Poco extra e molto terrestre il segnale del Ratan 600

Vi ricordate lo strano caso di KIC 8462852 [cite]http://ilpoliedrico.com/2015/11/la-curiosa-storia-della-curva-di-luce-di-kic8462852-alieni-non-credo.html[/cite] dove un’intensa e transiente variabilità suggeriva l’esistenza di una civiltà assai avanzata attorno a quella stella? Qui invece c’è un segnale che alcuni paragonano all’inspiegato WOW! [cite]http://tuttidentro.eu//?s=wow[/cite] ma che solleva qualche – legittima – perplessità.

[table “79” not found /]

Come si può notare qui sopra, HD 164595 è una stella molto studiata per via della sua estrema somiglianza col nostro Sole; stessa età, stessa massa (un centesimo più piccola) e quasi la stessa metallicità [cite]http://arxiv.org/abs/1312.7571[/cite] 1. Scambiandolo con la nostra stella non noteremmo ad occhio nessuna differenza, senonché per il fatto che avremmo un Nettuno caldo (HD 164595b [cite]http://arxiv.org/abs/1506.07144[/cite]) in orbita molto stretta che ogni 40 giorni transita sul disco stellare e una debole stellina rossa che orbita su, da qualche parte del cielo, insieme a noi attorno alla stella principale del sistema, coi sui tempi.
Sì perché il sistema stellare HD 164595 è un sistema doppio, anche se la distanza della seconda componente sembra tale da non compromettere l’esistenza di un sistema planetario stabile nei pressi della zona abitabile (HZ) della stella, che essendo più o meno uguale al Sole anche l’HZ deve essere piuttosto simile.
L’unica cosa che ci si potrebbe chiedere è se il nettuniano caldo si sia formato lì o sia arrivato lì più recentemente dalle regioni più esterne; in tal caso potrebbe non esserci più un sistema planetario roccioso interno nei pressi dell’HZ.
Possono sembrare discussioni sulla lana caprina ma anche questo a mio avviso bisogna chiedersi quando si prova ad ipotizzare se qualche altra civiltà ha emesso, volutamente o per caso, un segnale abbastanza forte da essere rilevato a quasi 95 anni luce di distanza!

Il segnale ricevuto dal Ratan 600

CatturaIl 15 maggio 2015 alle 18:01 (ST) il radiotelescopio RATAN-600 a Zelenchukskaya, nella  Repubblica autonoma della Karačaj-Circassia, pare che abbia intercettato sulla frequenza di 11,10 GHz (2.7 cm) un segnale molto forte (750 mJy) proveniente dalle stesse coordinate celesti di HD 164595, un segnale molto forte, che se fosse stato unidirezionale sarebbe costato circa \(7 \times 10^{13}\) watt di potenza al trasmettitore.
Ora, se fosse stato emesso volutamente da una civiltà extraterrestre per far sapere al cosmo la sue esistenza, il messaggio sarebbe stato ripetuto uguale a sé stesso per diversi mesi per diverse ore al giorno, un po’ come avvenne per il Progetto Ozma voluto da Frank Drake nel 1960.
Sarebbe da stupidi non farlo, sparare 70 milioni di gigawatt verso una sola stella a quasi 100 anni luce per un paio di secondi e poi non ripetersi più, a meno che nell’intento non gli siano saltati tutti i fusibili e che non li potessero rimpiazzare …
E infatti, dal 2015 a oggi nessun segnale del genere da quelle coordinate celesti è stato mai più ricevuto. Un’altra caratteristica importante che un autentico segnale intelligente extraterrestre che si suppone debba avere per distinguersi dal naturale rumore di fondo è la larghezza di banda molto ridotta, molto più stretta di quanto possa essere prodotta dai comuni fenomeni astrofisici conosciuti, mentre il ciclopico sistema del Ratan 600 stava usando un ricevitore con una larghezza di banda da 1 GHz (sembra molto ma a quelle frequenze in realtà non lo è, è solo un paio di centinaia di volte più ampio di una normale trasmissione televisiva). Come ultimo ma non ultimo requisito richiesto ad un segnale SETI, ci si aspetta che esso presenti una deriva Doppler in frequenza imposta dai moti relativi del trasmettitore e del telescopio radio ricevente; per un pianeta in orbita attorno a una stella molto simile al Sole e quindi  a una distanza paragonabile a quella della Terra per rimanere dentro la sua HZ, questa deriva si può calcolare che sia compresa tra qualche chilometro al secondo fino a qualche decina. Anche questa caratteristica non è stato potuto essere rilevata nel segnale captato dal Ratan 600.

È indubbio che il radiotelescopio abbia ricevuto qualcosa, come anche i responsabili dell’osservatorio hanno confermato, ma non era quasi sicuramente di origine … extraterrestre.
Una – non esaustiva – analisi della zona in questione è stata fatta pochi giorni fa a seguito dello scalpore causato dalla notizia, dal SETI Institute utilizzando l’Allen Telescope Array in California mentre la Breakthrough Listen Initiative sta usando il Green Bank Telescope in Virgina per lo stesso scopo. Magari se questa ricerca fosse stata fatta immediatamente dopo la ricezione del segnale a quest’ora avremmo avuto una risposta più efficace, ma all’epoca gli scienziati russi non allertarono subito gli altri istituti di ricerca [cite]http://cosmicdiary.org/fmarchis/2016/08/29/lets-be-careful-about-this-seti-signal/[/cite] come prevedono i protocolli di Primo Contatto.
La non ripetitività del segnale (il Ratan 600 ha osservato altre 39 volte la stessa porzione di cielo senza ascoltare niente) fa pensare che possa essersi trattato di un fenomeno naturale transiente, come una curiosa espulsione di massa coronale delle stelle del sistema o di una sullo sfondo (quella è una zona abbastanza affollata del cielo). Anche un rigurgito di attività in un quasar di una qualche galassia lontana ma comunque compresa nell’area studiata o un occasionale guizzo nel plasma interstellare avrebbero potuto scatenare un segnale così importante anche se è assai improbabile.
Il problema è che oltre a un ricevitore a banda larga, il Ratan 600 a quelle frequenze (11 GHz) osserva contemporaneamente una discreta fascia di cielo che si estende per circa 20 arcosecondi per 2 arcominuti, il che dice poco anche sull’esatta direzione di ascolto; questo è dovuto alla sua particolare geometria. In sostanza, fare affidamento su un unico segnale ricevuto con uno strumento così particolare per affermare che sia avvenuto un contatto alieno è quantomeno un azzardo.

Conclusioni

Date le peculiarità del sistema di ricezione, il segnale captato nel 2015 può essere stato piuttosto un evento astrofisico transiente anche se le indagini di questi giorni tendono ad escluderlo dal punto di vista statistico [cite]https://seti.berkeley.edu/HD164595.pdf[/cite].
Rimane l’ipotesi terrestre – che secondo me – è anche la più probabile.
Un battimento armonico di una trasmissione a frequenze più basse o una spuria proveniente da un trasmettitore non ben filtrato di un aereo o un satellite artificiale che avesse attraversato in quel momento i lobi di ricezione del radiotelescopio  avrebbe potuto benissimo causare quel segnale.
Come adesso è evidente non c’è alcun bisogno di scomodare una civiltà extraterrestre per spiegare tutto questo trambusto.

ps. È notizia di queste ore che l’Osservatorio astrofisico speciale dell’Accademia russa delle scienze ha smentito l’ipotesi extraterrestre [cite]https://www.sao.ru/Doc-en/SciNews/2016/Sotnikova/[/cite]. Ecco anche spiegato anche perché nel 2015 gli scienziati russi non comunicarono quella che già a loro parve una non notizia.

LUCA il progenote

Il Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre è un affresco di Michelangelo Buonarroti, dipinto attorno all'anno 1510 nella volta della Cappella Sistina, nei Musei Vaticani a Roma,

Il Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre è un affresco di Michelangelo Buonarroti, dipinto attorno all’anno 1510 nella volta della Cappella Sistina, nei Musei Vaticani a Roma,

Nella Genesi biblica c’è un passo che reputo molto significativo: la cacciata dal Paradiso.
Eva, la figura mitologica della prima donna, spinta dalla’incarnazione del Male inteso come l’opposto del Divino, suggerì al suo compagno Adamo ad assaggiare il Frutto Proibito colto dall’Albero della Conoscenza. Fu allora che la coppia primigenia si accorse di essere nuda di fronte alla vastità del Paradiso e venne cacciata.
Amo pensare che il Frutto dell’Albero della Conoscenza sia l’allegoria della Curiosità. E come una di quelle varietà più piccanti di peperoncino che spinge i loro consumatori a ingerire liquidi nel vano sforzo di arginare il disagio, la Curiosità anima la sete di conoscenza che da sempre ci distingue dalle altre specie animali. In questa mia personale interpretazione il Peccato Originale non è altro che l’essenza del Frutto Proibito che si tramanda a tutte le generazioni del genere umano, così come la nudità della Cacciata dal Paradiso la vedo come la rivelazione dell’ignoranza dell’Uomo verso tutto ciò che lo circonda.
L’unico mantello che possa coprire l’umanità consiste nel placare la sua innata sete di conoscenza [1. Ovviamente la mia è solo una libera e personale interpretazione del mito, ma trovo che sia una chiave di lettura che merita attenzione e approfondimento.] e
 questo blog lo si può interpretare come il tentativo di espiare la mia parte di Peccato Originale.

Per i cristiani e gli ebrei il Libro della Genesi spiega come sia stato creato l’Universo e la Vita. Un passo particolare descrive la creazione dell’Uomo: «  Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. »   (Genesi 2,7)

La generazione spontanea

a

Cavalier-Smith propone solo due grandi domini tassonomici: Eukaryota e Prokaryota. Il dominio prokaryota in realtà è l’unione dei due domini precedenti, che ora diventano regni, Bacteria e Archaea. Questo diagramma mostra i principali tipi di cellula del mondo vivente e la loro probabile evoluzione partendo da organismi ancestrali comuni. Credit: Cavalier-Smith, 2004

Questo è un chiaro esempio di come nell’antichità si cercasse di spiegare come sia sorta la Vita. Oggi parleremmo di abiogenesi (dal greco a-bio-genesis, “origini non biologiche”), ma esso non è un concetto moderno, bensì è antico quasi quanto l’uomo. Le culture abramitiche convergevano nell’indicare sia l’Uomo che tutti gli altri esseri superiori (cani, cavalli, uccelli ad esempio) fossero stati creati per intervento divino, mentre quelli inferiori (mosche, cimici, blatte etc.) traessero origine dallo sporco e dal sudore. Anche nell’antica Cina esistevano credenze analoghe, così come anche nella cultura babilonese, da cui discendono appunto le moderne religioni monoteiste.
Nel pensiero classico greco la vita era direttamente collegata alla materia. Essa appariva spontaneamente qualora le condizioni ambientali le fossero favorevoli, un pensiero che in astratto è molto più moderno di quanto di primo acchito si creda, come vedremo più avanti. Aperti sostenitori della teoria della generazione spontanea furono filosofi del calibro di Talete, Democrito ed Epicuro, ma fu Aristotele che ne fece una sintesi accurata che sopravvisse fin dopo il Rinascimento. Egli sosteneva che gli esseri viventi nascessero da altri organismi simili ma che talvolta avrebbero potuto anche generarsi spontaneamente dalla materia inerte 1. Perfino pensatori famosi come Newton, Cartesio e Bacone sostenevano l’idea della generazione spontanea della vita.

Dio plasmò […] dalla polvere e soffiò […] un alito di vita.

Però la rivoluzione del pensiero scientifico introdotta da Galileo Galilei non mancò di influenzare anche la biologia. L’aretino Francesco Redi fu uno dei primi naturalisti a sperimentare, e a confutare, la generazione spontanea della vita. Egli contestò l’idea che i vermi sorgessero spontaneamente dalla carne putrefatta. Ben conscio che le sue scoperte minavano la posizione aristotelica della Chiesa, Redi fu molto cauto nel divulgare le sue scoperte; quindi fece in modo che le sue interpretazioni fossero sempre basate su passi biblici, come ad esempio il famoso adagio: “Omne vivum ex vivo” (Tutta la vita viene dalla vita).
Il naturalista aretino non fu il solo, nei decenni successivi molti altri scienziati arrivarono alle stesse conclusioni dimostrando come il calore potesse rendere sterile una coltura. In questo campo furono importanti le ricerche del gesuita Lazzaro Spallanzani 2 nel 1757 e di Theodor Schwann nel 1836.
Nonostante tutto erano ancora molti i naturalisti ancora convinti della generazione spontanea della vita. Ma nel 1864 un esperimento del francese Louis Pasteur pose definitivamente fine all’antica visione. Egli sterilizzò un brodo di carne dentro una beuta col collo piegato prima verso il basso e poi verso l’alto senza chiuderlo. In questo modo l’aria sarebbe potuta entrare nel recipiente senza alcun ostacolo tranne che per le impurità dell’aria che si sarebbero depositate sul fondo della curva del collo della beuta; se l’aria effettivamente conteneva un qualsiasi calore vitale questo avrebbe contaminato il brodo. Invece la coltura non produsse microorganismi né altre forme di vita. Ma quando Pasteur ebbe rotto il collo della beuta i germi ricomparvero subito nel brodo.
Fu così dimostrato definitivamente che in assenza di contaminazione da parte di altra materia biologica non poteva esserci una generazione spontanea della vita come fino ad allora si era inteso; il concetto di generazione spontanea era sbagliato, semmai si doveva parlare di riproduzione spontanea. Il motto di Francesco Redi era salvo.

Il moderno concetto di abiogenesi

Zoonomia, Or, The Laws of Organic Life, in three parts (Erasmus Darwin, 1803)

« Would it be too bold to imagine that, in the great length of time since the earth began to exist, perhaps millions of ages before the commencement of the history of mankind would it be too bold to imagine that all warm-blooded animals have arisen from one living filament, which the great First Cause endued with animality, with the power of acquiring new parts, attended with new propensities, directed by irritations, sensations, volitions and associations, and thus possessing the faculty of continuing to improve by its own inherent activity, and of delivering down these improvements by generation to its posterity, world without end! »
« Sarebbe osare troppo immaginare che, nel lungo periodo di tempo da quando la terra ha cominciato la sua esistenza, forse milioni di secoli prima dell’inizio della storia dell’umanità, che tutti gli animali a sangue caldo siano cresciuti da un singolo filamento vivente, che la grande Causa Prima indusse alla vita, con la possibilità di acquisire nuove parti, migliorato da nuove propensioni, guidato da nuovi stimoli, sensazioni, volontà ed associazioni, e per cui capaci di continuare a migliorare per propria attività naturale, e di consegnare questi miglioramenti attraverso la riproduzione alla propria prole, ed al mondo, senza fine! »

Tutto mostrava che la vita potesse originarsi soltanto da altra vita, o come suggeriva Charles Darwin, da forme di vita più semplici preesistenti.
Charles Darwin, naturalista e geologo britannico, scrisse il suo più celebre saggio “L’origine delle specie” nel 1859, partendo dalle riflessioni e gli appunti di viaggio racccolti nei suoi celebri viaggi attorno al mondo col brigantino Beagle, che già erano apparsi in altri lavori minori del celebre scienziato.
Anche se è indubbiamente giusto ricordare Charles Darwin come il padre della teoria sull’evoluzione delle specie, è altrettanto opportuno ricordare l’humus culturale della sua formazione. Suo nonno, Erasmus Darwin, nel 1794 scrisse Zoonomia, un trattato di medicina che in sé suggeriva già alcune idee sulle teorie evolutive che poi sarebbero state fonte di ispirazione per il naturalista francese Jean-Baptiste de Lamarck. Il lamarckismo 3 è probabilmente la prima teoria evolutiva coerente, anche se oggi ampiamente confutata dalle esperienze scientifiche e di laboratorio, in cui si cerca di superare il concetto di immutabilità delle specie come era raccontato dai filosofi greci e dalla Bibbia.
L’idea di una primigenia forma di vita molto semplice riapre il dibattito su chi o cosa ci sia stato prima. Un po’ come il paradosso dell’uovo e della gallina. Chi è nato prima? Per il misticismo religioso non ci sono dubbi: è tutto merito del divino del credo di appartenenza, per gli scettici qualcos’altro.
È così che l’abiogenesi, data per confutata dagli esperimenti di Pasteur, torna prepotentemente in auge col darwinismo per cercare di rispondere a cosa ci sia stato prima delle prime forme di vita.
Oggi ci riferiamo a questo organismo estremamente semplice chiamandolo LUCA (Last Universal Common Ancestor), un antenato comune a tutti i regni (eucaryota e prokaryota) e domini [cite]http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15306349[/cite] e quindi comune a tutte le forme di vita esistenti sulla Terra. Il riferimento a questo essere animato è fin troppo evidente nel pensiero di Erasmus Darwin. Ma anche LUCA deve essere venuto da qualche parte, ci devono essere stato qualcos’altro prima di lui, qualcosa che prima era inanimato e che poi è diventato vita.
Possiamo attenderci che una serie di eventi chimici ed energetici abbia coinvolto atomi e molecole combinandoli poi in molecole via via più complesse finché esse non sono state in grado di autoreplicarsi 4 [cite]http://dx.doi.org/10.1063/1.4818538[/cite].
Anche la discussione tra origine autoctona o panspermia lascia sostanzialmente invariata la risposta, decidere se le molecole prebiotiche si siano sviluppate qui sulla Terra o se sono piovute dallo spazio grazie alle comete [cite]http://ilpoliedrico.com/2016/05/alla-ricerca-delle-origini-della-vita.html[/cite]. È come se di fronte a una sala superbamente arredata ci si chiedesse se l’arredatore abbia da sé abbattuto gli alberi e costruito i mobili o abbia usato le tavole dell’Ikea.

Il progenote

phylogenetic-tree-of-life

Questo diagramma, sviluppato studiando l’rRNA comune a quasi tutti gli organismi del pianeta, mostra come i tre domini vita Archea, Bacteria e Eucaryota, siano in realtà imparentati fra loro tramite un ultimo antenato comune universale (il tronco nero nella parte inferiore della struttura). Si noti che la maggior parte dei modelli moderni ora pongono l’origine degli eucarioti all’interno della stirpe archaea. Credit: Wikimedia, CC BY-SA

All’incirca negli ultimi 30 anni sono stati compiuti grandi passi nello studio delle sequenze genetiche. Tale successo ha permesso di identificare e studiare sequenze genetiche comuni alla maggior parte delle specie viventi. Questo è risultato essere molto importante per capire i processi evolutivi di interi gruppi etnici e le loro secolari migrazioni (vedi ad esempio gli Etruschi), ma anche a livello di interspecie, proprio appunto per creare un quadro evolutivo coerente della vita sulla Terra. Lo studio tassonomico di sequenze comuni tra le diverse specie, dai batteri all’uomo per intenderci, ha permesso di scrivere alberi filogenetici come questo qui accanto.
L’analisi di oltre 6 milioni di geni codificanti proteine nel RNA ribosomiale 5 [cite]http://dx.doi.org/10.1038/nmicrobiol.2016.116[/cite], o rRNA, di organismi procariotici ha permesso di isolare un gruppo comune di proteine (355 su 286514, un po’ più dello 0,12%)  che potrebbero aiutare a capire l’ambiente ancestrale in cui il progenote deve aver vissuto.
Il mondo di questi organismi ancestrali comuni vissuti quasi tre miliardi e mezzo di anni fa [cite]http://ilpoliedrico.com/2015/01/sedimenti-naturali-e-strutture-fossili.html[/cite] era assai diverso dal nostro. Ancora non esisteva l’atmosfera attuale così ricca di ossigeno [cite]http://ilpoliedrico.com/2010/07/lantica-storia-della-terra.html[/cite] come la conosciamo e da cui quasi tutti gli organismi pluricellulari attuali dipendono, Secondo le proteine sintetizzate dalla componente genetica comune l’ambiente più adatto al progenote era molto simile agli odierni camini idrotermali delle dorsali oceaniche [cite]http://ilpoliedrico.com/2010/07/ce-vita-anche-laggiu.html[/cite]
Questo antenato comune avrebbe metabolizzato idrogeno, usato il biossido di carbonio e di azoto per replicarsi e il ferro come agente catalizzatore negli enzimi cellulari più o meno come ancora oggi fanno molti microbi termofili anaerobici come l’attuale Clostridium thermoaceticum [cite]https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/1900793[/cite].

Al di là quindi delle origini delle molecole organiche complesse, la vita pare essersi sviluppata in maniera autonoma su questo pianeta e in ambienti molto lontani dalla sola energia solare e da quella parossistica dell’atmosfera. Questa scoperta suggerisce che dopotutto anche mondi posti all’esterno di una zona Goldilocks, come ad esempio i satelliti più grandi dei pianeti esterni, potrebbero dare origine a processi biologici importanti e ospitare forme di vita elementare se fossero sede di fenomeni geotermali persistenti.
Niente fulmini, ma il lento cullar del respiro della terra che incontra il mare.