Le origini del carbonio marziano

Conosciamo ancora poco di Marte, siamo passati dai canali di Schiapparelli alla superficie arida e senza vita disegnata dalla Mariner4 fino agli esperimenti di biologia delle sonde Viking. Fino a che Curiosity con il suo laboratorio semovente non ci dirà esattamente come stanno le cose su Marte non possiamo che campare di congetture e pochi dati, magari rinvenuti su qualche asteroide marziano piovuto sulla Terra.

ALH84001 - Credit: NASA/JSC/Stanford University

Un nuovo studio 1 condotto da Andrew Carnegie Steele cerca di svelare le origini del carbonio marziano ritrovato in alcune meteoriti di origine marziana, come ad esempio la celeberrima ALH84001.

Il team di Steel ha analizzato 11 campioni meteorici marziani che coprono un arco temporale di 4,2 miliardi di anni di storia marziana e ha studiato le inclusioni carboniose presenti trovando che in dieci di essi queste sono idrocarburi 2 Alcuni di questi composti carboniosi erano inglobati da strutture cristalline minerali, il che ovviamente fa escludere qualsiasi ipotesi di contaminazione esterna alla meteorite o successiva all’epoca della creazione della roccia, quindi la loro origine è senza dubbio la stessa del meteorite: marziana.

Studiando la struttura cristallina che racchiudeva queste grandi molecole organiche 3 il team di Steel ha ottenuto importanti informazioni sulla genesi di queste. Le macromolecole di carbonio sono il frutto di semplici processi chimici – come l’alchilazione 4 – riguardanti molecole più piccole presenti nel mantello del pianeta,  ancora saturo di carbonio, idrogeno e ossigeno 5, e portate in superficie da processi vulcanici.

Certo che stando così le cose, ancora di più Marte si presenta come un’importante tappa per lo studio e l’evoluzione dei pianeti rocciosi e sulle possibili ripercussioni sull’eventuale biologia autoctona che questa ha.


Intervista a Giorgio Bianciardi sul Labeled Release Experiment

L’8 maggio 2012 ho intervistato  il Dott. Giorgio Bianciardi – che conosco personalmente da anni – in proposito alla sua ricerca sui risultati dell’esperimento Labeled Release  (LR), come seguito del mio precedente articolo Caccia ai microrganismi marziani, le nuove ricerche sugli esperimenti Labeled Release.
Colgo l’occasione per scusarmi col dott. Bianciardi per non aver forse sottolineato abbastanza che lui è il primo firmatario della ricerca 1 e che è anche medico oltreché biologo presso l’Università di Siena e attuale vicepresidente dell’Unione Astrofili Italiani.
Ecco a voi  l’intervista, ma prima facciamo un veloce ripasso della storia della ricerca biologica delle Viking:

Il Labeled Release Experiment

L’esperimento Labeled Released (LR) fu ideato dal dott. Levin alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso per cercare attività biologica su Marte 2 e venne scelto insieme ad altri tre esperimenti per sondare il suolo marziano alla ricerca di tracce biologiche nelle due missioni gemelle Viking giunte su Marte nel 1976.

L’esperimento LR consisteva nel prelevare alcuni campioni di suolo marziano e aggiungervi una soluzione altamente nutritiva – e molto diluita –  composta da alcuni semplici elementi organici derivati dagli esperimenti di Miller e Hurey (glicina, D-alanina e L-alanina, formato, D-lattato di sodio e L-lattato di sodio, glicolato)  a cui però il comune carbonio era stato sostituito con la versione radioattiva di questo: il carbonio 14 (14C). Eventuali microrganismi eterotrofi avrebbero assimilato le sostanze nutritive e rilasciato il 14C nell’aria. L’atmosfera sopra i campioni veniva monitorata per diversi giorni al ritmo di una rilevazione ogni 16 minuti.

Fin da subito il monitoraggio dei campioni di suolo marziano trattato con i composti nutrienti evidenziò un rilascio di 14C 3. Invece i campioni di suolo pretrattati con un riscaldamento di 160° centigradi per tre ore, il rilascio non avvenne, segno inequivocabile di una qualche attività metabolica o di qualcosa che potesse imitarne gli effetti.

Una sonda Viking – Credit: NASA

Alla fine fu convenuto da molti scienziati che si fosse trattato della seconda ipotesi, che il terreno marziano fosse ricco di perossidi 4 e che questi avessero prodotto un risposta di stampo biologico all’aggiunta dei nutrienti, mentre il riscaldamento dei campioni aveva distrutto i legami covalenti dell’ossigeno nei perossidi e quindi inibito qualsiasi risposta.
Intanto il gascromatografo di massa (CG/MS) non rilevò alcuna presenza organica nei campioni di suolo, ma solo anidride carbonica, acqua e composti del cloro (clorometano e diclorometano) che furono scambiati per residui dei solventi usati sulla Terra per pulire le celle dei due laboratori. Fu solo con la sonda Phoenix che il mistero è stato risolto 5:  la sonda scoprì che il terreno marziano è ricco di perclorati che una volta riscaldati distruggono le molecole organiche rilasciando appunto i due prodotti scoperti dal gascromatografo delle Viking.

Il dott. Levin non fu mai persuaso dalla tesi ufficiale, e per oltre un decennio studiò e ripeté l’esperimento LR con campioni di suolo diversi ottenendo risultati paragonabili a quelli su Marte 6. Altri scienziati poi nel corso di questi 36 anni hanno ipotizzato che sia i perossidi che i perclorati possono essere essenziali a una biologia sviluppata su Marte, soprattutto per la loro capacità di abbassare il punto di congelamento della – comunque scarsa – acqua marziana.

L’intervista a Giorgio Bianciardi

il dott. Giorgio Bianciardi, esobiologo e vicepresidente dellUAI

Grazie dott. Bianciardi per il tempo concesso. Partiamo proprio dall’inizio. In cosa consiste essenzialmente la tua analisi numerica e come può distinguere tra un processo di natura chimica e uno di origine biologica, e in quale ambito viene comunemente  utilizzata?

Analizzo i modelli caotici nei sistemi biologici allo scopo di evidenziare disturbi che nascondono delle patologie. Un sistema biologico ha un certo comportamento caotico riproducibile su diverse scale temporali (un minuto, un ora etc.) mentre un sistema non biologico ha una risposta diversa, più semplice. Un sistema malato avrà l’attrattore caotico 7 compromesso rispetto a un sistema biologico sano.

Quindi la tua ricerca sui dati degli esperimenti LR su Marte ha evidenziato qesta risposta caotica?

Si, i risultati dei conteggi dei marcatori di carbonio 14 emessi dai campioni di suolo marziano dopo il nutrimento con la pappa biologica mostravano il tipico andamento che ci si può aspettare da una risposta di tipo biologico.
Questo tipo di risposta era lo stesso ottenuto dalla ripetizione degli esperimenti di rilascio marcato ottenuti in laboratorio con campioni terrestri e, come era stato ottenuto su Marte con il suolo sterilizzato, anche sulla Terra i campioni sterilizzati non mostravano alcuna risposta di alcun tipo. Segno evidente che qualsiasi cosa  avesse rilasciato il carbonio 14 era andato distrutto.

Eppure il gascromatografo nelle sonde non fu in grado di rilevare alcuna materia organica e così gli altri esperimenti, e come fu detto (ed esempio dal celebre Carl Sagan) “se c’è vita, dove sono i cadaveri?”

Il gascromatografo a bordo delle Viking (esperimento CG/MS – nda) non riuscì a rivelare alcuna traccia di sostanze organiche, ma solo acqua, anidride carbonica e tracce di solventi che gli scienziati dell’epoca interpretarono come residui dei solventi usati per pulire le celle delle analisi. Fu solo nel 2008 che la sonda Phoenix scoprì che il suolo di Marte è particolarmente ricco di perclorati 8 che se riscaldati distruggono qualsiasi materia organica presente rilasciando quelle tracce di solventi che il CG/MS aveva trovato.
Inoltre il gascromatografo di massa a bordo dei lander Viking era molto poco sensibile, circa un decimilionesimo di grammo di materia organica per grammo di campione, ossia 10-7 gr, mentre l’efficienza del processo di analisi riduceva questa ad appena un decimo, diciamo che in realtà la sensibilità complessiva si riduceva a  10-6 gr per grammo. Un normale batterio terrestre pesa circa 10-12 grammi e il 90% del suo peso è acqua, mentre il resto, 10-13 gr, è materia organica. Il gascromatografo avrebbe potuto rivelare solo  oltre una soglia di 10 milioni di batteri terrestri per grammo, troppi anche per molti ambienti terrestri 9.

Quindi uno strumento matematico pensato e concepito per evidenziare attività biologica sulla Terra può funzionare anche per la vita extraterrestre?

Ripeto: una risposta biologica è sempre diversa da una risposta chimica, questa è organizzata secondo un grado di complessità diverso, come lo è ad esempio il battito cardiaco rispetto al movimento di un pendolo che si smorza col tempo.

È possibile che il tuo metodo di analisi numerica possa essere sviluppato in futuro tanto da poter essere utilizzato per scoprire attività biologica su altri mondi per esempio analizzando la curva di luce stagionale e lo spettro dell’atmosfera di un intero pianeta?

A noi non interessava trovare un metodo universale per scoprire sicuramente dell’attività biologica, anche perché probabilmente un metodo universalmente valido forse non esiste. Sono molti i sistemi naturali che seguono schemi di risposta non lineare, come accade nella rotazione assiale di un pianeta ad esempio, o nella risposta elettronica di un transistor. Quindi questo metodo non può essere utilizzato in questo senso, a noi è servito solo per dimostrare che le risposte del contatore indicavano un rilascio di radiocarbonio nell’ambiente con uno schema non riconducibile ad alcun processo fisico naturale in quel contesto, tipico però dei sistemi biologici.

Quale è stato il ruolo del dott. Miller nella ricerca?

Il dott. Levin si è speso per venti anni cercando di dimostrare al mondo che il Labeled Release aveva identificato dell’attività biologica. Nel 2000 il dott. Miller, neurofarmacologo, ha proposto a Levin  di ricominciare da capo e insieme hanno  ripetuto tutti gli esperimenti dei Viking sulla Terra, dimostrando che i risultati erano gli stessi  che su Marte. Miller scoprì tra l’altro che i risultati delle Viking mostravano una correlazione  col periodo circadiano marziano.
Poi nel 2003 Miller e Levin lessero i miei lavori indipendenti e mi contattarono per applicare le mie ricerche al complesso dei dati in loro possesso. Successivamente mi proposero di mettere il mio nome come primo ricercatore e io accettai.

Perché la vostra ricerca è stata approvata e pubblicata dalla Società Coreana per lo Spazio, piuttosto che la NASA 10 proprietaria del progetto Viking?

La ricerca è terminata l’anno scorso, ma abbiamo avuto delle difficoltà alla sua pubblicazione per i tempi molto stretti che ci eravamo prefissati, noi volevamo che la pubblicazione avvenisse prima che la sonda Mars-Curiosity sbarcasse su Marte.
Un conto è dire adesso che le Viking avevano individuato dell’attività biologica, e un altri è dirlo dopo che Curiosity avrà individuato le stesse.

E se Curiosity dimostrerà il contrario?

Allora ci saremo sbagliati, ma la posta in gioco è troppo grande per non rischiare!

(ps. a questo punto raccomando il lettore di leggere: Errata Corrige, Il Poliedrico 8 novembre 2012)


Incontri ravvicinati con gli asteroidi

2012 KT42 -Credit: Osservatorio di Remanzacco (Udine) - Ernesto Guido, Nick Howes e Giovanni Sostero

Altro che le borse, lo spread o le profezie Maya sulla fine del mondo. Non è che fra queste ci sia poi così tanta differenza, molto è basato sull’emotività e l’influenzabilità delle persone e dalla capacità dei ciarlatani di approfittarsene.
Questa volta è un sasso non più grande di otto metri che è appena passato molto ma molto vicino alla Terra proprio questa mattina.

Si è trattato dell’asteroide 2012 KT42 che oggi alle o7:07 UTC (poco dopo le 9 in  Italia) ha sfiorato il nostro pianeta a circa 14000 km,  cioè al di sotto dell’orbita dei satelliti geostazionari. È uno dei passaggi più stretti alla Terra mai registrati.
Ma niente panico, l’asteroide, anche se è grande come un autobus, è comunque troppo piccolo per provocare danni significativi. Se fosse colliso con la Terra sarebbe stato disintegrato quasi completamente dall’atmosfera e sulla Terra sarebbero piovute tante piccole meteoriti.

Buona giornata.

DragonX attracca alla ISS

Vi ho parlato del primo lancio di un cargo privato verso la Stazione Spaziale Internazionale della storia: il cargo Dragon della SpaceX ora è entrato giustamente nella storia dell’astronautica e dell’esplorazione umana dello spazio.

Questo nonostante tutto è ancora un volo di collaudo della capsula Dragon, La missione si chiama infatti COTS Demo Flight 2 dove COTS sta per NASA Commercial Orbital Transportation Services, il contratto che l’Ente Spaziale Americano ha deciso di stipulare con i vettori privati per i voli orbitali verso la ISS.

Adesso gustatevi anche i momenti dello storico aggancio avvenuto il 25 maggio alle 18:02 ora italiana!

DragonX ci riprova.

Sabato comunicai una notizia sbagliata: mi riferisco al terribile attentato di Brindisi dove è morta solo una studentessa: Melissa B., e n on due come avevo detto nel post. Premesso che anche solo una vita spenta è comunque troppa, sono felice di essermi sbagliato. Il movente del vile gesto è ancora sconosciuto, anche se sembra che criminalità organizzata o oscuri giochi di potere che hanno accompagnato questo paese dai tempi dell’episodio di Portella della Ginestra questa volta non c’entrino. 

Il lancio abortito dello SpaceX Dragon

Purtroppo la prima missione commerciale verso la Stazione Spaziale Internazionale non è poi partita. Forse un problema dovuto all’eccessiva pressione nella camera di combustione del motore n ° 5, i computer di bordo hanno abortito il lancio a mezzo secondo dalla partenza. Lo sbuffo dell’ignizione del razzo e poi le varie valvole si sono aperte  e hanno sfogato verso l’esterno.- Anche i controllori di volo sono stati un attimo colti di sorpresa.

Fallimento? io direi di no, anzi. I sistemi di sicurezza hanno garantito fino in fondo il più scrupoloso controllo sul lancio. Chi pensava che una compagnia privata tenesse meno agli standard di sicurezza, oggi – o meglio, sabato – è stato smentito. Domattina si ritenterà, tempo permettendo.

DragonX al via

Domattina partirà DragonX, la prima capsula privata destinata alla ISS.
La capsula Dragon 
 è un veicolo per il trasporto in orbita bassa di merci  o persone (ne esistono appunto di due versioni diverse)  sviluppato dalla Space Exploration Technologies Corporation (SpaceX) completamente riutilizzabile.
È il primo veicolo spaziale privato ad arrivare in orbita e ridiscendere prodotto interamente da una compagnia privata. Il primo volo per una capsula Dragon avvenne nel dicembre 2010.
Questa prima missione operativa riguarderà i rifornimenti alla Stazione Spaziale ISS nell’ambito del programma della NASA Commercial Resupply Services. La capsula verrà lanciata da un razzo vettore Falcon 9.

La missione durerà  circa tre settimane, il cui momento clou sarà l’attracco alla ISS.
La NASA vuole che sia l’industria privata a sviluppare i mezzi e le capacità per assicurare le operazioni cargo su base regolare verso la stazione spaziale.

È giusto che sia così: la tecnologia e il know-out per sviluppare i voli nello spazio richiedono ingenti risorse che solo uno Stato – come nel caso del programma Apollo – o un consorzio di Stati – come nel caso della Stazione Spaziale Internazionale – possono garantire, ma poi è l’industria privata che deve prendere in mano l’iniziativa e continuare da sola.

Nebulosa Tarantola

 

Il Cacciatore, le Iadi e Pleiadi, Giove e Venere

Il Cacciatore, le Iadi e Pleiadi, Giove e Venere

Immaginate di venire teleportati su un mondo nella Grande Nube di Magellano, un pianeta distante 1300-1500 anni luce 1  dalla Nebulosa Tarantola.
Il cielo di questo mondo sarebbe ricoperto per metà da questo scrigno composto da nubi ad emissione riscaldate da giovani e massiccie stelle blu e da resti di antiche supernovae 2 e solcato da strisce di polveri e gas neutro che nascondono alla vista nuove stelle che stannno per nascere.
Su quel  mondo la notte perderebbe il significato che conosciamo: potreste osservare per intero tutta la Via Lattea, compreso il fulgido nucleo centrale composto da milioni di soli alla cui luce potreste riuscire a leggere anche un libro.

Chissà che noia il giorno illuminato da un solo astro!


Aminoacidi astrostoppisti

Sappiamo che quasi sicuramente l’acqua sulla Terra è arrivata con le comete. Ma solo quella? O è arrivato anche altro?

Una delle più grandi obiezioni alle attuali teorie sulla nascita della Vita riguarda i lunghissimi tempi necessari dallo sviluppo e selezione delle molecole prebiotiche fino alla comparsa di questa, spesso in contrasto con i tempi cosmologici dei pianeti.
Ad esempio, le più antiche tracce di vita sulla Terra sono microbatteri 1 vissuti circa 3,4 miliardi di anni fa, appena un miliardo di anni dopo la formazione della Luna 2.

Intanto attraverso i radiotelescopi 3 sono state scoperte molecole complesse nelle nebulose interstellari e nei globuli di Bok, materiale organico complesso è stato trovato nei meteoriti e nelle chiome cometarie, mentre recentemente è stato dimostrato che anche l’acqua sulla Terra 4 è di origine cometaria 5.

Ma (c’è sempre un ma, ricordate?) insieme all’acqua degli oceani è arrivato altro dallo spazio? è possibile che materiale organico sia sopravvissuto all’attraversamento di una atmosfera planetaria?
Alcuni scienziati 6 hanno voluto provare sperimentalmente se questo sia possibile.

 Nei cannoni ad aria compressa del gas è sparato a velocità supersoniche contro bersagli di acqua, roccia e aminoacidi.

Il team si è avvalso di elaborati modelli matematici al computer per studiare le condizioni fisiche in gioco durante un impatto di un corpo cometario a 6-7 km/s nell’atmosfera primordiale della Terra  e poi le hanno riprodotte in  laboratorio con potenti cannoni ad  aria compressa.
“La nostra ricerca indica che i mattoni della vita possono resistere nonostante la tremenda onda d’urto di un impatto cometario e le e altre condizioni fisiche estreme”, ha detto la Blank. “Le comete possono essere state benissimo il vettore di trasporto degli ingredienti organici fondamentali alla Vita sulla Terra; lì c’è tutto: aminoacidi, acqua ed energia”

Addirittura le estreme condizioni di shock generate dai cannoni ad aria ha consentito agli aminoacidi di formare alcuni legami peptidici.

Certo che la natura cela i suoi segreti nei luoghi più impensati.


Oppy is back

Ammetto la mia colpa di essere stato assente da queste pagine per troppo tempo, ma avevo i miei motivi. Intanto l’altro ieri ho intervistato il dott. Giorgio Bianciardi, autore delle ultime scoperte sui passati esperimenti Labeled Release delle storiche sonde Viking e che pubblicherò a giorni.

 

La prima foto mandata da Opportunity dopo 130 Sol di letargo. - Credit: NASA-JPL

Nell’attesa che Curiosity arrivi su Marte e che possa finalmente rispondere all’arcana domanda “c’è vita su Marte?“,argomento su cui mi sono speso molto in questi ultimi tempi e che ancora occcuperà queste pagine, vorrei segnalare il piccolo miracolo avvenuto proprio in questi giorni su Marte: il robottino Opportunity si è risvegliato dopo ben 130 Sol 1.

La missione Opportunity (Mars Exploration Rover-B, MER-B, MER-1) – per gli amici Oppy – gemella della Spirit ormai spenta, scese su Marte il 25 gennaio 2004 ed è tuttora operativa, superando in longevità anche la gloriosa Viking 1.
Alla fine dell’anno il rover fu messo a riposo coricato di 15 gradi verso nord, per dar modo ai suoi preziosi pannelli fotovoltaici di caricare le batterie durante l’inverno dell’emisfero sud marziano .
Finora il Oppy ha percorso quasi 35 chilometri in tutti questi anni, ma come dice l’antico proverbio: “Chi va piano va sano e lontano

Le abbondanze cosmiche

Come spesso accade e come ho già mostrato altre volte, le domande non sono mai banali quanto invece possono esserlo le risposte.
Questo articolo mi è stato suggerito da un post apparso tempo fa  in un social network in cui si chiedeva quale fosse l’elemento chimico più abbondante nell’Universo dopo l’idrogeno e dell’elio. La risposta, poi non tanto ovvia, è che l’ossigeno, seguito dal carbonio, il neon e l’azoto, sono gli elementi chimici più abbondanti del nostro Universo e – a parte l’elio e il neon – che guarda caso, sono anche gli elementi su cui si basa la nostra biochimica.

Credit: Il Poliedrico

L’origine degli elementi chimici più abbondanti e leggeri dell’Universo stesso è da ricercarsi nella genesi della materia barionica nell’Universo, da 3 a 20 minuti dopo il Big Bang.
Fu in quel poco tempo a loro disposizione che pochi protoni riuscirono a infrangere la barriera coloumbiana che normalmente li tiene separati e fondersi insieme. Così si formarono i nuclei degli elementi chimici più pesanti dell’idrogeno: l’elio, il litio e il berillio – questi ultimi due sono oggi molto più rari – nacquero allora, in quel breve momento – per fortuna – in cui tutto l’Universo aveva temperature e densità come un nucleo stellare.
Ci vollero però altri 380000 anni all’Universo per espandersi e diventare abbastanza freddo da consentire ai protoni liberi e a quei nuclei atomici poco più complessi che si erano formati nella prima nucleosintesi della storia dell’Universo di legarsi agli elettroni fino ad allora liberi. Fu allora che la materia barionica più leggera assunse la forma che ci è più familiare: l’atomo neutro 1.
Idrogeno e elio con litio e berillio in tracce  era tutto quello che c’era nell’Universo primordiale, fino a che una parte di tutta quella materia barionica si condensò in stelle.

Nucleosintesi stellare

La nucleosintesi stellare è l’insieme delle reazioni nucleari che avvengono all’interno di una stella, una catena di processi energetici che hanno come risultato finale nuclei degli elementi chimici  più pesanti partendo dall”idrogeno fino al ferro.
L’idrogeno è l’elemento di partenza dal quale vengono prodotti tutti gli altri elementi chimici riuscendo ad emettere energia nelle stelle. Queste reazioni dette esogene, cessano con la produzione dell’isotopo del ferro chiamato ferro-56 (56Fe).
I cicli di nucleosintesi sono sostanzialmente due: il ciclo protone-protone, che vale per le stelle di massa fino a 1,5 masse solari, e il ciclo CNO (Carbonio-Azoto-Ossigeno), più efficiente ma che solo le stelle con masse superiori al suddetto limite possono sostenere.
Un piccolo appunto: la prima generazione di stelle nacque in  un universo dove non c’era alcuna traccia di carbonio, azoto o ossigeno, per cui l’unica reazione di fusione nucleare per loro possibile era quella diretta protone-protone, molto meno efficiente, fino a che nel loro nucleo non si produssero anche i nuclei di 12C. Questo limite sicuramente ha pesato sul processo vitale di quelle stelle. Peccato che oggi non è più possibile  studiarle in dettaglio.

Gigantesche stelle blu bruciarono buona parte dell’idrogeno di cui erano composte al loro interno creando tutti gli altri elementi chimici fino al ferro in pochi -forse decine – milioni di anni.

Quando la nucleosintesi nelle stelle arrivò a sintetizzare il ferro dal silicio, il loro massiccio peso non più sorretto dall’energia delle reazioni termonucleari rimbalzò sul nucleo e le fece esplodere come supernovae, spargendo le preziose ceneri della combustione nucleare nello spazio. Le onde d’urto aiutarono la formazione di altre stelle 2 e così via, in un ciclo che è ancora oggi attuale.

Anche se il contributo delle supernove fu certamente rilevante nell’evoluzione chimica dell’Universo, la parte più importante l’ebbero però le stelle un po’ più piccole, fino a 4 masse solari, della popolazione successiva, la Popolazione II.

Queste stelle non sarebbero esplose come suoernovae rendendosi visibili ovunque nell’Universo, ma più semplicemente alla fine del loro ciclo vitale avrebbero restituito le loro ceneri nucleari al cosmo verso come semplici nebulose planetarie.

Composizione dell'atmosfera errestre

NOMEFormulaPercentuale %
AzotoN₂78.084
OssigenoO₂20..946
ArgonAr0,934
Anidride carbonicaCO₂0.0427
NeonNe0.0018
ElioHe0.000524
MetanoCH₄0.00016
KriptonKr0.000114
IdrogenoH₂0.00005
XenoXe0.0000087
Vapore acqueoH₂O0.33 (varia da 0% a 6%)
OzonoO₃0.000004 (stratosfera)

Simulazione grafica della formazione di una nebulosa planetaria. Credit: Wikipedia

Per questo le abbondanze relative vedono primeggiare i primi prodotti di nucleosintesi rispetto agli elementi più pesanti del ferro che si formano per cattura neutronica durante il collasso di supernova e dal decadimento radioattivo di alcuni di questi.

Ma la cosa che più affascina in questa tabella è che a eccezione dell’elio e del neon che sono gas nobili e che quindi non reagiscono con alcun altro elemento chimico, tutti gli altri sono componenti fondamentali della biochimica a base carbonio come le conosciamo.
Che noi fossimo figli delle stelle era certo, anche le modalità con cui certe abbondanze si sono create indicano come l’evoluzione dell’Universo sia diretta verso la creazione la Vita.