Kn 61 la nebulosa planetaria giusta al posto giusto

Se ci soffermiamo al significato delle parole professionista – colui che esercita una professione intellettuale o comunque un’attività per cui occorre un titolo di studio qualificato  – e il dilettante – colui che pratica un’attività o si dedica a uno studio non per professione ma per amore della cosa in sé – forse in nessun altro campo di ricerca scientifico   la divisione tra ricercatori professionisti e dilettanti è così sottile e impalpabile. In astronomia è abbastanza comune infatti che le due categorie si sovrappongano e collaborino assieme per il progresso scientifico. Ed è infatti quello che è avvenuto anche in questo caso dove è stato chiesta la collaborazione di un gruppo un po’ particolare di astrofili per poter  confermare o confutare una teoria sulla morfologia delle nebulose planetarie che ossessiona da tempo gli astrofisici.

Credit: Osservatorio Gemini / AURA

L’astronomo dilettante austriaco Matthias Kronberger analizzando una regione del profondo cielo inserita nel Deep Sky Survey ha scoperto una nuova nebulosa planetaria  a cui ha dato il nome: Kronberger 61, o Kn 61.
Matthias Kronberg ,  fisico delle alte energie al CERN di Ginevra, è membro di un team di astrofili: i Deep Sky Hunters.
A questo team è stato chiesto da alcuni ricercatori professionisti un aiuto per analizzare la stessa porzione di cielo che attualmente è investigata dalla sonda Kepler, ed è lì che infatti sono state scoperte sei nebulose planetarie, di cui Kn 61 fa parte.

La missione Kepler della NASA analizza circa 105 gradi quadrati porzione di cielo nei pressi della costellazione del Cigno, tra Deneb (α Cyg) e Vega (α Lyr). L’intera area  è paragonabile a l’area quella di una mano tenuta a debita distanza. Il telescopio spaziale Kepler ha il compito di analizzare continuamente la luminosità di 150.000 stelle alla ricerca di  quasi impercettibili variazioni di luce. La presenza di un corpo minore compagno di una stella può provocare fluttuazioni di luminosità attraverso le eclissi. L’eventuale curva di luce ottenuta da questi sistemi stellari sarà comunque influenzata da altri fattori, quali l’albedo del corpo minore, il suo riscaldamento e le sue fasi astrali, come comunemente osserviamo nei corpi interni alla nostra orbita come Venere e Mercurio.

Le nebulose planetarie

Una stella simile al Sole, con una massa compresa tra le 0,8 e le 4 masse solari, passa circa il 90% della sua vita  (svariati miliardi di anni) nella fascia principale del diagramma Hertzsprung-Russell, fintanto che le sue reazioni nucleari interessano l’elemento principale della stella:  l’idrogeno.
Quando l’idrogeno nel nucleo finisce e la fusione si arresta, il peso stesso della stella la fa collassare innalzando le temperature del nucleo fino ad innescare la nucleosintesi del prodotto finale della reazione termonucleare precedente, in questo caso elio. Queste nuove reazioni fanno espandere la stella fino a diventare una Gigante Rossa. Finito di bruciare anche l’elio, il processo si ripete, finendo per innescare – se la massa è sufficiente – la fusione del prodotto di scarto precedente: il carbonio. Questa nucleosintesi è più energetica delle precedenti, e la pressione di radiazione risultante espelle gli strati più esterni della stella nello spazio dove formano un guscio di gas illuminato dal nucleo nudo della stella originale: una caldissima nana bianca.

Le nebulose planetarie di solito hanno forme particolari, che i ricercatori spiegano con la presenza di uno o più corpi minori che perturbano la fase di rilascio degli strati esterni della stella, mentre Kn 61 appare perfettamente simmetrica, come un perfetto palloncino.
Era proprio questo che speravano di trovare all’interno del campo osservato da Kepler, una nebulosa da poter studiare con strumenti fotometrici precisissimi come quelli della sonda Kepler da potrer confutare o meno la teoria che ritiene i corpi planetari minori quali responsabili delle stravaaganti forme delle nebulose planetarie.
Averne trovata una così perfetta come Kn 61 è un incredibile colpo di fortuna.

Orsola De Marco della Macquarie University di Sydney e del dipartimento di astrofisica dell’American Museum of Natural History che nel 2009 ipotizzò che le bizzarre forme di molte delle nebulose planetarie fossero da attribuirsi alla presenza di compagni stellari  minori o addrittura a sistemi planetari, è parte del team che attualmente sta studiando Kn 61 insieme allo scopritore austriaco Matthias Kronberg, George Jacoby del Giant Magellan Telescope e Steve Howell del team Kepler e sviluppatore di sistemi di indagine fotometrica.

 

 

Giorni di gloria

« Houston, Tranquility Base here. The Eagle has landed. »
Credit: Paolo Attivissimo

Io c’ero.
Ero piccino picciò, ma tra quei 600 milioni di esseri umani che videro atterrare l’Eagle sulla superficie lunare alle 22:17 ora italiana del 20 luglio 1969 c’ero anch’io 1.
Quella fu una data storica per l’umanità, che si strinse assieme a quei due astronauti, Neil Armstrong e Michael Collins –  mentre il caro Buzz Aldrin li aspettava sull’altra metà del modulo chiamato Columbia – in un autentico fraterno abbraccio per un attimo senza più confini etnici politici o religiosi.

Carl Sagan posa accanto a un modello del lander Viking che atterrò su Marte . Sagan esaminò i possibili punti di atterraggio per le Viking insieme a Mike Carr e Hal Masursky.

 

35 anni fa esatti su Chryse Planitia si posò il Viking 1.
Partito da Cape Canaveral il 20 agosto 1975, raggiunse l’orbita marziana il 19 giugno 1976. Il lander fu fatto atterrare il 20 luglio in un luogo pianeggiante e scientificamente interessante scelto tra gli altri da Carl Sagan. Fu la prima sonda interplanetaria a toccare il suolo marziano e la seconda più longeva: fu attiva fino al 1982, quando un errore di riprogrammazione che doveva allungare la vita delle batterie sovrascrisse le routine di puntamento dell’antenna verso la Terra.

 

Virgil Grissom accanto alla sua Liberty Bell 7

La missione Mercury-Redstone 4 (MR-4) del 21 luglio 1961 fu il secondo volo suborbitale con un uomo – americano – a bordo nell’ambito del programma Mercury.
Per l’astronauta Virgil “Gus” Grissom quel volo fu qualcosa di rocambolesco. Per cause non ancora del tutto chiarite il meccanismo esplosivo che apriva la capsula – che lui aveva battezzato Liberty Bell 7 2  in onore alla famosa Campana della Libertà di Philadelphia e ai sette astronauti del programma Mercury – si azionò subito dopo l’ammaraggio, inondando la capsula e facendola affondare nell’Oceano Atlantico. Grissom che per fortuna si era già tolto le cinture e tubi dell’aria della capsula riuscì a fuggire e a salvarsi.

La Liberty Bell 7 appena recuperata nel 1999

Grissom era stato indicato come primo astronauta del progetto Apollo e candidato ad essere il primo uomo sulla Luna al posto di Armstrong, ma morì  il 27 gennaio 1967 con i suoi compagni astronauti Edward White e Roger Chaffee nell’incendio dell’Apollo 1.
Il 20 luglio 1999 la Liberty Bell 7 di Virgil Grissom fu recuperata dal fondo dell’Oceano Atlantico 30 anni dopo lo storico sbarco sulla Luna di Neil Armstrong.

 

Quante cose possono accadere  il 20 luglio!

 

Un palcoscenico naturale

 

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Credit: Il Poliedrico
Raggi crepuscolari e anticrepuscolari
I raggi crepuscolari sono generalmente visibili attorno ai crepuscoli, ossia alba o tramonto, e sono provocati da ostacoli lungo il cammino della luce del Sole come nubi o montagne.
Talvolta questi raggi riescono ad attraversare il cielo e apparentemente sembrano ricongiungersi dalla parte opposta al Sole (punto antisolare) e da qui il nome di raggi anticrepuscolari.
l’efffetto divergente dei crepuscolari e convergente degli anticrepuscolari è solo apparente e dovuto alla proiezione prospettica: in realtà sono raggi paralleli con un punto di fuga infinito.

Sono un tipo mattiniero.
Avendo per necessità, e qualche volta per sfizio, l’abitudine di alzarmi anche prima dell’alba, talvolta mi capita di vedere particolari fenomeni come questo che ho documentato stamattina.
Sembrava di assistere ad un concerto dal vivo, un palcoscenico immenso che annunciava un’altra maestosa alba.
Questi visibili nelle tre foto si chiamano raggi crepuscolari. Sono stati prodotti dalla luce del Sole ancora sotto la linea dell’orizzonte che ha attraversato il banco di nubi sullo sfondo.
Come ombre cinesi nel cielo, le nuvole hanno occluso parte della luce solare che invece è riuscita a passare negli squarci tra di esse.
Nel mentre il Sole guadagnava l’alba, questi spot hanno attraversato il cielo colorandolo di bande rosa e si sono ricongiunti dalla parte opposta, creando i piuttosto rari raggi anticrepuscolari che purtroppo non ho potuto fotografare 1.
Ma credetemi, alzarsi prima dell’alba può essere eccitante se  si sa ancora guardarsi intorno.

Buon anno Nettuno

 

 

Questa volta non starò qui a farla lunga sulle caratteristiche chimico-fisiche del pianeta Nettuno, in questo caso basta e avanza l’ottima pagina di Wikipedia, ma voglio raccontarvi quello che immagino sia successo una sera di tanti anni fa.

 

Credit: il Poliedrico

60 223 giorni fa – ora più ora meno- era la sera del  mercoledì 23 settembre 1846 in Europa (il continente terrestre, non il satellite di Giove!):

Johann Gottfried Galle puntò il telescopio dell’Osservatorio astronomico di Berlino verso la costellazione dell’Acquario, vicino al Capricorno, un po più a sinistra di Deneb Algedi.
Erano diverse sere che  il suo assistente Heinrich Louis d’Arrest insisteva di  osservare vicino a e Aqr che, secondo i calcoli di un francese, tale Urbain Le Verrier, avrebbe potuto trovarsi il presunto pianeta che sembrava perturbare l’orbita dell’ultimo pianeta – allora – conosciuto: Urano.
In effetti c’era qualcosa che sembrava muoversi leggermente rispetto alle altre stelle dello sfondo. Però poco sotto c’era quell’impiccione di Saturno che come al solito amava pavoneggiarsi nel cielo con i suoi inseparabili anelli.
“Ma non poteva, che so, spostarsi per intervento divino dall’altra parte dell’eclittica, almeno per stasera, il suo splendore proprio lì dà fastidio alle misurazioni di precisione, distrae!”  a questo pensava il buon Johann mentre dettava i valori dei micrometri al suo assistente.
“Eppure lì c’è qualcosa!”, pensò, “stai a vedere che il mio assistente aveva ragione. E pure quell’altro, quel francese, Urbano… Urbino…  Urbain, insomma lui! Loro hanno ragione! c’è qualcosa laggiù!”

 

Francamente non lo so, ma me lo immagino così Johann Galle che un mercoledì sera dopo cena scoprì Nettuno, ottavo e ultimo pianeta del nostro Sistema Solare 1.
Ora che Nettuno si trova a transitare nello stesso punto orbitale di allora e che quindi trascorso appena un anno nettuniano dal giorno della sua scoperta, chissà cosa avrebbe detto ora Galle guardando di nuovo in quella direzione col suo telescopio: “finalmente Saturno se n’è andato da un’altra parte”

Una nuvola in orbita

Credit: Babak Tafreshi e Oshin Zakarian

 

 

Il lanciatore Atlas V della Lockheed Martin

L’Atlas V è un razzo della Lockheed Martin ampiamente usato dagli Stati Uniti per immettere in orbita i suoi satelliti senza ricorrere al più costoso sistema di lancio degli Space Shuttle  1.

Il 15 giugno 2007 alle 15:12 GMT decollò dal Complesso 41 di Cape Canaveral un Atlas V potenziato con lo scopo di portare in orbita due satelliti per la sorveglianza navale del NRO (National Reconnaissance Office).
Purtroppo poco dopo il lancio un guasto al secondo stadio provocò una fuoriuscita di idrogeno che produsse la nuvola osservata dai due astronomi fotoamatori iraniani 2.

Infatti la nuvola si formò nella parte occidentale del cielo degli osservatori, quando per loro il Sole era da poco tramontato mentre Venere, Castore e Polluce erano ancora visibili prima del loro tramonto. Lo scarico del combustibile del razzo avvenne in una porzione di cielo ancora illuminata dal Sole che lo rese visibile.

Uno degli autori della foto 3, Babak Tafreshi è nato nel 1978 a Teheran ed è un fondatore e leader del movimento The World At Night e membro del consiglio di Astronomi Senza Frontiere.
Oltre che una meravigliosa passione, l’astronomia è anche un ottimo esempio di fratellanza tra i diversi popoli e culture, dopotutto il cielo è di tutti!

Vita, Intelligenza e Civiltà

La vita è un concetto talmente grande e a volte arbitrario che a fatica se ne possono definire i contorni, figuriamoci tentare di definire cose è intelligente o non lo è.

 

Cristalli di selenite delle grotte di Naica, Messico

In ogni dibattito scientifico si parte sempre da espressioni comunemente condivise, un linguaggio base comune. Quindi prima di usare certi termini come Vita, Intelligenza e Civiltà occorre partire da espressioni comuni e condivise su cosa significhino questi  termini, altrimenti tutto il resto è inutile.

La Vita

Da sempre filosofi e scienziati hanno dibattuto  su ciò che è vita e ciò che non lo è, quali sono le sue origini e quale possa essere il suo fine ultimo. Una discussione che forse non può avere scritta la parola fine, perché questo è uno dei pochi dibattiti fondamentali della razza umana, ovvero chi siamo e perché, da dove arriviamo e perché, dove andremo e perché:
c’è sempre un perché in ogni domanda, questa è una delle poche cose di cui possiamo esser certi.

Potremmo definire la vita come qualcosa che nasce, che si nutre, che si riproduce e che muore modificando l’ambiente che lo circonda, ma anche il fuoco nasce, cresce si nutre a scapito dell’ambiente, si può riprodurre e poi muore. Anche i cristalli nascono, crescono nutrendosi degli elementi chimici catturati nell’ambiente circostante  creando una struttura altamente organizzata e si riproducono. Eppure non si possono definire il fuoco o i cristalli vivi.
Dal punto di vista prettamente scientifico per Vita si intende un sistema che è essenzialmente in squilibrio termodinamico perenne – o stazionario – con l’ambiente e che sottrae energia per il mantenimento di questo squilibrio da ess0 1 2

La vita come la conosciamo qui sulla Terra lascia traccia della sua esistenza attraverso modifiche essenzialmente chimiche sull’ambiente, come ad esempio la liberazione dell’ossigeno molecolare nell’atmosfera ad opera delle piante o come depositi di calcare prodotti da miliardi di microorganismi morti nelle argille, ma non per questo la rivelazione di  alcuni di questi indicatori  indiretti esclude diversi processi chimici che possano ottenere gli stessi risultati. Questo si chiama principio di precauzione, ed è fondamentale per ogni seria e rigorosa analisi scientifica.

Alcuni corvi hanno sviluppato un comportamento intelligente

Per questo non è affatto facile distinguere un processo vitale da uno che non lo è,  scoprire la Vita tramite soltanto indicatori indiretti è molto difficile.

L’Intelligenza

Dopo tutte queste difficoltà per stabilire ciò che è vivo,  definire anche cosa possa essere considerato intelligente, non è affatto semplice.
Sulla Terra esistono innumerevoli forme di vita, dal protozoo all’uomo, dall’alga azzurra alla sequoia, tutte con diversi gradi di organizzazione sociale e ambientale.
Le alghe o i coralli ad esempio vivono in colonie dettate dall’ambiente, cioè dalla temperatura, dalla disponibilità di luce e nutrienti immediatamente disponibili; quando uno di questi fattori cambia o cessa queste colonie ambientali hanno tre scelte, le quali nessuna esclude l’altra: adattarsi alle mutate condizioni ambientali, migrare verso condizioni ambientali più favorevoli , o morire.
La sardina vive in banchi. Questi banchi si muovono in maniera ordinata e disciplinata alla ricerca di un ambiente ricco delle risorse necessarie al loro sostentamento, se attaccati da altri predatori, le sardine nei banchi si muovono all’unisono per difendersi, i banchi sembrano intelligenti,  ma non per questo si può definire la sardina un forma di vita particolarmente  intelligente.

 

Specie rapporto m.cerebr./peso
piccoli uccelli 1/12
uomo 1/40
topo 1/40
gatto 1/100
cane 1/125
rana 1/172
leone 1/550
elefante 1/560
cavallo 1/600
squalo 1/2496
ippopotamo 1/2789

Lo stesso dicasi ad esempio di formiche o delle api: creature animali che vivono in colonie capaci di manipolare direttamente l’ambiente, dotate di una struttura sociale complessa con mansioni e funzioni specializzate codificate dalla selezione naturale a livello genetico, che non sono frutto di una scelta individuale ma della sottospecie di appartenenza.
Negli animali superiori  ci si può riferire alla complessità dell’intelligenza osservando  la quantità di materia cerebrale in rapporto al peso corporeo, ma anche qui non si fanno enormi passi avanti, come si può vedere anche dalla tabella: dubito che un tordo o un piccione sia più intelligente di uno dei miei gatti, o che ognuno di voi lo sia quanto un comune topo. Almeno  questo criterio nudo e crudo per stabilire chi, cosa e quanto possa essere intelligente proprio non funziona.

Specie EQ
Uomo 7.44
Delfino 5.31
Scimpanzé 2.49
Elefante 1.87
Balena 1.76
Cane 1.17
Gatto 1.00
Cavallo 0.86
Pecora 0.81
Topo 0.50
Coniglio 0.40

Con le dovute correzioni, con i dovuti coefficienti l’equazione Massa Cerebrale/Peso Corporeo 3  migliora, ma a me sembra sembra sempre più un artificio matematico che un serio metodo scientifico di indagine.

Anche qui stabilire quale forma di vita sia intelligente o meno non è affatto facile.

 

 

La Civiltà

 

Uno dei simboli della nostra civiltà: il microchip

Volendo proseguire su questa strada si può affrontare il tema Civiltà:  cos’è che distingue una civiltà da un’altra?
Abbiamo avuto gli Assiri, gli Egiziani e i Cinesi che svilupparono diverse forme di scrittura più di 5000 anni fa, mentre pitture rupestri 4  già da dal 12000-10000 a.C. testimoniano probabilmente la volontà di trasmettere tracce storiche di eventi alle generazioni successive.
Ma ci sono civiltà che non hanno eretto templi maestosi e non hanno una storia scritta che nonostante tutto sono sopravvissute fino ai nostri tempi, popoli che non hanno conosciuto la scrittura o la nostra tecnologia fino a quando non li abbiamo incontrati, come diverse tribù di indios sudamericani o gli aborigeni australiani o popoli cosiddetti primitivi dell’Africa.
Non mi sento di definirli primitivi, perché il loro sviluppo intellettivo è come il nostro, solo che le loro civiltà hanno compiuto scelte radicalmente opposte rispetto alle nostre: prendono solo quello che trovano in natura, non sconvolgono i mari con la pesca intensiva, non distruggono l’ambiente che li circonda per poche risorse in più.
Il loro è un modello di società statica, ma non per questo meno funzionale del nostro, altrimenti si sarebbero già estinti.
Il nostro invece è un modello dinamico, in continua evoluzione, anche se questo ci ha condotti pericolosamente vicino all’autodistruzione più di una volta e , per ora, l’abbiamo sempre scampata per un pelo. L’esaurimento delle risorse del pianeta ci presenta infatti il conto delle nostre scelte col Global Warming (Riscaldamento Globale), mentre magari un modello di società in equilibrio con le risorse naturali del pianeta non sarebbe mai arrivato a questo punto. Però quest’ultimo modello non avrebbe sviluppato una tecnologia avanzata come quella elettronica, non avrebbe iniziato a sviluppare il volo spaziale e quello che abitualmente noi diamo per scontato e per molti vitale.

Quindi Civiltà, Intelligenza e Vita potremmo anche non riconoscerle per quello che sono casomai un giorno avessimo l’occasione di  incontrarne di diverse da quelle che noi conosciamo. E non dovremmo neppure avere la presunzione che queste siano necessariamente simili alla nostra.

 

http://ilpoliedrico.com/2011/06/punti-di-vista.html

Cos’è questa nube a forma di ventaglio luminoso tra le stelle?

Credit: Babak Tafreshi e Oshin Zakarian

 

 

Nel giugno 2007, Babak TafreshiOshin Zakarian hanno assistito ad questa nuvola strana e luminosa nel cielo notturno sopra le montagne Alborz in ‘Iran.
Prima erano visibili soltanto delle chiazze informi e fioche, ma rapidamente queste si sono evolute come si vede nella foto. La nuvola ha attraversato il ciel oalla velocità di circa 20 gradi al minuto.
Questa immagine mostra i primi momenti della nuvola dall’alto della vetta Dizin (3400 m), le due stelle luminose nel mezzo sono Castore e Polluce nei Gemelli, mentre l’altro oggetto abbagliante è il pianeta Venere.

 

  • Uno scarico di carburante nello spazio.
  • una nube luminescente.
  • un satellite Vela.
  • un altro oggetto volante non identificato.

 

Come sempre, date la vostra risposta votando il quiz qui accanto. Avete tempo fino al 13 di luglio.

Estate, tempo di stelle cadenti?

Ormai è estate, con la sua opprimente calura diurna -e spesso anche notturna. Con essa inizia il periodo delle vacanze e la voglia irrefrenabile di star fuori la sera e di tirar tardi.  Molto pensano che Luglio e Agosto siano il periodo delle stelle cadenti, ma non è proprio esattamente così.

 

 

Una Perseide Earthgrazer. Image Credit: S. Kohle & B. Koch (Astron. I., U. Bonn).

Ho un ottimo ricordo dello sciame delle Perseidi nel 1996 1. Fu fantastico, non solo durante il picco, ma fino alla fine del mese non fu raro intercettare con lo sguardo qualche meteora.

Nei tre mesi estivi anche se il crepuscolo termina molto tardi 2, le gradevoli temperature serali spingono le persone a passare il loro tempo libero all’aperto. Così non è difficile che vengano notate le tracce nel cielo lasciate dalle stelle cadenti, che al di là del nome romantico, di stellare hanno ben poco, eccetto le origini ultime, come qualsiasi cosa più pesante dell’elio ha in questo universo.

Il periodo estivo (da giugno a settembre), a parte per le celeberrime  Perseidi –  lo sapevate che esistono ben due sciami distinti di Perseidi che condividono qusasi la stessa porzione di cielo? – è in realtà molto povero se paragonato non solo a tutto il periodo invernale, ma addirittura al solo mese di dicembre.
Infatti a dicembre si preferisce il tepore dell’abitazione piuttosto che una nottata sotto il cielo, ma spesso non sappiamo cosa ci perdiamo: a dicembre le Geminidi e le Ursidi possono essere spettacolari, anche più delle Lacrime di San Lorenzo.

Credit: Il Poliedrico

Un’altra difficoltà è rappresentata dal fatto che le meteore sono visibili generalmente dopo la mezzanotte: infatti solo dopo tale ora che la faccia della Terra è rivolta verso il moto di rivoluzione, ed è proprio quel lato – che va dalla mezzanotte a mezzogiorno – con cui  la Terra raccoglie la maggior parte dei detriti interplanetari comportandosi un po’ come un’auto che attraversa uno sciame di moscerini; difficile che qualcuno muoia spiaccicato sul lunotto posteriore.

Una cosa che non dimenticherò mai è uno Earthgrazer che ebbi occasione di vedere con degli amici a Pienza tanti anni fa.

Fu magnifico. Un bolide lento e colorato che lasciò un’impalpabile scia nel cielo per qualche secondo e che probailmente si disintegrò negli strati inferiori dell’atmosfera o vi rimbalzò, come i sassi lanciati radenti sulla superficie di uno specchio d’acqua.

Gli Earthgrazers sono meteore che entrano nella parte alta dell’atmosfera (mesosfera) con un bassissimo angolo di impatto e rimbalzano nello spazio attorno agli 80 chilometri di quota.
Per questo la loro velocità apparente è molto bassa e insolitamente lungo il loro percorso: in realtà rispetto alle normali meteore cambia solo l’angolo di impatto con l’atmosfera.

Il meccanismo degli Earthgrazers - Credit: Il Poliedrico

Sfruttando queste peculiarità, anche se gli Earthgrazers sono rari, si può sperare di vederne qualcuno preparando con cura la serata osservativa.
Per osservare le piogge di meteoriti non servono assolutamente strumenti sofisticati: basta un plaid, una copertina su cui sedersi o sdraiarsi, o una sedia a sdraio per i vecchietti come me. Come accessorio può essere utile una fotocamera con grandangolo per immortalare qualcosa, ma non è indispensabile.
Poi occorre un posto sgombro, libero il più possibile da ostacoli lungo la visuale, lontano dalle luci cittadine e sistemarsi,  quando ancora il punto radiante dello sciame sta sorgendo ed è ancora molto basso sull’orizzonte. E aspettare.

Queste indicazioni valgono anche per tutti gli altri sciami meteorici che qui ho voluto elencare. La lista è incompleta e anche le indicazioni dei punti radiante sicuramente è imprecisa, in quanto questi possono mutare la loro posizione nel tempo per tanti fattori, primi fra tutti gli influssi gravitazionali di Giove e del Sole e la pressione della radiazione solare 3.

Ripeto, gli Earthgrazers sono rari, riuscire a vederne uno o due in una serata è difficile, ma non è impossibile e probabilmente ne vale la pena. Gli sciami di meteoriti ci sono un  po’ tutto l’anno, c’è solo l’imbarazzo della scelta e di quanto siamo pronti a sacrificarci per serbarne  il  ricordo.