Il messaggio in bottiglia

Potrebbe essere che il nostro approccio alla ricerca di vita intelligente sia del tutto sbagliato: che ci ostiniamo a guardare nel modo sbagliato e che dovremmo invece sondare la vastità dell’oceano cosmico con metodi molto diversi. Magari basterebe sedersi sulla riva ed aspettare che il messaggio approdi dalle nostre parti.

Sono ormai diversi anni che si è trovato il modo di scrivere interi libri completi di immagini e della formattazione del testo in una sequenza di DNA. La densità di informazione che una catena di DNA può contenere è enorme: intorno a un milione di gigabit per millimetro cubico [1] [2]: l’intera Biblioteca del Congresso di Washington 1 potrebbe risiedere in appena poco più di questi 3 cubetti.
È vero, leggere il DNA risulta essere un processo molto più lento che leggere da un vetusto floppy degli anni ’80 o anche da un nastro magnetico, ma l’informazione  contenuta in esso può resistere inalterata per miliardi di anni: a confronto l’unico altro processo di conservazione dell’informazione che resiste nel tempo, ma non altrettanto a lungo, è l’incisione rupestre! Inoltre il DNA lo si può replicare esattamente una miriade di volte e non richiede alcuna energia per la sua conservazione. Tutti questi fattori rendono la comunicazione di informazioni attraverso il DNA — o catene polimeriche simili —un mezzo ideale: basti pensare che in esso è contenuta tutta l’informazione necessaria al corretto funzionamento di qualsiasi organismo biologico che conosciamo.

Supponendo che una razza aliena tecnologicamente evoluta voglia intenzionalmente mostrarsi al cosmo, potrebbe altresì essere cosciente dei limiti che ha una comunicazione interstellare attraverso le onde elettromagnetiche, come ad esempio la degradazione del segnale (non dimentichiamoci della legge dell’inverso del quadrato della distanza)  e prendere atto del rischio che una simile trasmissione potrebbe comunque rimanere inascoltata per le ragioni che ho espresso sopra: queste considerazioni potrebbero scoraggiarla dall’intraprendere questa strada e decidere di seguire altre vie per annunciare la sua presenza o rinunciarvi del tutto.

Oppure, e qui mi addentro nella pura speculazione scientifica, decidere di lasciare una traccia di sé, una testimonianza o il suo epitaffio, alle correnti dello spazio in forma di spore. Sarebbe un metodo meno costoso e assai più efficace: esso non richiederebbe una fonte costante di energia come per generare un segnale elettromagnetico e non conoscerebbe il problema della degradazione del segnale. Le spore se adeguatamente protette dalle radiazioni ionizzanti [3] potrebbero resistere inalterate per eoni e diffondersi per l’intera Galassia in un arco di tempo misurabile tra decine e centinaia di milioni di anni. Tutto il lavoro lo farebbero le onde di marea galattiche [4] [5] e i venti interstellari [6] che rimescolano incessantemente il gas e il pulviscolo del mezzo interstellare. In un certo senso è quello che abbiamo fatto anche noi coi dischi delle Voyager e le placche dorate delle Pioneer: annunciare la nostra presenza al cosmo a chiunque in un futuro molto lontano potrà scoprirle ed interpretarle. Per noi, come civiltà agli albori dell’era spaziale,  è stato un po’ l’equivalente più evoluto di una tavoletta sumera di argilla,  un niente in confronto a quanto una singola catena di DNA, una spora o anche un virus può contenere ma era quanto di più longevo potessimo offrire con la tecnologia degli anni settanta del XX secolo.

La panspermia

Nel progetto SETI, sono stati proposti molti modi in cui una possibile civiltà extraterrestre potrebbe rivelarsi: la produzione di onde radio e microonde, raggi laser e maser (una versione della tecnologia laser nelle microonde), modulazione pilotata di una sorgente naturale come una stella (in questa tecnologia potrebbe essere inserito il concetto della Sfera di Dyson [7]) o una pulsar, e così via: tutti sistemi che richiederebbero uno sforzo costante nel tempo, costoso e faraonico, ma con un importante limite temporale: la durata della civiltà. Niente dura per sempre: anche le stelle prima o poi si spegneranno, le galassie si disperderanno e l’Universo stesso finirà per cessare del tutto. Una civiltà aliena potrebbe aver preso in considerazione che il suo tempo è comunque limitato e scegliere quindi un modo più efficace per lasciare la sua testimonianza comunque. Lasciare il proprio epitaffio nel cosmo sotto forma di spore protette nei nuclei cometari della loro Nube di Oort quindi potrebbe essere ben più allettante che impegnarsi in un progetto che prevedrebbe l’uso di tecnologie di trasmissione da manutenere costantemente.
Cosa potrebbe scrivere una civiltà così avanzata in un segmento di DNA? Praticamente di tutto, la sua storia, la sua cultura e le sue aspirazioni. Ma.

La traiettoria iperbolica di ‘Oumuamua dentro il Sistema Solare interno. La posizione dei pianeti è stata fissata alla data del suo perielio mentre la traiettoria del corpo è stata calcolata ogni sette giorni. Le date seguono la notazione inglese. Credit: Wikipedia

Appunto, ma. Sappiamo che una singola catena di DNA può contenere tutta l’informazione necessaria alla riproduzione di ogni essere vivente qui sulla Terra e da poco abbiamo imparato anche come editare direttamente tale contenuto [8]. Non mi sento quindi di escludere il dubbio che una civiltà evoluta possa essere accarezzata dall’idea di voler trascendere al proprio declino cercando di trasmettere sé stessa oltre tale limite. Indirizzare lo sviluppo e l’evoluzione della vita sui pianeti di altre stelle con le sue stesse caratteristiche potrebbe quindi apparirle più allettante ed economico di una qualsiasi trasmissione  lasciata al caso.
In verità questa non è un’idea originale ma è vecchia quasi quanto la nostra cultura: AnassagoraLord KelvinSvante Arrhenius e Fred Hoyle, solo per citarne alcuni,  l’hanno sostenuta. Francis Crick (lo scopritore della struttura a doppia elica del DNA), verso il 1970 credeva che il DNA potesse essere il frutto di una tecnologia aliena, salvo poi ricredersi aprendo alla possibilità che il DNA si fosse spontaneamente sviluppato qui sulla Terra da forme ancora più elementari. Si chiama teoria della panspermia [9] forte. Una teoria estrema, quasi fantastica, ma che poggia comunque su solide basi scientifiche: tutto sta a verificarla. Lo  scorso anno apparve nel nostro sistema solare ‘Oumuamua, il primo corpo extrasolare mai identificato finora [10], a conferma che corpi di provenienza esterna possono viaggiare dentro i sistemi stellari senza problemi.

Nonostante ogni sforzo, finora ancora non siamo riusciti a comprendere come possa generarsi la Vita. Abbiamo creato nuove sequenze genomiche, batteri col più basso numero di cromosomi necessari per vivere, qualsiasi cosa. Eppure nonostante tutto il passaggio fondamentale tra la non-vita e la vita ci rimane ancora ignoto. Ricorrere alla panspermia non è altro che rimandare il problema: dire che la vita come la conosciamo potrebbe essere provenuta da addirittura fuori del Sistema Solare e per giunta per un disegno intelligente sarebbe soltanto un pagliativo e un passaggio in più da spiegare. Eppure l’ipotesi che una antica civiltà abbia disseminato spore vitali per la galassia con l’intento di preservare la sua esistenza passando per altre forme è oltremodo affascinante e a mio avviso merita di essere analizzata. Dopotutto le speculazioni servono a questo.

Ascoltando il silenzio

Nell’articolo precedente ho illustrato la base minima su cui partire per cercare di comprendere il mio pensiero: non credo alla colossale panzana degli ufini ma neppure mi sento di escludere a priori l’esistenza di altre entità biologiche extraterrestri intelligenti che condividono con noi l’interesse di studiare e di esplorare il cosmo.

La vita come la conosciamo è basata sulla chimica del carbonio. Il carbonio a sua volta non è sempre esistito ma è uno dei prodotti di scarto delle reazioni nucleari delle stelle. Le prime stelle dell’Universo apparvero piuttosto presto: appena un centinaio di milioni di anni dopo il Big Bang. Ammettendo un paio di miliardi di anni come ciclo vitale delle prime grandi stelle, potremmo ragionevolmente affermare che l’Universo è in grado di sostenere la vita basata sul carbonio da almeno 9/10 della sua esistenza: cioè circa 12 miliardi di anni 1 [cite]https://arxiv.org/abs/1312.0613[/cite]. Se a questo dato dovessimo aggiungere l’intervallo che potrebbe essere necessario per traghettare la vita verso le forme dotate di intelletto almeno pari al nostro, prendendo la Terra come termine di paragone — in fondo è l’unico che per ora abbiamo, potremmo estrapolare che un cosmo potenzialmente abitabile da specie intelligenti sia possibile da almeno 8 miliardi di anni. È comunque un arco di tempo notevole che in qualche modo fa presente che una eventuale civiltà extraterrestre non va immaginata qui e ora ma cercata anche nella vastità del tempo.
Ogni tipo di comunicazione o segnale, per le nostre attuali conoscenze fisiche, non può essere più veloce della velocità della luce nel vuoto: ogni volta che osserviamo un qualsiasi oggetto, che sia l’albero di fronte a noi o il quasar più lontano nel cosmo, noi lo vediamo come era nel momento \(t – t_1\) in cui la luce lo ha lasciato ( \(t_1  = d / c\)).
Questo significa che anche se domani dovessimo scoprire segnali radio o di qualsiasi altra natura provenienti da una civiltà tecnologica extraterrestre, noi non potremmo prendere atto altro che del fatto che in un certo istante nel passato essa è esistita e che potrebbe essere, al momento della sua scoperta, ormai scomparsa. 
Un altro aspetto assai spesso trascurato è che ogni emissione elettromagnetica non è mai a costo zero: essa richiede energia per esistere, sia che si tratti dell’emissione di una stella o della luce di una lampadina o di una trasmissione radio. Certo, si potrebbe obbiettare che per una civiltà tecnologicamente avanzata la produzione di energia potrebbe non essere un problema ma questo a mio avviso non è, anche scientificamente parlando, corretto.
Inoltre, e questo è curioso oltreché vero, che le radioemissioni involontarie provenienti da una ipotetica civiltà extraterrestre che potrebbero rivelarci la sua presenza potrebbero essere assai limitate nella sua storia. Come ho spesso affermato su queste pagine anche in passato, le trasmissioni broadcast radiotelevisive di una potenza significativamente grande sono esistite per poche decine di anni, presto soppiantate da satelliti per le comunicazioni rivolti a illuminare aree limitate del nostro pianeta e cavi in fibra ottica transoceanici. Anche i nostri più perfezionati telefoni cellulari ci consentono di comunicare istantaneamente con ogni altra parte del globo con meno di un watt di radioemissione appoggiandosi a una rete di trasmettitori a bassa potenza e alle tecnologie satellitari, mentre il rumore elettromagnetico di fondo prodotto dalla nostra tecnologia basata sull’elettricità è aumentato a dismisura.
Una civiltà extraterrestre a 100 anni luce che ascoltasse la Terra potrebbe rivelarci tra 20-30 anni per poi vedere il nostro segnale crescere significativamente per una cinquantina d’anni e poi ridiscendere improvvisamente per lasciare il posto a un brusio di fondo molto forte alle frequenze più basse.
Per lo stesso motivo non potremmo percepire la presenza di un’altra civiltà con una storia evolutiva molto simile alla nostra molto a lungo a meno che i suoi segnali non coincidano col nostro periodo di ascolto: le loro emissioni potrebbero aver attraversato il Sistema Solare quando noi attraversavamo gli oceani su fragili caravelle o all’epoca della Guerra Civile Americana e oggi non saremmo più in grado di sentirli. A meno che non lo volessero di proposito ma quella è un’altra storia.

 Il paradosso di Fermi

È questo il vero problema e che potrebbe proporre una plausibile risposta al celebre paradosso: noi conosciamo la tecnologia radio soltanto da un centinaio di anni e solo da ottanta di essi questa tecnologia si è significativamente evoluta: su 8 miliardi di anni noi abbiamo la radio da un 100 milionesimo di questo arco di tempo. Pretendere che ascoltando qualche migliaio di stelle si capti una trasmissione intelligente in così poco tempo è statisticamente impensabile 2. Senza contare che le tecnologie di ricezione e di elaborazione del segnale si fanno ogni anno sempre più complesse ed efficaci: magari quella che allora era sembrata una spuria captata dall’arcaico Progetto OZMA oggi — o in futuro — potrebbe essere interpretata come un segnale intelligente.
Ma comunque qui ancora una volta sfugge una cosa fondamentale che può fallare ogni nostro sforzo: il nostro approccio alla ricerca di vita e intelligenza extraterrestre è comunque basato sul nostro grado di conoscenza e tecnologia, Cerchiamo segnali elettromagnetici — come le onde radio — perché in sostanza essi sono fondamentali nella nostra tecnologia, ma possono esserci altre forme di comunicazione e noi ignote o che non consideriamo come tali. Prendiamo il linguaggio umano: esso è basato sul suono, ossia la compressione modulata del mezzo in cui siamo immersi: l’aria. Ma molte specie di animali comunicano attraverso l’emissione e la ricezione di stimoli chimici come i ferormoni o altre molecole più elementari.

Stiamo ascoltando il silenzio e, a parte alcune ottimisti previsioni, continueremo a farlo per un bel po’. Qualcosa ancora certamente pare sfuggirci. Alla prossima …

 

(Continua…)

Le veterane dello spazio: le sonde Voyager

Voyager2

Riproduzione artistica della Voyager 2. Credit: il Poliedrico

Voyager 1 e 2, così come Pioneer 10 e 11, si stanno avvicinando ai margini del sistema solare. Credit: NASA / Jet Propulsion Laboratory

Voyager 1 e 2, così come Pioneer 10 e 11, si stanno avvicinando ai margini del sistema solare. Credit: NASA / Jet Propulsion Laboratory

Sono passati 37 ani e le due sonde Voyager sono a oltre 17 ore luce da noi. Il loro segnale quando giunge sulla Terra è appena un miliardesimo di miliardesimo di watt. Eppure entrambe ancora oggi paiono in buona salute, tanto da far sperare che lavorino ancora per i prossimi 10 anni. Costruirle ha rappresentato una sfida ingegneristica incredibile e quasi irripetibile, con la tecnologia degli anni ’70 che oggi tutti riteniamo obsoleta.