Simulazioni

Credit: F. Governato and T. Quinn (Univ. of Washington), A. Brooks (Univ. of Wisconsin, Madison), and J. Wadsley (McMaster Univ.).

Umby

Quando guardiamo il cielo ad occhio nudo vediamo solo alcune centinaia di stelle, forse un migliaio o due se abbiamo la fortuna di osservare da un cielo limpido e scuro.
Ma eccezion fatta per le due Nubi di Magellano (emisfero sud) e la Grande Nebulosa di Andromeda, nessun oggetto extragalattico è visibile. Però oggi abbiamo i telescopi, abbiamo in orbita il telescopio spaziale Hubble che tra qualche anno sarà sostituito dal Webb Space Telescope, che ci restituiscono fantastiche immagini di lontane galassie spettacolari: la Sombrero, la Girandola, la stessa Galassia di Andromeda, solo per citare alcune delle decine di migliaia catalogate, tutte belle e ognuna diversa dalle altre. Queste però sono solo istantanee come quelle che collezioniamo nei nostri cassetti dei nostri genitori,  dei nostri figli, oppure più semplicemente di noi stessi.
Oggi abbiamo anche il cinema, la televisione, che ci mostrano il movimento concreto delle cose quasi come se fossero vive, vere. Quindi come nascono le galassie? Sappiamo come è nato l’Universo, come nascono le stelle, ma le galassie, quelle bellissime girandole del cielo, come possiamo vederne la nascita e l’evoluzione, ben consci del fatto che non possiamo osservare una scena lunga ben oltre la nostra percezione?
Con un’altra invenzione del genere umano: il calcolatore.

Qui sopra vediamo una stupenda simulazione che mostra il presumibile  sviluppo di una galassia nell’arco di circa 13,5 miliardi di anni in un universo dominato dall’energia oscura e dalla materia oscura in uno spazio di 300000 anni luce.
La simulazione è stata ottenuta col supercomputer Pleiades, un mostro da oltre 1,2 Pflop/s 1 e 23552 processori,  che ha richiesto ben un milione di ore di calcolo.

A confronto il misero Z80 da 4,77 Mhz della metà degli anni ’80 con cui ho iniziato le mie esperienze informatiche era davvero ben poca cosa. Eppure anche quel trabiccolo poteva fare il suo. In fondo l’algoritmo di base era lo stesso della simulazione qui sopra: il problema degli n-corpi.
Infatti uno dei programmi che feci girare sul mio MSX fu proprio un simulatore di galassie in collisione originariamente scritto da M. C. Schroeder e  Neil F. Comins che apparve sul numero del dicembre 1988 di Astronomy Magazine.
Il programma in linguaggio interpretato Basic, ripubblicato anche su una rivista italiana, andava rivisto per ognuno dei centinaia particolari dialetti del linguaggio esistenti, tutti prettamente incompatibili fra loro coi loro diversi standard di allocazione della memoria 2, delle periferiche, dei sistemi di archiviazione di massa, spesso registratori a cassette.
La mia versione è orma perduta ma sono riuscito lo stesso a rintracciarne una simile qui: galaxy.bas.

Spesso crediamo che solo mostri da miliardi di operazioni al secondo possono compiere queste simulazioni. Questo è vero se si vogliono ottenere delle simulazioni particolarmente accurate come quella qui sopra ma anche i personal computer che usiamo tutti giorni per leggere la posta elettronica e sbirciare Facebook possono fare moltissimo per ottenere risultati altrettanto interessanti.


L’alchimia della vita

Sono molti i parametri che debbono essere presi in considerazione per poter considerare un esopianeta potenzialmente abitabile. Per inciso è giusto ricordare che anche se un pianeta può superare l’esame di tutti gli indici possibili non significa necessariamente che questo possa essere adatto ad ospitare forme di vita, come un pianeta può benissimo possedere un proprio ecosistema vitale pur avendo indici completamente diversi da quelli sin qui considerati.
Questo perché finora sappiamo di un solo pianeta che ospita la vita su cui possiamo calibrare le nostre conoscenze, il nostro.

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Deforestazione e Riscaldamento Globale

Purtroppo spesso i media italiani lasciano poco spazio ai veri problemi del pianeta come il Riscaldamento Globale. Anche la politica mondiale preferisce cedere al ricatto del PIL piuttosto che preoccuparsi del futuro del pianeta, e questo è molto più grave.

Alberi abbattuti ai margini della Foresta Amazzonica

Secondo il World Carfree Network (WCN), auto e camion rappresentano circa il 14 per cento delle emissioni globali di carbonio nell’atmosfera, mentre molti analisti attribuiscono ad almeno il 15 per cento delle altre emissioni alla deforestazione.
Secondo molti ricercatori, la deforestazione nelle foreste pluviali tropicali aggiunge anidride carbonica in atmosfera più che la somma totale di auto e camion sulle strade del mondo.
La ragione di questa cifra spaventosa è dovuta al fatto che quando gli alberi vengono abbattuti rilasciano carbonio nell’atmosfera, dove si mescola agli altri gas a effetto serra provenienti da altre fonti e contribuendo così al riscaldamento globale 1.
Pertanto è necessario fare altrettanti sforzi per evitare la deforestazione di quanto si faccia per cercare di aumentare l’efficienza dei carburanti e di ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili.

«Poiché la produzione di cenere comporterebbe una rapida distruzione di querce, cerri e altri legnami, vietiamo con il presente Statuto che alcuno faccia cenere nel contado e districtus di Arezzo o venda legna a chi voglia farne cenere. Pena 25 lire per ogni contravventore e per ogni volta che sia commesso il delitto; chiunque potrà sporgere la denunzia e muovere l’accusa…»
Gli Statuti di Arezzo anno 1327

Secondo i rapporti dell‘Environmental Defense Fund (EDF), 32 milioni di ettari di foresta tropicale sono stati abbattuti ogni anno tra il 2000 e il 2009, e il ritmo della deforestazione non fa che aumentare.
A meno di non modificare l’attuale sistema che premia la distruzione delle foreste, il disboscamento immetterà altri 200 miliardi di tonnellate di carbonio nell’atmosfera nei prossimi decenni …“, dice EDF, “Qualsiasi piano realistico sufficientemente veloce per ridurre gli effetti dell’inquinamento e del Riscaldamento Globale per evitare gravi e pericolose conseguenze deve affidarsi anche alla conservazione delle foreste tropicali2

Ma è difficile convincere gli abitanti poveri del bacino amazzonico e di altre regioni tropicali del mondo di smettere di tagliare gli alberi, quando queste sono l’unica loro risorsa economica.
Conservare le foreste ha un costo non indifferente, mentre i profitti che si fanno col commercio di legname e col carbone di legna, nella creazione di nuovi terreni da pascolo o destinati all’agricoltura premono per la riduzione delle foreste“, aggiunge EDF 3.

Inoltre un altro grave problema legato alla deforestazione è la perdita della biodiversità 4: più della metà delle specie vegetali e animali vivono nelle  foreste pluviali.

Un modo per aiutare i paesi tropicali  a ridurre la deforestazione è attraverso la partecipazione al programma di riduzione delle emissioni e delle deforestazione e degrado forestale delle Nazioni Unite (UN-REDD).
UN-REDD cerca di incentivare le persone – e gli Stati che vi partecipano – a prendersi  cura delle foreste e della loro gestione sostenibile.
Gli esempi includono l’utilizzo di minori risorse forestali per le attività agricole come la coltivazione del caffè e la produzione di carne e latte. A questo modo le nazioni partecipanti a questo programma possono accumulare e vendere i crediti di inquinamento come le nazioni industrializzate quando sono in grado di dimostrare di aver abbassato la deforestazione al di sotto di una linea di base.
Il programma UN-REDD ha incanalato più di 117 milioni di dollari 5 di aiuti finanziari diretti e attraverso il sostegno educativo alla riduzione della deforestazione in 44 paesi in via di sviluppo in Africa, Asia e America Latina fin dall’inizio del 2008.

Il Brasile è tra i paesi che grazie a UN-REDD ha compiuto gli sforzi maggiori per ridurre le emissioni di carbonio. Grazie a questo programma il Brasile ha rallentato la deforestazione entro i suoi confini del 40 per cento dal 2008 ed è sulla buona strada per conseguire una riduzione dell’80 per cento entro il 2020.
Il successo iniziale del programma UN-REDD in Brasile fa ben sperare per la riduzione della deforestazione in altre parti dei tropici.


Liberamente tratto da Scientific American 6

Forza SAM! dacci un segnale di vita!

I tappi all’ingresso dei condotti che portano i campioni allo strumento SAM.
Credit: NASA / JPL-Caltech / MSSS

 Finalmente ci siamo!
Il 9 novembre scorso un pizzico di terreno marziano è stato depositato all’interno del Mars Science Laboratory – Curiosity, nello strumento Sample Analysis at Mars (SAM).

SAM è un gascromatografo-spettrometro di massa e uno spettrometro laser progettato per analizzare i gas e i composti organici eventualmente presenti nei campioni atmosferici e del suolo. Suo il compito di rilevare se un determinato campione è rilevante per supportare la vita.
Nei due giorni successivi, SAM ha utilizzato la spettrometria di massa, la  gas cromatografia e la spettrometria laser per analizzare il campione.

Abbiamo ricevuto buoni dati da questo primo campione solido,” ha dichiarato Paul Mahaffy del NASA Goddard Space Flight Center, responsabile dell’esperimento SAM da  Greenbelt, nel Maryland “Abbiamo un sacco di analisi dei dati da fare, e stiamo progettando di prelevare altri campioni dello stesso materiale da studiare.


Fonte: http://www.jpl.nasa.gov/news/news.php?release=2012-356

Altri tre pianeti per HD40307

La cosa più divertente sono i titoli roboanti che spesso compaiono dopo una qualche scoperta scientifica.  In questo caso la notizia è la scoperta – con una diversa analisi software – di un esopianeta che orbita attorno alla sua stella all’interno della zona Goldilocks. Questo però non significa necessariamente che il pianeta sia abitabile come qualcuno annuncia.

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HD40307 è conosciuta anche come HIP27887. La nebulosità in basso a destra è la Grande Nube di Magellano
Credit: Il Poliedrico

Non è poi molto, su scala cosmica è proprio qui dietro l’angolo, 41.7 anni luce o 12.8 parsec; fate un po’ voi.
Questa è una tranquilla stellina di classe K2.5V 1 2 comunque invisibile a occhio nudo, magnitudine 7.7, una di quelle che comunemente non farebbe notizia, nella costellazione australe del Pittore.
Comunque, anche se di classe diversa, HD40307  è abbastanza simile al Sole, solo un po’ più piccola e fresca della nostra stella.
Fino a poco tempo fa di questa stellina non si sapeva molto, poi nel 2008 sono iniziate le scoperte: ben tre pianeti,  tutti molto vicini alla stella e piuttosto pasciuti, tutti scoperti misurando la velocità radiale della stella attorno al centro di massa del sistema attraverso lo spettrografo ad alta risoluzione HARPS dell’ESO.

Credit: ESO / M. Kornmesser ; Tuomi et al.

Il fatto che i tre pianeti fossero piuttosto grandi e con un semiasse maggiore inferiore a quello di Mercurio, aveva fatto ritenere agli astronomi che il sistema HD40307 non possedesse altri pianeti importanti in orbite più esterne, ad esempio vicino o dentro la fascia Goldilocks della stella.
E invece, come spesso accade nella scienza, pare che HD40307 possegga non tre ma ben sei pianeti, tutti ben messi come massa -come mostra la tabella qui accanto – di cui uno, HD40307g, posto in orbita proprio all’interno di quella che si ritiene essere la sua zona Riccioli d’Oro.

Questa scoperta si è concretizzata quando un gruppo di ricercatori indipendenti ha riesaminato 345 spettri pubblicamente disponibili presso gli archivi dell’ESO registrati in passato dallo spettrografo HARPS.
Questi nuovi e diversi algoritmi di calcolo sono stati studiati per ridurre al minimo le immancabili interferenze e i disturbi acquisiti durante la registrazione dei dati e per garantire una maggior precisione nello studio delle classi spettrali minori 3.
Il miglior rapporto segnale-rumore di questo nuovo metodo di indagine messo a punto da questi scienziati ha permesso questa scoperta nonostante abbiano usato delle vecchie misurazioni che apparentemente non avevano molto altro da offrire.

Adesso però prima che a qualcuno venga in mente di migrare su HD40307g vorrei ricordare un paio di cose, giusto per fugare l’eccitazione 4 del momento e dei titoli alquanto fantastici dei soliti media del tipo “Scoperto pianeta clone della Terra!” oppure “gemello climatico della Terra!” e via discorrendo.
Di HD40307g non sappiamo quasi nulla, eccetto la sua massa che è ben 7 volte quella della Terra e la sua distanza dalla stella che è quasi 90 milioni di chilometri (0.6 UA).
Usando come riferimento quello che si appreso dallo studio del Sistema Solare, si può ipotizzare che il pianeta sia essenzialmente roccioso e che quindi la sua densità sia compresa tra i 3 e i 5 kg/dm3 – 5.
Partendo dai dati che abbiamo visto qui sopra si possono calcolare per una densità media di 3 kg/dm3 un raggio di quasi 15000 chilometri e una accelerazione gravitazionale al suolo di 12.6 m/s2 6 per HD40307g, mentre per una densità di 5 kg/dm3 i valori sono rispettivamente di 12600 chilometri e di 17,6 m/s2.
Con questi livelli di gravità la chimica e la pressione atmosferica del pianeta potrebbero essere molto diverse da quelle che occorrono allo sviluppo della vita, un po’ come è successo a Venere agli albori del Sistema Solare che poi è finito per essere inospitale. E anche l’età della stella – appena 1.2 miliardi di anni – non promette niente di buono 7.

Io in un posto così non vorrei starci, peserei decisamente troppo – tra i 120 e i 150 kg – ma soprattutto avrei 85 HD40307g-anni: sicuramente sarei troppo vecchio …

 


 

Errata corrige

Umby

L’8 maggio 2012 ebbi l’occasione di intervistare  il Dott. Giorgio Bianciardi  sulle sue ricerche sui risultati dell’esperimento Labeled Release condotti insieme al Dott. Levin – ideatore originale dell’esperimento LR ospitato sulle celebri sonde Viking –  e il Dott. Miller.
L’intervista finale pubblicata su questo blog 
1 conteneva un errore, una svista dovuta alla mia disattenzione e alla voglia di pubblicare 2.
Quel’intervista poi fu ospitata anche sulle pagine della rivista Coelum nel numero dello scorso settembre, dove l’errore fu corretto – per mia fortuna – dallo stesso Giorgio Bianciardi che in seguito mi contattò per farmi notare che, nonostante la correttezza scientifica del finale 3 ospitato su questo sito, questo non rispecchiava  il suo pensiero e chiedendomi cortesemente di rettificare, cosa che  volentieri faccio con queste righe, ripetendo la domanda e la sua risposta:

P. E se Curiosity dimostrerà il contrario?
D.B. Troverà composti organici, li troveranno, state sicuri.

Francamente non me la sento di stravolgere quello che ho già scritto – un conto è correggere una svista e un altro  è un intervento così pesante su un articolo –  per correttezza verso i miei lettori e verso il Dott. Bianciardi che merita la necessaria visibilità al suo pensiero.
Per questo preferisco scrivere queste righe piuttosto che apportare una banale modifica o aggiunta in calce al vecchio articolo.

 


La fine del mondo

Spesso mi viene chiesto come e quando morirà il Sole, associando la sua fine con quella della Terra. Tranquilli, mancano ancora diversi miliardi di anni affinché il Sole muoia, ma la Terra cesserà di essere abitabile molto tempo prima, sempreché non accada una catastrofe cosmica imprevista o noi non la distruggiamo molto prima.

Credit: Wikipedia. Rielab. Il Poliedrico

Cinque o sei miliardi di anni fa una o più stelle di seconda generazione esplosero in un remoto angolo di questa galassia disperdendo il loro prezioso contenuto di metalli pesanti in una oscura nebulosa ormai scomparsa 1.
Le onde d’urto destabilizzarono quella nebulosa che si frammentò in diverse parti che a loro volta incominciarono a collassare su se stesse. Uno di questi frammenti avrebbe in seguito dato origine al Sole e a tutto il suo sistema solare, compresa la Terra e alla Vita come la conosciamo, circa quattro miliardi e mezzo di anni fa.
È da allora che il nostro Sole converte – brucia – idrogeno in elio nelle profondità del suo nucleo in una incessante – per nostra fortuna – reazione termonucleare. I nuclei di idrogeno – protoni, di carica elettrica positiva – scontrandosi riescono a superare la barriera coloumbiana che normalmente li allontanerebbe solo grazie all’enorme calore (calore == movimento) e all’enorme pressione che esistono nel suo nucleo 2.

Credit: Il Poliedrico

Il prodotto di scarto di questa reazione, nuclei dell’atomo di elio, per ora inerte a quelle condizioni fisiche, spinge le reazioni termonucleari  dell’idrogeno a migrare sempre più in su verso la superficie, facendo espandere la zona di fusione e aumentare così la luminosità della stella.
L’aumento di luminosità è impercettibile ai sensi e a scale temporali umane ma è costante, circa il 10% ogni 1100 milioni di anni: quando il Sole iniziò a brillare di luce propria brillava il 30% in meno di oggi  e era anche un po’ più piccolo.
Se non fosse stato per un poderoso effetto serra, quattro miliardi di anni fa la temperatura sulla Terra sarebbe stata ben al di sotto del punto di congelamento dell’acqua. La zona Goldilocks a quel tempo era vicina all’orbita di Venere ma è evidente che questo non ha portato bene a quel pianeta.
Il quasi impercettibile innalzamento della luminosità e temperatura del Sole dovuto all’espandersi della zona di fusione, provocherà l’aumento della quantità di energia irradiata nello spazio e ricevuto dal nostro pianeta, rendendo questo inabitabile nel giro di poco più di 1 o 2 miliardi di anni a partire da adesso, quindi ben più prima che il Sole diventi una gigante rossa.

Formazioni saline sulle rive del Grande Lago Salato, Utah – USA. Così appariranno gli oceani tra un paio di miliardi di anni.

Il Sole, l’astro che ha assistito alla nascita della vita e della specie umana su questo pianeta, renderà nel giro di un altro paio di miliardi di anni, ben prima quindi che esaurisca la sua capiente scorta di idrogeno nel suo nucleo, inabitabile questo bel Pallino Blu del cosmo.
Ogni anno sarà impercettibilmente un poco più assolato e caldo del precedente. Anche le dimensioni del Sole visto da quaggiù saranno appena appena più grandi col passare dei secoli, dei millenni.
Alla fine sulla Terra farà così caldo -70° centigradi – che anche gli oceani finiranno per evaporare del tutto lasciando una spessa crosta di sale su gran parte del pianeta.
All’inizio una spessa coltre di vapore acqueo avvolgerà la Terra come un mantello facendo aumentare l’albedo del pianeta permettendogli di riflettere nello spazio la gran parte della radiazione solare.
Al contempo il vapore nell’atmosfera innescherà un effetto serra a valanga che disperderà completamente gli oceani, mentre l’accresciuta radiazione ultravioletta solare dissocerà le molecole di vapore acqueo nei suoi componenti più fondamentali e ne farà aumentare l’energia cinetica.
A quel punto l’aria sarà così calda che la velocità media degli atomi più leggeri supererà la velocità di fuga del pianeta, che così perderà parte della sua atmosfera nello spazio.

Quando tra 2,4 miliardi di anni la Via Lattea e M31, la galassia di Andromeda, inizieranno a scontrarsi probabilmente del Lapislazzulo della Via Lattea non resterà più neppure il  ricordo.