La prima luce del Solar Dynamics Observatory

447362main_f_211_193_171_946-710[1]Alcuni di voi avranno certamente notato l’aggiunta nel Blog di una nuova pagina che indica i principali dati riguardanti l’attività solare e il flusso di plasma solare che investe il nostro pianeta e che dà luogo a quei spettacoli meravigliosi chiamati aurore polari. Ora voglio mostrarvi una meravigliosa
clip (questa qui sopra) ripresa dal nuovo satellite astrofisico  SDO (Solar Dynamics Observatory) lanciato l’11 febbraio scorso e che dopo le necessarie calibrazioni degli strumenti ha iniziato ad inviare sulla Terra le sue prime immagini che, come quella qui a fianco, promettono una qualità di dettaglio 10 volte maggiore di una tv in alta definizione e raccoglierà dati scientifici migliori e più velocemente degli strumenti messi in orbita finora. L’AIA è l’acronimo di Atmospheric Imaging Assembly ed è stato progettata per fornire una visione senza precedenti della corona solare, prendendo le immagini che si estendono per almeno 1,3 diametri solari in diverse lunghezze d’onda quasi contemporaneamente, ad una risoluzione di circa 1 secondo d’arco e con una cadenza di  circa 10 secondi. L’obiettivo scientifico  del Science AIA Investigation è quello di migliorare la nostra conoscenza della fisica dell’atmosfera solare, per poter poi anche sviluppare un modello predittivo dell’eliosfera negli ambienti planetari. L’AIA produrrà i dati necessari per gli studi dell’evoluzione del campo magnetico coronale e del plasma in esso contenuto, sia nelle fasi di riposo  che durante i brillamenti ed eruzioni.

Certo che simili studi sono estremamente importanti se vogliamo, per ora  purtroppo soltanto ipotizzare, imbarcarci in missioni umane al di fuori dello scudo della nostra magnetosfera, come ad esempio un ritorno stabile sulla Luna o una spedizione con equipaggio verso Marte.

Certo, a vedere questo filmato di una vera eruzione solare, mi aspetterei anche di vedere il vascello Voyager del Capitano Janeway sfrecciarci in mezzo, come qui.

Per osservare là dove nessuno sguardo è mai giunto prima

Were no man has gone before
Nel novembre del 1966 fu pubblicato il secondo pilot di Star Trek: Were no man has gone before, conosciuto in Italia come Oltre la Galassia; nell’episodio c’è una bellissima immagine in cui l’Enterprise del capitano Kirk attraversa i confini della Galassia: la Grande Barriera che come nei ricordi omerici è il limite ancora insuperato  dal genere umano e che mi è  ritornata subito alla mente vedendo  l’immagine ripresa in questi giorni Telescopio Planck
qui l’articolo completo dell’ESA
In questa immagine si vedono chiaramente i giganteschi filamenti di polvere fredda che attraversano la nostra Galassia rivelati dal satellite Planck dell’ESA.
Essa mostra la struttura filamentosa di polvere in un raggio di circa 500anni luce dal Sole e i filamenti sono proprio parte della struttura dinamica della Via Lattea, che  qui è  rappresentata dalla striscia rosa  nella parte inferiore dell’immagine. Qui, l’emissione viene da molto più lontano, attraverso il disco della nostra galassia. L’immagine è stata colorata in falsi colori per meglio discernere le diverse temperature di polvere. I  toni rosa chiaro mostrano la polvere di poche decine di gradi sopra lo zero assoluto,mentre i colori più intensi mostrano la polvere a circa -261 ° C, asoli circa 12 gradi sopra lo zero assoluto. La polvere più calda è concentrata nel piano galattico mentre la polvere sospesa sopra e sotto è più fredda.Questi filamenti sono costituiti da polveri e gas, anche se il gas non viene visualizzato direttamente in questa immagine.
Le forze presenti nella Galassia producono queste spettacolari forme filamentose in cui si innescano fenomeni di formazione stellare.
Mentre il telescopio spaziale dell’ESA Herschel può studiare queste regioni nel dettaglio, solo Planck può evidenziare la grande scala  delle nubi. Lanciati insieme nel maggio 2009, Herschel e Planck studiano le componenti più fredde dell’Universo. Planck osserva le strutture di grandi dimensioni, mentre Herschel fornisce  analisi dettagliate delle strutture più piccole, come le  regioni di formazione stellare.
Quindi dopo tutto la fantasia di Roddenberry e degli sceneggiatori del celebre telefilm ancora una volta non si erano discostati poi tanto nel rappresentare la realtà.

Dove sono l’omini verdi…(prima parte)

Chiunque sia appassionato di fantascienza sa quanto su questo tema si sia scritto tanto e girato molti film, alcuni pregevoli e altri scadenti.
Fra questi anche due indubbi capolavori che hanno fatto sognare milioni di persone e creato veri e propri fenomeni di culto di massa: Star Trek e Star Wars. A parte la parte iniziale del nome che fa riferimento alle stelle, sono due trame e ambienti completamente diversi tra loro: il primo descrive un mondo ormai privo delle bassezze umane, utopico e sognatore, mentre il secondo è dominato dalle emozioni più negative, un vero impero del male che comunque alla fine soccombe sotto i colpi di chi si ribella alla tirannia. Comunque hanno anche in comune il pregio di averci abituato all’esistenza di razze aliene come i ferengi, i vulcaniani e i talassiani oppure i wookies, i twi’lek o i bothans. Un unico neo in queste forme di vita intelligente immaginarie è che sono comunque troppo antropomorfe (cioè troppo simili all’uomo) o che somigliano a qualcosa che possa essere visto anche sul nostro pianeta. l’unica forma di vita aliena veramente aliena fu l’horta, apparsa in Star Trek serie Classica (quella col capitano Kirk), una forma di vita a base di silicio (noi siamo a base di carbonio), cioè dove tutta la biochimica e la struttura del corpo è regolata dalla chimica del silicio, ma lasciamo questo argomento a un altro articolo futuro che tratterà di esobiologia.
Quello che mi preme sottolineare invece è l’aspetto sociale e culturale di questa “assuefazione”: oramai diamo per scontata l’esistenza di altre forme di vita al di fuori del nostro pianeta, che ci possano essere altre civiltà nella Galassia perfino superiori alla nostra (forse sarebbe più corretto dire “nostre”). Quanti di voi abbiano letto il libro o visto il film “Contact“, scritto dal grande Carl Sagan, sa che in questo si narra di come un segnale radio giunto dallo spazio in risposta agli stessi segnali inviati involontariamente dagli umani con le loro trasmissioni radiotelevisive sia da scintilla a una rivoluzione sociale di massa che non ha precedenti: religioni che fondano i loro precetti sulla (assurda) discendenza diretta dell’uomo, inteso come umano, da Dio costrette a riscrivere i propri dogmi, psicopatici fondamentalisti che praticano il suicidio di massa coi loro adepti, governi che si contendono l’assurda e arrogante pretesa di poter essere gli unici a poter parlare per l’intero genere umano.
Lo scenario descritto da Sagan è quello certo più inquietante, ma anche quello che più corrisponde ad una ipotetica realtà qualora arrivi a noi un segnale da un’altra civiltà galattica. Comunque la fantascienza di Star Trek e di Star Wars ha certamente contribuito a far sì che una notizia del genere possa essere accolta con più naturalezza ed entusiasmo che con l’isterismo.
Dovremmo (e a parer mio comunque dobbiamo) liberarci da quei legami culturali che ci narrano di assoluto privilegio dell’uomo sulla Terra, così come abbiamo dovuto abbandonare il concetto di Terra al centro dell’Universo sotto i magli dell’intelletto e dell’evidenza che ci hanno relegato da una posizione centrale universale a una piccola pallina di silicati che ruota attorno a una stellina di media grandezza in un braccio di una spirale di una galassia tra decine di miliardi di altre. Terribile vero? abbandonare l’antropocentrismo che ci appartiene culturalmente per il nulla; si e no: perderemmo certo questa presunzione, ma in cambio potremmo ottenere qualcosa di molto più ampio e universale: la consapevolezza dell’unicità di ognuno di noi in un cosmo sconfinato e la sacralità di tutto quello che ci circonda e ci mantiene, che purtroppo ancora adesso non abbiamo.