Pareli nel Texas

Credit: David Blackburn - Amarillo, Texas

Se cercate su Wikipedia informazioni sul clima della città di Amarillo, troverete che la temperatura media oscilla tra gli 8,9 gradi centigradi di gennaio ai 33,3 gradi di luglio. Qualche volta capita che ci nevichi, ma raramente capita che sia freddo giù nel Texas.
Eppure il 9 febbraio scorso è capitato di vedere dei pareli 1 anche ad Amarillo, anche se da quelle parti deve essere raro come  vincere il primo premio alla lotteria!

Appuntamento di San Faustino per la Stardust NExT

Dovremmo pensare che anche alla NASA, in tempi di ristrettezze economiche, cerchino di risparmiare sulle missioni riutilizzando vecchie sonde come è accaduto qualche mese fa per la Deep Impact/EPOXI. Io invece credo che siccome le sonde alla NASA le sanno costruire fin troppo bene, è giusto metterle a frutto il più possibile, dopotutto sono un usato garantito!


Rappresentazione artistica di Stardust-NExT . Credit: NASA/JPL-Caltech/UMD

Un sottile filo immaginario lega la cometa della missione EPOXI e la cometa della missione NExT: la cometa 103P/Hartley2 è stata visitata dalla sonda EPOXI 1 che aveva in precedenza sparato un proiettile sulla 9P/Tempel1. Entrambe le comete sono poi state oggetto di studio riusando sonde di missioni precedenti.

Dopo l’incontro con la cometa Wild2 avvenuto nel gennaio 2004 da parte della sonda Stardust che raccolse campioni di polvere della coda della cometa che poi rimandò a terra, tra il 2006 e il 2007 gli scienziati della NASA proposero di riassegnare la missione con il nuovo nome di  NExT (New Exploration of Tempel 1) per farla incontrare con la Tempel1 che nel 2005 era stata visitata dalla sonda Deep Impact.

Deep Impact su 9P/Tempel1. Credit: NASA/JPL

La missione Deep Impact aveva avuto il compito di sparare un ordigno di 370 chilogrammi sulla Tempel1, ma le immagini raccolte subito dopo furono offuscate dalla nuvola di detriti alzata dall’impatto.

Compito della NExT sarà quello di osservare gli effetti che il proiettile ha avuto sulla cometa. L’incontro avverrà il 15 febbraio alle 04:00 UTC (le 5 del mattino in Italia).

il Teatro del Agua

Non sono un economista e di questo ne vado fiero, specialmente dopo che ho scoperto 1 che questi qualche volta si affidano ai maghi e agli oroscopi (!) per le loro previsioni che influenzano poi l’agire politico di intere nazioni e quindi di tutti noi; non farò un trattato new age di economia, ma cercherò di illustrare che una alternativa di sviluppo sostenibile per l’ambiente è realmente possibile e magari anche piacevole.

Rappresentazione artistica del Teatro del Agua. Credit: Charles Paton per studio Grimshaw (Progetto Eden)

… Non vogliate negar l’esperienza
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza
2

Chi pensa che un’alternativa all’attuale modello economico di crescita infinita/PIL non esista o crede che l’altro modello della decrescita sostenibile porti alla disoccupazione di larga parte della popolazione e alla rinuncia del nostro tenore di vita, secondo me sbaglia di grosso. Come indicò anche il Sommo Poeta 800 anni fa, dovremmmo tornare a pensare in termini di qualità della vita, quindi anche della salubrità ambientale, piuttosto che accanirsi sulla produzione di merci che poi non possono essere assorbite dal mercato.
Il problema è che le risorse del pianeta sono finite, nel senso che sono limitate,  e che per quanti sforzi si possano fare nel risparmio energetico e nella redistribuzione delle risorse, il pianeta con l’attuale modello socioeconomico dominante non può sostenere la spinta di 10 miliardi di persone che, giustamente, chiedono le stesse opportunità.
La principale risorsa finita che è di importanza vitale per l’umanità è l’acqua.
Intorno all’acqua sono sorte tutte le grandi civiltà, e per la sua mancanza sono crollati imperi 3 .

Il Teatro del Agua 4  ideato qualche anno fa da Charles Paton col team del Progetto Eden e lo studio di architettura Grimshaw potrebbe risolvere molti grossi problemi di approvvigionamento idrico per molte comunità costiere e contemporaneamente essere usato come spazio ricreativo.
Il meccanismo di funzionamento è estremamente semplice: l’acqua di mare viene nebulizzata nell’aria più calda. Questo vapore entra in contatto con i condensatori raffreddati dalla stessa acqua di mare e si condensa in acqua dolce separandosi della componente salina; in pratica è lo stesso ciclo naturale delle nubi e della pioggia. L’energia per tutto l’impianto di pompaggio è prodotto con fonti energetiche rinnovabili.

Questa tecnologia può essere applicata per creare serre in climi aridi 5, purificare l’acqua in ambienti malsani etc. con un minimo dispendio energetico, cosa che gli attuali impianti dissalatori non riescono a fare.

È solo un esempio, è solo un  inizio, ma si  può fare.

Napoli, Italy

Napoli dallo spazio. Credit: Paolo Nespoli (ESA-NASA)

“Suol dirsi che Napoli abbia un gran nemico, il Vesuvio.
Chi non ne ha?
Altrove è un fiume, forse, altrove un lago, altrove l’aria pestilente.”
1

Come non dar ragione al nostro astronauta Paolo Nespoli, attualmente a bordo della stazione spaziale internazionale ISS, che vede inquietante la presenza di un vulcano attivo in mezzo alla città di Napoli?
Sì, perché quei paesi che sono ancora chiamati Portici, Torre del Greco, Boscotrecase, Ottaviano, Somma Vesuviana etc. in realtà sono tutti attaccati tra loro e con la città di Napoli sotto l’imponente spinta della crescita demografica del recente passato e dalla disordinata urbanizzazione del territorio (anche dei frequenti abusi edilizi).
Il Vesuvio, anche se ora è dormiente, è un terribile vulcano esplosivo ancora attivo, l’ultima attività importante risale al 1944 e i vulcanologi temono un prossimo devastante risveglio del vulcano.
I piani di evaquazione messi a punto dalla Protezione Civile sono largamente insufficienti, ma non per sua colpa:  da 600.000 a 1 milione di persone che dovrebbero fuggire dalle loro case con un preavviso di poche ore, attraverso strade inadatte a sostenere l’evacuazione, con la popolazione che non viene stimolata con esercitazioni continue.

Potremmo dire che la colpa è dei politici e che in democrazia  questi  sono scelti dal popolo. Vedendo la foto mi domando: gli abitanti di questa megalopoli hanno potuto veramente scegliere democraticamente i responsabili della loro devastazione?

La rivoluzione di Kepler

D’estate alzate gli occhi al cielo; vedrete una grande croce sopra di voi dominata da una stella luminosa, Deneb. Quella è il Cigno e rappresenta un cigno mentra spicca il volo per sfuggire al Drago, lì accanto a destra.
Ecco, in quella minuscola porzione di spazio, il telescopio spaziale Kepler ci sta regalando migliaia di eccitanti scoperte. l’altro giorno fece scalpore la scoperta di Kepler10b
un pianeta roccioso in orbita a una stella di tipo G, simile al nostro Sole, peccato che con 1600 gradi alla superficie questo è più simile ad un girone dell’Inferno dantesco che al Paradiso.

La porzione di cielo esplorata con Kepler è tutto sommato piccola.

La porzione di cielo esplorata con Kepler è tutto sommato piccola.

La porzione di cielo osservata da Kepler è circa 1/400 dell’intera volta celeste, eppure in nemmeno 2 anni dalla sua entrata in servizio, il telescopio spaziale Kepler ha rivoluzionato le nostre conoscenze del cosmo sui pianeti e la loro abbondanza.

Ora non voglio ripetere quanto già detto anche in altri siti sulla scoperta di un sistema planetario multiplo attorno ad una stella -anche questa di tipo G, chiamata Kepler-11, quanto piuttosto sulle peculiari caratteristiche dei sistemi planetari finora scoperti.
Finora sono stati scoperti i sistemi planetari con pianeti in orbita stretta alla loro stella, quindi o molto dentro rispetto all’ecosfera Goldilocks (come nel caso anche di Kepler-10 o Kepler-11) o a stelle minuscole di classe K o M, le nane rosse, dove l’influenza gravitazionale dei pianeti è abbastanza grande da influenzare visibilmente il moto della stella e dove la zona Goldilocks è a ridosso di questa proprio in virtù della scarsa  energia da essa irradiata.
Tutti questi pianeti hanno una cosa in comune che non è la loro composizione o massa o dimensione: la loro distanza dalla stella del sistema.

Una fotometria di Kepler che mostra il transito di HAT-P-7b.    Credit: NASA

Il metodo dei transiti richiede un certo numero di passaggi (almeno tre)  per poter determinare con sufficiente sicurezza l’avvenuto transito di un pianeta attorno ad una stella. Questo serve ad escludere che la variazione di luce non sia casuale, dovuta magari a un eccezionale brillamento o a una instabilità intrinseca nella stella.
Una analisi sofisticata della curva di luce poi aiuta a determinare il transito di uno o più pianeti,  ma i dati finora raccolti e analizzati coprono solo i transiti di breve periodo, quindi orbite molto più piccole rispetto a quelle che un pianeta di massa simile alla Terra dovrebbe avere se fosse dentro alla fascia Goldilocks di una stella di tipo G (un pianeta come la Terra a questa distanza dal Sole richiede circa 13 ore per attraversare il disco stellare e si ripete solo ogni anno).
Anche il tipo di segnale che un transito lascia sulla luce della stella è importante: un corpo grande molto vicino alla stella intercetta più luce dello stesso corpo posto ad una distanza molto maggiore: per rendervi conto di questo immaginate di osservare un pipistrello che vola attorno ad un lampione acceso: più questo è vicino al lampione più grande sarà la sua ombra; anche se Kepler è in grado di rivelare una variazione di 1 parte su 10.000 nella luminosità della stella, questa è una misura estremamente piccola da misurare.

Il metodo dei transiti ci dice molto sui  sistemi planetari che riesce a scoprire, ma questo funziona solo finché gli altri sistemi planetari giacciono sulla stessa linea di vista con la stella, basta che il loro piano sia più inclinato che i transiti ovviamente non siano più visibili; ma esiste un altro metodo, quello che finora è stato utilizzato dagli osservatori come ad esempio al  Keck nelle Hawaii o a quello dell’ESO in Cile: il metodo spettrometrico.
Questo sistema si basa sull’oscillazione periodica della stella rispetto al baricentro gravitazionale del sistema stellare: Giove ad esempio imprime al Sole una velocità radiale di 13 m/s intorno al baricentro gravitazionale per un periodo di 12 anni, questo vuol dire che per scoprire un altro Giove alla sua stessa distanza intorno ad un’altra stella come il Sole dovremmo prendere le misure doppler della velocità radiale per un periodo di tempo molto lungo.
Per questo finora sono stati trovati perlopiù sistemi atipici, gioviani caldi, pianeti in orbita stretta o con forti anormalità orbitali etc.
Comunque il 1 febbraio come era stato promesso a suo tempo 1 la missione Kepler ha diffuso i dati ricavati da 156.453 stelle osservate tra il  2 maggio e il  16 settembre 2009 2.  Su questo campione sono stati rivelati 1.235 possibili pianeti, appartenenti a 997 stelle.
Lo 0,64% per ora di stelle pare avere un sistema planetario associato. Un dato che può sembrare non molto incoraggiante, ma i dati finora raccolti comprendono un brevissimo lasso di tempo – appena 3 mesi e mezzo –  e in questo lasso di tempo è possibile determinare solo i sistemi planetari con orbite di cortissimo periodo. Tenendo conto che comunque Kepler vede i sistemi planetari giacenti sullo stesso piano visuale rispetto alla stella, questo è un dato invece del tutto incoraggiante.
Le caratteristiche dei pianeti finora scoperti sono:
Dimensioni Tipo Quantità %
15 -22  rT doppio di Giove 19 1,6%
6 – 15 rT come Giove 165 13,7%
2 –   6  rT come Nettuno 662 55%
1,25 -2 rT super Terra 288 23.9%
< 1,25  rT come Terra 68 5,6%
Addirittura ben 54 di questi pianeti sono all’interno della zona Goldilocks della propria stella, la zona considerata sufficientemente lontana dalla stella da permettere all’acqua di esistere allo stato liquido,  anche se questo dipende molto anche dalla composizione chimica del pianeta e della sua atmosfera.
A questo punto si può solo aspettare che altri dati che coprono una più ampia finestra temporale  siano resi disponibili.
È solo questione di tempo, ma pianeti come la nostra Terra stanno per essere finalmente svelati.

Quattro vie per dire addio ai combustibili fossili

Un anno fa su Scientific American apparve un articolo 1 di Mark Z. Jacobson e Mark A. Delucchi che illustrava la fattibilità di produrre l’energia  mondiale necessaria solo col supporto delle fonti rinnovabili, ossia vento, acqua e sole (Wind Water Sun) a cui mi sento di unire anche la geotermia come importante fonte energetica pulita.  Il lavoro svolto presso l’Università di Stanford tiene conto di fattori importanti come l’impatto ambientale globale di tutta la filiera di produzione: riscaldamento globale, inquinamento, approvvigionamento idrico, uso del suolo, la biodiversità etc… .
Tenere conto di tutti i fattori che causano turbamento del delicato equilibrio planetario non è semplice, comunque questo ha di fatto eliminato tutte le fonti di approvvigionamento tradizionali come carbone, petrolio, gas e nucleare ma anche tutti i sistemi che riguardano i biocombustibili e i termogeneratori a combustione.

Energia e Combustibili

L’energia è un concetto tutto sommato astratto:  può essere qualsiasi cosa che produce un lavoro, sia esso meccanico, chimico o elettrico; tutti i combustibili quindi sono veicoli di energia: in seguito a una reazione chimica o nucleare questi rilasciano una certa quantità di energia che genera lavoro 2, 3.
Tutti i combustibili chimici che usiamo producono energia tramite la rottura dei legami chimici di molecole complesse rilasciando sottoprodotti di scarto come la CO2 4. Il problema risiede nel fatto che molti combustibili chimici  che usiamo sono di origine fossile, praticamente tutti, tranne quelli provenienti dalle biomasse attuali, originati cioè in milioni di anni da piante e animali morti che durante la loro esistenza avevano catturato il carbonio dall’ambiente. Nel momento del loro utilizzo perciò rilasciano il carbonio estratto dall’ambiente milioni di anni fa di cui erano custodi riversandolo nell’ambiente attuale. Le biomasse invece raccolgono ora il loro carbonio e ora viene liberato, quindi ad apporto virtualmente zero per l’ambiente.

A questo punto è facile intuire che i combustibili fossili sono vettori energetici che creano un grave danno all’ambiente. I biocarburanti apparentemente no, però questi non potrebbero risolvere la domanda energetica del pianeta senza distogliere all’agricoltura alimentare risorse importanti come acqua e suolo, possono essere vettori tollerabili solo  fino a quando un diverso sviluppo tecnologico con un diverso vettore non sarà diventato dominante 5.

Noi usiamo già questo terzo vettore, nelle nostre case e nelle fabbriche, negli uffici e nel tempo libero, è fondamentale per lo sviluppo tecnologico dell’umanità: si chiama elettricità.
Finora usiamo i combustibili fossili (o nucleari) per produrla, ma nuove tecnologie permettono la produzione di elettricità in grandi quantità senza intaccare l’ambiente e a costi sempre più competitivi rispetto ai metodi tradizionali, mi riferisco alle WWS + G di prima: vento, acqua, sole e geotermia.

Vento e Acqua

La centrale mareomotrice di Saint-Malo. Essa copre il 3 % del fabbisogno elettrico della Bretagna francese. Credit: Wikipedia

Il vento e l’acqua possono generare movimento, quindi energia, convertibile direttamente in elettricità esattamente come fa una turbina di una centrale a combustibile, l’unica difficoltà è che queste due risorse non sono ovunque e sempre disponibili, ma l’energia da loro prodotta può essere immagazzinata in un altro tipo di vettore (ex. idrogeno) o trasportata attraverso la rete elettrica. Non solo, essendo il vento mediamente disponibile sul pianeta, date le relativamente ridotte dimensioni e l’assenza di inquinamento dei mezzi di conversione d’energia movimento/elettricità, il suo sfruttamento si presta anche per la produzione locale di energia elettrica.
L’acqua come risorsa idroelettrica è già ampiamente sfruttata, manca solo di sfruttare l’energia resa dalle maree e dalle correnti marine 6, anche se esercizi pilota in questo senso sono già stati avviati in diverse parti del mondo.

Caos nel Mediterraneo

Preferisco più parlare di scienza che di politica, scusate se però qualche volta non mi trattengo, specie ora che i media nazionali parlano solo di bordelli e mignottume vario…

Manfestante tunisino

La situazione politica nel mediterraneo sta esplodendo: la Tunisia ha rovesciato il suo dittatore Zine El Abidine Ben Ali  il cui partito (RCD) alle elezioni del 2009 aveva riscontrato l’89.62% di consensi, più o meno come nelle vecchie finte democrazie socialiste mitteleuropee del secolo scorso (per questo si parla di percentuali bulgare), dopo che Wikileaks aveva rivelato il pensiero di dell’ambasciatore americano sul l’ex Presidente 1, 23.

Wikileaks è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma la realtà è che il paese era stremato e alla fame, senza più prospettive per il futuro, governato da una dittatura imposta dall’esterno 4 e che verso l’esterno doveva rispondere.

L’Algeria, scossa nei giorni scorsi dallo stesso furore tunisino,  in queste ore sta meditando per un rimpasto di governo 5 ma credo che non sarà sufficiente, purtroppo.

L’Egitto è teatro in queste ore di una rivolta popolare per gli stessi motivi, disoccupazione, caro vita, corruzione  e stipendi da fame contro una dittatura che non esita a sparare sui giornalisti e che taglia tutte le telecomunicazioni col mondo per non far trapelare – inutilmente- il quadro drammatico del paese 6.

Per la cronaca, lo stesso sta accadendo in Albania, più o meno per le stesse ragioni, nonostante le lodi sperticate della Banca Mondiale 7, 8.

Non sto a fare la cronaca di queste ore drammatiche, voglio però sottolineare una cosa: questi regimi hanno vissuto tutto questo tempo grazie anche al consenso dei paesi occidentali, soprattutto europei, preoccupati da un ipotetico mega-stato musulmano e dal fondamentalismo religioso, che hanno permesso a questi dittatori corrotti di rimanere al potere (a moglie delll’ex Presidente tunisino Ben Alì è scappata con 1, 5 tonnellate d’oro 9 e di depredare la popolazione.

Questa  è miopia, stoltezza. Se avessero chiesto e appoggiato più democrazia e sviluppo sociale, non esisterebbe ora un reale pericolo fondamentalista religioso musulmano  10 nella regione, la colpa è nostra perché non abbiamo obbligato le nostre classi politiche di chiedere qli stessi nostri diritti quando interagiscono con Stati non proprio liberi e non proprio trasparenti.

Sarebbe ora di incominciare a chiedere….

L’ombra di Venere

Credit:Vincent Jacques (Fr) for SpaceWeather.com

Mi dispiace che quasi nessuno abbia partecipato al gioco; in fondo la colpa è anche un po’ mia perché non era affatto facile rispondere.

Gli oggetti astronomici capaci di creare un’ombra sulla Terra sono soltanto tre – anche se chi giura che anche Marte e Giove ne siano capaci: Sole, Luna e Venere.
L’origine dell’ombra proiettata sul muro era il pianeta Venere; infatti la Luna sarebbe sorta solo in tarda mattinata (era Luna Nuova il 4, ricordate l’eclissi di Sole?)
Quella mattina, col cielo limpido e scuro, Venere brillava di magnitudine -4,4, generando così la debolissima ombra del telescopio sul muro.

Relazione tra posizione orbitale e fasi osservabili del pianeta. Credit: UAI

Dopo la massima elongazione orientale (ultimo quarto), quindi di sera, Venere si avvicina alla Terra e diviene di conseguenza più brillante. Il massimo della luminosità si ottiene circa quattro settimane dopo la massima elongazione orientale, nel momento in cui si ottiene un ragionevole compromesso tra  la diminuzione della superficie visibile del pianeta dalla Terra (fase calante), quindi la luce riflessa, e la sua distanza dalla Terra. Dopo la congiunzione inferiore (quando Venere sarà tra la Terra e il Sole) Venere sarà visibile prima dell’alba e il massimo della luminosità sarà raggiunto un mese prima della massima elongazione occidentale (primo quarto).
In quei momenti la luminosità sarà massima (magnitudine visuale -4,4 /-4,5) e in condizioni di cielo buio (quindi senza la Luna visibile e senza inquinamento luminoso) si potrà vedere l’ombra di Venere, che ha anche una particolarità interessante:
visto che Venere è comunque per noi quasi puntiforme rispetto al Sole e alla Luna, la sua ombra, anche se debolissima, avrà i contorni più netti di quella prodotta dagli altri due corpi celesti.

Amminoacidi levogiri nelle condriti

Un esemplare del meteorite Murchison esposto al National Museum of Natural History di Washington. Credit wikipedia

Le CONDRITI CARBONACEE sono piuttosto rare: appena i 4% di tutto il materiale meteorico che cade sulla Terra appartiene a questo tipo che si ritiene di natura cometaria. Esse contengono acqua e tracce di materiale organico, compresi spesso anche gli amminoacidi. Si pensa che le condriti siano materiale inalterato della nebulosa solare originaria.

La mattina del 28 settembre 1969, nei cieli australiani venne avvistato un luminoso bolide che esplose in tre corpi più piccoli. Nei giorni successivi molti di questi frammenti vennero recuperati intorno alla cittadina di Murchinson da cui poi questi frammenti presero il nome. Si ritiene che la meteora sia stata un frammento della cometa periodica Finlay.

Credit: wikipedia

CHIRALITÀ
Si chiama chirale la molecola che può esistere con entrambe le forme speculari che non sono sovrapponibili nello spazio tra loro, come ad esempio le due mani di un individuo o anche le sue scarpe. Il RACEMO è quando le proporzioni di entrambe le forme chirali di una molecola sono presenti in parti uguali (1:1) in una miscela.

Le analisi di laboratorio successive identificarono almeno un centinaio di amminoacidi comuni come la glicina, l’alanina e l’acido glutammico, e altri molto rari come l’isovalina all’interno dei frammenti del meteorite, una condrite carbonacea.
All’inizio la presenza in eguale quantità di amminoacidi chirali, detta racemo, fu considerata una prova incontrovertibile – e lo è tutt’ora, dell’origine extraterrestre del materiale organico, in quanto la Vita terrestre può generare ed utilizzare quasi soltanto amminoacidi chirali levogiri.
In seguito apparve che alcuni amminoacidi non erano racemici 1 pur essendo di chiara origine extraterrestre come mostravano anche le analisi isotopiche 2.

Nel marzo del 2009, i ricercatori della NASA’s Goddard Space Flight Center di Greenbelt, nel Maryland, hanno scoperto un eccesso importante di isovalina levogira in alcuni campioni di condriti carbonacee ricche di acqua.
Questa scoperta, fatta attraverso l’uso di un particolare cromatografo a fluorescenza,  potrebbe spiegare perché la Vita sulla Terra prediliga la forma levogira degli amminoacidi, suggerendo che questa peculiarità abbia avuto il suo inizio nello spazio, dove  alcune condizioni chimico-fisiche particolari negli asteroidi abbiano favorito la creazione di amminoacidi levogiri.
Gli impatti meteorici di comete e asteroidi avrebbero successivamente fornito il materiale necessario allo sviluppo della Vita dotato della caratteristica levogira alla Terra 3.

Fotografia notturna

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Velocità otturatore: 25 sec Apertura: f/3,5 ISO: 1600

Trovo che la fotografia crepuscolare e notturna sia estremamente gratificante in quanto riesce a rivelare un altro mondo ricchissimo di luci e colori impossibile da osservare ad occhio nudo. Tra l’altro, giocando con i tempi di esposizione si possono vedere cose che altrimenti sono impossibili, come un improbabile collina assolata con le stelle del Sagittario sullo sfondo, o le macchie solari su un disco del Sole filtrato a modo. Ormai con le attuali fotocamere digitali chiunque può cimentarsi in queste tecniche di ripresa. Una volta era molto più difficile ottenere gli stessi risultati con la normale pellicola fotografica: i tempi enormi per lo sviluppo e stampa e la necessità di rivolgersi spesso ai laboratori esterni – che non di rado non stampavano le riprese più scure, rendevano questo tipo di fotografia alla portata di pochi.

Lo Scorpione. Antares è proprio nel centro della foto.

Comunque ancora oggi molte persone quando vedono una fotografia notturna che rappresenta un cielo stellato o i sentieri di stelle (quello che gli anglofoni chiamano startrails), pensano che i colori siano falsi. No, qualche volta possono essere esaltati per migliorare la resa visiva complessiva -con i moderni programmi di fotoritocco non è difficile, ma se per esempio vedreste una fotografia di Antares (α Scorpii) con questa che appare  arancione, è perché lo è, così come se fotografaste  la costellazione di Orione vedreste che la stellina (in realtà una nebulosa) al centro della spada del Cacciatore celeste notereste che M43 è di colore rosso tendente al bianco, mentre alla sua destra Rigel appare bianco-azzurra.

Tutto questo succede perché  la fisiologia dell’occhio umano non permette di discernere i colori in condizioni di scarsa illuminazione e comunque la risoluzione cromatica dell’occhio è piuttosto ristretta, mentre i colori celesti sono prodotti dalle più disparate condizioni chimico-fisiche che coprono una molto più estesa gamma di lunghezze d’onda. Per questo le stelle ci appaiono perlopiù simili nel colore ad occhio nudo di quanto non lo siano in realtà fra loro e che solo le fotocamere possono mostrarci.

The Milky Way

Il cuore della Via Lattea ripreso con un 18-55 mm senza inseguimento

Una foto stellare comunque richiede un minimo di preparazione a tavolino a seconda dei risultati che si vogliono ottenere. Se si vogliono fare delle belle foto dei sentieri stellati, basta scegliere un buon paesaggio di contorno e scattare in posa B, se questa è supportata dalla fotocamera, oppure scattare col più lungo tempo possibile e poi sommare i fotogrammi ottenuti usando il paesaggio come unico riferimento di centratura; unica accortezza sarà quella di non saturare l’immagine con la luce ambientale (Luna, inquinamento luminoso, etc.) che vanificherebbe ogni sforzo. Per questo sono importanti gli ISO e l’apertura del diaframma: un valore ISO più basso  del massimo è sempre indice di una migliore rapporto qualità/rumore nel risultato finale, anche se a volte non è possibile farne a meno.
Quindi se per ottenere l’effetto scia dalle stelle non è poi così difficile,  il peggio è ottenere una immagine puntiforme delle stelle, o  quantomeno sforzarsi il più possibile che lo siano. Il problema sussiste nel fatto che la volta celeste ruota (in realtà è la Terra che gira) e che ovviamente questo fenomeno sia più accentuato attorno all’equatore celeste (bassa declinazione) che verso i poli (alta declinazione) e che sia più percepibile coll’aumentare della lunghezza focale.
Io in genere uso la formula che riporto nello specchietto qui accanto, che da mie prove empiriche  ha sempre funzionato ogni volta che ho voluto ottenere delle riprese con stelle puntiformi; sono tempi massimi di esposizione però, per cui per prudenza mi sono sempre tenuto sotto a questi valori.
Una volta stabiliti i tempi di esposizione in base all’altezza della zona di cielo che interessa riprendere, per ottenere una foto come quella qui accanto basta riprendere una serie di scatti consecutivi e poi sommarli assieme.

Innanzitutto in questo modo il rapporto segnale/rumore (S/N) sarà maggiore di quello di un’unica ripresa: supponiamo di usare un grandangolo con 18mm di apertura focale; per la zona equatoriale del Sagittario i tempi possono allungarsi fino a 28 secondi, usiamo quindi 20 secondi per stare sicuri, tanto non è il tempo di esposizione del singolo fotogramma che serve, ma il totale. Prendiamo quindi 20 fotogrammi di 20 secondi ciascuno e sommiamoli con le opportune correzioni di centratura con un software adatto (IRIS è ottimo e gratuito): a questo punto il segnale ripreso sarà pari alla somma dei 20 secondi per scatto moltiplicato 20 scatti: 400 secondi senza avere problemi di scia apprezzabili.Non solo, applicando alcune, opportune in questo caso,  tecniche di rimozione del rumore 1 si possono ottenere risultati apprezzabilissimi disponibili mediamente con strumenti più costosi.
Se quindi si può affermare che già dopo 15 secondi il movimento celeste appare avvertibile, per quanto riguarda la Luna il discorso del movimento si può percepire molto prima: bastano circa 6 secondi per aver la ripresa mossa anche se comunque per una luna piena occorrono solo frazioni di secondo.

Arrivati a questo punto i consigli per ottenere buoni risultati sono pochi:

  • usare le impostazioni più basse possibili per la sensibilità del sensore (valore  ISO), piuttosto allungare i tempi quando è possibile
  • scegliere con cura i soggetti e lo sfondo di contorno
  • non aver paura di sperimentare e provare (oggi una immagine elettronica si vede subito e si cancella facilmente)
  • annotare sempre su un taccuino  le caratteristiche degli scatti da fare (ISO, lunghezza focale, diaframma, tempo, etc.)

Ancora un’ultima cosa: magari non sempre è disponibile il pulsante di scatto remoto, specie nelle “compattine”. Per ovviare al problema basta impostare il tempo voluto e usare l’autoscatto; usare il normale pulsante di scatto provocherebbe l’inevitabile vibrazione del corpo macchina che rovinerebbe la lunga esposizione. Per la posa B (Bulb in inglese) è comunque sempre necessario un comando remoto, sia esso un pc o il classico comando flessibile.

Buone foto a tutti.