Nuovi studi sul surriscaldamento del permafrost artico

Mentre i segnali di una catastrofe ambientale di enorme portata sta allarmando seriamente  gli scienziati, il  massimo interesse della politica mondiale pare concentrata su “escortate” come il mantenimento in vita dell’attuale modello di sviluppo economico piuttosto che il benessere del pianeta e la democrazia dei popoli. L’ideologia che è alla base del disastro planetario lungi dall’essere messa pubblicamente sotto accusa 1 viene ancora strenuamente difesa da ottusi ottuagenari  e i loro poco più giovani lacché, tant’è che tutte le conferenze internazionali sul clima sono miseramente fallite – l’ultima è quella di Durbans in Sud Africa – per miopi interessi di bottega.

Il dipartimento americano per l’energia (DOE) ha iniziato un programma di ricerca per indagare gli effetti sul clima se i 1500 miliardi di tonnellate di carbonio organico congelati nel permafrost della fascia artica (Siberia, Canada, Alaska, Nord Europa) dovessero essere scongelati dal riscaldamento globale 2.
Questo programma – dal costo di 100 milioni di dollari – si chiama Next-Generation Ecosystem Experiments (Ngee) e serve per sviluppare un raffinato modello di simulazione di come microbi del suolo, piante e acque sotterranee possono reagire e controllare l’immensa quantità di carbonio 3 immagazzinato nella tundra artica. Il modello climatico che uscirà da questo esperimento verrà incluso nei modelli previsionali dell’andamento climatico terrestre per i prossimi 50-100 anni.
Il programma cercherà di analizzare gli effetti del cambiamento climatico dalla più piccola scala molecolare fino alle dimensioni delle cellule climatiche ambientali che misurano dai  30 ai 100 km di lato.
Altre ricerche precedenti avevano stimato che un riscaldamento di 2,5 ° C nell’Artico entro il 2040 potrebbe causare il rilascio tra i 30 e i  63 miliardi di tonnellate di carbonio 4. Le attuali emissioni globali di CO2 derivate dalla combustione di combustibili fossili, la deforestazione e le altre attività umane sono stimate complessivamente di oltre 10 miliardi di tonnellate l’anno.
I ricercatori sono particolarmente preoccupati per il fatto che che il disgelo del permafrost rilascerà il carbonio nell’atmosfera principalmente sotto forma di metano 5, un gas serra molto più potente del biossido di carbonio, che potrebbe accelerare il riscaldamento globale con conseguenze difficilmente immaginabili 6.
La squadra di progetto Ngee coinvolgerà circa 50 ricercatori ed è una collaborazione tra i laboratori del dipartimento di energia nazionale e l’Università dell’Alaska Fairbanks.
Il programma Ngee probabilmente verrà esteso anche ad altri ricercatori internazionali che vorranno includere altre zone artiche fuori dall’Alaska.

Fonti:
http://www.nature.com/news/permafrost-science-heats-up-in-the-united-states-1.9681

Le nubi nottilucenti e il buco nell’ozono artico

Le nubi nottilucenti

Nubi nottilucenti a Venezia - Credit: Mautizio Estri, 2006

Alle latitudini più elevate, di solito sopra i 50° 1, nei mesi estivi capita di osservare nel cielo un tipo molto particolare di nubi chiamate nottilucenti (in inglese Noctilucent Clouds o NLC, oppure Polar Stratospheric Clouds o PSC), chiamate così perchè paiono risplendere quasi di luce propria contro il fondo più scuro del cielo.
In realtà non è così, sono particolari e rare formazioni nuvolose che si formano nella mesosfera (la parte più alta della stratosfera),  a 50-70 chilometri di quota – mentre di solito le nubi più alte non superano i 12 km di quota (troposfera) – illuminate dal Sole sotto l’orizzonte tra il crepuscolo civile 2 e il crepuscolo astronomico 3, ovvero tra 24 minuti a 72 minuti prima – o dopo – che il Sole sorga – o tramonti.

Credit: Il Poliedrico

Le NLC furono notate la prima volta nel 1885, dopo l’esplosione del vulcano Krakatoa, avvenuta nel 1883 in Indonesia. Questo evento portò a ipotizzare che queste nubi fossero causate dal residuo di polveri vulcaniche nell’alta atmosfera, e che meccanismi simili, come ad esempio polveri meteoriche, potessero alimentarle.
Purtoppo è estremamente difficile analizzare queste nubi: sono troppo alte per i palloni sonda e troppo basse per i satelliti. Solo le sonde a razzo possono analizzarle per pochi secondi, insufficienti per qualsiasi tipo di analisi approfondito e continuativo.
Adesso sappiamo però che sono minuscoli granuli di ghiaccio che probabilmente si aggregano attorno  al pulviscolo metorico o vulcanico che funge da seme di crescita per i cristalli.
Le recenti eruzioni vulcaniche del 2010 in Islanda e in Kamchatka hanno certamente contribuito al pulviscolo vulcanico nella mesosfera, il problema però che non è di facile soluzione è il meccanismo che trasporta l’acqua (o meglio vapore acqueo) in quella fascia atmosferica che è orribilmente secca.

Il ruolo dell’acqua

Credit: Wikipedia

Il ciclo del  vapore acqueo nella mesosfera è estremamente importante quanto per ora quasi sconosciuto.
Infatti se l’acqua sulla superficie del pianeta  è necessaria per la vita, nella mesosfera distrugge lo strato di ozono che ci ripara dalla radiazione ultravioletta del Sole 4.

Uno dei principali responsabili del meccanismo di produzione dell’acqua stratosferica pare essere il metano, considerato da molti politici e scienziati come il più pulito dei combustibili naturali – volutamente dimenticando di menzionare  che è un potente gas serra naturale 72 volte più potente dell’anidride carbonica, che viene trasportato dalle correnti d’aria oltre la  stratosfera e scisso nei suoi componenti atomici dalla radiazione ultravioletta del Sole 5.
I prodotti della scissione del metano distruggono le molecole di ozono per produrre molecole d’acqua,  che poi si manifesta formando le nubi mesosferiche polari.

Credit: Wikipedia

In pratica, la fotolisi del metano (CH4) produce metile (CH3) e idrogeno atomico (H). L’ozono invece si produce attraverso l’assorbimento della radiazione solare ultravioletta da parte delle molecole di ossigeno che si scompongono e ricompongono continuamente, ma l’ossigeno atomico anziché ricombinarsi con quello molecolare per riformare l’ozono, si lega con l’idrogeno formando ossidrile (O + H -> OH) e in seguito acqua (H + OH -> H2O).
Il feedback positivo innescato dai radicali liberi prodotti dalla fotolisi del metano, e probabilmente anche da altri tipi di idrocarburi arrivati nella troposfera, sopra lo scudo di ozono e la conseguente produzione di vapore acqueo, è in grado di distruggere lo strato di ozono con estrema facilità.
Altra acqua può arrivare attraverso materiale microcometario dallo spazio esterno. Non sappiamo quale meccanismo tra questi sia il più importante, ma  quasi certamente l’ordine è questo, e sappiamo che il vapore acqueo e i cristalli di ghiaccio sono altrettanto nocivi per lo strato di ozono quanto i meccanismi che li creano 6, quasi quanto il cloro e il bromo dei CFC rilasciati nell’atmosfera dalle attività umane fino alla loro messa al bando nel 1990 7.
Un’altro evento deleterio per l’ozono che diventa ancora più instabile perché ostacola il suo ciclo naturale è il freddo.
Durante l’estate la mesosfera polare raggiunge i 110° K (-163 Celsius) perché è troppo sottile (un centomillesimo di bar) per trattenere il calore come gli strati più bassi, anzi il calore solare assorbito viene consumato per espandersi, e quindi raffreddarsi ancora di più. Un accentuato effetto serra limita la convezione del calore trattenuto dagli strati inferiori dell’atmosfera verso la stratosfera, col risultato che questa si raffredda molto di più a fronte dell’aumento della temperatura nella troposfera, alterando significativamente il ciclo di produzione dell’ozono.
Le conseguenze per l’equilibrio termodinamico dell’atmosfera sono tremende anche per la circolazione dei venti come li abbiamo conosciuti fino ad oggi.

Alcuni scienziati sono scettici che stia aumentando il metano nella mesosfera – e quindi il vapore acqueo – necessario alla produzione delle NLC, obbiettando che una maggiore presenza di vapore acqueo dovrebbe riflettersi nella formazione di cristalli più grandi e quindi di nubi più luminose.
A mio avviso sbagliano, le dimensioni dei cristalli di ghiaccio possono rimanere le stesse per i più disparati motivi legati alla particolare chimico-fisica ambientale, questo si tradurrebbe automaticamente con l’avere nubi molto più estese con la stessa solita luminosità.
In effetti è quello che si registra da quasi cinquant’anni: nonostante che il numero degli osservatori sia rimasto pressoché costante, un po’ tutti loro sono concordi di un aumento delle NLC segnalate 8, mentre anche le attività industriali fanno sempre più ricorso ai combustibili fossili e naturali.

Il buco nell’ozono artico

Comunque sia, il gemello del famigerato buco dell’ozono antartico adesso lo abbiamo anche noi sulle nostre teste 9, e non sono i CFC i responsabili, quanto potrebbe quasi sicuramente essere la nostra stessa tecnologia che fa largo uso degli idrocarburi: infatti se mettessimo sullo stesso grafico temporale la storia umana degli ultimi 200 anni e le nubi nottilucenti ci renderemo conto come siano apparse la prima volta all’inizio della cosiddetta seconda era industriale 10 e siano state presenti nei cieli polari quasi ininterrottamente fino ad oggi 11.

Conclusioni

Adesso è chiaro il collegamento tra l’esistenza delle NLC e il deterioramento dell’ozono stratosferico. Molto probabilmente il principale responsabile è il metano e in ultima istanza la dipendenza dai combustibili fossili e naturali (CFN) della nostra società.
Così scopriamo come i CFN non sono responsabili solo del Global Warming, ma anche del significativo deterioramento dello strato d’ozono che ci protegge dagli ultravioletti solari, con tutte le sue deleterie conseguenze, visto che va a incidere proprio sulle aree più densamente popolate e tecnologicamente avanzate del pianeta.
Ovviamente è improponibile un passo indietro nel progresso tecnologico, piuttosto è indispensabile un passo avanti per superare la dannosa dipendenza dai CFN verso forme energetiche sostenibili, rinnovabili e più efficienti.
Sono bastati sessant’anni di uso dei CFC per fare un danno ecologico senza precedenti e di questi 21 sono trascorsi tra accorgersi del problema e avviare una soluzione. Lo sforzo politico mondiale è stato notevole e nella giusta direzione.
Soprattutto ora in questa fase di crisi economica sarà più facile chiedere dei sacrifici nello stile di vita alla popolazione del pianeta, soprattutto poi se da questi tutti ne trarranno beneficio in termini di riduzione degli sprechi energetici e dell’inquinamento ambientale.
Ricordate il mio Punto Triplo dell’Umanità? Sta a noi decidere adesso con le nostre scelte e i nostri sacrifici se lasciare alle future generazioni un mondo pienamente vivibile o un mondo di caos senza più speranza.

Intanto è importante tenere d’occhio il fenomeno delle nubi nottilucenti anche dove – per ora – non sono state avvistate, non si sa mai … 12.

Altre letture consigliate:
The Ozone Hole
Atmospheric Chemistry and Physics