Curiosity scopre le tracce di antichi fiumi marziani

I canali di Marte di Schiaparelli.
Credit: http://tinyurl.com/bpwtdl2

Marte è sempre stato oggetto di accese discussioni in ambito accademico e scientifico.
Quando ancora i telescopi erano semplici lenti di vetro alle estremità di un tubo ottico, le cui prestazioni oggi farebbero sorridere, si speculava se Marte fosse o meno adatto ad ospitare la vita. Le variazioni cromatiche della superficie, legate all’evoluzione delle stagioni marziane, che oggi sappiamo essere provocate da gigantesche tempeste di sabbia, venivano allora interpretate con l’avanzata e il ritiro della vegetazione marziana in prossimità di mari poco profondi alimentati dalla liquefazione delle calotte polari.
L’astronomo italiano Giovanni Schiaparelli durante l’opposizione del 1877 credette di scorgere delle depressioni rettilinee di 100 – 200 chilometri di larghezza e lunghe migliaia di chilometri sulla superficie marziana e suggerì che potesse essere il mezzo con cui l’acqua liquida raggiungesse le parti più aride del pianeta.
Mentre alcuni scienziati quasi immediatamente rifiutarono questa ipotesi ritenendola – giustamente – il frutto di aberrazioni ottiche o di pareidolia, l’astronomo americano Percival Lowell 1 sposò questa tesi, ipotizzando che addirittura le depressioni scorte da Schiaparelli fossero addirittura di origine artificiale.

Quando le prime missioni spaziali negli anni 60 del XX secolo dimostrarono che il Pianeta Rosso era un arido e immenso deserto, il dibattito si spostò nel tempo: forse Marte un tempo possedeva le condizioni per possedere l’acqua allo stato liquido?

Queste immagini mostrano la sublimazione del ghiaccio nel corso di quattro giorni.
Nell’angolo in basso a sinistra dell’immagine di sinistra, è visibile un gruppo di grumi di ghiaccio. Nell’immagine a destra, i grumi sono evaporati.

Credit: NASA/JPL

Agli inizi del XXI secolo la sonda orbitale Mars Odyssey e la Mars Express scoprirono probabili bacini di ghiaccio d’acqua sotto la superficie marziana e il robot Phoenix confermò la presenza di ghiaccio su Marte con questa sua foto.
Adesso il Mars Scienze Laboratory – per gli amici Curiosity – ha scoperto prove concrete della presenza di antichi corsi d’acqua su Marte
Dopo neanche due mesi di infaticabile studio 2 è arrivato in prossimità di quello che pare un antico letto essiccato di un ruscello e ha fotografato un conglomerato sedimentario 3 simile a quelli che si vedono lungo le rive dei corsi d’acqua.
Le dimensioni e la forma particolarmente arrotondata dei clasti appartenenti al  conglomerato indicano che sono state trasportate per lunghe distanze. Gli scienziati hanno tentato di risalire a informazioni più dettagliate sulle caratteristiche di questo antico ruscello marziano. Al di là dei numeri crudi 4, la notizia importante è che pare che il corso d’acqua non sia stato un episodio stagionale o episodico legato a sporadiche particolari condizioni microclimatiche o geologiche, ma piuttosto a un vero fiume stabile nel tempo.

Questo insieme di immagini a confronto il link affioramento di rocce su Marte (a sinistra) con rocce simili visto sulla Terra (a destra).
Credit: NASA / JPL-Caltech / MSSS e PSI

Il letto di questo antichissimo ruscello si trova vicino al bordo nord del cratere Gale e alla base del Aeolis Mons 5, una montagna all’interno del cratere. Qui una depressione chiamata Peace Vallis dà origine a un bacino alluvionale ricco di tracce , suggerendo così la presenza di flussi d’acqua costanti nel tempo.

Ma per quanto possa apparire quasi un controsenso, il greto di un fiume non è un buon posto per cercare delle tracce organiche che potrebbero non essersi conservate per tutto questo tempo, sicuramente i minerali argillosi e i solfati rilevati dall’orbita attorno alle pendici dell’Aleolis Mons, obiettivo principale del Curiosity. Ne è convinto John Grotzinger del California Institute of Technology di Pasadena e Project Scientist della missione Mars Science Laboratory, che comunque assicura che questa è la prima prova concreta di un ambiente passato potenzialmente adatto alla vita.

Questa immagine mostra la topografia, attorno alla zona in cui il rover NASA è atterrato lo scorso 6 agosto. Le zone più elevate sono colorate di rosso, mentre i colori freddi indicano le quote più basse. L’ovale nero indica l’area di destinazione di atterraggio del rover conosciuto come “ellisse di atterraggio”, e la croce mostra dove il rover è effettivamente sbarcato. Il delta alluvionale,  dove i detriti si estendono nel tratto discendente, è stato evidenziato con colori più chiari per una migliore visualizzazione. Sulla Terra, i delta alluvionali spesso sono formati da acqua che scorre nel tratto discendente.   I I dati dell’elevazione sono stati ottenuti dalla  High Resolution Imaging Science Experiment (HiRISE) della sonda NASA Mars Reconnaissance Orbiter.
Credit: NASA / JPL-Caltech / UofA

 


 

Antichi pianeti e nuovi dilemmi

Il bello nella ricerca scientifica è che non c’è posto per le certezze assolute e che le sorprese – sempre gradite anche quando possono sembrare imbarazzanti – posso arrivare anche da dove si suppone che non ci possa essere niente di interessante da scoprire.
Il mio plauso va agli autori della scoperta, alcuni dei quali sono italiani, tutti in attività all’estero: Veronica Roccatagliata (responsabile della survey, dell’Osservatorio dell’Università di Monaco), Davide Fedele (della Johns Hopkins University, a Baltimore), Anna Pasquali ed Elisabetta Caffau (entrambe dell’Università di Heidelberg, in Germania).

HIP 11952 - Credit: http://simbad.u-strasbg.fr

Finora si era sempre supposto che un sistema planetario non si sarebbe potuto formare – o comunque sarebbe stato molto difficile – attorno a una stella con una bassissima percentuale di metalli.
Eppure una anonima stellina come ce ne sono tante altre ha mostrato che anche le stelle molto vecchie come lei possono ospitare un sistema planetario.

Infatti HIP11952 1 è una debole stellina grande 1,6 volte il Sole pur pesando il 20% in meno, con dei pianeti che le orbitano attorno: HIP 11952b e HIP 11952c.

Nome HIP 11952 b HIP 11952 c
Anno della scoperta 2012 2012
Massa (Giove=1) 2.93 (± 0.42) 0.78 (± 0.16)
Semiasse maggiore UA 0.81 (± 0.02) 0.07 (± 0.01)
Periodo orbitale (giorni) 290 (± 16.2) 6.95 (± 0.01)
Ecentricità 0.27 (± 0.1) 0.35 (± 0.24)
ω (gradi) 59.3 (± 2.5) 61.2 (± 6.6)
Tperi 2455402 (± 1.3) 2455029.2 (± 0.04)

Il rebus è nell’età della stella, che è molto, molto vecchia: circa 10-13 miliardi di anni. HIP 11952 è nata cioè quando l’Universo era ancora molto giovane, un miliardo di anni o forse meno, ed era molto più povero di elementi chimici più pesanti dell’elio – che gli astronomi chiamano metalli – di quello attuale.

HIP 11952
Distanza (parsec) 111 (± 18)
Tipo Spettrale F2V
Magnitudine apparente V. 9.78
Massa (Sole=1) 0.83 (± 0.05)
Età (Miliardi di anni) 12.8 (± 2.6)
Temperatura effettiva 6040 (± 210) K
Raggio (Sole=1) 1.6 (± 0.1)
Metallicità [Fe/H] -1.9 (± 0.14)
Asc. Retta 02 34 11
Declinazione -12 23 03

La metallicità di HIP 11952 è appena l’uno per cento di quella solare, e questo dato cozza con quanto finora si pensava in merito alla nascita e evoluzione di un sistema planetario.
L’attuale modello prevede infatti che un corpo planetario – roccioso o gioviano che sia – nasca per accrezione da un nucleo più piccolo e più pesante rispetto all’ambiente che lo circonda e che cresca col tempo. Il ruolo degli elementi chimici pesanti in questo caso è evidente: i semi da cui poi nascono i pianeti sono composti di ferro, silicio e carbonio che si sono arricchiti da tutto quello che riescono ad attrarre gravitazionalmente.
Questo meccanismo pone serie difficoltà alle stelle di popolazione II come questa di possedere un sistema planetario.
Come può quindi una stella nata in un ambiente dove gli elementi chimici pesanti erano meno di un centesimo di quelli di oggi?

Si può pensare che ci sia stata una precedente popolazione stellare 2 che ha pesantemente contaminato la regione di spazio in cui poi è nata HIP 11952 e i suoi due pianeti, oppure occorre rivedere l’attuale modello di formazione planetaria o ipotizzare un diverso meccanismo che porti allo sviluppo di pianeti in un ambiente molto povero di metalli.

Di certo è che HIP 11952 non è la sola stella di Popolazione II a possedere un sistema planetario: nel 2010 si scoprì che un’altra stella molto povera di metalli chiamata HIP 13044 – anche questa di una certa età, 9 miliardi di anni – era accompagnata da un pianeta gioviano caldo grande poco più del nostro Giove: HIP 13044b.