Lo spessore delle atmosfere planetarie

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In questi giorni sto ricevendo un sacco di complimenti e messaggi di incoraggiamento per questo Blog. Purtroppo adesso ho pochissimo tempo da dedicare alla ricerca e allo studio, e rispondere alla decine dei vostri messaggi richiede proprio quello che non ho. 
Come alcuni mi hanno chiesto, coloro che vogliono contribuire a questo sito offrendomi un caffè -in Italia si usa così -possono farlo attraverso il pulsante Donazione in fondo alla pagina sulla destra o cliccando sulla barra dei menù alla stessa voce. Sappiate comunque che vi ringrazio tutti per quanto scrivete.

La gravità è importante per trattenere una atmosfera. Per contro la temperatura svolge un ruolo altrettanto importante nel senso opposto. Credit: Il Poliedrico

La gravità è importante per trattenere una atmosfera. Per contro la temperatura svolge un ruolo altrettanto importante nel senso opposto.
Credit: Il Poliedrico

Quando si parla di esopianeti, di possibili altre forme di Vita e così via, diamo spesso per scontato troppe cose, come una atmosfera, che invece copre un ruolo molto importante nella dinamica di un pianeta.
Questa infatti offre scudo alle radiazioni ionizzanti provenienti dalla stella, protegge il suolo dai meteoriti più piccoli e infine modella la superficie del pianeta. Ma è anche un eccellente termoregolatore e la sua pressione al suolo favorisce o meno la presenza di acqua allo stato liquido 1.

Lo spessore di una atmosfera è deciso fondamentalmente dall’equilibrio tra la velocità di fuga di un pianeta e la sua temperatura. Un piccolo pianeta – come ad esempio è Marte – non possiede una gravità così alta da mantenere una atmosfera così spessa come la Terra.
La temperatura media dell’atmosfera stabilisce la velocità delle sue molecole: più sale la temperatura e più queste sono veloci. Se la velocità di una molecola supera la velocità di fuga, questa si disperderà nello spazio, mentre una più bassa temperatura dell’atmosfera tratterrà più molecole.
La regola – empirica – generale è che  se la velocità media di un gas è inferiore a 2 decimi della velocità di fuga almeno la metà sarà ancora trattenuto dal pianeta dopo un miliardo di anni, mentre se la velocità media supera questo valore almeno la metà abbandonerà il pianeta entro lo stesso arco di tempo 2.

Velocità  di fuga

La velocità di fuga 3 di un pianeta è abbastanza semplice da calcolarsi: $v_{fuga} = \sqrt {\frac{2Gm_{pianeta}}{distanza}}$, dove G è la Costante di Gravitazione Universale di Newton e la distanza è intesa come la distanza di un corpo dal centro di massa del pianeta. Per questo una molecola a 10 chilometri di quota potrà disporre di una velocità di fuga lievemente più bassa di una al livello del suolo.  Può sembrare poco ma a volte anche questo è significativo.

Temperatura

La velocità molecolare è funzione della loro temperatura. Credit: Il Poliedrico

La velocità molecolare è funzione della loro temperatura come conseguenza delle Leggi di Moto di Newton.
Credit: Il Poliedrico

La temperatura di un qualsiasi corpo non è altro che la misura del movimento – energia cinetica – delle sue molecole. Le molecole di un gas caldo si muovono più velocemente dello stesso gas freddo. Se questo gas viene raffreddato ulteriormente, acquista prima forma liquida e poi solida – transizione di fase. Allo stesso modo, un corpo solido se riscaldato a sufficienza diviene liquido e poi gas.
La relazione che lega la velocità molecolare con la temperatura è: $t=\frac{\left(m_{molecola} \cdot \bar{v}_{molecola}\right)^2}{3k_B}$, dove $k_B$ è la costante di Boltzmann 4, che vale $1,38 \cdot{10^{-23}} JK^{-1}$.
La velocità media di una molecola – o di un atomo – a una certa temperatura $t$ quindi è: $\bar{v}=\sqrt {\frac {3k_B \cdot t}{m_{molecola}}}$.
Ecco spiegato perché le molecole più pesanti a parità di temperatura si muovono più lentamente. Tra l’altro questa informazione aiuta a interpretare la composizione chimica di una atmosfera in base alla massa del pianeta e la sua distanza dalla stella: ad esempio un piccolo pianeta vicino alla sua stella -come Mercurio – potrà trattenere solo le molecole e gli atomi più pesanti 5, mentre pianeti più massicci e distanti possono trattenere un’atmosfera più spessa e composta da elementi più leggeri.


Effetto serra nella primitiva atmosfera marziana

Purtroppo questo mese starò un po’ più lontano del solito da queste pagine. Lo scorso settembre decisi di dare una svolta alla mia vita e adesso quel momento è finalmente arrivato. Tranquilli, la mia assenza sarà solo temporanea, ve l’assicuro. Nel frattempo portate pazienza per un po’.

Rappresentazione artistica dell'interno di Marte. Credit: NASA/JPL

Rappresentazione artistica dell’interno di Marte.
Credit: NASA/JPL

Con la scoperta di bacini argillosi su Marte  ad opera del rover Curiosity il dibattito sull’antica presenza di acqua su Marte si fa sempre più acceso 1.

La presenza di acqua allo stato liquido presuppone che le condizioni ambientali marziane per un periodo passato siano state molto diverse da quelle attuali: innanzitutto Marte doveva essere molto più caldo di adesso. Come avevo evidenziato in passato 2 la Zona Goldilocks del Sole attualmente si estende tra 0,8 e 1,2 U.A. dalla stella, mentre Marte orbita un po’ più in là, a  circa 1,52 U.A. Quindi su Marte avrebbe dovuto  essere presente un fenomeno naturale capace di innalzare la temperatura fin oltre i 273° kelvin, ossia di almeno 50 gradi centigradi rispetto alla radiazione solare attuale 3 e almeno 70° a quella presente durante il Periodo Noachiano. Un meccanismo naturale capace di innalzare così le temperature esiste eccome: è l’Effetto Serra 4. Alcuni gas hanno la capacità di trattenere il calore più di altri tanto da sconvolgere l’equilibro termico naturale 5.

Il Monte Olimpo, il più grande vulcano conosciuto del Sistema Solare.

Il Monte Olimpo, il più grande vulcano conosciuto del Sistema Solare.

Senza dubbio questi tre gas combinati insieme hanno prodotto sul primitivo Marte un massiccio effetto serra che ha innalzato le temperature quel tanto che era sufficiente a mantenere l’acqua liquida. Sicuramente un ruolo importante l’ha avuto la crosta marziana che nel momento in cui si è solidificata ha ceduto la parte di acqua e anidride carbonica che tratteneva dando origine a una primitiva atmosfera. Nuovi studi sull’ipotetica composizione chimica e le condizioni fisiche dell’interno marziano 6 suggeriscono che particolari condizioni del mantello fuso del pianeta possono essere state responsabili attraverso gli imponenti vulcani del pianeta del rilascio di quantità significative di metano – che sappiamo essere uno dei più potenti gas serra – nella sua atmosfera. Finché è durata l’attività vulcanica marziana quindi Marte ha goduto dei benefici di un potente effetto serra che ha reso la sottile atmosfera marziana – non dimentichiamoci che Marte è grande la metà della Terra e nove volte meno pesante – abbastanza densa e calda.

Come suggerisce anche la sua densità 7, Marte è il meno denso dei pianeti rocciosi e nonostante tutto la percentuale di ferro contenuta nel suo mantello è insolitamente alta rispetto agli altri pianeti interni. Questo indica che la differenziazione chimica nota anche come Catastrofe del Ferro non si è mai conclusa per il Pianeta Rosso. Complice le ridotte dimensioni, un’atmosfera più sottile, e probabilmente,  meno elementi radioattivi pesanti come il torio (Th) e l’uranio (U) ereditati dalla nebulosa primordiale – che sulla Terra mantengono fluido il mantello e il nucleo – l’interno del pianeta si è raffreddato troppo presto, non si è sviluppato un nucleo fluido rotante capace di produrre un campo magnetico planetario importante in grado di proteggere l’atmosfera dall’azione ablativa del vento solare e dei raggi cosmici, si è interrotta l’attività vulcanica che alimentava l’atmosfera di metano.

Se Marte ha ospitato le condizioni a contorno necessarie allo sviluppo della vita, probabilmente queste si sono affacciate troppo presto e per troppo poco tempo nella storia marziana per essere significative.


Altri  riferimenti:
NASA rover studies geology of Mars’s crater, Physics Today, 3 aprile 2013.
Martian interior inside Mars, Esa Mars Express 7 gennaio 2007.

M31 – PanSTARRS: una congiunzione straordinaria

Credit: Vesa Vauhkonen on April 2, 2013 @ Rautalampi, Finland

Credit: Vesa Vauhkonen on April 2, 2013 @ Rautalampi, Finland

Bella, vero?
Questa foto è stata scattata L’altra sera da Vesa Vauhkonen a Rautalampi​ in Finlandia.
Per chi, come me, ha dovuto subire l’inclemenza meteorologica di tutto il mese di marzo, almeno la soddisfazione di vederla in cartolina … volete mettere?
A parte gli scherzi, non mi è proprio stato possibile vedere questa splendida cometa proprio per colpa del maltempo che ha colpito l’Italia praticamente per tutto il mese. E quando le condizioni meteo sembravano migliorare un attimino, il mio lavoro e altri impegni – non da  ultimo la violazione del Blog – mi hanno tenuto lontano dallo scrutare il cielo.

Oltre alla mirabile estetica, c’è comunque un’altra ragione per cui ho scelto questa immagine. La congiunzione apparente di due astri fra loro lontanissimi almeno 2,5 milioni di anni luce. Una infatti è una galassia, Messier 31 conosciuta anche come la la Galassia di Andromeda, composta da mille miliardi di stelle che brillano di luce propria, mentre l’altra è una montagna di neve sporca che si è avvicinata al Sole e per questo sta sublimando gas che riflettono la luce del nostro astro.
Il loro accostamento nel cielo è solo apparente, esattamente come fa un qualsiasi altro pianeta del Sistema Solare che si  proietta in una porzione di cielo che prende il nome dalla costellazione che ospita.
Esattamente come accade con le stelle fra loro lontanissime e indipendenti che condividono la stessa porzione di cielo e che noi, per comodità, per ragioni storiche e mitologiche, chiamiamo costellazioni.

Quindi quando sentirete parlare di Plutone nel Sagittario, Marte nei Pesci e Giove nei Gemelli sappiate che queste sono soltanto proiezioni apparenti e nient’altro; esattamente come la C/2011L4 PanSTARRS e M 31 che nella foto dominano la costellazione di Andromeda.

Una congiunzione invisibile

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Credit: Il Poliedrico

Come avevo sommariamente indicato nel nuovo calendario disponibile su questo Blog proprio oggi avviene una congiunzione stretta fra Marte e Urano.
Il momento di massimo avvicinamento apparente si verificherà tra polco intorno alle 18:oo UTC, le 19:00 in Italia. In quei minuti l’evento sarà sotto l’orizzonte per il nostro paese, ma in verità anche le altre località nel mondo non sono messe meglio vista l’estrema vicinanza del Sole alla posizione apparente dei due pianeti.
Anche in questo caso ci viene incontro una delle sonde spaziali che studiano perennemente il Sole, appunto la SOHO con il suo coronografo a largo campo: lo strumento Large Angle and Spectrometric Coronagraph (LASCO) C3, capace di un campo visivo da 3,7 a 32 raggi solari.
a Voi lo spettacolo dell’evento!

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Image credit: Nasa/SOHO/LASCO C3
Elaborazione grafica: Il Poliedrico

La Panstarrs dallo spazio

In poche altre occasioni sono stato in apprensione per il meteo come in questi giorni. In queste sere appunto sarebbe visibile ad ovest subito dopo il tramonto la cometa C/2011 L4 PanSTARRS. Il condizionale è d’obbligo perché proprio in questi giorni la mia regione, come buona parte dell’Italia, è investita dal maltempo che ostacola qualsiasi occasione di osservare la cometa.

Esistono un paio di osservatori che sono immuni al maltempo atmosferico, anche se sono sicuramente esposti a tempeste ben più gravi: sono le sonde Stereo A e B che studiano costantemente il Sole da sei anni.

Lo scorso 10 marzo la sonda Stereo B è riuscita ad offrire una immagine unica della PanSTARRS vista dallo spazio insieme a Mercurio e alla Terra. L’immagine è stata pubblicata su Twitter da Sungrazin Comet, un sito che chi è a caccia di comete non può mancare di apprezzare.
Lascio a Voi giudicare queste immagini che non voglio commentare più di tanto. Buona visione e … Cieli Sereni!

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Credit: SOHO/Sungrazing Comets/SSC

Credit: SOHO/Sungrazing Comets/SSC

Credit: SOHO/Sungrazing Comets/SSC

Polvere celeste

La traccia nel cielo dell'Evento Chelyabinsk.

La traccia nel cielo dell’Evento Chelyabinsk.

Il 15 febbraio scorso un eccezionale meteorite esplose nel cielo di Chelyabinsk​, sui Monti Urali in Russia.
Già a poche ore dall’evento gli astronomi erano riusciti con una discreta approssimazione a determinare il percorso nell’atmosfera del meteoroide e la sua orbita di origine 1; questo grazie alle numerose riprese fotografiche e ai sensori ad infrasuoni della rete ISM dell’organizzazione internazionale CTBTO 2 che ne avevano tracciato il percorso nell’atmosfera.

Non sto a ripetere la storia che altri blog hanno già sviscerato, ma vorrei piuttosto parlare del rinnovato interesse del grande pubblico per le meteoriti e per i sassi che ogni tanto la Terra incrocia percorrendo la sua orbita.
Giusto la sera prima dell’evento di Chelyabinsk la Terra era stata sfiorata dall’asteroide Apollo 2012 DA14, un sasso di 45-50 metri da una quota di 27700 chilometri, il che aveva ovviamente scatenato le solite fantasie dei soliti catastrofisti che, ormai orfani del Calendario Maya, colgono tutte le occasioni per ricordarci il famoso motto trappista “ricordati che devi morire!” e avevano scorto un legame tra i due eventi, segno certo di qualche oscuro presagio. Legame che comunque presto le indagini sulla traiettoria del meteoroide hanno smentito.

Un micrometeorite.

Un micrometeorite.

Ogni anno almeno 15 mila tonnellate di materiale meteorico cade sulla Terra, eppure eventi come quello di Chelyabinsk 3  per fortuna ormai sono estremamente rari tanto che nell’ultimo secolo si contano sulla punta delle dita 4.

Queste sono composte perlopiù da polveri e micrometeoriti di dimensioni veramente minuscole da passare totalmente inosservate. Non ce ne rendiamo conto ma in realtà è così.
Avete presente quella strana lanuggine che quotidianamente troviamo sotto i nostri letti, oppure quelle strane luccioline danzanti che si scorgono in un raggio di luce che attraversa una stanza buia 5? Per la maggior parte è composta da scaglie di pelle, residui organici e microorganismi parassiti come funghi e acari, polveri vulcaniche etc., cioè quello che è chiamato pulviscolo atmosferico.  Una parte invece è polvere cosmica che il pianeta raccoglie percorrendo la sua orbita attorno al Sole.
Quelle che comunemente chiamiamo stelle cadenti sono solo una parte di questo pulviscolo cosmico che quotidianamente cade sulla Terra. Una parte di questo pulviscolo non sviluppa neppure una coda di plasma visibile, si deposita semplicemente sugli strati alti dell’atmosfera e poi atterra dolcemente anche dopo giorni interi di sospensione, oppure evapora nel suo ingresso nell’atmosfera per l’attrito con questa e poi risolidifica formando microscopiche goccioline vetrose o di metallo sferoidali, come nella foto qui sopra.

La scala delle dimensioni di questi micrometoriti è enorme: insieme al materiale delle dimensioni addirittura di una particella di fumo di sigaretta, arrivano al suolo anche grani ben più grandi, dell’ordine dei decimi di millimetro che non sono poi così difficili da intercettare, a volte basta una … calamita!

Ma per spiegarvi in dettaglio come raccogliere micrometeoriti dovrete un attimino attendere il prossimo articolo sull’argomento che sto appunto preparando.


 

C/2011-L4 PanSTARRS: la cometa di primavera

In questi ultimi giorni mi sono attardato a studiare l’affascinante mondo dei neutrini. L’argomento ha così attirato la mia attenzione che mi sono completamente dimenticato di parlarvi dell’imminente arrivo dell’altra Grande Cometa di quest’anno che tra pochissimi giorni sarà visibile ad  occidente poco dopo il tramonto. Non me ne vogliate, rimedio subito.

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I tempi sono espressi in UT; per l’Italia basta sommare quindi un’ora per ottenere l’ora standard di Roma.
Credit: Il Poliedrico

Se la C/2012 S1 ISON promette di essere una delle più luminose comete degli ultimi secoli 1, la PanSTARRS già visibile nei cieli australi certo non sfigura.

Per ora la cometa è visibile, sempre con maggiore difficoltà a cusa del suo avvicinarsi al perielio, dall’emisfero sud,  mentre già dai giorni 4 e 5 dovrebbe esser possibile scorgerla, magari con difficoltà, nei bagliori vespertini.
La situazione dovrebbe notevolmente migliorare nelle serate successive mentre la PanSTARRS si allontana dal Sole.

La curva di luce prevista per C/2011 L4 PanSTARRS Credit: http://www.aerith.net/

La curva di luce prevista per C/2011 L4 PanSTARRS
Credit: http://www.aerith.net/

In particolare vorrei segnalarvi lo spettacolo del 12 marzo,  quando una sottilissima falce di Luna, Marte e la cometa staranno un francobollo di cielo grande appena 7 gradi.
La curva di luce prevista per la PanSTARRS  indica che comunque già verso la fine del mese la cometa potrebbe diventare invisibile a occhio nudo Consiglio in tal caso l’uso di strumenti a grande campo per non perdersi la conda che adesso punta decisamente verso Nord. Per le effemeridi del giorno e altre informazioni vi invito a consultare il Calendario di questo sito.

Non mi resta quindi che augurarvi un bocca al lupo per le osservazioni e …
Cieli sereni


Errare Humanum est

Umby

Mi spiace. Forse ho peccato di presunzione, o forse di leggerezza. Fate voi. L’importante è riconoscere i propri errori e cercare sempre di porvi rimedio.
Fatto è che le mappe che in precedenza avevo pubblicato per il passaggio ravvicinato dell’asteroide 2012 DA14 le ho tolte perché sono sbagliate e non vorrei essere successivamente accusato di avervi fatto mancare l’appuntamento del 15 febbraio.
Il principale problema è che è molto difficile ottenere delle effemeridi abbastanza accurate del piccolo asteroide usando software non espressamente dedicati all’elaborazione di coordinate celesti per piccoli corpi. Ce ne sono alcuni 1 che assolvono proprio questo compito, ma non li conosco abbastanza per potermi esprimere.
Il vero problema per cui software come Stellarium, C2A, etc. falliscono è che l’asteroide 2012 DA14 è troppo piccolo rispetto alla Terra e passerà troppo vicino al nostro pianeta perché questi possano dare previsioni abbastanza accurate della traiettoria in cielo del piccolo sasso.
Per avere dati più accurati possibile e poterveli quindi offrire sulla sua specifica pagina del calendario, ho fatto ricorso al programma online Horizons del Jet Propulsion Laboratory / Solar System Dynamics.
Il programma Horizons è disponibile per chiunque e offre diversi metodi di accesso, via telnet, via mail o via web, però restituisce solo coordinate celesti in ascensione retta e declinazione, niente forma grafica quindi, comunque necessarie per centrare l’asteroide o la cometa cercata. Certo una proiezione grafica per chi si approccia con un binocolo o ad occhio  nudo avrebbe fatto comodo, vedrò in futuro di attrezzarmi in questo senso.
Pertanto qui rinnovo il mea culpa per le mappe sbagliate che nel frattempo avevo pubblicato sul calendario, pregandovi di usare piuttosto le coordinate celesti prodotte da software ben più sicuri come Horizons. Vi prometto che in futuro farò più attenzione, perseverare autem diabolicum.


La nebulosa Lamantino e il suo microquasar SS 433

L’uomo ha sempre inteso scorgere figure a lui familiari in ogni dove 1, nelle nuvole come nella volta stellata, proiettandovi immagini di miti e leggende, facendo nascere così le costellazioni, così diverse da cultura e cultura eppure tutte egualmente degne di essere conosciute. Forse un giorno ve ne parlerò.  

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Pensate di scorgere la figura di un lamantino – una specie di grosso tricheco senza zanne – nel cielo e ampia circa 700 anni luce, per noi grande quanto quattro lune piene, in direzione dell’Aquila. Questa è W50 2, conosciuta anche come Nebulosa Lamantino (Manatee in inglese),  il resto di una supernova esplosa almeno 20000 anni fa a 18000 anni luce dal Sole:  SNR G039.7-02.0.

Normalmente si è portati a pensare che il guscio di una supernova sia grossomodo sferico o giù di lì, eppure i resti di questa supernova dimostrano che non sia sempre così. In questo caso infatti il guscio è notevolmente alterato dai poderosi getti e dai campi magnetici emessi  dal curioso oggetto che ne è al centro: SS 433.

SS 433 3 e in realtà un sistema binario ad eclisse composto dai resti dell’antica supernova, una stella di neutroni oppure – più probabilmente – un buco nero, che risucchia materia dalla stella compagna, una vecchia stella di classe A ancora nella sequenza principale, che una volta doveva essere la componente più piccola di questo stretto sistema stellare. La materia risucchiata dall’accrettore crea un disco di accrescimento attorno al resto di supernova che dà origine a due getti perpendicolari di idrogeno ionizzato che si propagano nello spazio a velocità relativistiche: circa il 26% della velocità della luce.

La nebulosa Lamantino e la sorgente SS 433.
Credit: Il Poliedrico

Per tutte queste peculiarità SS 433 viene oggi considerato un microquasar 4, in quanto rispecchia in scala ridotta quello che le galassie attive fanno nella loro  gioventù.
L’asse di rotazione del resto di supernova non è complanare con l’asse del sistema ma inclinato di circa 20 gradi con questo. Il risultato è che l’asse di rotazione ruota di conseguenza intorno alla perpendicolare del sistema con un ciclo di 162,5 giorni. Il moto precessionale conseguente attorciglia le linee del campo magnetico del disco che si propagano nello spazio, mentre i due getti di plasma emessi spazzano lo spazio con un movimento elicoidale che disegna due coni divergenti. Tutto questo si traduce nel bizzarro spettro di SS 433 che appare contemporaneamente avvicinarsi e allontanarsi da noi, ma che in realtà è dovuto ai flussi di plasma che viaggiano in direzioni opposte.
Non solo, oltre all’effetto Doppler lo spettro di SS 433 è influenzato anche dalla relatività: sottraendo infatti gli effetti dello spostamento Doppler rimane una componente di spostamento verso il rosso corrispondente ad una velocità di circa 12000 chilometri al secondo. Questa non rappresenta l’effettiva velocità di recessione di SS 433, ma è dovuta dalla dilatazione temporale che si manifesta alle velocità relativistiche dei getti dove, per le componenti del plasma e di conseguenza anche per la radiazione da loro emessa, il tempo scorre più lentamente.
E sono appunto questi getti a deformare la sfericità del guscio e a farla somigliare più alla figura abbastanza familiare di un lamantino che riposa.

Ecco spiegata quindi la strana forma della Nebulosa Lamantino e il curioso microquasar che ne è al centro.


Asteroide Apophis, la storia continua

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Il 2012 è finito in gloria, con buona pace della Fine del Mondo e dei gonzi che ci hanno creduto insieme alle altre balle come Nibiru, le astronavi travestite da comete o da buchi nelle mappe astrali e così via. Invece in sordina …

99924 Apophis osservato da Herschel nelle tre bande di 70, 100 e 160 micron.
Credit: ESA/Herschel/PACS/MACH-11/MPE/B.Altieri (ESAC) and C. Kiss (Konkoly Observatory)

… il nuovo anno ha ben iniziato con l’incontro forse più urgente dell’anno: il passaggio al perigeo di 99942 Apophis 1.
Infatti  il 9 gennaio 2013 l’asteroide Apophis è transitato accanto alla Terra ad  appena a 14,5 milioni di chilometri.
Nell’occasione il telescopio spaziale Herschel è riuscito a stimare le dimensioni e l’albedo dell’asteroide Near-Earth con maggior precisione rispetto alle stime precedenti: così  dai 270 metri finora riconosciuti  si è passati a 325, circa il 20% in più di quanto era stato calcolato prima, mentre l’asteroide è risultato essere un po’ più scuro di quanto si fosse pensato: da un albedo di 0,33, più o meno quello della Terra, a 0,23, quello di un bel pratino.
Ovviamente Apophis non è ricoperto d’erba, non è neppure verde, ma è altrettanto scuro quanto lo è un prato verdeggiante, che non è proprio scuro quanto lo è un pezzo di carbone ma nemmeno bianco come un campo appena innevato. Più tardi vedremo perché questa può essere una informazione importante.
Intanto i nuovi dati raccolti in questo passaggio sono serviti a stimare con una maggiore precisione l’orbita dell’asteroide per gli incontri futuri che si prospettano alquanto interessanti.
Apophis orbita attorno al Sole in un po’ meno di un anno terrestre, 324 giorni, per cui non sempre è così vicino alla Terra mentre altre volte transita un po’ troppo vicino.

Il prossimo incontro ravvicinato accadrà nel 2029,  quando Apophis  sfiorerà la Terra ad appena poco più di 38.000 chilometri, abbastanza lontano da non caderci in testa ma abbastanza vicino per creare forse qualche problema ai satelliti in orbita medio-alta. Comunque, la vastità dello spazio suggerisce che il rischio che l’asteroide spazzi via qualche satellite è piuttosto bassa, la stessa agenzia spaziale americana stima che il rischio di impatto con qualche satellite operativo è piuttosto basso, circa il 2,7%.
Invece qualche motivo di preoccupazione dovremmo averlo per i passaggi successivi: anche se per il passaggio del 2036 la probabilità di un impatto si è ridotta di 30 volte, passando da 1 su 230.000 a 1 su 7 milioni, per il 2068 il rischio di un impatto aumenta, passando da 1 su 400.000 a 1 su 185.000. Le cifre dette così possono spaventare , ma il rischio che Apophis ci cada sulla testa è comunque pari allo 0,000014% per il 2036 e dello 0,0005% per il 2068; è certamente molto più rischioso viaggiare in automobile.

Nel malaugurato caso che comunque Apophis decida di scendere sulla Terra, questo non sarà altrettanto catastrofico quanto l’asteroide di Chicxulub 2 che rilasciò circa 100 milioni di megatoni di energia e provocò l’estinzione dei dinosauri 65 milioni di anni fa, ma di certo non sarà altrettanto indolore come l’Evento di Tunguska 3 del 1908.

Sulla base dei dati precedenti a questo passaggio, la NASA aveva stimato che un impatto di Apophis avrebbe generato energia per 510 megatoni, più del doppio dell’energia rilasciata dall’eruzione Krakatoa del 1883 4, un evento che mutò il clima globale della Terra per i successivi anni.
In attesa che nuove stime del potenziale distruttivo tengano conto delle nuove misurazioni dell’asteroide, si può comunque ipotizzare che questo sarà pari almeno a 850-900 megatoni, pari a circa 17-18 bombe Zar (quella depotenziata) simultanee.

Alcuni anni fa trattai l’argomento su  come deviare un asteroide su questo Blog 5. In quell’articolo illustravo alcuni metodi che la comunità scientifica ha preso in considerazione per deviare un asteroide che si avvicina troppo pericolosamente alla Terra. Ma una nuova proposta 6 è quella di ricorrere all’effetto Yarkovsky 7 per modificare l’orbita di Apophis quel tanto che basta per scongiurare altri incontri pericolosi con la Terra.
Proprio per questo l’ex astronauta americano Russel Schweickart ha proposto di inviare al più presto su Apophis un trasponder per determinarne con estrema precisione l’orbita per decidere entro il 2014 se e quanto è necessario modificare la sua orbita con una missione spaziale. Per Scweickart dopo il 2014 potrebbe non esserci abbastanza tempo per allestire una missione di deflessione prima dell’incontro del 2029. Ogni missione successiva a questa data potrebbe essere molto più difficile, sette anni potrebbero essere non più sufficienti a scongiurare un possibile impatto.

Ma di quanto è necessario modificare l’orbita di Apophis?
Sono tre i parametri di cui occorre tener conto. Il primo è quello che gli anglosassoni chiamano keyhole,  che noi possiamo immaginare come la classica cruna di un ago, in cui deve transitare il centro di massa dell’asteroide nel 2029 perché poi colpisca la Terra nel 2036. Questa finestrella è larga appena 641 metri, per cui basterebbe una deflessione di appena 320 metri.
Un altro parametro è legato all’incertezza dell’orbita, che per ora presenta uno scarto di circa 1800 chilometri sulla posizione effettiva dell’asteroide. Usando una tolleranza di sicurezza di $\sigma$ 5 significa dover apportare una deflessione di almeno 9000 km. Per questo la proposta di  Scweickart di inviare un trasponder sul corpo celeste è da prendere in considerazione assolutamente. Man mano che l’orbita di Apophis sarà conosciuta con una migliore risoluzione il grado di incertezza potrà scendere anche molto sotto ai 100 chilometri.
Il terzo parametro, per questo ho detto all’inizio che era importante conoscere l’albedo di Apophis e i dati ripresi da Herchel sono così preziosi, è invece dovuto al noto Effetto Yarkovsky, che modifica continuamente l’orbita del corpo celeste e su cui la proposta di Sung Wook Paek dovrebbe andare a incidere.

Adesso quando i fuffologi vi annunceranno una prossima fine del mondo per mano di Apophis sapete come stanno realmente le cose.


Altre letture suggerite:

Yarkovsky-driven impact risk analysis for asteroid (99942) Apophis
On the impact of the Yarkovsky effect on Apophis’ orbit