Dubium sapientiæ initium

Su un numero stimato di 200 miliardi di stelle nella Via Lattea, è abbastanza lecito ipotizzare che almeno più della metà di queste posseggano i requisiti minimi per poter ospitare pianeti adatti a sostenere la vita. Dal 1995, data della scoperta del primo pianeta extrasolare, ne sono stati scoperti per adesso quasi 4000, perlopiù in un’area grande quanto un piccolo francobollo di cielo. È vero, per ora conosciamo solo un pianeta su cui è presente la vita: questo; ma le leggi fisiche che governano la chimica della vita sono universali ed è quindi ragionevole supporre che essa possa essere presente anche su innumerevoli altri mondi in altrettante fantastiche forme.
Molti di quei pianeti – per ora soltanto stime – saranno semplicemente inadatti a sostenere la vita, altri potrebbero essere terribilmente inospitali e altri ancora invece potrebbero ospitare entità biologiche dalle più semplici alle più complesse per noi immaginabili. Ipotizzare l’esistenza di altre forme di vita complesse e intelligenti sparse qua e là nel cosmo non merita di essere considerata una semplice fantasticheria ma un esercizio di apertura mentale che già più di 450 anni fa Giordano Bruno, e prima ancora di lui anche altri filosofi, invitavano a compiere. Il programma di ricerca SETI (Search of ExtraTerrestrial Intelligence) cerca di rispondere proprio a questo. E se un giorno venisse confermata l’esistenza, passata o presente, di una civiltà extraterrestre tecnologicamente evoluta abbastanza da lasciare il segno della sua presenza?

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Innumerevoli Soli e innumerevoli Terre [1]
Quanti possono essere i pianeti potenzialmente in grado di ospitare la Vita secondo i canoni terrestri? Non lo sappiamo, ma già oggi possiamo stimare quanti pianeti ci sono nella Via Lattea.

Non passa praticamente giorno che da qualche parte del mondo qualcuno affermi di aver scorto un UFO nel cielo. A me, che più o meno sempre osservato il cielo, non è mai capitato ma conosco persone che sono pronte a giurare di averne visti.
Una volta verso il tramonto vidi verso Nord-Est rispetto alla mia posizione una “stella” arancione che stimai ad occhio di magnitudine -4 (più o meno come Venere). Ricordo che stavo guidando e che addirittura mi fermai per vedere meglio. Era apparsa così, all’improvviso e sembrava quasi immobile nel cielo. Pochi secondi dopo questa si affievolì e scomparve. Non poteva essere Venere o un altro pianeta perché l’evento era lontano dal piano dell’eclittica e il Sole non era ancora tramontato e neanche poteva essere una vera stella o un fulmine o una meteora, che sarebbe stata indubbiamente più veloce. Quell’episodio avrebbe potuto essere preso per un tipico avvistamento UFO: un puntino luminoso che improvvisamente appare e scompare nel cielo. Ma scrutando meglio nel punto in cui la luce era scomparsa vidi una macchiolina, un puntino scuro che proseguiva la sua rotta: era un aereo che per un attimo aveva brillato della luce riflessa del Sole al tramonto e che per una fortuita coincidenza mi ero trovato nel giusto angolo di riflessione.
Ho visto bolidi e stelle cadenti, assistito a eventi Earth-grazer 1 e una volta quand’ero piccolo ho visto anche un fulmine globulare, ma ahimè neanche un UFO piccino picciò o a qualcosa che potrei definire tale.

Quanto è mai credibile la tesi che vuole navicelle spaziali aliene che si schiantano sulla Terra dopo un viaggio cosmico di migliaia di miliardi di chilometri?

Però, giusto per il fatto che io non ne abbia mai visto uno, non posso arrivare a negare che là fuori nel cosmo possa esserci, o esserci stata, una qualche altra forma di vita intelligente seriamente intenzionata ad esplorare lo spazio come abbiamo intenzione di fare noi. Solo che ritengo altamente improbabile che una qualche civiltà aliena spedisca qualche sua astronave a migliaia di anni luce giusto per ingaggiare un balletto di luci con qualche nostro aereo militare, succhiare il sangue di qualche pecora e rapire qualche contadino semialfabeta di qualche fattoria isolata. E poi questi benedetti UFO crash che qualcuno immagina essere quasi voluti per far progredire la tecnologia umana: non vi pare altrettanto assurdo che le stesse civiltà di sopra viaggino per migliaia di anni luce superando difficoltà gravitazionali, nubi cosmiche e radiazioni indotte per poi non saper come atterrare sulla superficie di un pianeta senza rischio alcuno?
Piuttosto mi aspetterei che una qualche civiltà aliena interessata a noi possa tentare un approccio più serio cercando di mostrarsi a tutto il genere umano o almeno con le sue emanazioni politiche. Qualcuno senza giudizio è arrivato ad affermare che questo sia già realtà almeno fin dai tempi del Presidente Eisenhower e che i governi di tutto il mondo fin da allora collaborino o comunque che siano bene a conoscenza della presenza di extraterrestri sulla Terra e che su questa notizia mantengono il riserbo più assoluto. Ma gli stati sovrani indipendenti e riconosciuti sulla Terra sono 196 e in settant’anni un simile segreto ormai non sarebbe più tale nonostante tutto; nondimeno, la stragrande maggioranza di essi sono rappresentazione diretta e partecipata dei loro cittadini, quindi è bizzarro credere che una notizia di questa portata possa essere così bene occultata per tanto tempo.

Gli sprite, o spiritelli rossi per via del loro colore, furono documentati scientificamente soltanto nel 1989. Raramente sono visibili a occhio nudo.

No, non credo che le cose stiano così e che tutta la faccenda degli UFO così come vuole descrivere una certa vulgata sia una colossale sciocchezza giusto per attirare qualche turista in qualche bizzarra località e vendere qualche libro-spazzatura buono per gente senza arte né parte.
Ma nondimeno, come ho affermato in passato [2], ritengo che sia doveroso non sottovalutare il fenomeno. Ad esempio per migliaia di anni abbiamo creduto che i fulmini si propagassero solo verso terra o le altre nubi, oggi sappiamo che possono propagarsi anche verso lo spazio scatenando una enorme potenza (gli sprite).
Magari altre scoperte importanti si celano dietro quei — pochi — fenomeni ancora inspiegati. È compito della scienza indagare prima che ciarlatani e buoni a nulla insozzino tutto con la loro spazzatura.

SPHERE celesti

Using the ESO’s SPHERE instrument at the Very Large Telescope, a team of astronomer observed the planetary disc surrounding the star RX J1615 which lies in the constellation of Scorpius, 600 light-years from Earth. The observations show a complex system of concentric rings surrounding the young star, forming a shape resembling a titanic version of the rings that encircle Saturn. Such an intricate sculpting of rings in a protoplanetary disc has only been imaged a handful of times before. The central part of the image appears dark because SPHERE blocks out the light from the brilliant central star to reveal the much fainter structures surrounding it.

Se poteste tornare alla lontana epoca della formazione del Sistema Solare, quasi  5 miliardi di anni fa, ecco cosa vedreste.
Questo è quello che invece vediamo noi oggi, qui sulla Terra, guardando verso  WRAY 15-1443 [3], una giovanissima (5-27 milioni di anni) stellina di classe K5 distante circa 600 anni luce. Essa è parte di un filamento di  materia nebulare nelle costellazioni australi del Lupo e lo Scorpione insieme a decine di  altre stelline altrettanto giovani. È il medesimo scenario che vide la nascita del nostro Sole.
Noi vediamo il disco protoplanetario ancora come è durante la formazione dei pianeti e prima che i venti stellari della fase T Tauri lo spazzassero via, È un disco caldissimo e denso, con una consistenza è una plasticità più simili alla melassa che alla polvere che siamo soliti vedere qui sulla Terra. Qui le onde di pressione e i fenomeni acustici giocano un ruolo fondamentale nella nascita dei protopianeti creando zone di più alta densità e altre più povere di materia. E questa immagine ce lo dimostra chiaramente.

SPHERE. Credit: ESO

Lo strumento di cattura della luce polarizzata ad alto contrasto SPHERE.

Credit: ESO

Se oggi quindi possiamo ben osservare i primi istanti della formazione di un sistema solare questo lo dobbiamo a SPHERE (Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch instrument) [4] [5]: uno strumento concepito proprio per catturare l’immagine degli esopianeti e dei dischi protoplanetari come questo.
L’ostacolo principale per osservare direttamente un esopianeta lontano è che la luce della sua stella è così forte che sovrasta nettamente la luce riflessa di questo: un po’ come cercare di vedere una falena che vola intorno a un lampione da decine di chilometri di distanza. Lo SPHERE usa un coronografo per bloccare la regione centrale della stella per ridurne il bagliore, lo stesso principio per cui ci pariamo gli occhi dalla luce più intensa per scrutare meglio. E per restare nell’ambito degli esempi, quando indossiamo un paio di lenti polarizzate per guidare o andare sulla neve, lo facciamo perché ogni luce riflessa ha un suo piano di polarizzazione ben definito e solo quello; eliminandolo con gli occhiali questo non può più crearci fastidio. Ma SPHERE usa questo principio fisico al contrario: esalta la luce polarizzata su un piano specifico e solo quella, consentendoci così di vedere particolari che altrimenti non potremmo mai vedere.

HARPS. Credit: ESO

Lo strumento per il rilevamento delle velocità radiali HARPS.

Credit: ESO

Oggi grazie a SPHERE e al team che l’ha ideato e costruito la ricerca astrofisica europea può vantare anche questo tipo di osservazioni che si sarebbe supposto essere di dominio della sola astronomia spaziale. E invece strumenti come HARPS[6] e HARPS-N alle Canarie consentono di scoprire sempre nuovi pianeti extrasolari, e ora SPERE ci aiuta a vederne pure alcuni.