL/AP

Vesta (il cui nome completo è 4 Vesta) fu scoperto dall’astronomo tedesco Heinrich Wilhelm Olbers il 29 marzo 1807, dalla sua casa di Brema 1,  in Germania,  dove aveva il suo osservatorio privato.
Di Vesta conosciamo con tutta probabilità anche la composizione della sua crosta.
Infatti alcuni meteoriti ritrovati sulla Terra, le meteoriti HED 2 – conosciute anche con il nome di acondriti HED, si pensa che si siano originate in conseguenza di un grande impatto che Vesta ebbe circa un miliardo di anni fa con un altro corpo in prossimità del suo polo sud (questo spiegherebbe la forma patatoide 3 di Vesta) formando un gruppetto di asteroidi minori – circa il 5-6% della massa della fascia principale degli asteroidi pare provenga da quell’impatto – chiamata famiglia Vesta.
Alcuni di questi sarebbero stati spinti dall’azione gravitazionale di Giove verso la Terra, fino a diventare asteroidi NEAR e entrare in collisione tra loro: alcuni frammenti di queste collisioni  sarebbero poi caduti sulla Terra come meteoriti.
Vesta quindi con ogni probabilità un paio di miliardi di anni fa soltanto pur essendo di gran lunga più piccolo tra i pianeti (meno di un decimo di Marte), era forse il più grande planetoide esistente nel Sistema Solare interno, tanto da avere,  unico tra tutti gli altri asteroidi conosciuti, una differenziazione del nucleo, una sua piccola Catastrofe del Ferro.

Per queste sue caratteristiche uniche ed interessanti che potrebbero dirci molto sulla nascita del nostro Sistema Solare,  Vesta è stato fatto  oggetto di indagine e di studio dalla sonda Dawn della NASA che l’ha raggiunto il 16 luqlio 2011.
Dawn resterà in orbita intorno a Vesta fino al prossimo anno, poi si dirigerà verso l”altro grande protopianeta, Cerere, ma quella sarà un’altra storia che affronteremo in un altro momento, quando Dawn raggiungerà il suo secondo obbiettivo nel febbraio 2015. Restate sintonizzati.

Kn 61 la nebulosa planetaria giusta al posto giusto

Se ci soffermiamo al significato delle parole professionista – colui che esercita una professione intellettuale o comunque un’attività per cui occorre un titolo di studio qualificato  – e il dilettante – colui che pratica un’attività o si dedica a uno studio non per professione ma per amore della cosa in sé – forse in nessun altro campo di ricerca scientifico   la divisione tra ricercatori professionisti e dilettanti è così sottile e impalpabile. In astronomia è abbastanza comune infatti che le due categorie si sovrappongano e collaborino assieme per il progresso scientifico. Ed è infatti quello che è avvenuto anche in questo caso dove è stato chiesta la collaborazione di un gruppo un po’ particolare di astrofili per poter  confermare o confutare una teoria sulla morfologia delle nebulose planetarie che ossessiona da tempo gli astrofisici.

Credit: Osservatorio Gemini / AURA

L’astronomo dilettante austriaco Matthias Kronberger analizzando una regione del profondo cielo inserita nel Deep Sky Survey ha scoperto una nuova nebulosa planetaria  a cui ha dato il nome: Kronberger 61, o Kn 61.
Matthias Kronberg ,  fisico delle alte energie al CERN di Ginevra, è membro di un team di astrofili: i Deep Sky Hunters.
A questo team è stato chiesto da alcuni ricercatori professionisti un aiuto per analizzare la stessa porzione di cielo che attualmente è investigata dalla sonda Kepler, ed è lì che infatti sono state scoperte sei nebulose planetarie, di cui Kn 61 fa parte.

La missione Kepler della NASA analizza circa 105 gradi quadrati porzione di cielo nei pressi della costellazione del Cigno, tra Deneb (α Cyg) e Vega (α Lyr). L’intera area  è paragonabile a l’area quella di una mano tenuta a debita distanza. Il telescopio spaziale Kepler ha il compito di analizzare continuamente la luminosità di 150.000 stelle alla ricerca di  quasi impercettibili variazioni di luce. La presenza di un corpo minore compagno di una stella può provocare fluttuazioni di luminosità attraverso le eclissi. L’eventuale curva di luce ottenuta da questi sistemi stellari sarà comunque influenzata da altri fattori, quali l’albedo del corpo minore, il suo riscaldamento e le sue fasi astrali, come comunemente osserviamo nei corpi interni alla nostra orbita come Venere e Mercurio.

Le nebulose planetarie

Una stella simile al Sole, con una massa compresa tra le 0,8 e le 4 masse solari, passa circa il 90% della sua vita  (svariati miliardi di anni) nella fascia principale del diagramma Hertzsprung-Russell, fintanto che le sue reazioni nucleari interessano l’elemento principale della stella:  l’idrogeno.
Quando l’idrogeno nel nucleo finisce e la fusione si arresta, il peso stesso della stella la fa collassare innalzando le temperature del nucleo fino ad innescare la nucleosintesi del prodotto finale della reazione termonucleare precedente, in questo caso elio. Queste nuove reazioni fanno espandere la stella fino a diventare una Gigante Rossa. Finito di bruciare anche l’elio, il processo si ripete, finendo per innescare – se la massa è sufficiente – la fusione del prodotto di scarto precedente: il carbonio. Questa nucleosintesi è più energetica delle precedenti, e la pressione di radiazione risultante espelle gli strati più esterni della stella nello spazio dove formano un guscio di gas illuminato dal nucleo nudo della stella originale: una caldissima nana bianca.

Le nebulose planetarie di solito hanno forme particolari, che i ricercatori spiegano con la presenza di uno o più corpi minori che perturbano la fase di rilascio degli strati esterni della stella, mentre Kn 61 appare perfettamente simmetrica, come un perfetto palloncino.
Era proprio questo che speravano di trovare all’interno del campo osservato da Kepler, una nebulosa da poter studiare con strumenti fotometrici precisissimi come quelli della sonda Kepler da potrer confutare o meno la teoria che ritiene i corpi planetari minori quali responsabili delle stravaaganti forme delle nebulose planetarie.
Averne trovata una così perfetta come Kn 61 è un incredibile colpo di fortuna.

Orsola De Marco della Macquarie University di Sydney e del dipartimento di astrofisica dell’American Museum of Natural History che nel 2009 ipotizzò che le bizzarre forme di molte delle nebulose planetarie fossero da attribuirsi alla presenza di compagni stellari  minori o addrittura a sistemi planetari, è parte del team che attualmente sta studiando Kn 61 insieme allo scopritore austriaco Matthias Kronberg, George Jacoby del Giant Magellan Telescope e Steve Howell del team Kepler e sviluppatore di sistemi di indagine fotometrica.

 

 

Giorni di gloria

« Houston, Tranquility Base here. The Eagle has landed. »
Credit: Paolo Attivissimo

Io c’ero.
Ero piccino picciò, ma tra quei 600 milioni di esseri umani che videro atterrare l’Eagle sulla superficie lunare alle 22:17 ora italiana del 20 luglio 1969 c’ero anch’io 1.
Quella fu una data storica per l’umanità, che si strinse assieme a quei due astronauti, Neil Armstrong e Michael Collins –  mentre il caro Buzz Aldrin li aspettava sull’altra metà del modulo chiamato Columbia – in un autentico fraterno abbraccio per un attimo senza più confini etnici politici o religiosi.

Carl Sagan posa accanto a un modello del lander Viking che atterrò su Marte . Sagan esaminò i possibili punti di atterraggio per le Viking insieme a Mike Carr e Hal Masursky.

 

35 anni fa esatti su Chryse Planitia si posò il Viking 1.
Partito da Cape Canaveral il 20 agosto 1975, raggiunse l’orbita marziana il 19 giugno 1976. Il lander fu fatto atterrare il 20 luglio in un luogo pianeggiante e scientificamente interessante scelto tra gli altri da Carl Sagan. Fu la prima sonda interplanetaria a toccare il suolo marziano e la seconda più longeva: fu attiva fino al 1982, quando un errore di riprogrammazione che doveva allungare la vita delle batterie sovrascrisse le routine di puntamento dell’antenna verso la Terra.

 

Virgil Grissom accanto alla sua Liberty Bell 7

La missione Mercury-Redstone 4 (MR-4) del 21 luglio 1961 fu il secondo volo suborbitale con un uomo – americano – a bordo nell’ambito del programma Mercury.
Per l’astronauta Virgil “Gus” Grissom quel volo fu qualcosa di rocambolesco. Per cause non ancora del tutto chiarite il meccanismo esplosivo che apriva la capsula – che lui aveva battezzato Liberty Bell 7 2  in onore alla famosa Campana della Libertà di Philadelphia e ai sette astronauti del programma Mercury – si azionò subito dopo l’ammaraggio, inondando la capsula e facendola affondare nell’Oceano Atlantico. Grissom che per fortuna si era già tolto le cinture e tubi dell’aria della capsula riuscì a fuggire e a salvarsi.

La Liberty Bell 7 appena recuperata nel 1999

Grissom era stato indicato come primo astronauta del progetto Apollo e candidato ad essere il primo uomo sulla Luna al posto di Armstrong, ma morì  il 27 gennaio 1967 con i suoi compagni astronauti Edward White e Roger Chaffee nell’incendio dell’Apollo 1.
Il 20 luglio 1999 la Liberty Bell 7 di Virgil Grissom fu recuperata dal fondo dell’Oceano Atlantico 30 anni dopo lo storico sbarco sulla Luna di Neil Armstrong.

 

Quante cose possono accadere  il 20 luglio!

 

Un palcoscenico naturale

 

IMG037-1.jpgIMG032-1.jpgIMG027-1.jpg 
Credit: Il Poliedrico
Raggi crepuscolari e anticrepuscolari
I raggi crepuscolari sono generalmente visibili attorno ai crepuscoli, ossia alba o tramonto, e sono provocati da ostacoli lungo il cammino della luce del Sole come nubi o montagne.
Talvolta questi raggi riescono ad attraversare il cielo e apparentemente sembrano ricongiungersi dalla parte opposta al Sole (punto antisolare) e da qui il nome di raggi anticrepuscolari.
l’efffetto divergente dei crepuscolari e convergente degli anticrepuscolari è solo apparente e dovuto alla proiezione prospettica: in realtà sono raggi paralleli con un punto di fuga infinito.

Sono un tipo mattiniero.
Avendo per necessità, e qualche volta per sfizio, l’abitudine di alzarmi anche prima dell’alba, talvolta mi capita di vedere particolari fenomeni come questo che ho documentato stamattina.
Sembrava di assistere ad un concerto dal vivo, un palcoscenico immenso che annunciava un’altra maestosa alba.
Questi visibili nelle tre foto si chiamano raggi crepuscolari. Sono stati prodotti dalla luce del Sole ancora sotto la linea dell’orizzonte che ha attraversato il banco di nubi sullo sfondo.
Come ombre cinesi nel cielo, le nuvole hanno occluso parte della luce solare che invece è riuscita a passare negli squarci tra di esse.
Nel mentre il Sole guadagnava l’alba, questi spot hanno attraversato il cielo colorandolo di bande rosa e si sono ricongiunti dalla parte opposta, creando i piuttosto rari raggi anticrepuscolari che purtroppo non ho potuto fotografare 1.
Ma credetemi, alzarsi prima dell’alba può essere eccitante se  si sa ancora guardarsi intorno.

Buon anno Nettuno

 

 

Questa volta non starò qui a farla lunga sulle caratteristiche chimico-fisiche del pianeta Nettuno, in questo caso basta e avanza l’ottima pagina di Wikipedia, ma voglio raccontarvi quello che immagino sia successo una sera di tanti anni fa.

 

Credit: il Poliedrico

60 223 giorni fa – ora più ora meno- era la sera del  mercoledì 23 settembre 1846 in Europa (il continente terrestre, non il satellite di Giove!):

Johann Gottfried Galle puntò il telescopio dell’Osservatorio astronomico di Berlino verso la costellazione dell’Acquario, vicino al Capricorno, un po più a sinistra di Deneb Algedi.
Erano diverse sere che  il suo assistente Heinrich Louis d’Arrest insisteva di  osservare vicino a e Aqr che, secondo i calcoli di un francese, tale Urbain Le Verrier, avrebbe potuto trovarsi il presunto pianeta che sembrava perturbare l’orbita dell’ultimo pianeta – allora – conosciuto: Urano.
In effetti c’era qualcosa che sembrava muoversi leggermente rispetto alle altre stelle dello sfondo. Però poco sotto c’era quell’impiccione di Saturno che come al solito amava pavoneggiarsi nel cielo con i suoi inseparabili anelli.
“Ma non poteva, che so, spostarsi per intervento divino dall’altra parte dell’eclittica, almeno per stasera, il suo splendore proprio lì dà fastidio alle misurazioni di precisione, distrae!”  a questo pensava il buon Johann mentre dettava i valori dei micrometri al suo assistente.
“Eppure lì c’è qualcosa!”, pensò, “stai a vedere che il mio assistente aveva ragione. E pure quell’altro, quel francese, Urbano… Urbino…  Urbain, insomma lui! Loro hanno ragione! c’è qualcosa laggiù!”

 

Francamente non lo so, ma me lo immagino così Johann Galle che un mercoledì sera dopo cena scoprì Nettuno, ottavo e ultimo pianeta del nostro Sistema Solare 1.
Ora che Nettuno si trova a transitare nello stesso punto orbitale di allora e che quindi trascorso appena un anno nettuniano dal giorno della sua scoperta, chissà cosa avrebbe detto ora Galle guardando di nuovo in quella direzione col suo telescopio: “finalmente Saturno se n’è andato da un’altra parte”

Una nuvola in orbita

Credit: Babak Tafreshi e Oshin Zakarian

 

 

Il lanciatore Atlas V della Lockheed Martin

L’Atlas V è un razzo della Lockheed Martin ampiamente usato dagli Stati Uniti per immettere in orbita i suoi satelliti senza ricorrere al più costoso sistema di lancio degli Space Shuttle  1.

Il 15 giugno 2007 alle 15:12 GMT decollò dal Complesso 41 di Cape Canaveral un Atlas V potenziato con lo scopo di portare in orbita due satelliti per la sorveglianza navale del NRO (National Reconnaissance Office).
Purtroppo poco dopo il lancio un guasto al secondo stadio provocò una fuoriuscita di idrogeno che produsse la nuvola osservata dai due astronomi fotoamatori iraniani 2.

Infatti la nuvola si formò nella parte occidentale del cielo degli osservatori, quando per loro il Sole era da poco tramontato mentre Venere, Castore e Polluce erano ancora visibili prima del loro tramonto. Lo scarico del combustibile del razzo avvenne in una porzione di cielo ancora illuminata dal Sole che lo rese visibile.

Uno degli autori della foto 3, Babak Tafreshi è nato nel 1978 a Teheran ed è un fondatore e leader del movimento The World At Night e membro del consiglio di Astronomi Senza Frontiere.
Oltre che una meravigliosa passione, l’astronomia è anche un ottimo esempio di fratellanza tra i diversi popoli e culture, dopotutto il cielo è di tutti!

Vita, Intelligenza e Civiltà

La vita è un concetto talmente grande e a volte arbitrario che a fatica se ne possono definire i contorni, figuriamoci tentare di definire cose è intelligente o non lo è.

 

Cristalli di selenite delle grotte di Naica, Messico

In ogni dibattito scientifico si parte sempre da espressioni comunemente condivise, un linguaggio base comune. Quindi prima di usare certi termini come Vita, Intelligenza e Civiltà occorre partire da espressioni comuni e condivise su cosa significhino questi  termini, altrimenti tutto il resto è inutile.

La Vita

Da sempre filosofi e scienziati hanno dibattuto  su ciò che è vita e ciò che non lo è, quali sono le sue origini e quale possa essere il suo fine ultimo. Una discussione che forse non può avere scritta la parola fine, perché questo è uno dei pochi dibattiti fondamentali della razza umana, ovvero chi siamo e perché, da dove arriviamo e perché, dove andremo e perché:
c’è sempre un perché in ogni domanda, questa è una delle poche cose di cui possiamo esser certi.

Potremmo definire la vita come qualcosa che nasce, che si nutre, che si riproduce e che muore modificando l’ambiente che lo circonda, ma anche il fuoco nasce, cresce si nutre a scapito dell’ambiente, si può riprodurre e poi muore. Anche i cristalli nascono, crescono nutrendosi degli elementi chimici catturati nell’ambiente circostante  creando una struttura altamente organizzata e si riproducono. Eppure non si possono definire il fuoco o i cristalli vivi.
Dal punto di vista prettamente scientifico per Vita si intende un sistema che è essenzialmente in squilibrio termodinamico perenne – o stazionario – con l’ambiente e che sottrae energia per il mantenimento di questo squilibrio da ess0 1 2

La vita come la conosciamo qui sulla Terra lascia traccia della sua esistenza attraverso modifiche essenzialmente chimiche sull’ambiente, come ad esempio la liberazione dell’ossigeno molecolare nell’atmosfera ad opera delle piante o come depositi di calcare prodotti da miliardi di microorganismi morti nelle argille, ma non per questo la rivelazione di  alcuni di questi indicatori  indiretti esclude diversi processi chimici che possano ottenere gli stessi risultati. Questo si chiama principio di precauzione, ed è fondamentale per ogni seria e rigorosa analisi scientifica.

Alcuni corvi hanno sviluppato un comportamento intelligente

Per questo non è affatto facile distinguere un processo vitale da uno che non lo è,  scoprire la Vita tramite soltanto indicatori indiretti è molto difficile.

L’Intelligenza

Dopo tutte queste difficoltà per stabilire ciò che è vivo,  definire anche cosa possa essere considerato intelligente, non è affatto semplice.
Sulla Terra esistono innumerevoli forme di vita, dal protozoo all’uomo, dall’alga azzurra alla sequoia, tutte con diversi gradi di organizzazione sociale e ambientale.
Le alghe o i coralli ad esempio vivono in colonie dettate dall’ambiente, cioè dalla temperatura, dalla disponibilità di luce e nutrienti immediatamente disponibili; quando uno di questi fattori cambia o cessa queste colonie ambientali hanno tre scelte, le quali nessuna esclude l’altra: adattarsi alle mutate condizioni ambientali, migrare verso condizioni ambientali più favorevoli , o morire.
La sardina vive in banchi. Questi banchi si muovono in maniera ordinata e disciplinata alla ricerca di un ambiente ricco delle risorse necessarie al loro sostentamento, se attaccati da altri predatori, le sardine nei banchi si muovono all’unisono per difendersi, i banchi sembrano intelligenti,  ma non per questo si può definire la sardina un forma di vita particolarmente  intelligente.

 

Specie rapporto m.cerebr./peso
piccoli uccelli 1/12
uomo 1/40
topo 1/40
gatto 1/100
cane 1/125
rana 1/172
leone 1/550
elefante 1/560
cavallo 1/600
squalo 1/2496
ippopotamo 1/2789

Lo stesso dicasi ad esempio di formiche o delle api: creature animali che vivono in colonie capaci di manipolare direttamente l’ambiente, dotate di una struttura sociale complessa con mansioni e funzioni specializzate codificate dalla selezione naturale a livello genetico, che non sono frutto di una scelta individuale ma della sottospecie di appartenenza.
Negli animali superiori  ci si può riferire alla complessità dell’intelligenza osservando  la quantità di materia cerebrale in rapporto al peso corporeo, ma anche qui non si fanno enormi passi avanti, come si può vedere anche dalla tabella: dubito che un tordo o un piccione sia più intelligente di uno dei miei gatti, o che ognuno di voi lo sia quanto un comune topo. Almeno  questo criterio nudo e crudo per stabilire chi, cosa e quanto possa essere intelligente proprio non funziona.

Specie EQ
Uomo 7.44
Delfino 5.31
Scimpanzé 2.49
Elefante 1.87
Balena 1.76
Cane 1.17
Gatto 1.00
Cavallo 0.86
Pecora 0.81
Topo 0.50
Coniglio 0.40

Con le dovute correzioni, con i dovuti coefficienti l’equazione Massa Cerebrale/Peso Corporeo 3  migliora, ma a me sembra sembra sempre più un artificio matematico che un serio metodo scientifico di indagine.

Anche qui stabilire quale forma di vita sia intelligente o meno non è affatto facile.

 

 

La Civiltà

 

Uno dei simboli della nostra civiltà: il microchip

Volendo proseguire su questa strada si può affrontare il tema Civiltà:  cos’è che distingue una civiltà da un’altra?
Abbiamo avuto gli Assiri, gli Egiziani e i Cinesi che svilupparono diverse forme di scrittura più di 5000 anni fa, mentre pitture rupestri 4  già da dal 12000-10000 a.C. testimoniano probabilmente la volontà di trasmettere tracce storiche di eventi alle generazioni successive.
Ma ci sono civiltà che non hanno eretto templi maestosi e non hanno una storia scritta che nonostante tutto sono sopravvissute fino ai nostri tempi, popoli che non hanno conosciuto la scrittura o la nostra tecnologia fino a quando non li abbiamo incontrati, come diverse tribù di indios sudamericani o gli aborigeni australiani o popoli cosiddetti primitivi dell’Africa.
Non mi sento di definirli primitivi, perché il loro sviluppo intellettivo è come il nostro, solo che le loro civiltà hanno compiuto scelte radicalmente opposte rispetto alle nostre: prendono solo quello che trovano in natura, non sconvolgono i mari con la pesca intensiva, non distruggono l’ambiente che li circonda per poche risorse in più.
Il loro è un modello di società statica, ma non per questo meno funzionale del nostro, altrimenti si sarebbero già estinti.
Il nostro invece è un modello dinamico, in continua evoluzione, anche se questo ci ha condotti pericolosamente vicino all’autodistruzione più di una volta e , per ora, l’abbiamo sempre scampata per un pelo. L’esaurimento delle risorse del pianeta ci presenta infatti il conto delle nostre scelte col Global Warming (Riscaldamento Globale), mentre magari un modello di società in equilibrio con le risorse naturali del pianeta non sarebbe mai arrivato a questo punto. Però quest’ultimo modello non avrebbe sviluppato una tecnologia avanzata come quella elettronica, non avrebbe iniziato a sviluppare il volo spaziale e quello che abitualmente noi diamo per scontato e per molti vitale.

Quindi Civiltà, Intelligenza e Vita potremmo anche non riconoscerle per quello che sono casomai un giorno avessimo l’occasione di  incontrarne di diverse da quelle che noi conosciamo. E non dovremmo neppure avere la presunzione che queste siano necessariamente simili alla nostra.

 

http://ilpoliedrico.com/2011/06/punti-di-vista.html